Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, comma 1,
della  legge  1°  dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina  dei  casi  di
scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma
3-bis,  del  decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti
nell'ambito  del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale), inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio
2005,   n. 80   (Conversione   in   legge,   con  modificazioni,  del
decreto-legge  14  marzo  2005,  n. 35,  recante disposizioni urgenti
nell'ambito  del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale.  Deleghe  al  Governo  per  la  modifica  del codice di
procedura  civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato
nonche'  per  la  riforma  organica  della disciplina delle procedure
concorsuali),  promosso  con  ordinanza  del  16  febbraio  2007  dal
Tribunale  ordinario  di  Pisa  nel  procedimento civile vertente tra
Cerulli  Sergio  e  Cifariello  Cira, iscritta al n. 586 del registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 35, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  2 aprile 2008 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Tribunale ordinario di Pisa, nel corso del procedimento
promosso  con  ricorso  depositato  in  data  17  marzo  2007  per la
dichiarazione  della  cessazione  degli effetti civili del matrimonio
concordatario  contratto  tra  il  ricorrente  e  la  resistente,  ha
sollevato,  con  l'ordinanza  in  epigrafe, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  4,  comma 1, della legge 1° dicembre 1970,
n. 898  (Disciplina  dei  casi  di  scioglimento del matrimonio), nel
testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo
2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per
lo  sviluppo economico, sociale e territoriale), comma inserito dalla
relativa  legge  di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in
legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,
recante  disposizioni  urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la
modifica  del  codice  di  procedura civile in materia di processo di
cassazione  e  di  arbitrato  nonche'  per  la riforma organica della
disciplina   delle   procedure  concorsuali),  «nella  parte  in  cui
individua  come  foro dei procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto
lo   scioglimento   e/o   la  cessazione  degli  effetti  civili  del
matrimonio, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi».
   Il giudice a quo riferisce che il Presidente del Tribunale di Pisa
ha   rilevato   d'ufficio   la  incompetenza  territoriale  di  detto
Tribunale, la cui competenza per territorio non coincide con il luogo
dell'ultima  residenza comune dei coniugi, che e', come risulta dalle
allegazioni   delle  parti,  Napoli,  mentre  il  ricorrente  risiede
attualmente  in Misano Adriatico (Rimini) e la resistente, unitamente
al figlio minore, in S. Giuliano Terme (Pisa).
   Aggiunge  il  rimettente che le parti hanno insistito per trattare
la  causa  dinanzi  al  Tribunale  di  Pisa,  e  che il ricorrente ha
eccepito la illegittimita' costituzionale del censurato art. 4, comma
1,  della legge n. 898 del 1970, per violazione del diritto al giusto
processo  (art.  111  della  Costituzione),  del  diritto  al giudice
naturale  precostituito  per  legge (art. 25 della Costituzione), del
principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).
   Cio'  posto,  il  Tribunale  rimettente  ritiene  la  questione di
costituzionalita'  non  manifestamente  infondata in riferimento agli
artt.  3  e 24 della Costituzione. Osserva, al riguardo, il giudice a
quo  che  la  disposizione  denunciata pone un criterio di competenza
territoriale  inderogabile  che, come accade nel caso di specie, puo'
risultare  privo  di  un  effettivo collegamento con le parti e con i
figli  minorenni  eventualmente coinvolti nel procedimento, e che, di
conseguenza, essa appare del tutto irragionevole, pregiudizievole per
l'esercizio  del  diritto  di  difesa  e  suscettibile  di creare una
ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ad altre situazioni
analoghe, tenuto conto dei diversi criteri di competenza territoriale
previsti  dal  medesimo  art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970
(con  riferimento  ai procedimenti instaurati dai coniugi con domanda
congiunta e/o con riferimento ai procedimenti contenziosi tra coniugi
che  non abbiano mai avuto una residenza comune) e dall'art. 709-ter,
primo comma, del codice di procedura civile (con riferimento ad altri
procedimenti che coinvolgono i minori).
   Ne',  ad  avviso del giudice a quo, stante il chiaro ed inequivoco
tenore  letterale  della disposizione in questione, vi sarebbe spazio
per una diversa interpretazione costituzionalmente orientata.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il Tribunale ordinario di Pisa, investito di un ricorso per
la   dichiarazione   della   cessazione   degli  effetti  civili  del
matrimonio,  dubita  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 4,
comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma
3-bis,  del  decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti
nell'ambito  del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale),  comma inserito dalla relativa legge di conversione 14
maggio  2005,  n. 80  (Conversione  in  legge, con modificazioni, del
decreto-legge  14  marzo  2005,  n. 35,  recante disposizioni urgenti
nell'ambito  del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale.  Deleghe  al  Governo  per  la  modifica  del codice di
procedura  civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato
nonche'  per  la  riforma  organica  della disciplina delle procedure
concorsuali),   «nella   parte   in   cui  individua  come  foro  dei
procedimenti  contenziosi,  aventi  ad oggetto lo scioglimento e/o la
cessazione  degli effetti civili del matrimonio, il luogo dell'ultima
residenza  comune  dei coniugi», per violazione: a) dell'art. 3 della
Costituzione,  sia  sotto  il  profilo  della  irragionevolezza della
disposizione,  la  quale  pone un criterio di competenza territoriale
inderogabile  che,  come  accade  nel  caso di specie, puo' risultare
privo  di  un  effettivo  collegamento  con  le  parti  e con i figli
minorenni  eventualmente  coinvolti  nel  procedimento,  sia sotto il
profilo  della  ingiustificata  disparita' di trattamento rispetto ad
altre  situazioni  analoghe,  tenuto  conto  dei  diversi  criteri di
competenza  territoriale previsti dal medesimo art. 4, comma 1, della
legge n. 898 del 1970 (con riferimento ai procedimenti instaurati dai
coniugi  con  domanda  congiunta  e/o con riferimento ai procedimenti
contenziosi  tra  coniugi  che  non  abbiano  mai avuto una residenza
comune)  e  dall'art.  709-ter,  primo comma, del codice di procedura
civile  (con  riferimento  ad  altri  procedimenti  che coinvolgono i
minori);  b)  dell'art.  24  della  Costituzione,  per il pregiudizio
all'esercizio del diritto di difesa.
