ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 93, comma 2,
226 e 274 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti locali), promossi con tre
ordinanze   del   1°  giugno 2006  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale  per  la Regione Abruzzo, rispettivamente iscritte ai
numeri  660, 661 e 662 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 3,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 6 giugno 2007 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto che, con tre distinte ordinanze, emesse in pari data (1°
giugno 2006,  pervenute  a  questa Corte il successivo 30 novembre) e
analogamente  motivate  in  punto  di  diritto,  la  Corte dei conti,
sezione  giurisdizionale  per  la  Regione Abruzzo, ha sollevato - in
riferimento  agli  artt. 3,  primo comma, 11, «secondo comma» (recte:
11),  103,  secondo  comma,  e  119 della Costituzione - questione di
legittimita'   costituzionale:  dell'art. 93,  comma 2,  del  decreto
legislativo   18 agosto   2000,   n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali), «nella parte in cui limita il
giudizio  di  conto alla gestione del Tesoriere»; dell'art. 226 dello
stesso  decreto  legislativo  n. 267  del  2000,  «nella parte in cui
prevede la trasmissione alla competente Sezione giurisdizionale della
Corte  dei  conti, ai fini del giudizio, del solo conto della propria
gestione  di  cassa»;  nonche'  dell'art. 274  del  medesimo  decreto
legislativo  «nella parte in cui abroga l'art. 310, comma 4, del r.d.
3/3/1934    n. 383    (confermando    implicitamente    l'abrogazione
dell'art. 226  del  r.d.  n. 297  del  1911  disposta  con l'art. 64,
comma 1,  della legge n. 142/1990) che demandava al giudice contabile
la  pronuncia  sul  conto  sia  dell'Ente  che  del  tesoriere, ed in
particolare   del   merito  giuridico  e  contabile  delle  poste  di
bilancio»;
        che  gli  incidenti di costituzionalita' sono stati sollevati
nel corso dei giudizi sul conto del tesoriere del comune di L'Aquila,
per  gli  esercizi  2002 e 2003 (r.o. n. 660 del 2006), del tesoriere
del  comune di Chieti, per gli esercizi dal 1998 al 2002 (r.o. n. 661
del  2006) e del tesoriere del comune di Scanno, per gli esercizi dal
1998 al 2003 (r.o. n. 662 del 2006);
        che,  in  tutti  i  casi suddetti, la sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per la Regione Abruzzo evidenzia specificamente
i  «molteplici  profili di criticita' nella gestione finanziaria» dei
comuni interessati ai giudizi di conto, profili che, «nella misura in
cui  si  riflettono in anomalie, riscontrate in sede di revisione nel
conto  del  Tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio
ed  anche in sede di valutazione da parte di quest'ultimo, meritevoli
di approfondimento e considerazione»;
        che   il   giudice   rimettente   ricorda,   tuttavia,   che,
dall'entrata in vigore dell'art. 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142
(Ordinamento  delle  autonomie  locali),  poi trasfuso nel denunciato
art. 93,  comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000, l'oggetto del giudizio
di  conto  «e' stato limitato al conto del tesoriere (che rappresenta
solo  una  parte e per di piu' quella di mera esecuzione del conto di
bilancio  dell'Ente, che e' invece un bilancio misto, di competenza e
di   cassa)»,  restando  con  cio'  precluso  alla  Corte  dei  conti
«l'accertamento  sul  merito  giuridico  e  contabile  delle poste di
bilancio  e  la  pronuncia sulla effettivita' del risultato finale di
bilancio,  diversamente da quanto consentiva l'abrogata legislazione»
e,  in  particolare,  l'art. 226  del  r.d.  12 febbraio 1911, n. 297
(Approvazione  del regolamento per la esecuzione della legge comunale
e  provinciale),  «sulla  base del bilancio consuntivo», il quale era
«depositato alla Corte in uno al conto del tesoriere», secondo quanto
disposto  dall'art. 310,  quarto comma, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383
(Approvazione  del  testo  unico della legge comunale e provinciale),
poi abrogato dall'art. 274 del d.lgs. n. 267 del 2000;
        che,  quindi,  ad  avviso  del  giudice  a quo, la disciplina
