Sentenza
nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera del senato della Repubblica del 30
gennaio  2007  (doc. IV-ter, n. 1) relativa alla insindacabilita', ai
sensi  dell'art.  68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni
espresse  dal  senatore  Raffaele  Iannuzzi nei confronti di Domenico
Geraci,  promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Milano, notificato il 4 dicembre 2007, depositato in
cancelleria  il  13  dicembre  2007  ed iscritto al n. 8 del registro
conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di merito.
   Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
   Udito nell'udienza pubblica del 15 aprile 2008 il giudice relatore
Paolo  Maria  Napolitano,  sostituito per la redazione della sentenza
dal Presidente Franco Bile;
   Udito l'avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.
                          Ritenuto in fatto
   1. -  Con  atto  del  12 giugno 2007, depositato nella cancelleria
della Corte il 20 giugno 2007, il Giudice per le indagini preliminari
(G.I.P.)   del   Tribunale   di   Milano  ha  promosso  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica  in relazione alla deliberazione del 30 gennaio 2007 (doc.
IV-ter,  n. 1)  con  la quale, in conformita' alla proposta formulata
dalla  Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, e' stato
dichiarato che i fatti per i quali e' in corso un procedimento penale
a  carico del senatore Raffaele Iannuzzi per il reato di diffamazione
a  mezzo  stampa  costituiscono  opinioni  espresse  da un membro del
Parlamento   nell'esercizio   delle  sue  funzioni  e  sono  pertanto
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   1.2.  -  Riferisce  il  giudice  ricorrente  che  il  procedimento
pendente  davanti  a se' vede imputato il senatore Iannuzzi del reato
di  diffamazione  commessa col mezzo della stampa per avere offeso la
memoria  del  defunto  sindacalista  Domenico Geraci - gia' dirigente
provinciale  dell'associazione sindacale UIL - nell'articolo, a firma
dello  stesso  senatore, pubblicato sul settimanale «Panorama» del 10
ottobre 2002 e intitolato «Il codice segreto dell'ultimo pentito». In
particolare,  dal  capo  di  imputazione  riprodotto  dal  ricorrente
risultano  le seguenti affermazioni: «... Il boss di Caccamo del '98,
un  sindacalista  molto discusso, che avrebbe fatto da tramite tra la
mafia  ed  ambienti  di  sinistra (si disse perfino che Geraci era su
quello  stesso  aereo  su  cui  viaggiavano da Palermo a Roma Luciano
Violante e Giovanni Brusca) ...».
   Rileva  il G.I.P. del Tribunale di Milano che il procedimento trae
origine dalla querela proposta dai signori Giuseppe Geraci e Vincenza
Scimeca,  rispettivamente  figlio  e  vedova  di Domenico Geraci, nei
confronti  del  sen.  Iannuzzi,  in  ragione delle opinioni da questi
manifestate nell'articolo sopra menzionato. Precisa il ricorrente che
i  querelanti  lamentano  che il loro congiunto - ucciso nell'ottobre
del 1998 - sia stato indicato come «sindacalista molto discusso», che
«avrebbe  fatto  da  tramite  tra  la mafia ed ambienti di sinistra»;
affermazioni da essi ritenute diffamatorie in quanto costituenti «una
gravissima   offesa   alla   memoria  del  defunto,  offendendone  la
personalita' morale, delineandone una collocazione criminale».
   Osserva,  quindi,  il ricorrente che - allo stato degli atti - non
risulterebbe  «provata  la verita' oggettiva dei fatti riferiti», ne'
sarebbe  possibile  «registrare  un  effettivo  rigore  nel  modo  di
riportare  i fatti per come appaiono emergere dalle fonti»; cosi' che
«appare  sussistere  una fattispecie a soluzioni aperte meritevole di
approfondimento  dibattimentale  e  cio'  anche  al fine di accertare
l'effettiva verita' dei fatti esposti».
