ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 276, primo
comma,  del  codice civile, promosso con ordinanza del 10 luglio 2006
dal  Tribunale  di  Milano  sul ricorso proposto da B.I., iscritta al
n. 142  del  registro  ordinanze  2007  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 13, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 luglio 2007 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che,  con ordinanza del 10 luglio 2006, il Tribunale di
Milano   ha   sollevato   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 276, primo comma, del codice civile, nella parte in cui non
prevede  la possibilita' della nomina di un curatore speciale nei cui
confronti  promuovere  l'azione per la dichiarazione giudiziale della
paternita' o della maternita' naturale in caso di premorienza sia dei
presunti padre o madre sia degli eredi, per contrasto con gli artt. 3
e 24 della Costituzione;
        che   il   rimettente   premette  che,  con  ricorso  del  1°
giugno 2006,  I.  B.,  figlia  naturale  riconosciuta di M. R. B., ha
esposto di essere altresi' figlia naturale di L. F. G., nato a Torino
il  20 novembre  1903  e  deceduto  il  2 febbraio  1967; che in data
7 ottobre  1999  era  deceduto  anche il figlio di L. F. G., A. M. G;
che,   in   seguito   alla   pronuncia  di  ammissibilita'  ai  sensi
dell'art. 274  cod.  civ.  del  12 luglio 2001, la stessa I. B. aveva
instaurato  il  giudizio di accertamento della paternita' naturale di
L.  F.  G.,  convenendo tutti gli eredi legittimi di A. M. G. nonche'
l'erede  testamentaria  M.  L.  E.  R; che nel corso del giudizio era
stata  effettuata  perizia  emato-genetica  che  si  era conclusa con
l'affermazione del rapporto di filiazione dedotto in giudizio; che il
Tribunale  di  Milano,  con sentenza 1° febbraio 2006, aveva tuttavia
dichiarato   l'inammissibilita'   della   domanda   per   carenza  di
legittimazione   passiva  dei  soggetti  convenuti,  in  ossequio  al
principio  da  ultimo  affermato  dalle  sezioni unite della Corte di
cassazione   (sentenza   3 novembre   2005,  n. 21287),  secondo  cui
legittimati passivi dell'azione di accertamento di cui all'art. 269 e
seguenti  cod.  civ.  sono  unicamente, oltre al presunto genitore, i
suoi   eredi   diretti,   come  espressamente  sancito  dall'art. 276
cod.civ., e non anche gli eredi degli eredi;
        che,  poste  tali  premesse, la ricorrente ha chiesto, in via
principale,  che,  in applicazione analogica dell'art. 247 cod. civ.,
il  Tribunale  provvedesse  alla  nomina  di un curatore speciale nei
confronti  del quale potere esercitare l'azione di accertamento della
paternita'   naturale;  e,  in  via  subordinata,  che  il  Tribunale
sollevasse  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 276
cod. civ., per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che,  secondo  il  rimettente, non puo' trovare applicazione,
nel  caso  di  specie,  il  procedimento analogico di cui all'art. 12
delle   disposizioni   sulla  legge  in  generale  richiesto  in  via
principale  dalla  ricorrente,  dal  momento  che  la fattispecie del
disconoscimento  di  paternita',  all'interno della quale la norma di
cui  all'art. 247,  quarto  comma, cod. civ., ammette la nomina di un
curatore  speciale  in caso di premorienza del presunto padre o della
madre  o  del  figlio,  non  e'  sovrapponibile,  quanto  a  principi
ispiratori  ed a strumenti applicativi, alla dichiarazione giudiziale
di paternita' o maternita' naturale di cui all'art. 269 cod. civ., e,
dunque, non sussiste il requisito della eadem ratio;
        che,    nel    primo   caso,   vertendosi   in   materia   di
disconoscimento,  assume  rilievo  in  via  esclusiva  la  tutela del
soggetto   interessato  a  ristabilire  la  verita'  in  merito  alla
filiazione,  senza  conseguenze  pregiudizievoli di ordine ereditario
nei  confronti  di  soggetti  terzi;  laddove,  nel  secondo caso, la
dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  puo'  incidere  in maniera
rilevante   su   posizioni   soggettive   di  terzi,  comportando  in
particolare la possibilita' di riduzione delle quote ereditarie;
        che  l'applicazione analogica - utile per integrare eventuali
lacune  normative e, dunque, per l'ipotesi in cui una fattispecie non
sia  espressamente  disciplinata  -  non  puo'  essere utilizzata per
modificare  o  alterare  il  significato  della  specifica disciplina
giuridica di riferimento, dal momento che, nel caso di specie, non e'
ravvisabile   una  lacuna,  sussistendo  invece  diverse  scelte  del
legislatore,  che  ammette  la  nomina  di  un  curatore speciale per
l'azione  di disconoscimento di paternita' in caso di premorienza del
legittimato  passivo  (art. 274,  quarto  comma,  cod. civ.) e non la
ammette  invece  in  alcuna ipotesi per l'azione per la dichiarazione
giudiziale di paternita' (art. 276 cod. civ.);
        che,   esclusa  la  possibilita'  di  applicazione  analogica
dell'art. 247,  quarto comma, cod. civ., il rimettente ritiene che la
questione   di  legittimita'  costituzionale  non  e'  manifestamente
infondata, in quanto di fatto prospettata dalla stessa sentenza delle
sezioni  unite  della  Corte  di cassazione n. 21287 del 2005, che ha
testualmente affermato che «il fatto, peraltro, che l'azione in esame
si  consumi,  in  concreto, nel caso di intervenuta morte del preteso
genitore  e  di  tutti  i suoi eredi evidenzia, comunque, un punto di
debolezza  e di perfettibilita' dell'attuale disciplina rispetto alle
sempre  piu'  avvertite  esigenze di tutela dell'interesse del figlio
