Ordinanza
nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale   degli  artt.  1
(sostitutivo  dell'art.  593  del  codice  di  procedura  penale),  2
(modificativo  dell'art.  443  del  codice  di procedura penale) e 10
della  legge 20 febbraio 2006 n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento),  promosso  con  ordinanza  del  30 marzo 2006 dalla
Corte  d'appello  di  Cagliari -  Sezione  distaccata di Sassari, nel
procedimento  penale  a  carico  di  M.V.A.A., iscritta al n. 485 del
registro  ordinanze  2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 13 febbraio 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe, la Corte
d'appello  di  Cagliari - Sezione distaccata di Sassari ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt.  3,  27,  terzo  comma,  111 e 112 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1
e  2  della  legge  20  febbraio  2006, n. 46 (Modifiche al codice di
procedura  penale,  in  materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento),  nella  parte  in  cui  non  consentono al pubblico
ministero  di  proporre appello avverso le sentenze dibattimentali di
proscioglimento  e le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di
giudizio abbreviato, nonche' dell'art. 10 della medesima legge;
     che la Corte d'appello rimettente - premesso di essere investita
dell'impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso la sentenza
di  non  doversi  procedere  per  difetto di querela, pronunciata dal
Giudice  dell'udienza  preliminare  del Tribunale di Sassari - rileva
che  l'appello  dovrebbe  essere  dichiarato  inammissibile  ai sensi
dell'art.  10  della  legge  n. 46 del 2006, in quanto anteriore alla
data di entrata in vigore della legge;
     che,  nel merito, la soppressione dell'appello delle sentenze di
proscioglimento,  operata  dalla  legge n. 46 del 2006, violerebbe il
principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e il principio di parita' fra
le  parti  (art.  111,  Cost.), in quanto priva il pubblico ministero
della  possibilita'  di impugnare le sentenze di proscioglimento «con
lo  stesso  mezzo  riconosciuto  all'imputato  avverso le sentenze di
condanna»;   cosi'   introducendo  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento  in  danno della pubblica accusa e alterando l'equilibrio
dei poteri processuali delle parti;
     che    l'eliminazione    dell'appello    delle    sentenze    di
proscioglimento    non    sarebbe   assistita   da   alcuna   ragione
giustificatrice,  come invece affermato dalla Corte costituzionale in
relazione   ai   limiti   all'appello   delle  sentenze  di  condanna
pronunciate all'esito del giudizio abbreviato;
     che,  infatti,  per  le  «sentenze di assoluzione», ivi comprese
quelle  pronunciate  a  seguito  di  rito  abbreviato, la preclusione
dell'appello  non  potrebbe  dirsi ragionevole, «stante il perdurante
interesse  della  parte  pubblica  all'accertamento  della verita' (e
quindi  della  responsabilita'  dell'imputato  che  dall'acclaramento
della verita' possa risultare)»;
     che il contrasto tra la disciplina censurata e gli artt. 3 e 111
Cost.  appare,  a  giudizio  della Corte d'appello rimettente, ancora
piu'  evidente  se  si considera che alla parte civile (e, dunque, ad
una  parte  privata  del  processo) e' stato invece conservato, anche
dopo le modifiche recate dalla legge n. 46 del 2006 all'art. 576 cod.
proc.  pen.,  il  potere  di  proporre appello avverso le sentenze di
assoluzione;
     che, infine, la Corte d'appello rimettente ritiene violati anche
gli artt. 112 e 27, terzo comma, Cost., in quanto la eliminazione del
potere  di  appello  del  pubblico  ministero  avverso le sentenze di
assoluzione incide, rendendola «piu' difficoltosa», sulla «attuazione
della  ricerca  della  verita'  e,  quindi  dell'istanza di giustizia
propria  della  collettivita», di cui sono «espressione» il principio
della  obbligatorieta'  dell'azione penale e il principio secondo cui
la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
   Considerato   che   la   Corte  d'appello  di  Cagliari -  Sezione
distaccata  di Sassari dubita, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo
comma,   111   e   112   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale  degli artt. 1 e 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46
(Modifiche   al   codice   di   procedura   penale,   in  materia  di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui  non consentono al pubblico ministero di proporre appello avverso
le sentenze di proscioglimento pronunciate all'esito del dibattimento
e  le  sentenze  di  proscioglimento  emesse  a  seguito  di giudizio
abbreviato, nonche' dell'art. 10 della medesima legge;
     che gli artt. 1 e 2 censurati hanno, rispettivamente, sostituito
l'art.  593  del  codice di procedura penale e modificato l'art. 443,
comma  1,  dello  stesso  codice,  con  la eliminazione del potere di
proporre  appello  avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate
all'esito del dibattimento o emesse a seguito di giudizio abbreviato;
mentre l'art. 10 prevede l'immediata applicabilita' di tale regime ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge;
     che  dalla  stessa  ordinanza di rimessione risulta che la Corte
d'appello  rimettente e' investita dell'appello proposto dal pubblico
ministero  avverso  la sentenza di non luogo procedere per difetto di
querela  pronunciata,  ai  sensi  dell'art.  425 cod. proc. pen., dal
giudice   per   le  indagini  preliminari,  in  funzione  di  giudice
dell'udienza preliminare;
     che  il  regime  di  impugnazione  delle sentenze di non luogo a
procedere,  disciplinato  dall'art.  428  cod.  proc.  pen., e' stato
modificato dall'art. 4 della legge n. 46 del 2006, non impugnato;
     che, dunque, la Corte d'appello di Cagliari - Sezione distaccata
di  Sassari  sottopone  a scrutinio di costituzionalita' norme di cui
non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
     che  l'inesatta  indicazione  della  norma  oggetto  di  censura
(aberratio  ictus)  implica,  per  costante  giurisprudenza di questa
Corte,  la  manifesta  inammissibilita' della questione (ex plurimis,
ordinanze nn. 461, 459 e 384 del 2007).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.