oggetto  di  denuncia  renderebbe  «la  pronuncia [...] nella materia
largamente  inadeguata  anche  sotto  l'aspetto  della  verifica  del
rispetto  dei principi di universalita', integrita' e veridicita' del
bilancio,  nonche'  del  rispetto  delle  regole  poste  con le leggi
finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno»;
        che,  tanto  premesso,  il rimettente afferma di non ignorare
che  la  Corte  costituzionale,  con  la sentenza n. 378 del 1996, ha
dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97,
primo  e  secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione, la
questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 2, e
64,  comma 1,  della  legge  n. 142  del  1990,  cioe'  proprio della
disciplina  che  limitava  il  giudizio  di  conto  alla gestione del
tesoriere  e  che,  attualmente, e' stata trasfusa nelle disposizioni
denunciate;
        che   tuttavia,   «alla   stregua   di  una  rilettura  delle
argomentazioni  svolte  dal  giudice  delle  leggi  alla  luce  delle
radicali  riforme  intervenute successivamente alla pubblicazione» di
tale  pronuncia,  concernenti  non  solo  i  controlli  sulla finanza
locale,  ma  anche,  e  soprattutto, l'assetto costituzionale siccome
delineato  dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifica
del  titolo  V  della parte seconda della Costituzione), il giudice a
quo  sostiene  che  «la questione possa ed anzi debba riprospettarsi,
non apparendo manifestamente infondata»;
        che  il  giudice  a quo sostiene, quindi, che «la sottrazione
del  conto  consuntivo  al  giudizio  necessario  di  conto appare in
contrasto»  con  l'art. 103  Cost.,  che  - secondo la giurisprudenza
costituzionale  e di legittimita' - riserverebbe alla Corte dei conti
le  materie di contabilita' pubblica sotto l'aspetto oggettivo, cosi'
da  ricomprendervi  il  giudizio  di responsabilita' e il giudizio di
conto;
        che   inoltre,  prosegue  il  rimettente,  la  non  manifesta
infondatezza  della  sollevata questione sarebbe confortata anche dal
fatto  che «risulta mutato il quadro complessivo della disciplina dei
controlli per la finanza locale»;
        che,   proprio   in   considerazione   dell'art. 119   Cost.,
occorrerebbe  «dimensionare»  il  raccordo  della finanza statale con
quella  degli  enti  territoriali,  giacche' «la riforma del titolo V
della  Costituzione,  se  per  un  verso riconosce la piena autonomia
finanziaria  di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali,
per  l'altro,  attribuisce  espresso  rilievo  ai  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  comunitario,  che,  nell'ambito  della  politica di
bilancio, sono costituiti da regole sui saldi, alle quali si connette
anche la previsione di sanzioni»;
        che, dunque, ad avviso del rimettente, «la natura di bilancio
misto  del conto di gestione dell'Ente, la impossibilita' di rilevare
gli  impegni  o  gli accertamenti, non essendo inseriti nel conto del
Tesoriere,  anche  per la verifica di obblighi imposti normativamente
allo   stesso   (rispetto   dei  limiti  di  pagamento,  limiti  alle
anticipazioni  di  tesoreria  etc.) oltre che gli scostamenti anomali
tra  riscossioni ed accertamenti o ritardi od omissioni nei pagamenti
al  fine  di  creare  artificialmente  un  avanzo  di  cassa  tale da
influenzare  il  risultato  di  amministrazione  (anche attraverso la
allocazione  fuori  del bilancio di spese cui non si puo' far fronte)
rende  le  citate norme limitative contrastanti con ogni principio di
ragionevolezza  e quindi con l'art. 3 della Costituzione, dato che il
conto del tesoriere e' solo la parte esecutiva del bilancio»;
        che,  peraltro,  argomenta  ancora  il  giudice  a  quo,  non
potrebbe reputarsi «equivalente l'attribuzione con l'art. 7, comma 7,
della   legge   5  giugno 2003,  n. 131  (recante  «Disposizioni  per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3»)  alla Corte dei conti della
funzione   di  referto  (arricchita  con  le  accresciute  competenze
conferite  dalla legge finanziaria del 2006, artt. 166 e seguenti) in
