SENTENZA
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 3 e 5 del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), nel testo modificato
dalla  legge  di  conversione 4 agosto 2006, n. 248, promossi con due
ricorsi  della  Regione  Veneto  e  con  un  ricorso  della Regionale
Siciliana,  notificati  il  31  agosto,  il  5  e  il 9 ottobre 2006,
depositati  in  cancelleria l'11 settembre, l'11 e il 12 ottobre 2006
ed iscritti ai nn. 96, 103 e 104 del registro ricorsi 2006.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  6  novembre  2007  il  giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
   Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione
Veneto,  Francesco  Castaldi  e  Giovanni  Pitruzzella per la Regione
Siciliana e l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - La Regione Veneto, con due ricorsi - notificati il 31 agosto
ed il 5 ottobre 2006, depositati l'11 settembre e l'11 ottobre 2006 -
e  la  Regione  Siciliana, con ricorso notificato il 9 ottobre 2006 e
depositato  il  12  ottobre  2006, hanno, tra laltro, rispettivamente
impugnato: gli artt. 3 e 5, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006,
n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per
il  contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche'
interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale)
(ricorso  r.  r.  n. 96  del  2006); gli artt. 3 e 5, commi 1 e 2, di
detto  decreto-legge, nel testo risultante dalla legge di conversione
4 agosto 2006, n. 248, (ricorso r. r. n. 103 del 2006), nonche' lart.
5  di  detto decreto, nel testo risultante dalla legge di conversione
(ricorso r. r. n. 104 del 2006), in riferimento agli artt. 117, terzo
e  quarto  comma,  e  118  della  Costituzione (la prima ricorrente),
nonche'  agli artt. 117, comma terzo, Cost. ed agli artt. 14, lettera
d),  e  17,  lettere b) e c), del regio decreto legislativo 15 maggio
1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione Siciliana).
   2. - La Regione Veneto, con il primo dei due ricorsi, premette che
l'art.  3  del  d.l.  n. 223  del  2006 ha stabilito che le attivita'
economiche  di  distribuzione  commerciale  indicate dalla norma sono
svolte senza una serie di limiti e di vincoli, puntualmente indicati,
facendo  salve le prescrizioni che disciplinano le vendite sottocosto
e  i  saldi di fine stagione, disponendo altresi' l'abrogazione dalla
data  di  entrata  in  vigore  del  decreto delle norme legislative e
regolamentari  statali  di disciplina del settore della distribuzione
commerciale  incompatibili  con  dette  disposizioni,  nonche' che le
Regioni   e   gli   enti  locali  adeguano  le  proprie  disposizioni
legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al
comma 1 di detto art. 3, entro il 1° gennaio 2007.
   Secondo  la  ricorrente,  la norma ha ad oggetto la disciplina del
«commercio»,  materia  attribuita alla propria competenza legislativa
residuale,  alla  quale  sarebbero  riconducibili  anche  le  materie
concernenti  lo  sviluppo dell'economia, quindi, violerebbe gli artt.
117 e 118 Cost.
   A  suo  avviso,  la  «tutela  della concorrenza», richiamata dalla
norma  quale  titolo  della competenza dello Stato, costituirebbe una
materia   “trasversale”,   che  interessa  molteplici  ambiti  di
competenza. Tuttavia, al fine di evitare una illegittima compressione
delle   competenze  regionali,  dovrebbe  ritenersi  che,  in  virtu'
dell'art.  117, secondo comma, lettera e), Cost., allo Stato spettano
gli  «strumenti  di  politica  economica  che attengono allo sviluppo
dell'intero   Paese»,   quindi   l'intervento   statale  deve  essere
giustificato   dalla   «sua   rilevanza   macroeconomica»,   restando
attribuiti  alla  competenza legislativa delle Regioni, concorrente o
residuale,  gli  interventi  «sintonizzati  sulla  realta' produttiva
regionale»,  che  non  introducono  ostacoli alla libera circolazione
delle  persone e delle cose fra le Regioni e non limitano l'esercizio
del  diritto  al  lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
Una differente interpretazione della norma costituzionale limiterebbe
eccessivamente  la  potesta'  legislativa  esclusiva  delle  Regioni,
privandole  della  facolta'  di regolamentare le autorizzazioni e gli
orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali.
   La  ricorrente  deduce, infine, che sarebbe improprio il richiamo,
contenuto   nel  citato  art.  3,  alla  determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni (art. 117, comma secondo, lettera m
,  Cost.),  materia  comunque  anche  questa trasversale, che neppure
giustifica una illegittima compressione delle competenze regionali.
   2.1.  -  L'art.  5, comma 2, del d. l. n. 223 del 2006, stabilisce
che  la vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione
negli  esercizi  commerciali della cosiddetta grande distribuzione e'
consentita  durante  lorario  di  apertura degli stessi e deve essere
effettuata  nellambito di un apposito reparto, con lassistenza di uno
o   piu'  farmacisti  abilitati  allesercizio  della  professione  ed
iscritti   al  relativo  ordine,  restando  vietati  i  concorsi,  le
operazioni  a  premio  e  le  vendite  sotto  costo aventi ad oggetto
farmaci.
   Secondo  la  Regione  Veneto,  scopo della norma sarebbe quello di
garantire vantaggi ai consumatori, in termini di prezzi e di orari di
apertura   degli   esercizi   commerciali,  sicche'  la  disposizione
interverrebbe  nella  materia «commercio», attribuita alla competenza
legislativa  residuale  delle  Regioni  e,  percio',  si  porrebbe in
contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost.