   Nel  riprodurre  uno  stralcio  della relazione della Giunta delle
elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari,  rileva il G.I.P. che la
Giunta  ed  il  Senato avrebbero individuato, quali atti tipici delle
funzioni  parlamentari  posti  in  essere  dal  senatore  Iannuzzi, a
dimostrazione  della sussistenza del «nesso funzionale» esistente tra
questi  ed  i  fatti  oggetto del procedimento, due disegni di legge,
presentati  dal parlamentare, rispettivamente, il 25 giugno 2003 e il
19   febbraio   2004,  inerenti  la  gestione  dei  collaboratori  di
giustizia.  La Giunta e il Senato avrebbero quindi ritenuto «di dover
porre  l'accento  sul  fatto,  incontestabile  e ampiamente noto, che
l'impegno  politico  e  parlamentare  del  senatore Iannuzzi sui temi
della   criminalita'   mafiosa   e   del  contrasto  alla  stessa  ha
rappresentato  -  e  rappresenta  -  in  certo  qual modo la naturale
proiezione  del suo impegno giornalistico e che tale impegno ha avuto
ad   oggetto   in   modo   sostanzialmente   esclusivo   le  predette
problematiche.  ...  non  si  vede  come  si possa negare al senatore
Iannuzzi  l'insindacabilita'  ai sensi dell'art. 68 primo comma della
Costituzione,   per  le  dichiarazioni  contenute  nell'articolo  qui
specificamente  considerato, articolo relativo a una vicenda - quella
del  pentito  Giuffre' - che rientra senz'altro tra quei temi che, da
sempre   sono   stati   al   centro  dell'attivita'  giornalistica  e
dell'impegno politico dello stesso senatore».
   Il ricorrente ritiene di non condividere la soluzione adottata dal
Senato  della  Repubblica in quanto in contrasto con quanto affermato
da  numerose  sentenze  della  Corte  costituzionale  (sono citate le
sentenze  n. 10  e  n. 11  del 2000; n. 52, n. 207 e n. 294 del 2002;
n. 120 del 2004; n. 373 del 2006; n. 96 e n. 151 del 2007).
   1.3.  -  Il  giudice  ricorrente  conclude  quindi  nel  senso che
l'impugnata  deliberazione  del Senato della Repubblica non appare in
linea  con  i canoni interpretativi fatti propri dalla giurisprudenza
costituzionale,  cosi'  come delineati, atteso che essa «non contiene
alcun  elemento  concreto da cui poter desumere la sussistenza di una
corrispondenza  sostanziale  tra  i  contenuti degli articoli oggetto
delle  querele  e le opinioni gia' espresse dal senatore in specifici
atti  parlamentari,  non  essendo  sufficiente  una mera comunanza di
tematiche   e  un  generico  riferimento  alla  rilevanza  dei  fatti
pubblici».  Pertanto,  lo  stesso,  sospeso il giudizio, ha sollevato
conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato nei confronti del
Senato  della  Repubblica,  chiedendo  alla  Corte  costituzionale di
dichiarare    che    non    spettava    a    quest'ultimo   affermare
l'insindacabilita',  a  norma dell'art. 68, primo comma, Cost., delle
dichiarazioni attribuite al senatore Iannuzzi e, conseguentemente, di
annullare  la deliberazione adottata nella seduta del 30 gennaio 2007
(doc. IV-ter, n. 1).
   2.  - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 399  del  2007,  depositata in cancelleria il 23 novembre 2007. Il
ricorrente  ha  provveduto  a notificarla al Senato della Repubblica,
unitamente  all'atto  introduttivo  del  giudizio, in data 4 dicembre
2007. Il conseguente deposito e' stato effettuato in data 13 dicembre
2007.
   2.1.  -  Si  e' costituito in giudizio il Senato della Repubblica,
depositando  documenti  e  svolgendo  deduzioni,  a conclusione delle
quali  ha  chiesto  che  la Corte dichiari il ricorso «inammissibile,
improcedibile e comunque infondato».
