Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 51, secondo
comma,  numero  2),  del  decreto  del Presidente della Repubblica 26
ottobre  1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta sul
valore  aggiunto), come sostituito dall'art. 18, comma 2, lettera a),
della  legge  30  dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le
basi   imponibili,   per   razionalizzare,  facilitare  e  potenziare
l'attivita'   di  accertamento;  disposizioni  per  la  rivalutazione
obbligatoria  dei  beni immobili delle imprese, nonche' per riformare
il  contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari
pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di
amnistia  per  reati  tributari; istituzioni dei centri di assistenza
fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza del 5 marzo 2007
dalla  Commissione  tributaria  regionale  della Toscana nel giudizio
vertente  tra  Mirco  Genovesi  e l'Agenzia delle entrate, ufficio di
Massa,  iscritta  al  n. 583 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 34, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 27 febbraio 2008 il giudice
relatore Franco Gallo.
   Ritenuto  che,  nel  corso  di un giudizio di appello, riassunto a
seguito  della  cassazione  con  rinvio  - pronunciata dalla Corte di
cassazione con sentenza n. 4732 del 2006  - della originaria sentenza
di  secondo grado ed avente ad oggetto la sentenza con cui il giudice
di primo grado aveva rigettato il ricorso proposto da un contribuente
avverso  l'avviso di accertamento dell'IVA relativa all'anno 1991, la
Commissione   tributaria   regionale  della  Toscana,  con  ordinanza
pronunciata  e  depositata  il  5  marzo  2007,  ha  sollevato   - in
riferimento agli artt. 2, 23, 53 e 97 della Costituzione  - questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 51, secondo comma, numero
2),  del  d.P.R.  26  ottobre  1972, n. 633 (Istituzione e disciplina
dell'imposta  sul  valore  aggiunto),  come  sostituito dall'art. 18,
comma   2,   lettera   a),  della  legge  30  dicembre  1991,  n. 413
(Disposizioni  per  ampliare  le basi imponibili, per razionalizzare,
facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
nonche'  per  riformare il contenzioso e per la definizione agevolata
dei   rapporti   tributari   pendenti;  delega  al  Presidente  della
Repubblica  per  la  concessione  di  amnistia  per  reati tributari;
istituzioni  dei  centri  di assistenza fiscale e del conto fiscale),
entrata in vigore il 1° gennaio 1992;
     che   la   Commissione  rimettente  premette  che  la  Corte  di
cassazione,  con  la  suddetta  pronuncia,  ha  fissato  il  seguente
principio di diritto, al quale la stessa Commissione deve uniformarsi
quale giudice di rinvio: «la legge 30 dicembre 1991, n. 413, art. 18,
il  quale, modificando il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, ha
rimosso  limitazioni  e  reso  piu'  agevole la facolta' degli uffici
dell'imposta  sul  valore  aggiunto  o  della  guardia  di finanza di
assumere notizie e copie di documenti presso gli istituti di credito,
non  interferisce sul rapporto tributario, non introduce infrazioni o
sanzioni     prima    non    previste,    ne'    incide    sull'onere
dell'Amministrazione  di provare la pretesa impositiva, ma disciplina
soltanto  le  attivita'  di indagine ed accertamento. Ne consegue che
malgrado  la  portata  innovativa  e  la carenza di una previsione di
retroattivita'  e'  consentito  all'amministrazione  finanziaria,  in
applicazione   della   norma,  di  assumere  le  relative  iniziative
ispettive e di accertamento anche se in relazione a periodi d'imposta
anteriori»;
     che  il giudice a quo, dopo avere constatato la ritualita' della
riassunzione del giudizio davanti a se' e, quindi, la sussistenza del
vincolo  interpretativo  cui  e'  astretto in base al sopra enunciato
principio   di  diritto,  solleva  questione  di  legittimita'  della
denunciata   disposizione,   quale   interpretata   dalla   Corte  di
cassazione;