   Inoltre,  qualora  si  riconducesse  la  disciplina  in esame alla
materia «tutela della salute», la norma sarebbe comunque illegittima,
in  quanto,  in  violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., non si
limita a stabilire principi fondamentali, ma disciplina l'orario e le
modalita'  della  vendita  dei farmaci da banco o di automedicazione,
pone  divieti  specifici  per concorsi, operazioni a premio e vendite
sotto  costo e, in tal modo, contiene statuizioni al piu' basso grado
di  astrattezza  che,  per  il  loro  carattere  di  dettaglio,  sono
insuscettibili di sviluppi normativi ulteriori.
   2.2.  -  La  Regione  Veneto,  con  il secondo dei citati ricorsi,
deduce  che  la legge n. 248 del 2006, di conversione del d.l. n. 223
del  2006,  avrebbe  introdotto  ulteriori  norme  pure  lesive delle
competenze regionali.
   In riferimento agli artt. 3 e 5 (in particolare, ai commi 1 e 2 di
questultima norma) di detto decreto-legge, nel testo risultante dalla
legge  di  conversione,  la  ricorrente  riproduce  le argomentazioni
svolte nel primo ricorso per sostenerne l'illegittimita'.
   2.3.  -  In  entrambi i giudizi si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale    dello   Stato,   chiedendo,   con   atti   di   contenuto
sostanzialmente   coincidente,  che  le  questioni  siano  dichiarate
infondate.
   A  suo  avviso,  il  citato  art. 3 non disciplina in dettaglio lo
svolgimento di attivita' commerciali, ma rimuove alcuni vincoli, allo
scopo di incentivare la libera concorrenza, disponendo esclusivamente
l'abrogazione delle norme statali che li contenevano e precisando che
le  relative  disposizioni costituiscono principi per la legislazione
regionale.
   La  disciplina  stabilita  dallart.  5  del  d.l. n. 223 del 2006,
convertito dalla legge n. 248 del 2006, e' riconducibile alla materia
«tutela  della  concorrenza»  e  la  norma,  in parte, ha derogato al
principio  della  esclusivita'  della  vendita  dei farmaci presso le
farmacie,   perseguendo  anche  obiettivi  di  tutela  della  salute,
mediante  la  liberalizzazione  della vendita di alcuni di essi. Alla
tutela  della  salute  sarebbero  riconducibili  le  prescrizioni che
impongono   la  presenza  nel  reparto  di  un  farmacista  abilitato
all'esercizio  della  professione  e vietano determinate modalita' di
vendita,  ispirate allo scopo di bilanciare la liberalizzazione della
vendita   e   lesigenza   di   evitarne   lattuazione  con  modalita'
pregiudizievoli della tutela della salute.
   3. - La Regione Siciliana deduce che l'art. 5 del d. l. n. 223 del
2006,  nel  testo  risultante  dalla  legge di conversione n. 248 del
2006,   disciplina   la   materia  dell'organizzazione  del  servizio
farmaceutico,  riconducibile  alla «tutela della salute», nella quale
lo  Stato  puo' soltanto stabilire i principi fondamentali. Pertanto,
la  norma  violerebbe  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in quanto
conterrebbe una disciplina di dettaglio, completa ed autoapplicativa,
che,  incidendo  sulle modalita' di vendita dei farmaci, difetterebbe
dell'indeterminatezza, propria delle norme di principio.
   La  disposizione  si porrebbe, inoltre, in contrasto con lart. 17,
lettere  b)  e  c),  dello  statuto  regionale,  che attribuisce alla
competenza   legislativa  concorrente  di  essa  istante  le  materie
dell'igiene   e   sanita'   pubblica   e  dell'assistenza  sanitaria,
riconducibili  alla piu' ampia materia della «tutela della salute» di
cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
   Sotto  un ulteriore profilo, qualora si riconducesse la disciplina
in  esame  al «commercio», la norma violerebbe l'art. 14, lettera d),
dello   statuto   regionale,   che  attribuisce  detta  materia  alla
competenza legislativa esclusiva della Regione.
   Infine,  avendo  riguardo  alla  circostanza che la norma concerne
l'aspetto  professionale  dell'attivita'  dei  farmacisti,  la stessa
violerebbe  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  che attribuisce alla
competenza   legislativa   regionale  concorrente  la  materia  delle
«professioni»,   dato  che  la  ricognizione  dei  relativi  principi
fondamentali   e'   contenuta  nel  d.lgs.  2  febbraio  2006,  n. 30
(Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai
sensi  dell'articolo  1 della legge 5 giugno 2003, n. 131), mentre la
norma impugnata recherebbe disposizioni di dettaglio.
   3.1.  -  Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
   La  difesa  erariale  premette  che  la  norma  impugnata  mira  a
garantire  la  libera  concorrenza  e,  quindi, e' riconducibile alla
materia   «tutela  della  concorrenza»,  attribuita  alla  competenza
legislativa  dello  Stato.  Inoltre,  il  citato art. 5, in parte, ha
derogato  al  principio  della esclusivita' della vendita dei farmaci
presso  le  farmacie,  perseguendo  anche  obiettivi  di tutela della
salute,  alla  quale  sarebbero  riconducibili  le  prescrizioni  che
impongono   la  presenza  nel  reparto  di  un  farmacista  abilitato
allesercizio  della  professione  e  vietano determinate modalita' di
vendita,   evidentemente   ispirate   allo  scopo  di  bilanciare  la
liberalizzazione  della  vendita  e lesigenza di evitarne lattuazione
con modalita' pregiudizievoli della tutela della salute.