   La difesa del Senato della Repubblica contesta, in particolare, la
fondatezza   del   ricorso  proposto  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Milano.  Secondo  la  stessa difesa,
l'Assemblea  del  Senato e la Giunta delle elezioni e delle immunita'
parlamentari,  facendo  esplicito  riferimento  ai principi enunciati
dalla  giurisprudenza della Corte costituzionale, hanno correttamente
ricondotto   nell'ambito   dell'art.   68,  primo  comma,  Cost.,  le
affermazioni  rese  dal  senatore  Iannuzzi  nell'articolo  di stampa
pubblicato a sua firma dal settimanale « Panorama».
   2.2.  -  La  difesa sottolinea che il Senato della Repubblica, nel
deliberare  di  costituirsi  nel  presente  giudizio,  ha  tenuto ben
presenti  gli  orientamenti  della  giurisprudenza  costituzionale in
materia  di  insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, Cost.,
giurisprudenza   secondo  la  quale  non  dovrebbe  mai  mancare  una
«sostanziale  corrispondenza tra le dichiarazioni rese extra moenia e
quelle  rese [...] intra moenia» (sentenza n. 416 del 2006 e sentenza
n. 193  del  2005;  sono  menzionate, inoltre, le sentenze n. 260 del
2006, n. 347 del 2004, n. 283 del 2002 e n. 10 del 2000).
   Infatti,   proprio   tale   sostanziale   corrispondenza   tra  le
dichiarazioni  rese  extra  moenia  e  l'attivita'  parlamentare  del
senatore  Iannuzzi,  la Giunta, prima, e l'Assemblea del Senato, poi,
avrebbero  ravvisato,  «in  particolare  attraverso  la  Relazione al
Disegno  di  Legge  n. 2292 e la Relazione alla Proposta di inchiesta
parlamentare di cui al Doc. XXII n. 25».
   La difesa del Senato evidenzia ancora come, nella piena coscienza,
da  parte  del  Senato della Repubblica, dell'indirizzo seguito dalla
giurisprudenza    costituzionale    e    nella   consapevolezza   che
«l'interpretazione  fornita  nel  caso  concreto dai propri organi si
pone  ai  limiti  dell'indirizzo  rigoroso piu' volte ribadito» dalla
Corte  costituzionale,  si  fosse  sottolineata  la  possibilita'  di
chiedere,  in  relazione al presente conflitto, «che venga effettuata
una   puntualizzazione  dell'indirizzo»  della  Corte  costituzionale
«verso  una piu' larga concezione, sul piano sostanziale, della ratio
delle  prerogative  che  l'art.  68,  primo comma, Cost. riconosce al
parlamentare,  per garantirne in modo pieno l'autonomia di giudizio e
di divulgazione delle sue iniziative».
   3.   -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  il  Senato  della
Repubblica  ha depositato memoria, illustrando le precedenti difese e
insistendo  affinche'  la  Corte dichiari il ricorso «inammissibile e
comunque infondato».
   3.1.  -  In  via  preliminare,  la  difesa  del  Senato  eccepisce
l'inammissibilita'  del ricorso, in ragione del fatto che l'autorita'
giudiziaria   ricorrente   non  avrebbe  correttamente  riportato  le
dichiarazioni  del  senatore  Iannuzzi  della cui insindacabilita' si
controverte.
   3.2.  -  Quanto  al  merito,  la  difesa  del Senato ribadisce gli
argomenti  gia'  esposti  nell'atto  di  costituzione  in  giudizio a
sostegno dell'infondatezza del ricorso.
                       Considerato in diritto
   1. - Il Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) del Tribunale
di  Milano,  con  atto  del  12 giugno 2007, ha proposto conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica  in relazione alla deliberazione del 30 gennaio 2007 (doc.
