ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, comma 1,
della  legge  24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in
caso  di  violazione  del termine ragionevole del processo e modifica
dell'articolo 375  del  codice di procedura civile), promossi con due
ordinanze  del  10 gennaio  2006 dalla Corte di appello di Genova nei
procedimenti  civili  vertenti  tra  Cinti  Enrico  ed altri, Lagasco
Antonio e la Presidenza del Consiglio dei ministri iscritte ai nn. 69
e  72  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visti  l'atto  di costituzione di Martino Giuseppe e di De Cianni
Sabatino  nonche'  l'atto  di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 5 giugno 2007 e nella Camera di
consiglio del 6 giugno 2007 il giudice relatore Alfio Finocchiaro.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La Corte di appello di Genova, con ordinanza depositata il
10 gennaio 2006 (reg. ord. n. 69 del 2006) - nel corso di un giudizio
promosso da Cinti Enrico, Clementi Mario, Cuccaro Giovanni, De Cianni
Sabatino,  Della  Sala  Domenico,  Galletti  Manuela  quale  erede di
Galletti Danilo, Gepponi Mario, La Rocca Giovanni, Mannucci Maria Pia
quale  erede  di  Coppolino  Emanuele,  Martino Giuseppe, Massariello
Vincenzo,  Merlino Domenico, Miola Martino, Morrocchi Learco, Musicco
Giuseppe,   Passatelli  Alcibiade  e  Pezza  Ivo  nei  confronti  del
Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto l'indennizzo
per   l'irragionevole   durata  del  processo  innanzi  al  Tribunale
amministrativo regionale della Toscana, promosso il 22 gennaio 1996 e
concluso  solo  il  19 maggio  2003,  avente  ad  oggetto  il diritto
all'estensione   dell'indennita'   militare  di  cui  all'art. 2  del
decreto-legge    16 settembre    1987,    n. 379,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  14 novembre  1987,  n. 468,  e  di  cui
all'art. 9  della  legge  8 agosto  1990, n. 231, nonche' del diritto
alla  commutabilita'  della  suddetta indennita' militare nel computo
dell'indennita'   di   buonuscita -   ha   sollevato   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 3,   comma 1,  della  legge
24 marzo  2001,  n. 89  (Previsione  di  equa  riparazione in caso di
violazione   del   termine   ragionevole   del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui
la  regola  della  competenza  territoriale funzionale della Corte di
appello  determinata  ai  sensi  dell'art. 11 del codice di procedura
penale,  da  esso  prevista,  non  e'  applicabile  anche  a tutte le
giurisdizioni  speciali,  tra  le quali quella della Corte dei conti,
per  violazione  degli  artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo
comma, della Costituzione.
    Il  giudice  a  quo  espone  di aver ritenuto, in passato, che la
competenza  per le cause di indennizzo per l'irragionevole durata del
processo  dovesse  esser  determinata  ai sensi dell'art. 3, comma 1,
della  citata  legge  n. 89 del 2001 anche con riferimento ai giudizi
promossi  davanti  alle giurisdizioni amministrative; che alla stessa
tesi  ha,  nella  specie,  aderito  la  Corte  di appello di Firenze,
dichiaratasi  incompetente  nel  giudizio  di equa riparazione per il
ritardo  verificatosi  nel  processo  svoltosi  davanti  al Tribunale
amministrativo  regionale  della Toscana e che tale giudizio e' stato
riassunto di fronte alla Corte di appello di Genova.