   4.  -  La Regione Veneto, in prossimita' dell'udienza pubblica, ha
depositato  memorie,  di  contenuto  coincidente,  in  riferimento ad
entrambi  i ricorsi, ribadendo le argomentazioni sopra sintetizzate e
deducendo  che,  non  avendo  la  difesa erariale neppure invocato il
titolo  di  competenza dell'art. 117, secondo comma, lettera m), cio'
conforterebbe  l'improprieta'  del richiamo contenuto nel citato art.
3.
   5.  -  Anche  la  Regione  Siciliana,  in prossimita' dell'udienza
pubblica,  ha  depositato memoria, ribadendo le argomentazioni svolte
nell'atto  introduttivo.  Inoltre,  a  suo avviso, qualora si ritenga
riconducibile   la   disciplina  oggetto  della  norma  alla  materia
«commercio», attribuita alla propria competenza legislativa residuale
(artt. 117, quarto comma, Cost., e 14, lettera d
,  dello  statuto  regionale), il collegamento tra detta materia e le
norme  costituzionali  in  tema  di  autonomia  finanziaria (art. 119
Cost.),    renderebbe    prefigurabile    un'ulteriore   ragione   di
illegittimita' della norma.
   6.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, in prossimita'
delludienza  pubblica,  ha  depositato  memoria  in  relazione ai tre
giudizi,   ribadendo   le   conclusioni   formulate   negli  atti  di
costituzione.
   In  riferimento  al citato art. 3, la difesa erariale sostiene che
linterferenza  della norma con una materia attribuita alla competenza
legislativa  residuale  delle Regioni non esclude la competenza dello
Stato  ad  emanare  disposizioni  dirette a garantire la tutela della
concorrenza.
   L'art.  5  del  d.  l. n. 223 del 2006, nel testo convertito dalla
legge  n. 248 del 2006, concerne poi la materia «tutela della salute»
e  mira  a  garantire  una  maggiore  facilita'  nel  reperimento dei
medicinali,  evitando  tuttavia che cio' possa avvenire con modalita'
pregiudizievoli  per  la salute dei consumatori. Inoltre, scopo della
norma  e' anche quello di favorire la libera concorrenza, realizzando
un intervento legittimato anche dall'art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., in armonia con le norme comunitarie.
   7.  -  Alludienza pubblica i difensori delle parti hanno insistito
per laccoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Regione Veneto e la Regione Siciliana, con tre distinti
ricorsi,  hanno  promosso questioni di legittimita' costituzionale di
numerose  norme del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  allevasione  fiscale) e della legge di
conversione 4 agosto 2006, n. 248.
   1.1.  -  Le  impugnazioni  aventi  ad  oggetto gli artt. 3 e 5 del
decreto-legge  n. 223  del  2006, nel testo risultante dalla legge di
conversione n. 248 del 2006, sono qui trattate separatamente rispetto
alle  altre  questioni  promosse  nei  suddetti  ricorsi e, in quanto
formulate  in  riferimento a profili e sulla scorta di argomentazioni
in parte coincidenti, possono essere decise con la medesima sentenza.
   2.  - La Regione Veneto ha proposto due distinti ricorsi aventi ad
oggetto  il  decreto-legge  e  la  legge  di  conversione; la Regione
Siciliana ha impugnato soltanto la legge di conversione.
   I  ricorsi  sono ammissibili, in quanto, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, la Regione che ritenga lese le proprie competenze da
norme  contenute  in  un  decreto-legge  puo'  sollevare  la relativa
questione  di legittimita' costituzionale anche in relazione a questo
atto,  con  effetto  estensivo alla legge di conversione, ovvero puo'
riservare  l'impugnazione  a dopo l'entrata in vigore di quest'ultima
(tra le molte, sentenze n. 383 del 2005; n. 287 del 2004 e n. 272 del
2004).
   Le norme impugnate sono state, in parte, modificate dalla legge di
conversione,  la  quale  ha introdotto innovazioni che, tuttavia, non
incidono  sul  contenuto precettivo delle disposizioni, nei punti qui
di  interesse.  Pertanto, non sussistono i presupposti per dichiarare
cessata  la  materia del contendere e lo scrutinio va condotto avendo
riguardo   al   testo  di  dette  norme  risultante  dalla  legge  di
conversione,   tenendo  conto,  quanto  alla  Regione  Veneto,  delle
argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi (sentenze n. 214 del 2006
e n. 378 del 2005), peraltro sostanzialmente identiche.
   3.  -  L'art.  3  del  decreto-legge  n. 223  del  2006, nel testo
modificato  dalla  legge  di  conversione  n. 248 del 2006, impugnato
soltanto   dalla  Regione  Veneto,  mira  allo  scopo,  espressamente
enunciato  dalla  norma,  «di  garantire  la  liberta' di concorrenza
secondo  condizioni  di  pari opportunita' ed il corretto ed uniforme
funzionamento  del  mercato,  nonche'  di  assicurare  ai consumatori
finali  un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita'
all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale».