     che  il  medesimo  giudice  a  quo,  quanto  alla  non manifesta
infondatezza  della  questione,  afferma che la «retroattivita» della
norma  denunciata  «consente  all'Ufficio di avvalersi di presunzioni
semplici  ricavate  dai movimenti attivi e passivi dei conti correnti
del  contribuente,  ai  fini  dell'accertamento della base imponibile
IVA, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge
n. 413/91  cit., cosi' da onerare il contribuente dell'allegazione di
prove che all'epoca dei fatti, stante il dettato normativo in vigore,
egli non era tenuto a precostituirsi»;
     che,  per  il  giudice rimettente, cio' comporta il contrasto di
detta  norma  con:  a) l'art. 3 Cost., perche' crea una disparita' di
trattamento  rispetto  ad «altre imposte di natura indiretta», per le
quali,  non  applicandosi la norma denunciata, non operano gli stessi
meccanismi  presuntivi;  b)  gli  artt.  23  e  53  Cost., perche' il
meccanismo  presuntivo  da  essa previsto, in quanto retroattivamente
applicabile,  puo' rendere difficile al contribuente la prova del suo
effettivo  debito d'imposta; c) l'art. 97 Cost., perche' prevede, per
gli anni anteriori al 1992, «una presunzione legale, che e', in molti
casi,  sostanzialmente assoluta, ai fini dell'accertamento della base
imponibile IVA», creando una indebita situazione di privilegio per la
pubblica  amministrazione  e  compromettendo  il  buon  andamento  di
questa;  d)  l'art.  2  Cost. (parametro evocato solo nel dispositivo
dell'ordinanza  di rimessione); e) i principi di certezza del diritto
e   di  tutela  dell'affidamento  del  cittadino,  perche'  impone  a
quest'ultimo  l'onere  di  giustificare i movimenti del proprio conto
corrente  bancario  con  l'allegazione  di  prove  che,  per gli anni
anteriori  al  1992,  non era tenuto a precostituirsi; f) il criterio
interpretativo  posto  dall'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212
(Disposizioni  in materia di statuto dei diritti del contribuente)  -
costituente  principio generale dell'ordinamento tributario, ai sensi
dell'art.  1  della  medesima  legge  -, secondo cui «le disposizioni
tributarie   non   hanno  effetto  retroattivo»;  g)  i  principi  di
correttezza  e  buona  fede  che  debbono  informare  i  rapporti tra
amministrazione  e  finanziaria  e  contribuenti,  come risulta dalla
complessiva  disciplina  degli  artt. 5, 6, 7 e 10 della citata legge
n. 212  del  2000 e come riconosciuto, altresi', dalla giurisprudenza
della Corte di cassazione, della Corte costituzionale, della Corte di
giustizia CE e della Corte europea dei diritti dell'uomo;
     che,  per  il  giudice  a quo, l'ordinanza n. 260 del 2000 della
Corte costituzionale non costituisce ostacolo alla proposizione della
questione,  perche'  tale  pronuncia  non  afferma che l'applicazione
degli  accertamenti di cui all'art. 51, secondo comma, numero 2), del
d.P.R.  n. 633  del  1972  anche  ad  annualita'  d'imposta anteriori
all'entrata  in  vigore  della  legge  n. 413 del 1991 e' conforme al
dettato  costituzionale,  ma  si  limita a chiarire che le risultanze
degli   accertamenti   bancari  fondano  presunzioni  solo  relative,
superabili dal contribuente con la dimostrazione che dette risultanze
non  si  riferiscono ad operazioni imponibili o che di esse ha tenuto
conto nelle dichiarazioni presentate;
     che infine, quanto alla rilevanza, il giudice rimettente afferma
che  l'interpretazione  della  norma  denunciata  fa  parte del thema
decidendum del giudizio di appello portato al suo esame;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili  o,
comunque, infondate;
     che,  in  particolare,  secondo  la difesa erariale: a) le norme
dello   statuto   dei  diritti  del  contribuente  non  costituiscono
parametro   costituzionale;  b)  il  rimettente  muove  dall'inesatta
premessa   ermeneutica   che  la  norma  denunciata  abbia  efficacia
retroattiva;
     che, a quest'ultimo riguardo, l'Avvocatura generale dello Stato
-  invocando  a sostegno varie sentenze della Corte di cassazione (n.
