ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2,
lettera b),  del  decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del
26 gennaio  2005  dal Giudice di pace di Bari sul ricorso proposto da
Guguci  Octavian  nei  confronti  del  Prefetto  di Bari, iscritta al
n. 246  del  registro  ordinanze  2005  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 6 giugno 2007 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
    Ritenuto  che  il  Giudice  di  pace  di  Bari, con ordinanza del
26 gennaio  2005,  ha  sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 13,  comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  nella  parte  in  cui  prevede che l'omessa richiesta da
parte  dello  straniero del permesso di soggiorno nel termine di otto
giorni  lavorativi  dall'ingresso  in  Italia comporti - anche quando
l'ingresso sia avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per
l'ottenimento  del  predetto  permesso -  l'automatica  emissione del
decreto   di   espulsione  senza  una  preventiva  valutazione  della
sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno;
        che  il  rimettente  premette  in  fatto che Guguci Octavian,
cittadino   rumeno,  con  provvedimento  del  Prefetto  di  Bari  del
16 novembre  2004,  e'  stato  espulso dal territorio dello Stato con
divieto  di  farvi  rientro  per  cinque  anni, in quanto, durante un
controllo  di  polizia,  e'  risultato  sprovvisto  del  permesso  di
soggiorno previsto dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998;
        che  il  cittadino  rumeno ha proposto opposizione avverso il
decreto  di  espulsione  deducendo  che  egli  non  era  a conoscenza
dell'obbligo  di  richiedere il permesso di soggiorno e che non aveva
riportato condanne penali;
        che,  inoltre,  l'opponente ha chiesto di sollevare questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, lettera b), del
d.lgs.  n. 286  del  1998 per violazione del principio di eguaglianza
sancito dall'art. 3 della Costituzione;
        che   il   rimettente,   nel   far   propria  l'eccezione  di
incostituzionalita'   sollevata  dall'opponente,  evidenzia  come  il
legislatore  accomuni  con  la sanzione dell'espulsione le differenti
condotte  dei  cittadini  extracomunitari  che entrano nel territorio
dello  Stato  senza  un passaporto o comunque senza munirsi di visto,
sottraendosi ai controlli di frontiera (art. 13, comma 2, lettera a),
di  coloro che entrati regolarmente in Italia, con passaporto e visto
turistico,  non  chiedono  il  permesso di soggiorno entro il termine
previsto  di  otto  giorni,  ovvero  di  coloro  che sono titolari di
permesso  di soggiorno non rinnovato o revocato o annullato (art. 13,
comma 2, lettera b), e, infine, di coloro che commettono reati o sono
da considerare socialmente pericolosi (art. 13, comma 2, lettera c);
        che  nei casi di cui alla lettera b) del comma 2 dell'art. 13
citato,   la   giurisprudenza   di   legittimita'   ha  ritenuto  che
l'espulsione  sia automatica solo per i casi di permesso di soggiorno
revocato  o  annullato  e non quando il permesso di soggiorno non sia
stato rinnovato o non sia stato richiesto nei termini di legge;
        che i successivi commi 13 e 14 dell'art. 13 dispongono che al
decreto  di  espulsione,  per  qualunque motivo emesso, fa seguito il
divieto  di  reingresso  per un periodo di dieci anni, lasciando solo
all'amministrazione  la  discrezionalita'  di comminare un divieto di
piu' breve durata (cinque anni);
        che,   a   parere  del  rimettente,  l'ipotesi  di  cui  alla
lettera b) del citato art. 13, comma 2, ovvero il non aver chiesto il
permesso di soggiorno negli otto giorni dall'ingresso in Italia, deve
considerarsi  come una semplice irregolarita' amministrativa che puo'
essere  causata dai motivi piu' vari come, ad esempio, la mancanza di
adeguata informazione;
        che, pertanto, al pari delle ipotesi di permesso di soggiorno
non  rinnovato  o  non richiesto nei termini di legge, anche per tale
irregolarita' amministrativa la sanzione non puo' essere l'espulsione
automatica;
        che,  in  conclusione,  l'art. 13,  comma 2,  lettera b), del
d.lgs.  n. 286  del 1998 si porrebbe in contrasto con il principio di
eguaglianza   non   potendosi  trattare  in  modo  eguale  situazioni
soggettive profondamente diverse quali quelle descritte;
        che  il  rimettente,  inoltre,  denuncia  la  norma anche per
contrasto  con  il  generale  precetto,  desumibile dall'art. 3 della
Costituzione, che impone la ragionevolezza delle scelte legislative;
        che, infine, il dubbio di costituzionalita' e' riferito anche
all'art. 13  della Costituzione, in quanto l'espulsione e' una misura
che  incide  sulla  liberta'  personale  dell'individuo e deve essere
preceduta da un giudizio di pericolosita' sociale;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   che  ha  chiesto  alla  Corte  di  dichiarare  la  questione
inammissibile o infondata;
        che   la  difesa  erariale  pone  in  evidenza  la  peculiare