IV-ter,  n. 1)  con  la quale, in conformita' alla proposta formulata
dalla  Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, e' stato
dichiarato che i fatti per i quali e' in corso un procedimento penale
a  carico  del  senatore  Raffaele  Iannuzzi  costituiscono  opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni  e  sono pertanto insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
   Il  giudice  ricorrente  riferisce che il senatore e' imputato del
reato  di  diffamazione  a  mezzo  stampa  in  relazione al contenuto
dell'articolo  a  sua firma apparso sul settimanale «Panorama» del 10
ottobre  2002,  intitolato  «Il  codice segreto dell'ultimo pentito»,
ritenuto  offensivo  della  memoria del sindacalista Domenico Geraci,
ucciso  nell'ottobre  del  1998. Nel capo di imputazione - riprodotto
dal  ricorrente  nell'epigrafe  dell'atto introduttivo del giudizio -
sono   contestate   al  parlamentare,  in  particolare,  le  seguenti
affermazioni:  «... Il boss di Caccamo del '98, un sindacalista molto
discusso,  che  avrebbe  fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di
sinistra  (si  disse perfino che Geraci era su quello stesso aereo su
cui viaggiavano da Palermo a Roma Luciano Violante e Giovanni Brusca)
...».  Rileva,  peraltro,  il  G.I.P.  del Tribunale di Milano, nella
parte  espositiva del ricorso, che il procedimento pendente davanti a
se' trae origine dalla querela proposta dai signori Giuseppe Geraci e
Vincenza Scimeca, rispettivamente figlio e vedova di Domenico Geraci,
i   quali   lamentano  che  il  loro  congiunto  sia  stato  indicato
nell'articolo  di  stampa  come  «sindacalista  molto  discusso», che
«avrebbe  fatto  da  tramite  tra  la mafia ed ambienti di sinistra»;
affermazioni  ritenute  dai  querelanti  gravemente  offensive  della
memoria  del  proprio  familiare  in  quanto  idonee a delinearne una
collocazione criminale.
   Il  giudice  ricorrente  deduce,  in  sintesi, l'insussistenza dei
presupposti  dell'insindacabilita'  di  cui all'art. 68, primo comma,
Cost.,  mancando  un nesso funzionale tra le predette dichiarazioni e
alcun atto parlamentare del senatore.
   2.  -  Preliminarmente,  deve essere ribadita l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone  i presupposti soggettivi e oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 399 del 2007.
   2.1.   -   Non   e'   fondata,   al   riguardo,   l'eccezione   di
inammissibilita'  formulata  dalla difesa del Senato della Repubblica
sull'assunto   che   il  giudice  ricorrente  non  avrebbe  riportato
correttamente  nell'atto introduttivo del giudizio le espressioni del
senatore sulle quali verte il conflitto.
   In  particolare,  la  difesa del Senato sostiene che il G.i.p. del
Tribunale   di   Milano,   nel   riportare  le  espressioni  ritenute
diffamatorie,  avrebbe  travisato  le  parole  del senatore, il quale
apparirebbe attribuire l'epiteto «il boss di Caccamo» al sindacalista
Domenico  Geraci,  laddove  invece,  come  si  evince  dalla  lettura
dell'articolo  a  sua  firma,  esso  era riferito al pentito Antonino
Giuffre'.
   Nell'atto   introduttivo   del   giudizio  il  giudice  ricorrente
riproduce,  nell'epigrafe  dello  stesso, l'imputazione formulata dal
pubblico   ministero.   In  tale  imputazione,  tra  le  affermazioni
offensive  della memoria del sindacalista Domenico Geraci ascritte al
senatore,  figura  l'epiteto  «il  boss di Caccamo»; espressione che,
dalla  lettura  dell'articolo a firma del parlamentare prodotto dalla
difesa  del  Senato,  risulta  invece  riferita  al  pentito Antonino
Giuffre'.
   Tale   circostanza,   le   cui  eventuali  conseguenze  sul  piano
processuale  spettera' valutare alle competenti autorita' giudiziarie
investite  del  procedimento,  non  e'  pero' tale da determinare una
carenza  dell'atto  introduttivo del giudizio nei prospettati termini
della  inidoneita' dello stesso a consentire l'esatta identificazione
delle dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia.