ordine agli andamenti complessivi della finanza locale ed al rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli U.E.»;
        che,  difatti, l'assenza di sanzioni sembrerebbe «legittimare
in  molti  casi  le  Amministrazioni  a  non  tener conto dei rilievi
formulati»,   non   essendo   «un   caso  che  la  sanzione  prevista
dall'art. 248, comma 5 del citato decreto legislativo n. 267/2000 per
gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto finanziario non
risulta sia mai stata applicata», cio' potendo imputarsi proprio alla
presenza dei limiti introdotti nel giudizio di conto in questione;
        che,  quindi,  pure  «sotto  tale  profilo  si  evidenzia  il
contrasto  con  l'art. 3  della  Costituzione  di  una normativa che,
mentre  vuol sanzionare il dissesto, preclude alla Corte dei conti la
possibilita'  di  verificare  le  poste  di  bilancio  esercizio  per
esercizio,    rettificando,    se   del   caso,   il   risultato   di
amministrazione»;
        che,  in  conclusione,  secondo il giudice a quo, sarebbe non
manifestamente  infondata  la  questione  di costituzionalita' «delle
norme  limitative della giurisdizione della Corte dei conti sui conti
giudiziali  quali  attualmente  vigenti  a  seguito della sostanziale
trasfusione  delle  disposizioni della legge n. 142/1990 nel T.U. 267
del  2000», contrastando le disposizioni denunciate «con il principio
della   non   arbitrarieta'   e   irragionevolezza  dell'operato  del
legislatore  ordinario  (art. 3 Cost.); con il rispetto degli impegni
assunti  nei confronti delle organizzazioni sopranazionali alle quali
lo  Stato  italiano  ha  aderito  (art. 11  Cost.);  con  il rispetto
sostanziale   del   limite   minimo,   posto   al  legislatore  anche
nell'esercizio  di  una sua legittima interpositio, nella modulazione
delle attribuzioni costituzionalmente attribuite alla Corte dei conti
(art. 103  Cost.);  con i principi del raccordo della finanza statale
con quella degli Enti territoriali (art. 119 Cost.)»;
        che,  nel  giudizio iscritto al n. 660 del registro ordinanze
dell'anno 2006,  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata;
        che, quanto all'eccepita inammissibilita', la difesa erariale
sostiene  che  nessuna  delle norme censurate riguarderebbe «il conto
del  tesoriere»,  tanto  che  la  questione,  ove  fosse accolta, non
«avrebbe  rilievo  nel  giudizio  in corso, ma dovrebbe eventualmente
comportare la proposizione di un altro giudizio e nei confronti di un
soggetto diverso»;
        che,  nel  merito,  l'Avvocatura  dello  Stato osserva che la
Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n. 378  del  1996, ha gia'
dichiarato  non fondata la questione proposta sulle norme della legge
n. 142 del 1990 corrispondenti a quelle attualmente denunciate;
        che,  secondo  la  difesa  dello  Stato, seppure e' vero che,
rispetto all'epoca della citata pronuncia, la situazione normativa e'
in  parte  mutata, tuttavia «le innovazioni intervenute nel frattempo
sono  tutte  orientate  ad  assicurare  agli enti locali una maggiore
autonomia»,  come  dimostrato  dai  novellati  artt. 114  e 118 Cost;
sicche',  una  normativa,  «che  sottrae  i  comuni a certi controlli
giurisdizionali,  non  puo'  diventare costituzionalmente illegittima
quando ai comuni viene riconosciuta una autonomia maggiore, garantita
dalla Costituzione».
    Considerato che, con tre distinte ordinanze analogamente motivate
in  punto di diritto, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per
la   Regione  Abruzzo,  denuncia:  l'art. 93,  comma 2,  del  decreto
legislativo   18 agosto   2000,   n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali), «nella parte in cui limita il
giudizio  di  conto  alla  gestione  del Tesoriere»; l'art. 226 dello
stesso  decreto  legislativo  n. 267  del  2000,  «nella parte in cui
prevede la trasmissione alla competente sezione giurisdizionale della
Corte  dei  conti, ai fini del giudizio, del solo conto della propria
gestione  di  cassa»;  nonche' l'art. 274 del medesimo decreto «nella
parte  in  cui  abroga  l'art. 310, comma 4, del r.d. 3/3/1934 n. 383
(confermando  implicitamente  l'abrogazione  dell'art. 226  del  r.d.
