ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 5,
ovvero,   in   alternativa,   dell'art. 7   del  decreto  legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria  e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della
legge  3 ottobre  2001, n. 366), promosso dal Tribunale di Monza, nel
procedimento  civile vertente tra Fallimento Decori & Decori s.r.l. e
C.  A.  S.  ed  altri,  con  ordinanza del 4 luglio 2005, iscritta al
n. 124  del  registro  ordinanze  2007  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2007;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 20 giugno 2007 il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Ritenuto  che, nel corso di un giudizio promosso dal curatore del
fallimento  di  una societa' a responsabilita' limitata nei confronti
degli  amministratori  e  sindaci della medesima per ottenere la loro
condanna  al  risarcimento  dei danni, il Presidente del Tribunale di
Monza  ha  sollevato,  in riferimento all'art. 24 della Costituzione,
questione   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 5,
ovvero,   in   alternativa,   dell'art. 7   del  decreto  legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria  e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366);
        che, nel ricostruire la vicenda processuale sottoposta al suo
esame,  il giudice remittente riferisce che la causa era iniziata con
il  rito  ordinario  innanzi  al  medesimo Tribunale di Monza e che i
convenuti  costituendosi,  ad  eccezione  di  uno  rimasto contumace,
avevano  eccepito,  tra  l'altro,  che,  essendo  stato introdotto il
giudizio  (nei  confronti  di  alcuni dei convenuti medesimi) in data
successiva  all'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 5 del 2003, esso
avrebbe dovuto proseguire con il rito societario;
        che erano state quindi tenute, davanti al giudice istruttore,
l'udienza di cui all'art. 180 del codice di procedura civile e quella
di  cui  all'art. 183  dello  stesso  codice,  in esito alla quale il
giudice,  con  ordinanza  del  4 novembre  2004,  comunicata  in data
17 novembre   2004,   aveva   disposto   il   mutamento   del   rito,
contestualmente provvedendo alla cancellazione della causa dal ruolo;
        che  la  decisione  era  stata assunta sul rilievo per cui il
rito  societario  dovesse  prevalere su quello ordinario, benche' per
alcuni  convenuti  la  notificazione  dell'atto  di  citazione  fosse
avvenuta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003;
        che,   ricevuta   comunicazione   dell'ordinanza   citata,  i
convenuti  avevano immediatamente notificato alle altre parti (attore
compreso)  l'istanza  di fissazione di udienza, cui si era opposta la
curatela  del  fallimento, e quindi il Presidente del Tribunale aveva
fissato l'udienza per la decisione sull'ammissibilita' o meno di tale
istanza;
        che,   secondo  il  giudice  a  quo,  occorre  essenzialmente
stabilire  se  -  una  volta intervenuta l'ordinanza di mutamento del
rito   dopo  che  le  parti  erano  comparse  per  l'udienza  di  cui
all'art. 180  cod.  proc.  civ. ed avevano svolto memorie difensive -
fosse  consentito  o  meno  ai  convenuti  notificare  immediatamente
l'istanza di fissazione di udienza;
        che, a questo proposito, il remittente ricorda come l'art. 1,
comma 5,  del d.lgs. n. 5 del 2003 prescriva che «dalla comunicazione
dell'ordinanza  decorrono,  se emessa a seguito dell'udienza di prima
comparizione,  i  termini di cui all'articolo 6 ovvero, in ogni altro
caso, i termini di cui all'articolo 7»;
        che, nel caso specifico, il giudice originariamente adito col
rito  ordinario, nel disporre la cancellazione della causa dal ruolo,
ha  anche  concesso alle parti i termini di cui al suindicato art. 6,
mentre - osserva il remittente - il discrimine temporale indicato dal
menzionato art. 1, comma 5, e' l'udienza di prima comparizione di cui
all'art. 180 cod. proc. civ., sicche' dovrebbero applicarsi i termini
di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2003, senza alcuna «valutazione
di  opportunita'  da  parte  del  giudice  che  emette l'ordinanza di
mutamento del rito»;
        che   da  cio'  consegue  che,  nel  giudizio  in  corso,  la
notificazione  dell'istanza  di  fissazione  di  udienza da parte dei
convenuti  deve  ritenersi  legittima  in  quanto il legislatore, una
volta  tenutasi  la  prima  udienza  di  comparizione,  non ha voluto
consentire  all'attore  la  «mossa  successiva»,  quando - come nella
specie  - essendosi la conversione del rito verificata dopo la citata
udienza,   l'attore  abbia  gia'  avuto  modo  di  fissare  il  thema
decidendum  nella  successiva  udienza di cui all'art. 183 cod. proc.
civ.;
        che  il giudice a quo, peraltro, pur affermando essere questa
la  corretta  interpretazione del sistema vigente, ne fa derivare «un
serio  problema  di  costituzionalita»  in quanto l'art. 7 del d.lgs.