   La  disposizione,  a  detto  fine,  stabilisce  che  «le attivita'
commerciali,  come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 114,  e  di  somministrazione  di  alimenti e bevande, sono svolte
senza  i  seguenti  limiti  e prescrizioni: a) liscrizione a registri
abilitanti  ovvero possesso di requisiti professionali soggettivi per
lesercizio  di  attivita' commerciali, fatti salvi quelli riguardanti
il settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e delle
bevande; b) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attivita'
commerciali  appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; c) le
limitazioni  quantitative all'assortimento merceologico offerto negli
esercizi   commerciali,   fatta  salva  la  distinzione  tra  settore
alimentare  e  non  alimentare;  d)  il rispetto di limiti riferiti a
quote  di  mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a
livello  territoriale  sub  regionale; e) la fissazione di divieti ad
effettuare  vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal
diritto  comunitario; f) l'ottenimento di autorizzazioni preventive e
le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di
vendite   promozionali   di  prodotti,  effettuate  allinterno  degli
esercizi   commerciali,   tranne   che   nei  periodi  immediatamente
precedenti  i  saldi di fine stagione per i medesimi prodotti; f-bis)
il  divieto  o  l'ottenimento  di  autorizzazioni  preventive  per il
consumo  immediato  dei  prodotti di gastronomia presso lesercizio di
vicinato,   utilizzando   i  locali  e  gli  arredi  dellazienda  con
lesclusione   del   servizio  assistito  di  somministrazione  e  con
losservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie» (comma 1).
   Infine,  la  norma  fa  «salve le disposizioni che disciplinano le
vendite  sottocosto e i saldi di fine stagione» (comma 2), disponendo
labrogazione  delle  disposizioni legislative e regolamentari statali
di   disciplina   del   settore   della   distribuzione   commerciale
incompatibili con le disposizioni del comma 1 (comma 3).
   3.1.  -  Secondo  la Regione Veneto, la norma violerebbe gli artt.
117   e   118  Cost.,  poiche'  disciplina  il  «commercio»,  materia
attribuita  alla propria competenza legislativa residuale, alla quale
sarebbero  inoltre  riconducibili  tutte  le  materie  concernenti lo
sviluppo dell'economia.
   A  suo  avviso,  la  «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo
comma, lettera e,
Cost.),   espressamente   richiamata   quale   base  giuridica  della
disposizione,  sebbene costituisca una materia “trasversale”, non
giustificherebbe   una   sostanziale  vanificazione  del  riparto  di
competenze  stabilito  dallart.  117  Cost.  La  norma costituzionale
avrebbe,  infatti,  attribuito  allo Stato gli «strumenti di politica
economica   che   attengono   allo   sviluppo   dell'intero   Paese»,
legittimando  in tal modo norme strumentali rispetto ad interventi di
«rilevanza  macroeconomica». Tuttavia, resterebbe ferma la competenza
delle   Regioni  a  realizzare  interventi  riconducibili  a  materie
attribuite  alla competenza legislativa concorrente o residuale delle
medesime,  «sintonizzati sulla realta' produttiva regionale», che non
introducono  ostacoli  alla libera circolazione delle persone e delle
cose  fra le Regioni e non limitano l'esercizio del diritto al lavoro
in qualunque parte del territorio nazionale.
   Inoltre, la ricorrente deduce che lo Stato, in virtu' della citata
norma  costituzionale,  potrebbe stabilire le «regole generali» della
concorrenza  e  quelle  strettamente  funzionali a garantirla, ma non
adottare   tutte   le  misure  regolamentari  ed  amministrative  che
influiscono   sullesercizio   delle  attivita'  economiche.  Siffatta
interpretazione  sarebbe  giustificata  dallesigenza  di  evitare una
eccessiva  compressione  della  potesta'  legislativa esclusiva delle
Regioni  nella materia del commercio e di permettere che esse possano
disciplinare i profili concernenti il rilascio delle autorizzazioni e
la regolamentazione degli orari di apertura e chiusura degli esercizi
commerciali.
   Infine,  secondo la Regione Veneto, sarebbe improprio il richiamo,
da  parte  della  norma  impugnata,  al titolo di competenza previsto
dallart.  117,  secondo comma, lettera m), Cost. («determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni»), materia comunque anche questa
trasversale, da interpretare restrittivamente ed in analogia a quella
sopra  esaminata, al fine di scongiurare una illegittima compressione
delle competenze regionali.
   3.2. - La questione non e' fondata.
   3.2.1.  -  L'art.  3  del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo
modificato  dalla  legge  di  conversione  n. 248  del  2006,  indica
espressamente  quale  finalita'  della  norma,  tra laltro, quella di
«garantire  la  liberta'  di  concorrenza  secondo condizioni di pari
opportunita'  ed  il corretto ed uniforme funzionamento del mercato»,
riconducendo  in  tal modo la disciplina dalla stessa stabilita anche
alla  materia  «tutela  della concorrenza», attribuita dall'art. 117,
secondo   comma,   lettera  e),  Cost.  alla  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato.
   Siffatta  autoqualificazione  e' corretta. L'identificazione della
materia  nella  quale  si colloca la norma impugnata richiede di fare
riferimento  all'oggetto ed alla disciplina stabilita dalla medesima,
tenendo conto della sua ratio
, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da
identificare  correttamente e compiutamente anche linteresse tutelato
(ex  plurimis,  sentenze n. 165 del 2007; n. 450 del 2006; n. 319 del
2005; n. 285 del 2005).