n. 297   del  1911  disposta  con  l'art. 64,  comma 1,  della  legge
n. 142/1990)  che  demandava  al  giudice  contabile la pronuncia sul
conto  sia  dell'Ente che del tesoriere, ed in particolare del merito
giuridico e contabile delle poste di bilancio»;
        che,   secondo   il   giudice   a  quo,  le  norme  censurate
contrasterebbero:   «con  il  principio  della  non  arbitrarieta'  e
irragionevolezza   dell'operato  del  legislatore  ordinario  (art. 3
Cost.)»;  «con  il rispetto degli impegni assunti nei confronti delle
organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito
(art. 11  Cost.)»;  «con  il  rispetto sostanziale del limite minimo,
posto  al  legislatore  anche  nell'esercizio  di  una  sua legittima
interpositio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente
attribuite  alla  Corte  dei conti (art. 103 Cost.)»; «con i principi
del raccordo della finanza statale con quella degli Enti territoriali
(art. 119 Cost.)»;
        che  tutte  le ordinanze di rimessione denunciano le medesime
norme,  prospettando  le stesse censure, sicche' i relativi i giudizi
vanno riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia;
        che,   preliminarmente,   non   puo'   trovare   accoglimento
l'eccezione  di  inammissibilita'  avanzata dalla difesa erariale sul
presupposto  che  la  questione  difetterebbe  di rilevanza, giacche'
nessuna delle norme censurate riguarderebbe «il conto del tesoriere»;
        che  l'inconsistenza  dell'eccezione  si  rende palese ad una
lettura  soltanto  delle  disposizioni  denunciate  (e, segnatamente,
degli  artt. 93  e 226), le quali si riferiscono, con tutta evidenza,
proprio al conto del tesoriere dell'ente locale;
        che,  quanto  al  merito della questione, il rimettente muove
dalla  esplicitata premessa di essere a conoscenza del fatto che, con
la  sentenza  n. 378  del  1996,  questa Corte ha gia' dichiarato non
fondato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  primo  comma,  97, primo e
secondo  comma,  e  103,  secondo  comma,  Cost.,  analogo  dubbio di
legittimita'  costituzionale,  che investiva la disciplina limitativa
del  giudizio  di  conto  alla  gestione del tesoriere, dettata dagli
artt. 58,  comma 2,  e 64, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142
(Ordinamento delle autonomie locali);
        che  lo stesso giudice a quo, nell'affermare che la normativa
allora   scrutinata   e'   stata   successivamente   trasfusa   nelle
disposizioni  attualmente  denunciate,  chiede,  in  definitiva, «una
rilettura  delle  argomentazioni  svolte dal giudice delle leggi alla
luce   delle   radicali   riforme  intervenute  successivamente  alla
pubblicazione»  di  tale  pronuncia, concernenti non solo i controlli
sulla   finanza   locale,   ma   anche,   e   soprattutto,  l'assetto
costituzionale  siccome delineato dalla legge costituzionale n. 3 del
2001;
        che,   diversamente   da   quanto  opina  il  rimettente,  le
affermazioni  che  si  rinvengono  nella  sentenza  n. 378  del  1996
risultano ben lungi dall'essere inattuali e superate dalle successive
vicende normative;
        che,  invero, nulla e' mutato quanto al dovere di denuncia da
parte  dei  revisori  degli  enti locali, essendosi semmai reso ancor
piu'  forte  il collegamento tra controlli interni e giurisdizione di
responsabilita', giacche', rimasto invariato l'art. 1, comma 3, della
legge  n. 20  del  1994,  in  tema  di  prescrizione  del  diritto al
risarcimento  del  danno  per  omissione o ritardo della denuncia del
fatto,   la  disciplina  gia'  contenuta  nell'art. 105  del  decreto
legislativo  n. 77 del 1995 e' stata trasfusa nell'art. 239, comma 1,
lettera e), del decreto legislativo n. 267 del 2000;
        che,  inoltre,  proprio  il mutato assetto dei rapporti tra i
soggetti  costitutivi  della Repubblica, in ragione della riforma del
titolo  V  della  parte seconda della Costituzione, al quale ha fatto
seguito una rinnovata disciplina dei controlli, resasi necessaria per
l'abrogazione  dell'art. 130  Cost., quale conseguenza, tra le altre,
dell'aumentato   spazio   di   autonomia   degli   enti  territoriali
(artt. 114,   117   e   118   Cost.),   consente   di  rafforzare  la
considerazione   allora   espressa   da   questa   Corte   sulla  non