    Secondo la Corte di cassazione, viceversa, al fine di individuare
il  giudice competente, il riferimento al distretto cui appartiene il
giudice  che si e' occupato o si occupa del procedimento in relazione
al  quale  l'equa  riparazione e' chiesta comporta l'applicazione del
criterio  di  competenza, di cui alla norma citata, esclusivamente ai
magistrati ordinari, per i quali soltanto, ad eccezione di quelli che
svolgono  le  loro  funzioni presso la stessa Corte di cassazione, e'
prevista   l'articolazione   territoriale  su  base  distrettuale.  I
tribunali amministrativi, cosi' come le sezioni giurisdizionali della
Corte  dei  conti,  sono  articolati  in circoscrizioni regionali, ed
hanno  sede  nei  capoluoghi  di regione, per cui i giudici di queste
giurisdizioni non fanno parte di alcun distretto di corte di appello,
il che e' sufficiente per escludere l'applicabilita' ai detti giudici
del criterio di competenza stabilito dalla norma censurata. L'art. 3,
comma 1,  della  legge  n. 89  del  2001  ha,  d'altro  canto, inteso
derogare  ai criteri generali di competenza allo scopo di evitare che
i  giudizi  in  tema di equa riparazione fossero decisi da magistrati
ordinari  (e quindi dello stesso ordine di quelli davanti ai quali il
processo ha avuto irragionevole durata), introducendo un principio di
imparzialita'   che   non  viene  in  discussione  nei  rapporti  tra
magistrati  appartenenti  ad  ordini giurisdizionali distinti; con la
conseguenza che la norma denunciata, per il suo carattere derogatorio
e  percio'  eccezionale, non puo' essere applicata in via analogica o
estensiva oltre i casi da essa considerati. Pertanto, nei giudizi per
equa  riparazione,  in relazione alla dedotta durata irragionevole di
processi   celebrati   davanti  a  giudici  non  articolati  su  base
distrettuale,  la  competenza  per territorio deve essere individuata
secondo  i  principi  generali,  ed  essendo  convenuta  in  giudizio
un'amministrazione  dello  Stato,  si applica l'art. 25 del codice di
procedura  civile  (foro  della pubblica amministrazione), secondo il
quale  la  competenza  appartiene alla corte di appello nel distretto
della  quale  si  trova  il  luogo  ove  e'  sorta  o  deve eseguirsi
l'obbligazione,  e  cioe'  il  medesimo  in  cui  ha  sede il giudice
speciale.
    Secondo  il giudice a quo, l'interpretazione della Suprema corte,
che sembra travalicare il dettato letterale del censurato art. 3, non
tutela   adeguatamente   l'esigenza  di  indifferenza  personale  del
giudice,  messa  in pericolo dalla convivenza dei magistrati dei vari
ordini  nella  medesima sede funzionale, e a questa esigenza presiede
direttamente e letteralmente l'art. 3, comma 1, della legge n. 89 del
2001   «senza  alcun  ricorso  pertanto  ad  inutili  interpretazioni
estensive  od  analogiche  e  con pronuncia di incostituzionalita' di
quella consolidatasi».
    Dal momento che la Corte di cassazione ha escluso che un problema
di   imparzialita'   ed  indipendenza  dell'organo  giudicante  possa
ritenersi esistente tra i magistrati ordinari appartenenti a corti di
appello diverse, anche se gli uni giudicano dei ritardi degli altri o
dei  loro  colleghi e segretari, non si vede perche', all'opposto, la
convivenza   nella   stessa   sede  non  debba  assumere  un  rilievo
costituzionalmente  rilevante  per  i giudizi di cui alla legge n. 89
del  2001  quando i giudici appartengono a diverse giurisdizioni, non
apparendo,  anche  in  questa  circostanza,  sufficienti  a garantire
l'imparzialita'    e    l'indipendenza    del    giudicante   (valori
costituzionalmente  protetti)  gli  istituti  dell'astensione e della
ricusazione,  che fanno riferimento a casi singoli e non a situazioni
generali gia' in astratto riscontrabili.
    Con  particolare  riguardo  ai  giudizi  per  equo  indennizzo da
irragionevole  durata  del  processo davanti alla Corte dei conti, il
giudice   ordinario  si  trova  a  giudicare  di  «eventuali  ritardi
ingiustificati  (anche  eventualmente  addebitabili  direttamente  ai
magistrati   della  Corte  dei  conti  con  le  relative  conseguenze
amministrative)  proprio  di quegli stessi magistrati, e del relativo
personale,  conviventi  nella medesima sede del distretto di Corte di
appello,  dinanzi  ai quali a loro volta potrebbero doversi difendere
per ritardi ingiustificati egli stesso o i suoi colleghi di sede o il
relativo  personale  di  cancelleria  (art. 5  della  legge n. 89 del
2001)»,  con  evidente  confusione  tra controllori e controllati che
inevitabilmente   consegue   in   relazione   al   medesimo  tipo  di
controversia  (che  riguarda i ritardi dei processi). Ne' la Corte di
cassazione  individua alcuna differenza di argomenti per stabilire la
competenza  territoriale  funzionale a giudicare dell'equo indennizzo
in  relazione  ai procedimenti iniziati presso le varie giurisdizioni
speciali,  assoggettandole  tutte  a  quella  individuabile  ai sensi
dell'art. 25  cod.  proc.  civ.,  in  alternativa  a  quella prevista
dall'art. 3 della legge n. 89 del 2001 per i magistrati ordinari.
