ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di   procedura   penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della  legge
20 febbraio  2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art. 10  della  stessa  legge,  promossi,  nel  corso di diversi
procedimenti  penali,  con ordinanze del 14 (nn. 2 ordinanze), del 19
(nn. 2  ordinanze)  e  del  21  aprile,  del  7 giugno, del 19 (nn. 2
ordinanze)  e  del  12 maggio, del 13, del 20 e del 27 aprile, del 5,
del  17 (nn. 3 ordinanze) e del 25 maggio, del 7 e dell'8 giugno, del
6 luglio,  del  14, del 15 (nn. 2 ordinanze), del 16, del 29 e del 30
(nn. 2  ordinanze)  giugno,  del 7 luglio, del 29 settembre, dell'8 e
del   23 novembre   2006   dalla   Corte   di   appello  di  Palermo,
rispettivamente  iscritte  ai nn. da 359 a 363, da 438 a 440, 506, da
564  a  566  del registro ordinanze 2006 e ai nn. da 22 a 28, 158, da
161  a  167,  169,  213,  316  e  317  del  registro ordinanze 2007 e
pubblicate   nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  nn. 40,
nell'edizione  straordinaria  del  2 novembre  2006, 47, 50, 1ª serie
speciale,  dell'anno 2006  e  nn. 8,  14, 16 e 18, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 luglio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che, con trentuno ordinanze sostanzialmente coincidenti
nella  parte  motiva,  la  Corte  di  appello di Palermo ha sollevato
questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 593 del codice di
procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), in riferimento
agli  artt. 3,  111,  secondo,  sesto  e  settimo  comma, e 112 della
Costituzione;   nonche'   dell'art. 10   della   medesima  legge,  in
riferimento agli artt. 3, 97 e 111, settimo comma, Cost.;
        che  tutti  i  giudizi  a  quibus traggono origine da appelli
proposti  dal  pubblico  ministero,  avverso sentenze di assoluzione,
prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge n. 46 del 2006 - il cui
art. 1,  sostituendo  l'art. 593  cod.  proc.  pen.,  ha sottratto al
pubblico   ministero   il   potere   di   appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  - e che, in forza dell'art. 10 della medesima legge,
dovrebbero essere dichiarati inammissibili;
        che  la  Corte  di appello di Palermo dubita, in primo luogo,
della  legittimita'  costituzionale dell'art. 593 cod. proc. pen. nel
testo  novellato  dalla  legge n. 46 del 2006, nella parte in cui non
consente  al  pubblico  ministero  di  proporre  appello  avverso  le
sentenze  di proscioglimento, se non nel caso previsto dall'art. 603,
comma 2,  dello  stesso  codice,  ossia  quando  sopravvengano  o  si
scoprano  nuove  prove  dopo  il giudizio di primo grado e sempre che
tali prove risultino decisive;
        che  la  disciplina  censurata  violerebbe  innanzitutto  gli
artt. 3,  111,  secondo  comma,  e  112  Cost.,  perche'  privando il
pubblico  ministero  -  «chiamato  ad  esercitare  la propria pretesa
punitiva  in  ossequio  al  principio  di obbligatorieta' dell'azione
penale»  -  del  potere  di  proporre  appello avverso le sentenze di
proscioglimento,   accorda   all'organo   della  pubblica  accusa  un
trattamento   palesemente   e  irragionevolmente  deteriore  rispetto
all'imputato, con sacrificio anche del principio della parita' tra le
parti;
        che  la  Corte  rimettente  -  richiamata  la  giurisprudenza
costituzionale  in  tema di giudizio abbreviato (ordinanza n. 421 del
2001)  -  osserva  che,  sebbene la previsione di limiti al potere di
impugnazione  del  pubblico  ministero  non  si  ponga  di per se' in
contrasto  con  la  Costituzione, la disparita' di trattamento tra le
parti  deve  pur  sempre  essere assistita da una giustificazione che
risponda a criteri di ragionevolezza;
        che,  invece,  nella  preclusione  all'appello  del  pubblico
ministero   avverso   le  sentenze  di  proscioglimento  difetterebbe
«qualsiasi  ragione  giustificativa»;  ne' la residua possibilita' di
appello  in  caso di prova nuova decisiva (ex art. 603, comma 2, cod.
proc.   pen.)   consentirebbe  di  superare  il  dedotto  profilo  di
incostituzionalita', trattandosi di ipotesi del tutto marginale;
        che  la  disciplina  censurata  sarebbe inoltre irragionevole
sotto due distinti profili: sia perche', essendo l'appello «una forma
di garanzia contro gli errori contenuti nel giudizio di primo grado»,
la  limitazione  di  esso  ad  una  sola  delle  parti  «impedisce di
pervenire  al  risultato  della  decisione  giusta cui mira qualsiasi
processo»;  sia perche' viene mantenuto in capo al pubblico ministero
il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna;
        che  la  Corte  di  appello  di  Palermo denuncia altresi' la
violazione   dell'art. 111,   commi  primo  (parametro,  questo,  non
riprodotto  in dispositivo e non assistito da specifica motivazione),
sesto  e  settimo,  Cost., assumendo che, per effetto delle modifiche
recate  dalla  legge  n. 46  del  2006  all'art. 606  cod. proc. pen.
relativo  alla  disciplina  dei  motivi  del  ricorso per cassazione,
«risulta notevolmente ed irragionevolmente estesa l'area del giudizio
di   merito   della  Cassazione,  trasformata  [...]  da  giudice  di
legittimita', (anche) a giudice di merito», con conseguente possibile
allungamento dei tempi di definizione dei processi;
        che,  quanto  al  regime  transitorio  introdotto dalla legge
n. 46  del  2006,  la  Corte  rimettente  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui
stabilisce   l'immediata   applicabilita'   del   nuovo   regime   ai
procedimenti  in  corso alla data di entrata in vigore della medesima
legge, prevedendo, in particolare, al comma 2, che l'appello proposto
contro una sentenza di proscioglimento prima della data di entrata in
vigore  della  legge  e'  dichiarato  inammissibile con ordinanza non
impugnabile;
        che   sarebbero   violati   l'art. 3  Cost.,  per  l'«effetto
retroattivo»  che  la  disciplina censurata determina sui processi in
corso, derogando senza alcuna plausibile giustificazione alla «regola
della  tutela  dell'affidamento»,  ed il «principio di buon andamento
dell'attivita'  giudiziaria»  (art. 97  Cost.);  nonche'  l'art. 111,
settimo comma, Cost. secondo cui contro le sentenze e' sempre ammesso
ricorso  per  Cassazione  per  violazione  di  legge  (tale dovendosi
ritenere,  per il «suo contenuto definitorio», l'ordinanza con cui e'
dichiarato  inammissibile  l'appello),  ed,  ulteriormente,  l'art. 3
Cost.  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza, atteso che la norma
censurata «sconvolgerebbe l'intero sistema delle impugnazioni».
    Considerato  che  il  dubbio  di  costituzionalita'  sottoposto a
questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica
dell'art. 593  del  codice  di  procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento),   dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali  di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
        che,  stante l'identita' delle questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  con  sentenza  n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1  della citata legge n. 46 del 2006 «nella
parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale,
esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze
di   proscioglimento,   fatta   eccezione  per  le  ipotesi  previste
dall'art. 603,  comma 2,  del  medesimo  codice, se la nuova prova e'
decisiva»,  e  dell'art. 10,  comma 2,  della  medesima legge, «nella
parte  in  cui  prevede che l'appello proposto contro una sentenza di
proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in
vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
        che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.