   In  linea  preliminare,  occorre inoltre osservare che, secondo la
giurisprudenza   di   questa   Corte,   lespressione   «tutela  della
concorrenza», utilizzata dal legislatore costituzionale all'art. 117,
secondo  comma,  lettera  e),  coerentemente  con quella operante nel
sistema  giuridico  comunitario,  comprende,  tra l'altro, interventi
regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali:
le  misure  legislative  di  tutela  in  senso  proprio, che hanno ad
oggetto  gli  atti  ed  i  comportamenti  delle  imprese che incidono
negativamente   sull'assetto   concorrenziale   dei   mercati   e  ne
disciplinano  le  modalita'  di  controllo,  eventualmente  anche  di
sanzione;  le  misure legislative di promozione, che mirano ad aprire
un   mercato   o   a   consolidarne  lapertura,  eliminando  barriere
allentrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della
capacita'  imprenditoriale  e  della  competizione  tra  imprese,  in
generale  i  vincoli  alle  modalita'  di  esercizio  delle attivita'
economiche.   In   tale  maniera,  vengono  perseguite  finalita'  di
ampliamento  dellarea  di  libera scelta sia dei cittadini, sia delle
imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e
di  servizi  (sentenza n. 401 del 2007). Si tratta, in altri termini,
dellaspetto piu' precisamente di promozione della concorrenza, che e'
una delle leve della politica economica del Paese (sentenze n. 80 del
2006; n. 242 del 2005; n. 175 del 2005; n. 272 del 2004).
   Per  siffatti caratteri, la «tutela della concorrenza», proprio in
quanto  ha  ad  oggetto  la  disciplina dei mercati di riferimento di
attivita'  economiche  molteplici  e  diverse, non e' una «materia di
estensione certa», ma presenta i tratti «di una funzione esercitabile
sui  piu' diversi oggetti» ed e' configurabile come «trasversale» (da
ultimo, e per tutte, sentenza n. 401 del 2007), caratterizzata da una
portata  ampia  (sentenza n. 80 del 2006). Queste peculiarita', da un
canto,  comportano che la «tutela della concorrenza», appunto perche'
ha  ad  oggetto  la  disciplina  del  mercato  di  riferimento  delle
attivita'  economiche,  influisce  necessariamente  anche  su materie
attribuite  alla  competenza  legislativa,  concorrente  o residuale,
delle  Regioni, dallaltro, impongono di garantire che la riserva allo
Stato della predetta competenza trasversale non vada oltre la «tutela
della   concorrenza»   e  sia  in  sintonia  con  lampliamento  delle
attribuzioni  regionali  disposto  dalla revisione del titolo V della
parte  seconda  della  Costituzione (sentenze n. 175 del 2005; n. 272
del  2004;  n. 14  del  2004). Ne consegue che non possono ricondursi
alla  «tutela  della  concorrenza»  quelle  misure  statali  che  non
intendono  incidere  sullassetto  concorrenziale  dei  mercati  o che
addirittura lo riducono o lo eliminano.
   Pertanto,  cio'  che  occorre  verificare  e' se le norme adottate
dallo   Stato   siano   essenzialmente  finalizzate  a  garantire  la
concorrenza  fra  i diversi soggetti del mercato (sentenza n. 285 del
2005),  allo scopo di accertarne la coerenza rispetto allobiettivo di
assicurare  un  mercato aperto e in libera concorrenza. Una volta che
tale scrutinio abbia esito positivo, l'attribuzione delle misure alla
competenza   legislativa   esclusiva   dello   Stato   comporta   sia
l'inderogabilita'  delle disposizioni nelle quali si esprime, sia che
queste  legittimamente incidono, nei limiti della loro specificita' e
dei  contenuti  normativi  che  di esse sono proprie, sulla totalita'
degli ambiti materiali entro i quali si applicano (sentenza n. 80 del
2006).
   Ricondotta  una  norma  alla «tutela della concorrenza» (art. 117,
secondo comma, lettera e
,  Cost.),  non  si  tratta  quindi di valutare se essa sia o meno di
estremo  dettaglio,  utilizzando  principi  e  regole riferibili alla
disciplina  della  competenza  legislativa  concorrente delle Regioni
(sentenza  n. 401  del  2007),  ma  occorre invece accertare se, alla
stregua  del  succitato scrutinio, la disposizione sia strumentale ad
eliminare  limiti  e  barriere  all'accesso al mercato ed alla libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale.
   D'altra  parte, proprio perche' la promozione della concorrenza ha
una  portata  generale, o «trasversale», puo' accadere che una misura
che  faccia  parte  di  una  regolamentazione stabilita dalle Regioni
nelle   materie   attribuite   alla   loro   competenza  legislativa,
concorrente  o residuale, a sua volta abbia marginalmente una valenza
pro-competitiva.  Cio'  deve  ritenersi  ammissibile,  al fine di non
vanificare  le  competenze  regionali,  sempre che tali effetti siano
marginali  o  indiretti  e  non  siano in contrasto con gli obiettivi
delle   norme   statali  che  disciplinano  il  mercato,  tutelano  e
promuovono la concorrenza.
   3.2.2.  -  Posta  siffatta  premessa,  e'  anzitutto  infondata la
deduzione  della ricorrente, secondo la quale la disciplina stabilita
dalla  norma  impugnata  sarebbe  riconducibile  ad  una  materia, lo
«sviluppo  economico»,  attribuita  alla  competenza  residuale delle
Regioni, in quanto questa Corte ha gia' chiarito che questa locuzione
costituisce  una  espressione  di sintesi, meramente descrittiva, che
comprende  e rinvia ad una pluralita' di materie (sentenza n. 165 del
2007).
   La  disposizione  in  esame, concernendo la modalita' di esercizio
dellattivita'  della  distribuzione  commerciale,  incide  invece sul
«commercio», materia attribuita alla competenza legislativa residuale
delle Regioni (sentenze n. 165 e n. 64 del 2007; n. 199 del 2006).