    Sotto  il  profilo  della  rilevanza della questione, la Corte di
appello   di   Genova   osserva  che,  a  seguito  della  intervenuta
riassunzione  dinanzi  a  se'  del  giudizio  di equa riparazione per
irragionevole  durata  di  processo  celebrato  davanti  al Tribunale
amministrativo regionale della Toscana, sul quale la Corte di appello
di  Firenze  si  e'  dichiarata  incompetente,  dovrebbe, ove volesse
seguire  il  diritto  vivente,  sollevare  di  ufficio  conflitto  di
competenza,  a  meno  che  la norma di cui all'art. 3, comma 1, della
legge  n. 89 del 2001, non venisse dichiarata incostituzionale, nella
parte  in  cui  attribuisce  la  competenza alla corte di appello del
medesimo  distretto in cui opera il giudice speciale. In conclusione,
il  disposto  dell'art. 3,  comma 1,  della  legge  n. 89  del  2001,
nell'interpretazione consolidata della Suprema Corte e di quasi tutte
le corti di merito, e percio' tale da costituire ormai vero e proprio
diritto   vivente,   dovrebbe   essere   ritenuto  costituzionalmente
illegittimo  per violazione degli artt. 97, primo comma, e 108, primo
e  secondo  comma, della Costituzione, nella parte in cui non risulta
applicabile  per  la  determinazione  della  competenza  territoriale
funzionale  della  Corte  di appello adita ai sensi dell'art. 11 cod.
proc.  pen.,  anche  a  tutte  le giurisdizioni speciali tra le quali
quella  della  Corte  dei  conti,  con la conseguenza che l'eventuale
dichiarazione di incostituzionalita' non potrebbe riferirsi solo alla
Corte  dei  conti, ma a tutte le predette giurisdizioni speciali, tra
cui in primo luogo quella del giudice amministrativo.
    2.  -  Nel  giudizio  innanzi  alla Corte si sono costituiti, con
separati  atti, De Cianni Sabatino e Martino Giuseppe, ricorrenti del
procedimento    per   l'equa   riparazione,   i   quali   eccepiscono
l'inammissibilita' della questione sollevata, posto che la competenza
della  Corte  di appello di Genova e' radicata in modo incontestabile
in  quanto  fissata,  nel  processo  a quo, dalla Corte di appello di
Firenze, la cui sentenza di incompetenza non e' stata impugnata dalle
parti  con  regolamento  di  competenza;  e  deducono, nel merito, la
manifesta  infondatezza  della  questione,  alla  luce della costante
giurisprudenza   della   Corte   di   cassazione,   aggiungendo   che
l'affermazione  della  tesi del giudice rimettente, determinerebbe un
assoluto caos negli uffici giudiziari.
    3.  -  La  stessa  Corte  di  appello  di  Genova,  con ordinanza
depositata  il 10 gennaio 2006 (reg. ord. n. 72 del 2006) - nel corso
di  un  giudizio  promosso  da  Lagasco  Antonio  nei  confronti  del
Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,  per  il  riconoscimento
dell'indennizzo  per  l'irragionevole  durata  di  un processo da lui
introdotto  davanti  alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale di
Roma, e poi davanti alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per
la  Liguria  - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,
dell'art. 3,  comma 1,  della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte
in cui, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione,
non   e'   applicabile   per   la   determinazione  della  competenza
territoriale funzionale della Corte di appello, ai sensi dell'art. 11
cod.  proc.  pen.,  anche  a  tutte le giurisdizioni speciali, tra le
quali  quella  della  Corte dei conti, per violazione degli artt. 97,
primo comma, e 108, primo e secondo comma, Cost.
