ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 410, 411,
primo  comma,  e  412  del  codice  civile promosso con ordinanza del
9 febbraio  2006 dal giudice tutelare del Tribunale di Venezia - sez.
distaccata  di  Chioggia nel procedimento relativo a F.N. iscritta al
n. 477  del registro delle ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 giugno 2007 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che il giudice tutelare del Tribunale di Venezia - sez.
distaccata di Chioggia, nel corso di un procedimento, originato da un
ricorso per l'interdizione di F.N., successivamente trasmesso ad esso
giudice  tutelare,  per  aver  ritenuto  il  tribunale competente per
l'interdizione,   ai  sensi  dell'art. 418,  terzo  comma,del  codice
civile,   l'opportunita'  dell'applicazione  dell'amministrazione  di
sostegno,  ha  sollevato,  in riferimento agli articoli 2, 3, 41 e 42
della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
articoli 410,  411,  primo comma, e 412 del codice civile nella parte
in  cui  consentono  al  giudice  tutelare  di  autorizzare  atti  di
disposizione incidenti sul patrimonio dell'interessato, anche quando,
come nel caso di specie, in conseguenza delle condizioni psichiche di
costui,  sia impossibile informarlo preventivamente e provvedere agli
altri adempimenti ivi previsti dalle norme stesse;
        che  il  giudice  a  quo  - premesso che F.N. e' risultata, a
seguito  della  disposta  perizia medico-legale, affetta da una forma
irreversibile  di  insufficienza  mentale  (cerebropatia  di  origine
perinatale)  di  tale  gravita' da far escludere che sia residuata in
capo alla  stessa  alcuna  capacita'  non  solo  di  curare  i propri
interessi,  ma  anche  di rapportarsi con se stessa e con gli altri -
rileva  che  l'amministratore  di sostegno provvisorio, gia' nominato
dal tribunale, ai sensi dell'art. 405, quarto comma, cod. civ., nella
persona  della  madre  dell'interessata,  ha chiesto l'autorizzazione
alla  vendita  della quota (pari a due quindicesimi) di un fabbricato
di   pertinenza   della   beneficiaria  dell'amministrazione,  ed  al
successivo acquisto, con il prezzo cosi' ricavato, di una quota (pari
ad  un  sesto) di altra unita' abitativa, di proprieta' della madre e
degli  altri  suoi  figli, operazione cui seguirebbe il trasferimento
delle   residenza  di  F.N.  in  detto  secondo  immobile,  cio'  che
risponderebbe presumibilmente all'interesse della stessa;
        che  il  rimettente,  dato atto che l'orientamento prevalente
nella  sede  giudiziaria  nella  quale  egli  opera  e' nel senso che
l'art. 412,  primo  comma,  cod.  civ.  abilita il giudice tutelare a
concedere  il  provvedimento autorizzatorio anche quando esso difetti
dei  presupposti  di  cui all'art. 410 cod. civ., in quanto, come nel
caso  di  specie,  l'amministratore  di  sostegno  non  possa,  avuto
riguardo  alle  descritte  condizioni  della  beneficiaria, informare
preventivamente  la  stessa  circa gli atti da compiere, raccoglierne
l'eventuale  dissenso  e comunicarlo al giudice tutelare, ritiene che
la  non  incidenza  sulla  validita' del procedimento della effettiva
possibilita' di acquisire il punto di vista del beneficiario tanto in
ordine  all'attivazione  della procedura, quanto in ordine ai singoli
atti  gestionali,  trasformerebbe l'amministrazione di sostegno nella
«brutta copia» della interdizione;
        che   mentre,   infatti,   la   vendita   di   beni  immobili
dell'interdetto   e'   autorizzata   dal  tribunale  in  composizione
collegiale  su  parere del giudice tutelare, la vendita di quelli del
beneficiario   dell'amministrazione   di   sostegno   e'  autorizzata
direttamente  da  quest'ultimo,  senza  che  sia  neppure  necessario