   Tuttavia, alla luce dei principi sopra esposti, tale constatazione
non  e'  da  sola  sufficiente ad escluderne la riconducibilita' alla
«tutela della concorrenza». Al riguardo, e' sufficiente ricordare, in
sintesi,  che  l'ordinamento  del  commercio  definito dalla legge 11
giugno  1971,  n. 426  (Disciplina del commercio), e dalle successive
norme  di  maggiore  rilevanza  (in  particolare, tra le altre, dalle
disposizioni  del  d.  m.  4 agosto 1988, n. 375), era caratterizzato
dalla  programmazione dell'apertura degli esercizi commerciali, dalla
previsione  di  limiti  di  diverso  contenuto  e dalla necessita' di
autorizzazioni  per  lo  svolgimento  delle  relative  attivita', che
prefiguravano   molteplici  vincoli  e  barriere,  sotto  il  profilo
soggettivo  ed  oggettivo,  all'accesso  al  mercato ed al suo libero
funzionamento.  Tale  disciplina,  anche  per il coinvolgimento nella
pianificazione  degli  operatori  commerciali,  era caratterizzata da
profili  protezionistici,  benche'  finalita'  della legge n. 426 del
1971  fosse anche quella di «assicurare la migliore funzionalita' del
servizio»  ed «il rispetto della libera concorrenza» (artt. 11 e 12),
scopi  peraltro  condizionati  dalla  circostanza  che le norme erano
dirette   anche   a   proteggere  e  garantire  gli  interessi  degli
imprenditori gia' presenti sul mercato.
   La  regolamentazione  della  distribuzione  commerciale  e'  stata
significativamente innovata dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma
della   disciplina   relativa  al  settore  del  commercio,  a  norma
dell'articolo  4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), emanato
quando  la  competenza  legislativa delle Regioni in tema di «fiere e
mercati»  non  era  estesa anche alla materia «commercio» (per tutte,
sentenze  n. 206  e  n. 205  del  2001),  nella  quale e' stato detto
decreto ad attribuire loro nuovi e piu' ampi compiti.
   Il  d.lgs.  n. 114 del 1998 ha espressamente posto quali finalita'
della  disciplina  in  materia  di commercio, tra le altre, quelle di
realizzare  «la  trasparenza del mercato, la concorrenza, la liberta'
di  impresa  e la libera circolazione delle merci», «l'efficienza, la
modernizzazione  e  lo  sviluppo  della  rete  distributiva,  nonche'
l'evoluzione  tecnologica dell'offerta» (art. 1, comma 3, lettere a e
c).  Cio' era coerente con gli orientamenti che, sin dallinizio degli
anni  90, avevano segnalato lesigenza di una riforma della disciplina
della  distribuzione  commerciale,  al  fine  di  rimuovere vincoli e
privilegi,  realizzando  una maggiore eguaglianza di opportunita' per
tutti gli operatori economici.
   L'intento  avuto  di  mira  con detto decreto legislativo e' stato
dunque   di   «favorire  l'apertura  del  mercato  alla  concorrenza»
(sentenza  n. 64 del 2007), garantendo i mercati ed i soggetti che in
essi operano.
   La  disposizione  censurata  si  inserisce  nel  quadro  di questo
processo  di  modernizzazione,  all'evidente  scopo  di  rimuovere  i
residui  profili  di  contrasto  della  disciplina  di settore con il
principio della libera concorrenza. E il presupposto logico su cui la
stessa normativa si fonda e' che il conseguimento degli equilibri del
mercato    non    puo'   essere   predeterminato   normativamente   o
amministrativamente,   mediante  la  programmazione  della  struttura
dell'offerta,   occorrendo   invece,   al   fine   di  promuovere  la
concorrenza,  eliminare  i  limiti  ed i vincoli sui quali ha appunto
inciso  la  norma,  che  ha  quindi  fissato  le  condizioni ritenute
essenziali  ed imprescindibili per garantire l'assetto concorrenziale
nel mercato della distribuzione commerciale.
   Infatti,  sono  allevidenza  strumentali  rispetto  a questo scopo
tutte  le  prescrizioni  recate  dal  citato  comma  1  dell'art.  3,
analiticamente  sopra riportate (§ 3), in quanto dirette a rimuovere
limiti  allaccesso  al  mercato,  sia soggettivi - fatti salvi quelli
imposti  dalla  tutela  di interessi generali (comma 1, lettera a) -,
sia   riferiti  alla  astratta  predeterminazione  del  numero  degli
esercizi  (comma  1,  lettera  b),  sia  concernenti  le modalita' di
esercizio  dell'attivita', nella parte influente sulla competitivita'
delle imprese (comma 1, lettere c
, d, e, ed f e comma 2), anche allo scopo di ampliare la tipologia di
esercizi  in  concorrenza (comma 1, lettera f-bis), mentre il comma 3
neppure  concerne  le Regioni ed il comma 4 reca una prescrizione che
costituisce  il naturale effetto dellinderogabilita' della norma, una
volta  ricondotta la materia all'art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.
   Si  tratta  dunque  di  prescrizioni  coerenti  con  lobiettivo di
promuovere  la  concorrenza,  risultando  proporzionate allo scopo di
garantire  che le attivita' di distribuzione dalle stesse considerate
possano  essere  svolte  con  eguali condizioni. Questa finalita' ha,
infatti, reso necessario fissare i presupposti in grado di assicurare
l'organizzazione  concorrenziale del mercato, con quella specificita'
ineludibile a garantirne il conseguimento.