    Il  giudice  a quo riferisce che il ricorso proposto dal Lagasco,
diretto  a  ottenere  l'annullamento  del  decreto del Ministro delle
poste  e telecomunicazioni del 24 gennaio 1990, con cui gli era stato
comunicato il rigetto della sua domanda di pensione privilegiata, era
stato   introdotto   avanti   alla   Corte  dei  conti  di  Roma  fin
dall'8 ottobre 1990, e che il procedimento, trasmigrato con l'entrata
in  vigore  della  legge  14 gennaio  1994  n. 19,  presso la sezione
regionale  della  Corte  dei  conti  per  la  Liguria  e regolarmente
proseguito,  si era concluso con sentenza di rigetto solo il 2 maggio
2005,  per una durata complessiva, dunque, di 14 anni e 7 mesi circa,
con conseguenti gravi mortificazioni e disagi.
    Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  espone  che, in passato, ha
ritenuto   che   la   competenza   nelle   cause  di  indennizzo  per
l'irragionevole  durata  del  processo  dovesse  esser determinata ai
sensi  dell'art. 3,  comma 1,  della  legge n. 89 del 1991, anche con
riferimento  ai  giudizi davanti alle giurisdizioni amministrative, e
che,  per  tale motivo, sul ricorso del Lagasco dovrebbe configurarsi
la  competenza  della  Corte  di  appello  di  Torino (trattandosi di
incompetenza territoriale funzionale, rilevabile d'ufficio).
    La  Corte  di  appello  di Genova, pero', ritiene di sollevare la
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, della
legge   n. 89   del   2001,   che  le  imporrebbe  una  dichiarazione
d'incompetenza,   con   la  conseguente  rilevanza  della  questione,
adducendo   le  medesime  argomentazioni  in  precedenza  riferite  e
relative all'ordinanza n. 69 del 2006.
    4.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  chiesto  dichiararsi la manifesta inammissibilita' e
comunque l'infondatezza della questione.
    5.  - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la difesa erariale ha
depositato   una   memoria  con  la  quale  insiste  nelle  formulate
conclusioni,  per  non  avere  il  giudice rimettente interpretato la
norma  denunciata  in  modo costituzionalmente orientato, e cioe' nel
senso  dell'applicabilita'  della  norma  stessa  anche  a  tutte  le
giurisdizioni  speciali,  o per difetto di motivazione dell'ordinanza
di rimessione sulla possibilita' di una ermeneutica alternativa della
norma, conforme a Costituzione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  di  appello  di  Genova,  con  due separate, ma
sostanzialmente   identiche,  ordinanze,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89
(Previsione  di  equa  riparazione  in caso di violazione del termine
ragionevole  del  processo e modifica dell'articolo 375 del codice di
procedura  civile),  nella parte in cui non dispone che la competenza
territoriale  funzionale  della corte di appello, cosi' come regolata
dall'art. 11  del  codice  di procedura penale, per i giudizi di equa
riparazione,  si  estenda  anche  ai  procedimenti, di cui si lamenta
l'irragionevole  durata,  svolti davanti alla Corte dei conti ed alle
altre  giurisdizioni  di  cui  all'art. 103  della  Costituzione, per
violazione  degli  articoli 97,  primo  comma  e 108, primo e secondo
comma,  della  Costituzione,  in quanto la convivenza del giudice del
merito  nella  medesima  sede  del  giudice dell'equa riparazione non
garantisce l'imparzialita' e l'indipendenza di quest'ultimo.
    2.   -   Le  due  ordinanze  sollevano  la  stessa  questione  di
legittimita'  costituzionale,  onde  deve essere disposta la riunione
dei relativi giudizi, per essere congiuntamente decisi.
    3. - L'art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001 stabilisce che
«La  domanda  di  equa  riparazione  si propone dinanzi alla Corte di
appello  del  distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi
dell'articolo 11  del  codice  di  procedura  penale  a giudicare nei
procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e' concluso o
estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento
nel cui ambito la violazione si assume verificata».