1728  del  1999;  n. 9611  del  2000; n. 26692 del 2005; n. 14023 del
2007)   -  rileva che la disposizione denunciata va interpretata come
riguardante non gia' l'imposizione, ma il potere di accertamento, con
la conseguenza che, in applicazione del principio tempus regit actum
,  la  disciplina  degli accertamenti fiscali e' regolata dalla legge
vigente al momento in cui viene eseguita la verifica, anche se questa
concerne periodi di imposta anteriori al 1992;
     che,   per   la  difesa  erariale,  tale  interpretazione  della
disposizione  denunciata non e' lesiva dei principi di ragionevolezza
e  di  tutela  dell'affidamento del contribuente, perche', secondo la
giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione:  a)  anche  prima delle
innovazioni introdotte dall'art. 18, comma 2, lettera a), della legge
n. 413  del  1991,  le  indagini  su  conti  correnti bancari, a fini
tributari,  non  erano  precluse  ed  erano,  percio',  legittimi gli
accertamenti basati su dette indagini (sentenza n. 2668 del 1996); b)
l'aspettativa di una maggiore probabilita' di sottrarsi alla scoperta
di  irregolarita'  od  infrazioni  non  integra un diritto tutelabile
(sentenza  n. 1728  del  1999);  c) la norma censurata non ha operato
alcuna  inversione  dell'onere  della  prova  in  relazione  ai  dati
emergenti  dagli  accertamenti  bancari,  ma ha solo reso «legali» le
presunzioni   che  in  precedenza  dovevano  considerarsi  «semplici»
(sentenza n. 11778 del 2001);
     che  l'Avvocatura  generale dello Stato, infine, con riferimento
ai  parametri  costituzionali  evocati, osserva: 1) quanto all'art. 3
Cost.,  che  il rimettente, da un lato, non ha indicato le situazioni
analoghe   che   sarebbero  sottoposte  a  differente  disciplina  e,
dall'altro,   non   ha  considerato  le  norme  aventi  un  contenuto
sostanzialmente  analogo a quello della norma denunciata (come l'art.
32, primo comma, numero 2 e numero 7, del d.P.R. n. 600 del 1973); 2)
quanto  all'art.  23  Cost,  che  tale  articolo  non  solo  riguarda
esclusivamente  le  norme  tributarie  impositive o sostanziali e non
quelle  aventi  ad  oggetto  il potere di accertamento (come la norma
censurata),   ma,  comunque,  risulta  pienamente  rispettato,  nella
specie; 3) quanto all'art. 53, primo comma, Cost., che l'accertamento
presuntivo  (suscettibile  di prova contraria) consentito dalla norma
censurata  costituisce  uno  strumento  diretto proprio ad attuare il
principio   di   capacita'   contributiva;  4)  quanto  alla  dedotta
violazione  del  principio  dell'imparzialita'  e  del buon andamento
dell'attivita'  della  pubblica  amministrazione,  che  la censura e'
oscura e l'art. 97 Cost. non e' conferente.
   Considerato  che la Commissione tributaria regionale della Toscana
dubita,   in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  23,  53  e  97  della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 51, secondo
comma,  numero  2), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e
disciplina  dell'imposta sul valore aggiunto), come sostituito  - con
effetto  dal  1°  gennaio  1992  - dall'art. 18, comma 2, lettera a),
della  legge  30  dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le
basi   imponibili,   per   razionalizzare,  facilitare  e  potenziare
l'attivita'   di  accertamento;  disposizioni  per  la  rivalutazione
obbligatoria  dei  beni immobili delle imprese, nonche' per riformare
il  contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari
pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di
amnistia  per  reati  tributari; istituzioni dei centri di assistenza
fiscale  e  del  conto fiscale), e come interpretato, con la sentenza
n. 4732  del  2006,  dalla  Corte  di  cassazione  nel  formulare  il
principio  di  diritto  cui  deve uniformarsi la medesima Commissione
quale giudice di rinvio;
     che la Commissione tributaria rimettente precisa che la suddetta
norma  censurata consente all'amministrazione finanziaria di assumere
iniziative ispettive e di accertamento della base imponibile dell'IVA
presso istituti di credito e di porre a base delle rettifiche e degli
accertamenti i dati e gli elementi risultanti da tali indagini (se il
contribuente  non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni
o  che  non  si  riferiscono  ad  operazioni  imponibili),  anche  in
relazione  a  periodi d'imposta anteriori a quello in corso alla data