naturale  all'accertamento della genitorialita', anche per il profilo
del suo diritto all'identita' personale. In tale prospettiva potrebbe
auspicarsi  che quella disciplina sia integrata stabilendosi che, nel
caso  appunto  di  morte del presunto genitore e in mancanza dei suoi
eredi, l'azione possa proporsi, come anche suggerito in dottrina, nei
confronti  di un curatore nominato dal giudice, analogamente a quanto
gia'  previsto  dall'ultimo  comma  dell'art. 247  c.c. ai fini della
proponibilita' dell'azione di disconoscimento della paternita', nella
parallela  ipotesi  di gia' intervenuta morte del presunto padre e di
mancanza  dei  litisconsorti necessari indicati nel primo comma della
norma  stessa.  Un'integrazione  siffatta, oltre che di un intervento
legislativo,  potrebbe formare eventualmente oggetto di una pronunzia
additiva   (in   questi   termini  "a rima  obbligata")  della  Corte
costituzionale»;
        che,  in  piena  aderenza  con  tale insegnamento, ritiene il
rimettente  che  la formulazione dell'art. 276 cod. civ., nella parte
in cui limita la determinazione dei soggetti passivamente legittimati
nell'azione  per  dichiarazione  giudiziale di paternita', in caso di
morte  del  genitore,  esclusivamente  ai suoi eredi e non anche agli
eredi degli eredi, senza ammettere la possibilita' della nomina di un
curatore  speciale  nominato dal giudice, si pone in contrasto con il
principio  di  cui all'art. 3 Cost., poiche' determina una disparita'
di  trattamento,  generale  ed  in  linea di principio e senza alcuna
possibilita'  di  diversa  valutazione, rispetto a fattispecie simili
(quale  appunto  l'azione  di  disconoscimento  di paternita); e reca
altresi' vulnus al principio di cui all'art. 24 Cost., in quanto pone
limiti  alla possibilita' di far valere in giudizio il riconoscimento
della  paternita'  o maternita' naturale, che e', per di piu', azione
imprescrittibile (art. 270, primo comma, cod.civ.);
        che  la  scelta  del legislatore di non prevedere in linea di
principio  la  possibilita'  della nomina di un curatore speciale per
l'instaurazione   del   giudizio   di  riconoscimento  di  paternita'
naturale,  con  la  possibilita'  dunque per il giudice competente di
valutare  le specificita' della fattispecie, e di prevedere invece la
medesima  nomina  per  l'azione  di disconoscimento della paternita',
puo' porsi in contrasto con i richiamati principi costituzionali;
        che,  inoltre,  recenti  e  radicali  pronunzie  della  Corte
costituzionale   in   materia  di  tutela  del  riconoscimento  della
paternita'   naturale  (sentenza  10 febbraio  2006,  n. 50,  che  ha
caducato   la   norma  di  cui  all'art. 274  cod.civ.),  si  pongono
esattamente in questa direzione;
        che  non  vi  e' alcun dubbio sulla sussistenza del requisito
della  rilevanza  poiche' il giudizio a quo ha proprio per oggetto la
domanda  di nomina di un curatore speciale ex art. 276 cod. civ., che
non  potrebbe  essere  accolta alla stregua dell'attuale formulazione
della normativa di riferimento;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, che, in un primo momento, ha concluso per l'infondatezza della
questione   e,   successivamente,   ha   dichiarato   di   rinunciare
all'intervento.
    Considerato  che il Tribunale di Milano dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 276,  primo comma, del codice civile, nella
parte  in cui non prevede la possibilita' della nomina di un curatore
speciale  nei  cui confronti promuovere l'azione per la dichiarazione
giudiziale  della  paternita'  o della maternita' naturale in caso di
premorienza  sia  dei  presunti  padre  o  madre sia degli eredi, per
violazione dell'art. 3 della Costituzione, poiche' determinerebbe una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto alla disciplina
dell'azione   per   il   disconoscimento  della  paternita'  o  della
maternita',   che,   all'art. 247   cod.   civ.,  prevede  invece  la
possibilita'  per il giudice di nominare un curatore in caso di morte
del presunto padre o della presunta madre; nonche' dell'art. 24 della
Costituzione,   in   quanto   limiterebbe   al   figlio  naturale  la
possibilita'  di agire per il riconoscimento della paternita' o della
maternita'   naturale,   in   contrasto   con   l'imprescrittibilita'
dell'azione prevista dall'art. 270 cod. civ;
        che  il  giudice  a  quo,  dopo  avere premesso che lo stesso
Tribunale  di  Milano ha dichiarato, con sentenza, l'inammissibilita'
dell'azione  di dichiarazione giudiziale di paternita' per carenza di
legittimazione  passiva  dei  soggetti  convenuti,  si e' limitato ad
affermare,  apoditticamente,  la  rilevanza  della  questione,  senza
motivare  in  ordine  alla persistenza del proprio potere decisorio a
seguito  della  pronuncia di inammissibilita' dell'azione, emessa fra
le stesse parti, costituente giudicato rilevabile d'ufficio (Corte di
cassazione, sentenza 16 gennaio 2004, n. 630);
        che,  peraltro,  anche  ad  ammettere  la sussistenza di tale
potere in capo al giudice a quo, neppure e' motivata l'applicabilita'
alla    fattispecie    dell'eventuale    auspicata    pronuncia    di
incostituzionalita', in presenza di una sentenza che ha individuato i
legittimati  passivi  dell'azione  di  cui all'art. 269 cod. civ. nel
presunto genitore o, in mancanza di lui, nei suoi eredi diretti;
        che  tali  carenze  di  motivazione  sulla  rilevanza rendono
manifestamente inammissibile la questione sollevata.
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.