informare   l'interessato,  ove  cio'  sia  impossibile  per  le  sue
condizioni psichiche;
        che  siffatta  interpretazione,  ad avviso del giudice a quo,
metterebbe in luce un meccanismo protettivo irragionevolmente diverso
nei  confronti  di soggetti che, sebbene nelle medesime condizioni di
totale  compromissione  delle  facolta'  intellettive,  si  vengano a
trovare   gli  uni  sottoposti  alla  interdizione,  gli  altri  alla
amministrazione di sostegno;
        che l'alternativa interpretativa - che il rimettente dichiara
di  non  poter  percorrere  per  il fatto che il Tribunale di Venezia
aderisce  alla tesi secondo la quale l'amministrazione di sostegno ha
un ambito di operativita' pressoche' omnicomprensivo - sarebbe quella
di   ritenere   che  la  accertata  impossibilita'  di  attivare  gli
adempimenti previsti dall'art. 410 cod. civ., in particolare nel caso
di  totale  o  gravissima  compromissione  delle facolta' mentali del
soggetto  interessato, integri una delle ipotesi in cui e' necessaria
la misura della interdizione;
        che nel giudizio innanzi alla Corte ha spiegato intervento il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   con   il  patrocinio
dell'Avvocatura   generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per  la
inammissibilita' o la manifesta infondatezza della questione;
        che  la  difesa  erariale, richiamata la sentenza della Corte
costituzionale  n. 440 del 2005, con la quale e' stato evidenziato il
sistema  dei  rapporti  tra  gli  istituti  rivolti  alla  tutela dei
soggetti  deboli  e  delle  relazioni  intercorrenti  tra  il giudice
tutelare  e  il  tribunale,  ha  escluso  che  abbiano  alcuna ragion
d'essere  i dubbi evidenziati dal rimettente, rilevando che, nei casi
di totale incapacita' di agire l'ordinamento accorda l'interdizione e
non  il  sostegno, e che, nei casi di contrasto di valutazioni tra il
giudice  tutelare  e il tribunale, lo schema logico e' quello proprio
delle divergenze tra giudice monocratico e collegio.
    Considerato  che  il  giudice tutelare del Tribunale di Venezia -
sez. distaccata di Chioggia, dubita della legittimita' costituzionale
degli  articoli 410, 411, primo comma, e 412 del codice civile, nella
parte   in   cui   consentono   al   giudice  tutelare,  in  tema  di
amministrazione  di  sostegno,  di  autorizzare  atti di disposizione
incidenti  sul  patrimonio  dell'interessato,  anche quando, come nel
caso  di specie, in conseguenza delle condizioni psichiche di costui,
sia  impossibile  informarlo  preventivamente e provvedere agli altri
adempimenti   previsti  dalle  norme  stesse,  per  violazione  degli
articoli 2, 3, 41 e 42 della Costituzione;
        che il rimettente muove dal presupposto di non poter accedere
ad  una  interpretazione del sistema di protezione creato dalla legge
n. 6  del  2004  diversa  da  quella seguita dal Tribunale di Venezia
ipotizzando  quasi una propria subordinazione gerarchica alle opzioni
ermeneutiche  del  predetto giudice e ravvisando nella sottoposizione
della  questione  all'esame  della Corte l'unica strada possibile per
superare   tale   situazione  di  stallo,  in  tal  modo  richiedendo
sostanzialmente  una  pronuncia  che  avalli la propria ricostruzione
della normativa;
        che,  cosi'  operando,  il giudice a quo sottopone al giudice
delle  leggi  non gia' un dubbio di illegittimita' costituzionale, ma
una  questione di mera interpretazione, utilizzando in modo improprio
il  giudizio  di  costituzionalita'  (si  vedano,  tra  le  altre, le
ordinanze n. 299, n. 114, n. 64 e n. 28 del 2006, n. 420 e n. 306 del
2005);
        che   cio'  determina  la  manifesta  inammissibilita'  della
questione.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.