ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 410-bis, comma
secondo,  del  codice di procedura civile, promosso con ordinanza del
27 aprile  2006 dal giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Anselmi  Claudia e la Cimba
s.r.l.,  iscritta  al  n. 96 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 11, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella Camera di consiglio del 26 settembre 2007 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
    Ritenuto   che,   nel   corso   di  un  processo  in  materia  di
regolarizzazione  del  rapporto,  intrapreso  da  un  dipendente  nei
confronti  del  datore  di  lavoro,  il  Giudice unico del lavoro del
Tribunale  di Treviso, con ordinanza del 27 aprile 2006, ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 410-bis, comma
secondo, del codice di procedura civile, in riferimento all'art. 111,
comma secondo, della Costituzione;
        che  il  giudice  a quo riferisce che il deposito del ricorso
introduttivo  del  processo  non  e'  stato  preceduto  dal tentativo
obbligatorio  di  conciliazione,  previsto  dall'art. 412-bis,  comma
primo,  cod.  proc.  civ.,  come  condizione  di procedibilita' della
domanda,  perche'  lo  stesso,  gia'  fissato  dalla  Commissione  di
conciliazione  presso la Direzione provinciale del lavoro di Treviso,
non  e'  stato  espletato  a  seguito  del mancato accoglimento della
richiesta  di  differimento, congiuntamente presentata dalle parti, e
della conseguente archiviazione per mancata comparizione delle stesse
alla data della originaria convocazione;
        che  il  giudice rimettente - ricordato che, secondo la Corte
costituzionale  (sentenza n. 276 del 2000), il tentativo obbligatorio
di  conciliazione legittimamente incide sul diritto di azione, con un
«impedimento  obiettivamente limitato e non irragionevole», in quanto
finalizzato a soddisfare l'interesse generale ad un processo celere e
ad una composizione rapida delle controversie per via di composizione
preventiva  della  lite - osserva come la tutela dell'interesse sopra
richiamato non possa concretizzarsi in un mero differimento temporale
dell'esercizio  della giurisdizione, ma debba tradursi nell'effettivo
espletamento del tentativo di conciliazione stesso;
        che,  pertanto,  -  a  giudizio  del rimettente - non sarebbe
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 410-bis,  comma  secondo,  cod.  proc. civ., per violazione
dell'art. 111, comma secondo, Cost., laddove lo stesso - in combinato
disposto  con  l'art. 412-bis  cod.  proc.  civ.  -  consente  il non
effettivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione;
        che,   di   conseguenza,   non  sarebbe  consentito  omettere
l'espletamento  del tentativo di conciliazione quando - come nel caso
di  specie - lo stesso sarebbe stato praticabile «oltre un anno prima
della  presentazione  del  ricorso in sede giurisdizionale», poiche',
prosegue  il  rimettente,  tale istituto sarebbe «posto a presidio di
interessi  generali quali la deflazione delle controversie attribuite
al  giudice  ordinario  in  materia  di  lavoro  e la possibilita' di
assicurare all'interessato un soddisfacimento piu' immediato rispetto
a quello conseguibile attraverso il processo»;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  concluso  per  la manifesta infondatezza della
questione,  in  quanto,  avendo riguardo al meccanismo previsto dagli
artt. 410  e  seguenti  cod.  proc.  civ.  e alla luce di quanto gia'
affermato dalla Corte costituzionale con la ricordata sentenza n. 276
del  2000,  la  norma  censurata  sarebbe «modulata secondo linee che
rendono  intrinsecamente ragionevole il limite all'immediatezza della
tutela giurisdizionale»;
        che, quindi, prosegue la difesa erariale, la dilatazione sine
die  dell'esercizio  dell'azione  giudiziale (se tale esercizio fosse
condizionato    all'effettivo    espletamento    del   tentativo   di
conciliazione), oltre a risultare irragionevole ed illogica, verrebbe
a  confliggere  con  il  principio,  stabilito  dall'art. 111,  comma
secondo,  Cost.,  della  ragionevole  durata  del processo, principio
richiamato dallo stesso rimettente.
    Considerato  che,  il  Giudice  unico del lavoro del Tribunale di
Treviso  dubita,  in  riferimento  all'art. 111, comma secondo, della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 410-bis,
comma  secondo,  del  codice  di procedura civile, nella parte in cui
prevede  che,  nel  processo  del  lavoro,  trascorso  inutilmente il
termine  di  sessanta  giorni dalla presentazione della richiesta del
tentativo  obbligatorio  di conciliazione, esso si considera comunque
espletato ai fini di cui all'art. 412-bis, cod. proc. civ.;
        che  questione  analoga  e' stata gia' sollevata dall'attuale
rimettente  e  sottoposta al vaglio di questa Corte, la quale, - dopo
aver  affermato  che  costituisce  principio  ormai consolidato nella
giurisprudenza  costituzionale quello enunciato dalla sentenza n. 276
del  2000,  secondo  cui  «il  legislatore  puo'  imporre  condizioni
all'esercizio  del diritto di azione se queste, oltre a salvaguardare
interessi   generali,   costituiscono,   anche  dal  punto  di  vista
temporale, una limitata remora all'esercizio del diritto stesso» - ha
dichiarato  la  stessa  manifestamente  inammissibile,  con ordinanza
n. 436 del 2006;
        che,  in  particolare,  nella  citata  ordinanza, la Corte ha
osservato  che  «la  pretesa  del  rimettente,  secondo la quale "gli
interessi   generali"   dovrebbero   comunque   prevalere   impedendo
l'esercizio  del  diritto  di  azione  fino  a quando il tentativo di
conciliazione  non  sia  stato  effettivamente espletato, non solo e'
contraddittoria  rispetto  al parametro costituzionale evocato, ma si
risolve  nel  contrapporre  una  propria  soggettiva  valutazione  al
bilanciamento  degli interessi, operato dalla legge, che questa Corte
ha  piu'  volte  ritenuto  non solo consentito, ma imposto dai valori
costituzionali implicati»;
        che  tale  orientamento  -  per l'identita' dei presupposti e
della  ratio - deve essere, nella specie, confermato, con conseguente
dichiarazione  di manifesta inammissibilita' della proposta questione
di legittimita' costituzionale.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.