irragionevolezza  della disciplina sul giudizio di conto recata dalla
legge n. 146 del 1990 (ed ora dal d.lgs. n. 267 del 2000) e sul fatto
che essa non contrastasse con l'art. 103 Cost;
        che,  difatti,  come  gia'  evidenziato  da  questa Corte (in
particolare, con le sentenze n. 267 del 2006 e, da ultimo, n. 179 del
2007), in linea con le esigenze di tutela dell'unita' economica della
Repubblica  e  del  coordinamento della finanza pubblica, nonche' del
rispetto  del patto di stabilita' interno e del vincolo in materia di
indebitamento posto dall'ultimo comma dell'art. 119 Cost., si pone il
quadro  di  misure  delineate  dall'art. 7,  comma 7,  della  legge 5
giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della  Repubblica  alla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3),
che  spazia  dal controllo sulla gestione in senso stretto, che ha ad
oggetto l'azione amministrativa e serve ad assicurare che l'uso delle
risorse  avvenga  nel  modo  piu'  efficace,  piu'  economico  e piu'
efficiente,  al  fenomeno  finanziario considerato nel suo complesso,
che  attiene alla allocazione delle risorse e, quindi, alla struttura
ed alla gestione del bilancio;
        che  siffatta  ultima  forma  di controllo ha trovato recente
disciplina  in  forza  dei commi da 166 a 169 dell'art. 1 della legge
23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), avendo
di  mira  proprio  la sana gestione finanziaria degli enti locali, e,
come  per  il  controllo sulla gestione, e' stata devoluta alla Corte
dei  conti  (dovendo  gli  organi  degli  enti  locali  di  revisione
economico-finanziaria  trasmettere  alle competenti sezioni regionali
di  controllo  della  Corte  dei  conti una relazione sul bilancio di
previsione    dell'esercizio   di   competenza   e   sul   rendiconto
dell'esercizio   medesimo),   quale  organo  imparziale  dello  Stato
comunita';
        che,  peraltro,  si  tratta di un controllo «ascrivibile alla
categoria del riesame di legalita' e regolarita», ma che «ha tuttavia
la  caratteristica,  in  una prospettiva non piu' statica (com'era il
tradizionale  controllo  di  legalita-regolarita),  ma  dinamica,  di
finalizzare  il  confronto tra fattispecie e parametro normativo alla
adozione  di effettive misure correttive» (sentenza n. 179 del 2007),
concorrendo, insieme al controllo sulla gestione, «alla formazione di
una  visione  unitaria  della  finanza pubblica, ai fini della tutela
dell'equilibrio  finanziario  e di osservanza del patto di stabilita'
interno,  che  la Corte dei conti puo' garantire (sentenza n. 267 del
2006)» (cosi', ancora la sentenza n. 179 del 2007);
        che,  dunque,  si viene a realizzare un quadro complessivo in
cui   «il  controllo  sulla  gestione  finanziaria  e'  complementare
rispetto  al controllo sulla gestione amministrativa, ed e' utile per
soddisfare  l'esigenza  degli equilibri di bilancio» (sentenza n. 179
del 2007, citata);
        che  tale  nuovo  assetto  rende  ancor  piu'  ragione  delle
affermazioni della sentenza n. 378 del 1996 in ordine all'esigenza di
un «piu' compiuto inserimento del riscontro della gestione degli enti
locali  in una visione complessiva del contesto di finanza pubblica»,
anche al fine «di evitare improduttive duplicazioni dell'attivita' di
controllo», cosi' da giustificare l'attenuazione del «significato del
riscontro contabile in via giurisdizionale»;
        che,  pertanto,  non  solo non vi e' motivo di discostarsi da
quanto  ritenuto  allora  in  ordine all'infondatezza della sollevata
questione  in  riferimento  agli  artt. 3  e 103 Cost., ma risulta di
tutta   evidenza   che  anche  le  censure  attualmente  proposte  in
riferimento  ai  nuovi  parametri di cui agli artt. 11 (a prescindere
dal  fatto  che  la  sua  evocazione  non e' sorretta dalla specifica
indicazione  della  normativa di rango comunitario che si assumerebbe
violata)  e  119  Cost.  sono prive di rilievo, giacche', da un lato,
l'obiettivo  delle  forme  di controllo innanzi ricordate e' anche il
rispetto  dei  vincoli comunitari e, dall'altro, i medesimi controlli
hanno  di  mira,  tra  l'altro,  il  raccordo  tra  finanza  statale,
regionale e degli enti locali;
        che,  dunque,  le  questioni  vanno dichiarate manifestamente
infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.