Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 6,
lettera  a),  della  legge  27  dicembre  1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione  della  finanza  pubblica), promosso dal Tribunale di
Trieste,  nei procedimenti civili riuniti vertenti tra A. M. ed altri
e  Poste Italiane s.p.a. ed altri, con ordinanza del 24 ottobre 2006,
iscritta  al  n. 331  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 19, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2007.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7  novembre 2007 il giudice
relatore Francesco Amirante.
Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Trieste, in funzione di giudice del
lavoro,  nel  corso di una serie di giudizi, successivamente riuniti,
in  cui i ricorrenti, ex dipendenti di Poste Italiane s.p.a. da epoca
precedente  al  28  febbraio  1998,  avevano convenuto in giudizio le
Poste  Italiane e l'IPOST - chiedendo l'accertamento del loro diritto
alla  rivalutazione della somma accantonata a titolo di indennita' di
buonuscita  a  partire  dalla  data di trasformazione dell'Ente Poste
Italiane  in societa' per azioni sino alla cessazione del rapporto di
lavoro -  ha  sollevato  questione di legittimita' costituzionale, in
riferimento  agli  artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dell'art. 53,
comma 6, lettera a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per
la  stabilizzazione  della  finanza pubblica), nella parte in cui non
prevede  che  l'indennita'  di  buonuscita  dei  dipendenti  postali,
maturata  alla data del 28 febbraio 1998 e calcolata sulla base della
retribuzione  in  quel  momento  percepita,  debba essere annualmente
rivalutata,  secondo  i criteri di cui all'art. 2120, quarto e quinto
comma, del codice civile, in relazione all'art. 5, primo comma, della
legge  29  maggio  1982,  n. 297  (Disciplina del trattamento di fine
rapporto  e norme in materia pensionistica), a far tempo dal 1° marzo
1998  sino  alla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  del  singolo
dipendente;
che,  osserva  il  giudice a quo, l'indennita' di buonuscita maturata
sino  alla  data  di  trasformazione  dell'Ente  Poste  Italiane,  e'
calcolata  secondo la disciplina vigente prima della privatizzazione,
in   base  al  d.P.R.  29  dicembre  1973,  n. 1032,  venendo  quindi
accantonata  per  andare ad aggiungersi, alla cessazione del rapporto
di   lavoro,   alle   somme  maturate  nel  periodo  successivo  alla
trasformazione,  a  titolo  di trattamento di fine rapporto (t.f.r.),
calcolato  secondo  la  disciplina  introdotta dalla legge n. 297 del
1982,   senza   che   nulla   sia  previsto  circa  il  diritto  alla
rivalutazione dell'indennita' cosi' accantonata;
che  il  remittente  rileva come l'art. 2120 cod. civ., prevedendo un
tasso   di  incremento  annuale  delle  quote  calcolate  negli  anni
precedenti,  assicuri  un  sia pur parziale adeguamento ai livelli di
inflazione,  mentre  il  meccanismo  previsto  dalla  norma impugnata
risulterebbe  lesivo dell'art. 3 Cost., sia perche' non garantisce al
personale   delle   Poste   quanto   attribuito  a  tutti  gli  altri
dipendenti -  tanto del settore privato, al momento del passaggio dal
regime  dell'indennita' di anzianita' a quello del t.f.r., quanto del
settore  pubblico - sia perche' determina un'irragionevole disparita'
di trattamento nell'ambito degli stessi dipendenti postali;
che,  in  particolare,  sarebbero  danneggiati  i  lavoratori i quali
cessino   il   rapporto   di   lavoro   a   notevole  distanza  dalla
trasformazione  delle  Poste in societa' per azioni, trovandosi pero'
ad essere gia' dipendenti dell'ente da molti anni prima, in quanto in
tal  caso  la somma maturata a titolo di indennita' di buonuscita non
sarebbe piu' adeguata al costo della vita al momento dell'erogazione,
coincidente con quello della cessazione del rapporto;
che,  inoltre,  la norma si porrebbe in contrasto con l'art. 36 Cost.