rilevanza degli interessi pubblici nella materia dell'immigrazione e,
in  particolare,  nota  che  il giudice a quo definisce una «semplice
irregolarita'  amministrativa»  la  mancata  richiesta da parte dello
straniero, nel termine prescritto, del permesso di soggiorno, ipotesi
che, al contrario, costituisce (al pari delle condotte sanzionate con
l'espulsione)  un  grave  vulnus  alla  corretta  gestione dei flussi
migratori  in  Italia,  la  quale  all'evidenza presuppone «la rapida
conoscenza delle persone autorizzate a rimanere nel paese»;
        che,   prosegue   l'Avvocatura,   non   sussiste  affatto  la
denunciata irragionevolezza della normativa de qua nella parte in cui
non  diversificherebbe  le  varie ipotesi di espulsione ai fini della
durata  del conseguente divieto di reingresso in Italia, sia perche',
in  via  di  principio,  la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto
modo  di  affermare  che «non e' implausibile l'equiparazione operata
dal  legislatore  fra stranieri privi di permesso, per non averlo mai
ottenuto,  e  stranieri  il  cui  permesso  sia  scaduto senza essere
rinnovato»  (ordinanza  n. 485  del  2000), sia perche' l'art. 13 del
d.lgs.  n. 286 del 1998, ai commi 13 e 14, attribuisce alle autorita'
amministrative   un   ampio   margine   di   discrezionalita'   nella
determinazione della durata del divieto di reingresso che puo' essere
ridotto  a  cinque  anni  rispetto  all'ordinario  termine  di dieci,
proprio in relazione alla condotta tenuta in concreto dallo straniero
espulso, ipotesi che tra l'altro ricorre nel caso di specie;
        che la censura di cui all'art. 13 della Costituzione, secondo
l'Avvocatura   dello   Stato,   e'   inammissibile   in   quanto  non
sufficientemente  motivata,  essendosi  il rimettente limitato a dire
che   il  giudizio  di  pericolosita'  sociale  deve  necessariamente
precedere il provvedimento di espulsione;
        che,  infine,  la  Corte costituzionale ha gia' avuto modo di
affermare  che  il cosiddetto automatismo espulsivo non e' affatto in
contrasto con la Carta costituzionale rappresentando un «riflesso del
principio   di  stretta  legalita'  che  permea  l'intera  disciplina
dell'immigrazione  e che costituisce anche per gli stranieri presidio
ineliminabile dei loro diritti» (sentenza n. 146 del 2002).
    Considerato  che  il  Giudice  di pace di Bari, con ordinanza del
26 gennaio  2005,  ha  sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 13,  comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  nella  parte  in  cui prevede che l'omessa richiesta, da
parte  dello straniero, del permesso di soggiorno nel termine di otto
giorni  lavorativi  dall'ingresso  in  Italia comporti - anche quando
l'ingresso sia avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per
l'ottenimento  del  predetto  permesso -  l'automatica  emissione del
decreto   di  espulsione,  senza  una  preventiva  valutazione  della
sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno;
        che  la  norma  viene  denunciata  perche' disciplina in modo
eguale,  con  la sanzione dell'espulsione e del divieto di reingresso
nel  territorio dello Stato per dieci anni, le diverse condotte dello
straniero  che  ha  semplicemente omesso o ritardato la richiesta del
permesso  di soggiorno entro gli otto giorni dall'ingresso (regolare)
in  Italia  e  dello  straniero  che  ha  commesso reati o si e' reso
pericoloso per la sicurezza pubblica;
        che  risulta  dalla  descrizione  della fattispecie fatta dal
rimettente   che   il  cittadino  extracomunitario  destinatario  del
provvedimento di espulsione e' di nazionalita' rumena;
        che  l'Italia,  con  legge 9 gennaio 2006, n. 16 (Ratifica ed
esecuzione  del  Trattato  di adesione della Repubblica di Bulgaria e
della  Romania all'Unione europea, con Protocollo e allegati, Atto di
adesione  ed  allegati,  Atto  finale  e  dichiarazioni  e scambio di
Lettere,  fatto  a  Lussemburgo  il 25 aprile 2005), ha ratificato il
Trattato  di  adesione della Repubblica di Romania all'Unione europea
e,  pertanto, a far data dal 1° gennaio 2007, i cittadini rumeni sono
diventati cittadini dell'Unione;
        che  spetta  al  giudice a quo valutare se, a seguito di tale
modifica  normativa,  il  provvedimento  di  espulsione impugnato nel
giudizio  principale  e'  ancora  produttivo di effetti, anche tenuto
conto  della  circolare  congiunta  dei Ministri dell'interno e della
solidarieta'  sociale  n. 2  del  28 dicembre  2006 recante «Ingresso
nell'U.E.  dei cittadini della Romania e della Bulgaria», la quale ha
esplicitamente  affermato che «devono intendersi cessati, a decorrere
dal  1° gennaio  p.v.,  gli  effetti  dei provvedimenti di espulsione
adottati nei confronti dei cittadini neocomunitari»;
        che,  pertanto,  va  ordinata  la  restituzione degli atti al
giudice  rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza
della questione sollevata, alla luce dello ius superveniens;
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.