    La  costante  giurisprudenza  di  legittimita' e quella di merito
sono  nel  senso  che, in tema di equa riparazione per violazione del
termine  di  durata ragionevole del processo, la norma censurata, nel
disporre  che  la  relativa  domanda si propone dinanzi alla Corte di
appello  del  distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi
dell'art. 11  cod. proc. pen., fa riferimento alla sola articolazione
territoriale  della  giurisdizione  ordinaria,  e  che  il  carattere
eccezionale della norma ne impedisce ogni interpretazione estensiva o
applicazione  analogica,  con  la conseguenza che, nel caso in cui il
giudizio si sia svolto innanzi a giudici non ordinari - siano essi il
Tribunale  amministrativo  regionale  o  una  sezione giurisdizionale
della  Corte  dei  conti,  i  cui magistrati non fanno parte di alcun
distretto  di  Corte  di appello, al di la' della coincidenza di mero
fatto,  tra ambito del distretto ed ambito della circoscrizione della
sezione,  quanto  al  territorio regionale - il giudice competente va
individuato  secondo  gli  ordinari  criteri  dettati  dal  codice di
procedura   civile   e,   in   particolare,   essendo  convenuta  una
amministrazione dello Stato, dall'art. 25 cod. proc. civ.
    Tale  interpretazione, che costituisce ormai diritto vivente, non
e'  condivisa  dal giudice rimettente, il quale ritiene che la stessa
travalicherebbe  il  dettato letterale dell'art. 3, e non tutelerebbe
adeguatamente l'esigenza di indifferenza personale del giudice, messa
in  pericolo  dalla  convivenza  dei magistrati dei vari ordini nella
medesima sede funzionale; mentre gli istituti dell'astensione e della
ricusazione  che  fanno riferimento a casi singoli e non a situazioni
generali  gia' in astratto riscontrabili, non sarebbero sufficienti a
garantire  l'imparzialita' e l'indipendenza del giudicante. Ulteriore
motivo  per  l'applicazione della norma censurata anche nei confronti
dei  giudici  speciali  e'  ravvisato  nel fatto che, come il giudice
contabile  puo'  essere  dichiarato  responsabile  per violazione del
termine   di  durata  ragionevole  del  processo,  cosi'  il  giudice
ordinario che opera nello stesso distretto potrebbe doversi difendere
per ritardi ingiustificati, con evidente confusione tra controllori e
controllati  che  inevitabilmente  consegue  in relazione al medesimo
tipo di controversia (che riguarda i ritardi dei processi).
    4.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata in
riferimento  all'art. 97,  primo  comma,  della  Costituzione  non e'
fondata,  perche'  il  principio  di  buon andamento ed imparzialita'
dell'amministrazione,  sancito  dalla  predetta norma costituzionale,
riguarda gli organi di amministrazione della giustizia unicamente per
profili  concernenti  l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro
funzionamento  sotto l'aspetto amministrativo, ma non si estende alla
giurisdizione  ed  ai  provvedimenti che ne costituiscono espressione
(ex  plurimis, ordinanze n. 122 del 2005; n. 94 del 2004 e n. 458 del
2002).
    5.  -  Ne' e' fondata la questione di legittimita' costituzionale
sollevata con riferimento all'art. 108 della Costituzione.
    Questa   Corte,   investita   ripetutamente   di   questioni   di
costituzionalita'  in  tema  di competenza territoriale per i giudizi
riguardanti  magistrati  ordinari per la mancata determinazione della
competenza,  facendo  applicazione  dell'art. 11  cod. proc. pen., ha
affermato,  a  prescindere  dalle soluzioni in concreto adottate, che
l'esigenza  di intervenire con strumenti legislativi a garanzia della
terzieta'  e imparzialita' del giudice ha pieno valore costituzionale
in qualsiasi tipo di processo, ma nel contempo ha posto in risalto le
differenze  fra  processo  penale  e  processo  civile, specie per la
disomogeneita' degli interessi in questo coinvolti, che giustifica la
molteplicita'  dei  fori  civili rispetto all'unico foro del commesso
reato.  E ne ha dedotto che l'estensione dell'art. 11 cod. proc. pen.