   Ritenuto che il titolo di competenza in esame rende non fondata la
questione,   non   e'  necessario  esaminare  i  profili  concernenti
leventuale   riconducibilita'   della  materia  ad  altri  titoli  di
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
   4.  -  L'art.  5  del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge
n. 248 del 2006, e' stato impugnato da entrambe le ricorrenti.
   La   Regione   Veneto,   con   il   primo  ricorso,  ha  censurato
esclusivamente  il comma 2; con il secondo ricorso, avente ad oggetto
la  norma  nel testo risultante dalla legge di conversione, ha invece
dedotto  lillegittimita'  anche del comma 1, senza pero' svolgere, in
riferimento   a   detta   norma,   censure   sorrette  da  specifiche
argomentazioni. La questione avente ad oggetto il comma 1 e', quindi,
inammissibile, dato che nei giudizi di legittimita' costituzionale in
via  principale  lesigenza  di  una  adeguata  motivazione a sostegno
dellimpugnativa si pone in termini anche piu' pregnanti che in quelli
in  via  incidentale (per tutte, sentenze n. 165 del 2007, n. 139 del
2006 e n. 450 del 2005).
   La  Regione  Siciliana,  sebbene  abbia fatto generico riferimento
all'art.  5,  ha  argomentato  in  ordine all'illegittimita' del solo
comma  2,  che  e'  dunque l'unica norma che deve ritenersi impugnata
dalla ricorrente.
   Le   censure   svolte  nella  memoria  depositata  in  prossimita'
delludienza  pubblica, anche con riferimento a parametri non indicati
nel   ricorso   (art.   119  Cost.),  non  possono  essere  prese  in
considerazione,    in    quanto   siffatta   memoria   e'   destinata
esclusivamente  ad  illustrare e chiarire le ragioni svolte nell'atto
introduttivo,  non  essendo  possibile  con  essa  dedurne  di  nuove
(sentenze n. 246 del 2006, n. 286 del 2004 e n. 337 del 2001).
   In  relazione  al  ricorso proposto da detta ricorrente, non puo',
infine,  ritenersi rilevante la cosiddetta «clausola di salvaguardia»
contenuta  nel  comma  1-bis  dell'art.  1  del d.l. n. 223 del 2006,
introdotto  dalla  legge  di  conversione n. 248 del 2006. Va infatti
ribadita  linidoneita'  di  una  tale clausola ad escludere, in linea
generale,  la possibile lesivita' della norma, qualora, come nel caso
in  esame,  sia  caratterizzata  da  genericita'  e sia contenuta nel
contesto  di  una  legge  recante  numerose disposizioni, concernenti
materie  ed  oggetti  diversi,  senza  alcuna puntuale indicazione in
ordine  a  quelle  che  dovrebbero  ritenersi  non  applicabili  alla
ricorrente,  per  incompatibilita'  con lo statuto speciale (sentenze
n. 165 del 2007; n. 134 e n. 118 del 2006).
   4.1  -  Il citato art. 5 ha stabilito che gli esercizi commerciali
di  cui  all'articolo 4, comma 1, lettere d), e) ed f), del d.lgs. 31
marzo  1998,  n. 114,  possono  effettuare  attivita'  di  vendita al
pubblico  dei  farmaci  da  banco  o  di automedicazione e di tutti i
farmaci  o  prodotti  non soggetti a prescrizione medica, disponendo,
nel  comma  ritualmente  impugnato,  che  la  vendita  «e' consentita
durante  lorario  di apertura dellesercizio commerciale e deve essere
effettuata  nellambito  di  un  apposito reparto, alla presenza e con
lassistenza  personale  e diretta al cliente di uno o piu' farmacisti
abilitati  allesercizio  della  professione  ed  iscritti al relativo
ordine.  Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e
le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci».
   La  Regione Veneto deduce che siffatta disciplina mira a garantire
vantaggi  per  i  consumatori,  in  termini  di  prezzi e di orari di
apertura   degli   esercizi,   essendo   marginale  la  finalita'  di
«controllare  l'accesso  dei  cittadini  ai prodotti medicinali» e di
regolamentare  l'attivita'  professionale  dei  farmacisti.  La norma
riguarderebbe   dunque   la   materia  «commercio»,  attribuita  alla
competenza  legislativa residuale delle Regioni, e, conseguentemente,
si  porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  117,  comma  quarto, Cost.,
violando anche, ad avviso della Regione Siciliana, l'art. 14, lettera
d),  dello  statuto  regionale,  che  attribuisce  detta materia alla
propria competenza legislativa esclusiva.
   Secondo entrambe le ricorrenti, qualora la disciplina in esame sia
invece  ricondotta  alla  organizzazione del servizio farmaceutico, e
cioe'  alla  materia  «tutela  della salute», la disposizione sarebbe
comunque   illegittima,   in   quanto   conterrebbe  disposizioni  di
dettaglio,   insuscettibili   di  ulteriori  sviluppi  normativi,  in
violazione  dellart.  117,  terzo  comma,  Cost.  Tale  parametro  e'
ritenuto applicabile dalla Regione Siciliana la quale, implicitamente
evocando  lart.  10  della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda della Costituzione),
deduce  che la norma si porrebbe in contrasto altresi' con l'art. 17,
lettere  b)  e  c),  dello  statuto regionale, che attribuiscono alla
propria  competenza  legislativa  concorrente  le  materie  igiene  e
sanita' pubblica ed assistenza sanitaria.