   2.  -  La  questione  sollevata  in  riferimento  all'art. 3 della
Costituzione e' fondata.
   2.1.  -  L'art.  2,  comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005,
n. 35,  comma  inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio
2005,  n. 80,  ha sostituito, a decorrere dal 1° marzo 2006, l'art. 4
della  legge  1°  dicembre 1970, n. 898 gia' riportato, fissando, tra
l'altro,   nuove   regole   per   la   individuazione   del   giudice
territorialmente  competente in ordine ai procedimenti concernenti lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
   Il  richiamato  art.  4, primo comma, della legge n. 898 del 1970,
nella  sua  formulazione  originaria,  individuava,  quale  foro  dei
procedimenti  di  cui  si  tratta,  il  tribunale del luogo in cui il
convenuto  aveva  la residenza, oppure, nel caso di irreperibilita' o
di   residenza   all'estero,   quello  del  luogo  di  residenza  del
ricorrente.  L'art.  8  della  legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme
sulla  disciplina  dei  casi  di  scioglimento  di  matrimonio),  nel
sostituire  l'intero  art. 4 della legge n. 898 del 1970, aveva, poi,
introdotto,  quale  criterio  alternativo  alla  residenza quello del
domicilio   (del   convenuto,  come  del  ricorrente),  contemplando,
altresi',  l'ipotesi  di residenza all'estero di entrambi i coniugi e
prevedendo,  in tal caso, che la domanda per ottenere lo scioglimento
o  la  cessazione  degli effetti civili del matrimonio potesse essere
proposta innanzi a qualunque tribunale della Repubblica.
   La  novella  del  2005 ha introdotto un diverso criterio, fissando
quale  foro  competente il «tribunale del luogo dell'ultima residenza
comune  dei coniugi, ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge
convenuto  ha residenza o domicilio», e mantenendo, per il resto, gli
altri  criteri  di competenza individuati dal richiamato art. 8 della
legge n. 74 del 1987.
   I criteri di individuazione di tale competenza per territorio sono
inderogabili  e  successivi,  nel  senso  che  non  e'  consentito al
ricorrente fare riferimento ad uno di essi se non nell'ipotesi in cui
il precedente non ricorra.
   Pertanto,  perche' il ricorrente possa proporre la domanda innanzi
al  tribunale  del  luogo  in  cui  il  convenuto  abbia  residenza o
domicilio, non e' sufficiente che la residenza comune dei coniugi sia
venuta  meno,  ma  e'  necessario  che essa non sia mai esistita, non
potendosi interpretare l'espressione «in mancanza» come equivalente a
quella «qualora sia successivamente venuta meno», sia perche' vi osta
il  dato letterale, che allude, inequivocabilmente, ad una situazione
mai   realizzatasi,  sia  perche'  e'  pacifico,  in  dottrina  e  in
giurisprudenza,  che  i coniugi possano anche non avere mai avuto una
residenza  comune  -  e  questa  e'  la  fattispecie  ipotizzata  dal
legislatore  -  dal  momento  che l'art. 144, primo comma, del codice
civile,  nel  prevedere  l'obbligo  della  fissazione della residenza
della  famiglia,  non esclude che, in concreto, i coniugi, per motivi
legittimi, possano non procedere a tale fissazione.
   Da quanto precede deriva che, qualora i coniugi abbiano avuto, per
il  passato,  una  residenza comune, occorre fare capo, ai fini della
individuazione del giudice competente sulla domanda di scioglimento o
cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio, al tribunale del
luogo  ove  detta  residenza si trovava, e cio' anche nella ipotesi -
ricorrente  nella  specie  -  che,  al  momento dell'introduzione del
giudizio, nessuna delle parti abbia alcun rapporto con quel luogo.
   L'individuazione  di tale criterio di competenza e' manifestamente
irragionevole,  non  sussistendo  alcuna valida giustificazione della
adozione  dello stesso, ove si consideri che, in tema di scioglimento
o  cessazione  degli effetti civili del matrimonio, nella maggioranza
delle  ipotesi,  la  residenza  comune  e'  cessata,  quanto meno dal
momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione -
giudiziale   o   consensuale   -  sono  stati  autorizzati  a  vivere
separatamente,  con la conseguenza che, tenute presenti le condizioni
per  proporre  la  successiva domanda di divorzio, non e' ravvisabile
alcun  collegamento  fra  i  coniugi e il tribunale individuato dalla
norma.
   Seppure e' vero che rientra nella discrezionalita' del legislatore
la  determinazione della competenza territoriale, e' pero' necessario
che tale discrezionalita' sia esercitata nel rispetto del criterio di
ragionevolezza  che,  nella  specie,  risulta,  per  quanto  esposto,
palesemente violato.
   Va,  pertanto,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale della
norma  denunciata  limitatamente  alle  parole «del luogo dell'ultima
residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».
   L'accoglimento  della  questione  in  riferimento all'art. 3 della
Costituzione     comporta    l'assorbimento    della    censura    di
incostituzionalita'   proposta  con  riferimento  all'art.  24  della
Costituzione.