n. 5  del  2003  consente  alla  parte  convenuta  di  richiedere  la
fissazione   dell'udienza   immediatamente   dopo   la  comunicazione
dell'ordinanza   di   cambiamento   del   rito,   cosi'   precludendo
«definitivamente  alla  parte  attrice di svolgere le sue difese che,
nel  rito ordinario, ben avrebbero potuto essere proposte [...] nella
successiva fase delle memorie» di cui all'art. 184 cod. proc. civ.;
        che,  secondo  il remittente, in questo modo, la scelta di un
rito  piuttosto che di un altro si risolve in una lesione del diritto
di  difesa  dell'attore,  poiche'  il convenuto ha la possibilita' di
troncare  l'articolazione delle domande da parte dell'attore il quale
legittimamente  non  ha  ancora  compiutamente  dispiegato la propria
linea processuale;
        che  siffatta  lesione emergerebbe ancor piu' chiaramente dal
confronto tra le disposizioni censurate e l'art. 426 cod. proc. civ.,
riguardante  la  conversione  del  rito in caso di passaggio dal rito
ordinario al rito del lavoro;
        che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  nel  caso  in  esame
sussistono,   quindi,   due   diverse   questioni  di  illegittimita'
costituzionale,   prospettate  «in  via  alternativa»:  una  relativa
all'art. 1, comma 5, nella parte in cui non prevede che i termini per
lo svolgimento delle fasi di scambio difensivo siano collegati sempre
all'art. 6  anziche' all'art. 7; un'altra avente ad oggetto l'art. 7,
nella  parte in cui «prevede direttamente la possibilita' della parte
convenuta   di  esercitare  il  potere  di  presentare  l'istanza  di
fissazione  di udienza di discussione senza imporre che comunque alla
parte  attrice  debba  essere  offerto il termine di cui alla seconda
parte dell'art. 7 (la fissazione di un termine, non inferiore a venti
giorni dalla notificazione, per una ulteriore replica)»;
        che,  quanto  alla rilevanza delle questioni, si osserva come
l'eventuale  accoglimento  anche  di  una  sola delle due condurrebbe
all'inammissibilita' dell'istanza di fissazione di udienza, mentre in
caso di rigetto si dovrebbe pervenire alla decisione opposta;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza delle
questioni.
    Considerato   che  il  Presidente  del  Tribunale  di  Monza,  ha
sollevato,  in  riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 5,  del decreto
legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche'  in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 12
della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
        che,  in via espressamente dichiarata alternativa alla prima,
il remittente ha sollevato, sempre con riferimento all'art. 24 Cost.,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.lgs. n. 5
del 2003;
        che   tali   questioni   sono   insorte   nell'ambito  di  un
procedimento  civile  avente  ad  oggetto l'azione di responsabilita'
promossa  dal  curatore  del  fallimento  di  una societa' contro gli
amministratori  e  sindaci  della  medesima,  instaurato  con il rito
ordinario  e nel quale e' intervenuta, ai sensi dell'art. 1, comma 5,
del  suindicato  decreto legislativo, ordinanza di trasformazione del
rito  dopo che si erano svolte le udienze di cui agli artt. 180 e 183
cod.  proc.  civ., con l'espressa indicazione che si sarebbero dovuti
applicare i termini di cui all'art. 6 del d.lgs. n. 5 del 2003;
        che  e'  stata  proposta,  da  parte di alcuni dei convenuti,
istanza di fissazione dell'udienza, sulla cui ammissibilita' e' stato
chiamato  a  pronunciarsi  il remittente Presidente del Tribunale, ai
sensi dell'art. 8, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 5 del 2003;
        che il giudice a quo - premesso che l'indicazione del giudice
sui   termini  da  osservare  in  prosieguo  e'  irrilevante  perche'
contraria  alle  previsioni  di  legge le quali si riferiscono, nella
specie,  ai  termini  di  cui  all'art. 7  del d.lgs. n. 5 del 2003 -
sostiene  che  dal  delineato  sistema normativo, quale risulta dagli
artt. 1, comma 5, 7, e 10 dello stesso decreto, deriva la lesione del
diritto  di  difesa  di  parte attrice, privata del potere di dedurre
prove;
        che  il  remittente  prospetta,  per  ricondurre il sistema a
legittimita'  costituzionale,  la  possibilita'  di  un intervento di
questa  Corte  in  via  alternativa  o  sull'art. 1,  comma 5, oppure
sull'art. 7 menzionati;
        che  la  proposizione  di  questioni concernenti disposizioni
diverse  in  rapporto  di  alternativita' irrisolta e' manifestamente
inammissibile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis ordinanze n. 215 del 2005, n. 185 del 2006, n. 62 del 2007).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.