   Infatti    il   giudice   ricorrente,   dopo   avere   riprodotto,
nell'epigrafe  dell'atto  introduttivo  del  giudizio,  l'imputazione
formulata  dal  pubblico ministero, procede ad esporre le ragioni del
conflitto. In tale esposizione il giudice precisa che l'azione penale
e'  stata esercitata a seguito della proposizione di querela da parte
di  due  prossimi  congiunti  del defunto sindacalista e specifica le
espressioni  - riferite, nell'articolo di stampa, a Domenico Geraci -
ritenute  dai  querelanti  offensive  e  in relazione alle quali essi
hanno  manifestato  percio' la volonta' che si proceda penalmente nei
confronti  del  senatore: «sindacalista molto discusso», che «avrebbe
fatto  da  tramite  tra  la  mafia  ed  ambienti di sinistra». A tali
espressioni  dell'articolo a firma del senatore, quali risultanti dal
contenuto  della  querela,  il  ricorrente  fa in seguito riferimento
anche   nell'esporre  le  ragioni  che  renderebbero  illegittima  la
deliberazione   di   insindacabilita'   adottata   dal  Senato  della
Repubblica.  E,  in effetti, tali espressioni, esplicitamente riprese
dal  contenuto  della querela, costituiscono le opinioni del senatore
assunte dalla Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari ad
oggetto   delle   relazione   di  accompagnamento  alla  proposta  di
deliberazione  comunicata  alla  Presidenza  del  Senato l'8 novembre
2006.
   Non   e'   dubbio,   quindi,   che  il  giudice  ricorrente  abbia
puntualmente  individuato  e  riportato,  come  esige il principio di
autosufficienza  del  ricorso, le dichiarazioni rese extra moenia dal
parlamentare,  e ritenute offensive dai querelanti, permettendo cosi'
a  questa  Corte di compiere «l'accertamento del nesso funzionale tra
le  frasi  pronunciate [...] e gli eventuali atti parlamentari tipici
di  cui  le  frasi  stesse potrebbero essere la divulgazione esterna»
(cosi' la sentenza n. 79 del 2005).
   3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
   Secondo   la   costante   giurisprudenza   di  questa  Corte,  per
l'esistenza  di  un  nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra
moenia  da  un  parlamentare  e  l'espletamento delle sue funzioni di
membro  del  Parlamento  -  alla  quale e' subordinata la prerogativa
dell'insindacabilita'  di  cui  all'art.  68, primo comma, Cost. - e'
necessario  che  tali  dichiarazioni possano essere identificate come
espressione  dell'esercizio di attivita' parlamentare (sentenze n. 10
e n. 11 del 2000).
   Nel caso in esame, i soli atti parlamentari riferibili al senatore
menzionati  nella  relazione  della  Giunta  delle  elezioni  e delle
immunita'  parlamentari  del Senato e richiamati dalla difesa sono il
disegno   di  legge  n. 2292,  XIV  legislatura,  avente  ad  oggetto
«Istituzione   di  una  Commissione  parlamentare  d'inchiesta  sulla
gestione di coloro che collaborano con la giustizia», comunicato alla
Presidenza il 29 maggio 2003, con la relativa relazione e la proposta
di  inchiesta  parlamentare doc. XXII, n. 25, XIV legislatura, avente
ad  oggetto  «Istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta
sulla   gestione   di  coloro  che  collaborano  con  la  giustizia»,
comunicata  alla  Presidenza  il  19  febbraio 2004, anch'essa con la
relativa relazione, atti entrambi di iniziativa del senatore e altri.