ad  ogni  procedimento  civile  non  solo  non  e' costituzionalmente
obbligata,  ma  comporterebbe  una  deroga  generalizzata  a  plurime
specifiche  regole  di  competenza,  ciascuna adeguata a garantire il
pieno  esercizio  del diritto delle parti di agire e di difendersi in
un singolo tipo di controversia, con il rischio di gravi compressioni
di  tale  diritto  (sentenza  n. 51  del  1998).  Ne  consegue che il
legislatore deve procedere (secondo ragionevolezza e nel rispetto dei
principi  costituzionali)  ad  un  bilanciamento fra l'interesse alla
imparzialita-terzieta'  del  giudice civile e quello alla pienezza ed
effettivita'  della  tutela  giurisdizionale,  con  riguardo  non  al
processo  civile  in genere, ma alle sue singole tipologie, nel senso
che  e'  a lui rimesso di stabilire quando ricorra quell'identita' di
ratio  che  imponga  l'estensione  del  criterio  di cui si tratta, e
quando  invece  cio'  non  avvenga  affatto o la stessa finalita' sia
realizzabile   attraverso   la  previsione  di  un  foro  derogatorio
appropriato alla specifica materia (sentenze n. 332 del 2003 e n. 458
del 2000).
    Alla  generalita'  di tale principio non sfugge la competenza per
le cause di equa riparazione, il cui carattere derogatorio ha indotto
la  Corte  di  cassazione  a circoscrivere l'applicazione della norma
censurata  alle  ipotesi  di  appartenenza  dei  giudici  chiamati  a
giudicare  sul  diritto  a  tale  riparazione  allo stesso ordine dei
giudici  dalla  cui  attivita'  sia derivato il danno per l'eventuale
irragionevole durata del processo.
    Il   dubbio   di   costituzionalita',  relativamente  ai  giudici
amministrativi,  non  e' formulabile sul mero dato della appartenenza
degli  stessi  giudici alla medesima sede di Corte di appello; ne' e'
formulabile nei confronti dei giudici contabili.
    E',  infatti,  alquanto remota la connessione tra le evenienze in
cui,  da un lato, il giudice ordinario conosce di ritardi della Corte
dei conti e, dall'altro, la Corte dei conti della stessa sede conosce
della  responsabilita'  amministrativa  di quei magistrati ordinari o
dei  loro  colleghi  o collaboratori: in entrambi i casi, l'avvio del
procedimento  di responsabilita' per il danno erariale non e' effetto
automatico   della   condanna   dello  Stato  nel  giudizio  di  equa
riparazione.   Inoltre,  nel  secondo  caso,  se  la  responsabilita'
amministrativa  del giudice ordinario - come ipotizzato dal giudice a
quo  -  derivi  dai  propri  ritardi, preliminarmente all'iniziativa,
sempre  solo  eventuale, del Procuratore generale presso la Corte dei
conti,  dovrebbe  intervenire una sentenza di condanna dello Stato da
parte della Corte di appello del diverso distretto di cui all'art. 11
cod. proc. pen.
    Il pericolo per l'imparzialita' del giudice e' talmente ipotetico
che   e'   giustificato   rimetterne  comunque  la  valutazione  alla
discrezionalita'  del legislatore, cui e' tradizionalmente attribuito
l'apprestamento   di   misure  idonee  a  salvaguardare  tale  valore
costituzionale,   ove  non  ritenga  che  esso  sia  sufficientemente
assicurato  dagli istituti dell'astensione e della ricusazione, ferma
restando  la  ragionevolezza  dell'art. 3 della legge n. 89 del 2001,
nell'interpretazione restrittiva oggi diritto vivente.
    Il  rimettente invoca la giurisprudenza della Corte di cassazione
che  ha  escluso  dubbi  di costituzionalita' nell'attribuzione della
conoscenza  del  ritardo  di  magistrati ordinari ad altri magistrati
ordinari,  ritenendo  che  l'appartenenza  di  questi ultimi ad altro
distretto  salvaguardi  la  garanzia  d'imparzialita'; ma da cio' non
puo'  inferirsi  che  l'appartenenza ad altro distretto sia l'unica e
insostituibile   garanzia   d'imparzialita',   sia   perche'   quella
giurisprudenza  ha  comunque ricordato gli istituti dell'astensione e
della  ricusazione, sia perche', nel caso di specie, e' assorbente la
considerazione    dell'appartenenza   di   giudici   controllanti   e
controllori ad ordini giurisdizionali diversi.