   Infine,  ad  avviso di questultima ricorrente, la norma recherebbe
vulnus
all'art.   117,   terzo   comma,  Cost.,  in  quanto  disciplina  con
disposizioni di dettaglio lattivita' svolta dai farmacisti, avendo il
d.   lgs.   2   febbraio  2006,  n. 30,  gia'  stabilito  i  principi
fondamentali nella materia delle «professioni».
   4.2. - La questione non e' fondata.
   4.2.1.   -  La  disposizione,  interpretata  in  applicazione  del
criterio  sopra  indicato concernente lidentificazione della materia,
e'  riconducibile  al  servizio farmaceutico, in quanto disciplina la
vendita dei farmaci e la modalita' con la quale questa deve avvenire.
Detto  servizio,  come  risulta  dal  complesso  delle  leggi  che lo
regolano  (tra  le altre, la legge 2 aprile 1968, n. 475, ed il d. P.
R.  21  agosto  1971,  n. 1275),  e'  infatti  preordinato al fine di
assicurare  una adeguata distribuzione dei farmaci, costituendo parte
della  piu'  vasta  organizzazione predisposta a tutela della salute.
Nellambito   di   detto   servizio,   una   risalente  disciplina  ha
costantemente  regolamentato in dettaglio la produzione e la messa in
commercio  dei  farmaci,  riservandone la vendita ai farmacisti (art.
122  del  regio  decreto 27 luglio 1934, n. 1265), da ultimo anche in
riferimento  ai  medicinali di automedicazione, allorche' ne e' stato
ammesso  il  libero  e  diretto  accesso da parte dei cittadini (art.
9-bis  del  decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito dalla
legge 16 novembre 2001, n. 405).
   La  giurisprudenza  di questa Corte, con orientamento consolidato,
ha  piu'  volte  affermato  che, ai fini del riparto delle competenze
legislative  previsto  dallarticolo  117  Cost.,  la  «materia» della
organizzazione  del servizio farmaceutico, va ricondotta al titolo di
competenza  concorrente  della  «tutela  della salute», come peraltro
gia'  avveniva  sotto  il regime anteriore alla modifica del titolo V
della parte seconda della Costituzione. La complessa regolamentazione
pubblicistica  dellattivita' economica di rivendita dei farmaci mira,
infatti,  ad  assicurare  e  controllare  laccesso  dei  cittadini ai
prodotti  medicinali  ed  in  tal  senso  a  garantire  la tutela del
fondamentale  diritto  alla  salute,  restando  solo marginale, sotto
questo profilo, sia il carattere professionale, sia l'indubbia natura
commerciale dell'attivita' del farmacista (sentenze n. 448 del 2006 e
n. 87  del 2006; nonche' sentenze n. 275 e n. 27 del 2003), dei quali
pure  si  occupa la norma. Analogamente il divieto di concorsi, delle
operazioni  a  premio e delle vendite sotto costo aventi ad oggetto i
farmaci,  peraltro  stabilito  nel  quadro  di  una  legge diretta ad
eliminare  vincoli  e  restrizioni  nellesercizio  delle attivita' di
distribuzione  commerciale,  e'  palesemente  ispirato dallintento di
assicurare  modalita'  della  vendita  coerenti  con  la funzione dei
prodotti  e  con  la  tutela  della  salute,  e  cioe' di evitare che
lacquisto  dei medicinali possa essere influenzato da ragioni diverse
da quelle della loro indispensabilita' ai fini terapeutici.
   L'interferenza  va,  quindi,  composta facendo ricorso al criterio
della  prevalenza,  applicabile appunto quando risulti evidente, come
nella  specie,  l'appartenenza del nucleo essenziale della disciplina
alla  materia  «tutela  della  salute»  (sentenze n. 422 e n. 181 del
2006; n. 135 e n. 50 del 2005).
   Relativamente al ricorso della Regione Siciliana, va ribadito che,
a  norma  dellart.  17,  lettera  b)  dello  statuto di autonomia, la
potesta'  legislativa  regionale  in materia di «sanita' pubblica» si
esercita  «entro  i  limiti dei principi ed interessi generali cui si
informa  la  legislazione dello Stato», coincidendo lampiezza di tale
competenza con quella delle Regioni a statuto ordinario in materia di
«tutela  della  salute», con la conseguenza che i «principi generali»
della  materia  ai  quali  deve  attenersi  la legislazione siciliana
corrispondono  ai  «principi fondamentali» che, nella stessa materia,
vincolano le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 448 del 2006).
   Orbene,  la  disposizione  in esame, nello stabilire la disciplina
sopra  indicata,  configura  una  norma di principio, con conseguente
infondatezza  delle  censure svolte dalle ricorrenti. Il rapporto tra
norma «di principio» e norma «di dettaglio» va certo inteso nel senso
che  alla  prima  spetta  prescrivere  criteri  ed obiettivi, essendo
riservata  alla  seconda  lindividuazione degli strumenti concreti da
utilizzare  per  raggiungere  detti  obiettivi  (sentenza  n. 181 del
2006).  Tuttavia,  la  specificita'  delle  prescrizioni, di per se',
neppure  vale  ad  escludere il carattere «di principio» della norma,
qualora  esse  risultino  legate  al principio stesso «da un evidente
rapporto  di  coessenzialita' e di necessaria integrazione» (sentenza
n. 355  del  1994),  come  appunto si riscontra nel caso in esame. La
specificita' delle disposizioni e' necessaria per esprimere la regola
generale  che deve presiedere alla vendita dei medicinali, al fine di
garantire  che  avvenga  con  modalita' che non siano pregiudizievoli
della fondamentale esigenza della tutela della salute.