per  la  lesione  del diritto all'adeguamento al costo della vita dei
crediti   del   lavoratore,   e   cioe'   di  un  principio  generale
dell'ordinamento  lavoristico,  sancito  dall'art.  429 del codice di
procedura   civile  ed  essenziale  per  conservare  il  rapporto  di
proporzionalita'  tra  retribuzione  e quantita' del lavoro, il quale
richiede  di  essere  riferito  ai  valori  reali  di entrambi i suoi
termini;
che,   infine,   considerata  la  natura  anche  previdenziale  delle
indennita'  terminative  del  rapporto  di  lavoro, sarebbe leso pure
l'art.  38,  secondo  comma,  Cost.,  nella  parte in cui prevede che
vengano  assicurati  al  lavoratore,  in  caso  di  vecchiaia,  mezzi
adeguati  alle  esigenze  di  vita,  e cio' in quanto il principio di
adeguatezza (e sufficienza) presuppone criteri di rivalutazione della
prestazione  idonei  a  garantire  il  permanere nel tempo del valore
reale della prestazione stessa;
che  e'  intervenuto  in  giudizio  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  concludendo per la manifesta infondatezza della questione, in
quanto  la  prospettazione comporterebbe una «contaminazione» tra due
sistemi previdenziali autonomi succedutisi nel tempo, con conseguente
arbitrario  innesto,  in  via "additiva", di un sistema sull'altro, i
cui  effetti  discriminanti  risulterebbero  produttivi  di un ibrido
sistema di calcolo.
Considerato  che  il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del
lavoro,  dubita,  in  riferimento  agli artt. 3, 36 e 38 Cost., della
legittimita'  costituzionale dell'art. 53, comma 6, lettera a), della
legge  27  dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della
finanza pubblica), nella parte in cui non prevede che l'indennita' di
buonuscita dei dipendenti postali, maturata alla data del 28 febbraio
1998  e  calcolata  sulla  base  della retribuzione percepita in quel
momento, debba essere annualmente rivalutata secondo i criteri di cui
all'art.  2120,  quarto  e  quinto  comma,  cod.  civ.,  in relazione
all'art. 5, primo comma, della legge n. 297 del 1982, a far tempo dal
1° marzo 1998 sino alla cessazione del rapporto di lavoro del singolo
dipendente;
che,  successivamente  all'emissione  dell'ordinanza  di  rimessione,
questa Corte, con sentenza 9 novembre 2006, n. 366, ha dichiarato non
fondata analoga questione;
che il giudice a quo non fornisce alcun argomento diverso o ulteriore
rispetto  a quelli a suo tempo esaminati, tale non potendosi ritenere
il richiamo all'art. 38 Cost., anche con riguardo al quale valgono le
considerazioni di cui alla citata sentenza;
che,  infatti,  anche  in  riferimento  alla  funzione  previdenziale
dell'indennita'  di buonuscita, deve essere ribadita la necessita' di
considerare  la globalita' degli emolumenti e non la singola voce, il
cui  criterio  di  computo  va, a sua volta, valutato nel complessivo
ambito   dell'intervento  normativo  di  trasformazione  dell'azienda
postale con la garanzia della continuita' dei rapporti di lavoro;
che,  in proposito, occorre sottolineare come l'art. 38 Cost. rimetta
alla  discrezionalita' legislativa le determinazione di tempi, modi e
misura   delle  prestazioni  sociali,  sulla  base  di  un  razionale
contemperamento    con    la    soddisfazione    di   altri   diritti
costituzionalmente  garantiti  (si  vedano,  per  tutte,  le sentenze
n. 426 del 2006 e n. 3 del 2007);
che la questione va, quindi, dichiarata manifestamente infondata.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.