   Al  riguardo  occorre tuttavia rilevare, per un verso, la mancanza
di  un legame temporale tra tali atti parlamentari e le dichiarazioni
esterne  tale  per  cui  queste ultime possano assumere una finalita'
divulgativa  dei  primi,  entrambi  successivi  nel  tempo. Per altro
verso,  la  mancanza di sostanziale corrispondenza di significato tra
le   dichiarazioni   esterne   e  le  opinioni  espresse  nella  sede
parlamentare  -  in  specie, nelle relazioni ai due atti richiamati -
ove si consideri che in queste ultime i parlamentari, nell'esporre le
ragioni delle proposte di istituzione di una Commissione parlamentare
di  inchiesta  sulla gestione dei cosiddetti «pentiti», si limitano a
menzionare  la  vicenda  del collaboratore di giustizia Giuffre' e la
circostanza  che  egli  avrebbe taciuto «sull'omicidio piu' eclatante
consumato   a   Caccamo  negli  ultimi  anni,  quello  ai  danni  del
sindacalista   Mico   Geraci»,   senza   manifestare  tuttavia  alcun
apprezzamento  critico  nei  confronti  di  quest'ultimo;  solo nelle
affermazioni   formulate  nell'articolo  di  stampa  figura,  invece,
l'addebito   negativo,   rivolto  al  Geraci,  di  essere  stato  «un
sindacalista  molto  discusso»  che  «avrebbe fatto da tramite tra la
mafia e ambienti della sinistra».
   In  definitiva,  fa  difetto, nella presente fattispecie, il nesso
funzionale   tra   le   affermazioni   formulate   dal   parlamentare
nell'articolo  di  stampa e gli atti compiuti nella sede parlamentare
indicati   nella  relazione  della  Giunta  delle  elezioni  e  delle
immunita'  parlamentari  e  richiamati  dalla  difesa  del  Senato  a
sostegno   della  legittimita'  della  delibera  di  insindacabilita'
impugnata dal giudice ricorrente.
   Nella  relazione  della  Giunta  delle  elezioni e delle immunita'
parlamentari  si  espone,  peraltro,  chiaramente, che la Giunta, nel
formulare  la propria proposta, ritenne «di dover porre l'accento sul
fatto,  incontestabile  e  ampiamente  noto, che l'impegno politico e
parlamentare  del  senatore  Iannuzzi  sui  temi  della  criminalita'
mafiosa  e del contrasto alla stessa ha rappresentato - e rappresenta
-  in  certo  qual  modo  la  naturale  proiezione  del  suo  impegno
giornalistico  e  che  tale  impegno  ha  avuto  ad  oggetto  in modo
sostanzialmente  esclusivo le predette problematiche». Cio' premesso,
la Giunta aveva ritenuto non potersi disconoscere l'insindacabilita',
ai  sensi  dell'articolo  68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni
contenute  nell'articolo  a  firma  del  senatore  Iannuzzi in quanto
«relativo  ad una vicenda - quella del pentito Giuffre' - che rientra
senz'altro  fra  quei  temi  che [...] da sempre sono stati al centro
dell'attivita'  giornalistica  e  dell'impegno  politico dello stesso
senatore».
   Tuttavia  -  secondo  la  giurisprudenza di questa Corte - il mero
riferimento all'attivita' parlamentare o comunque all'inerenza a temi
di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento), entro cui le
dichiarazioni  si  possano  collocare,  non  vale in se' a connotarle
quali  espressive  della  funzione,  ove  esse,  non  costituendo  la
sostanziale  riproduzione  di  specifiche  opinioni  manifestate  dal
parlamentare  nell'esercizio  delle  proprie  attribuzioni, siano non
gia'  il  riflesso  del  peculiare  contributo che ciascun deputato e
ciascun  senatore  apporta alla vita parlamentare mediante le proprie
opinioni  e i propri voti (come tale coperto dall'insindacabilita', a
garanzia  delle  prerogative  delle  Camere  e  non di un «privilegio
personale  [...]  conseguente  alla mera "qualita'" di parlamentare»:
sentenza n. 120 del 2004), ma un'ulteriore e diversa articolazione di
siffatto  contributo,  elaborata  ed  offerta  alla pubblica opinione
nell'esercizio  della libera manifestazione del pensiero assicurata a
tutti dall'art. 21 Cost. (sentenze n. 302, n. 166 e n. 152 del 2007).
   4.  -  In conclusione, le dichiarazioni del senatore non rientrano
nell'esercizio della funzione parlamentare. L'impugnata deliberazione
del  Senato  della  Repubblica  di  insindacabilita'  delle stesse ha
quindi violato l'art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni
dell'autorita'   giudiziaria  ricorrente  e  deve,  conseguentemente,
essere annullata.