di entrata in vigore della suddetta legge n. 413 del 1991 (1° gennaio
1992);
     che, secondo il giudice a quo, la disposizione denunciata, cosi'
interpretata,   si  pone  in  contrasto  con  gli  evocati  parametri
costituzionali e, in particolare, con: a) l'art. 2 Cost.; b) l'art. 3
Cost.,  perche' crea una disparita' di trattamento rispetto ad «altre
imposte di natura indiretta», per le quali, non applicandosi la norma
denunciata, non operano gli stessi meccanismi presuntivi, senza che a
tale    rilievo    possa   opporsi   l'esistenza   di   «disposizioni
corrispondenti in materia di accertamento delle imposte sui redditi»,
trattandosi  di  disposizioni  non  aventi carattere generale; c) gli
artt.  23  e  53  Cost.,  perche'  il  meccanismo  presuntivo da essa
previsto,  in  quanto  retroattivamente  applicabile,  «puo'  rendere
impossibile  od estremamente difficile al contribuente la prova della
effettivita'  del  suo  debito d'imposta, nonche' della sussistenza e
della   dimensione   delle   operazioni   imponibili»,   onerando  il
contribuente  dell'allegazione  di  prove  che  all'epoca  dei fatti,
stante  il  dettato  normativo  in  vigore,  egli  non  era  tenuto a
precostituirsi;  d)  l'art.  97  Cost., perche' prevede, per gli anni
anteriori  al  1992,  «una presunzione legale, che e', in molti casi,
sostanzialmente   assoluta,  ai  fini  dell'accertamento  della  base
imponibile  IVA»  e, pertanto, «si traduce in una indebita situazione
di  privilegio»  per  la  pubblica amministrazione, compromettendo il
buon andamento di questa;
     che,  come  costantemente  affermato  da questa Corte, il regime
delle  preclusioni  proprio  del  giudizio di rinvio non impedisce di
sollevare  questione di legittimita' costituzionale della norma dalla
quale  e'  tratto  il «principio di diritto» enunciato dalla Corte di
cassazione  con  la  sentenza  di cassazione con rinvio (ex plurimis:
sentenze  nn.  349  e  78  del 2007; n. 224 del 1996; n. 58 del 1995;
n. 257  del  1994; n. 138 del 1993; ordinanze n. 153 del 2007; n. 501
del 2000; n. 11 del 1999);
     che,  sotto  questo profilo, le sollevate questioni  - aventi ad
oggetto   l'interpretazione   risultante  dal  principio  di  diritto
stabilito dalla Corte di cassazione  - sono ammissibili;
     che,   come   risulta   dal   dispositivo  e  dalla  motivazione
dell'ordinanza  di  rimessione,  il  rimettente non ha inteso evocare
quali  parametri  costituzionali  ne'  i  «principi  di  certezza del
diritto  e  di  tutela dell'affidamento del cittadino», ne' l'«art. 3
della  legge  27  luglio  2000,  n. 212», ne' gli «artt. 5, 6, 7 e 10
della  citata  legge  n. 212  del  2000»,  perche'  tali  principi  e
disposizioni   sono   stati   da  lui  menzionati  al  solo  fine  di
sottolineare  la  gravita' del contrasto della norma denunciata con i
parametri costituzionali evocati;
     che  la  questione  proposta con riferimento all'art. 2 Cost. e'
manifestamente  inammissibile,  perche'  il  rimettente non indica le
ragioni  della  ritenuta  non  manifesta infondatezza della questione
medesima  con  riferimento  a  tale  parametro, indicato soltanto nel
dispositivo dell'ordinanza di rimessione;
     che  la questione relativa all'asserita violazione del principio
di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. e' manifestamente infondata,
perche':  a)  «e'  formulata  dal rimettente senza alcuna indicazione
delle  situazioni  asseritamente  analoghe che sarebbero sottoposte a
differente  disciplina;  [...]  al  contrario,  norme sostanzialmente
analoghe a quelle denunciate sono previste ai fini dell'accertamento,
nei  confronti  di  tutti  i  contribuenti, delle imposte sui redditi
(cfr.  art.  32,  primo  comma, numeri 2 e 7, del d.P.R. 29 settembre
1973,  n. 600, come modificati, anch'essi, dal medesimo art. 18 della
legge  30  dicembre  1991,  n. 413 [...])» (ordinanza n. 260 del 2000
citata   dallo   stesso   giudice  a  quo,  che  ha  gia'  dichiarato
manifestamente  infondata  una questione identica a quella in esame);
b) il rimettente non solo non precisa i tertia comparationis
da lui genericamente richiamati, ma nemmeno spiega la ragione per cui
le  disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi
corrispondenti a quella censurata non avrebbero carattere generale;
     che  anche  le  questioni relative all'asserita violazione degli
artt. 23 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, perche' il giudice
a  quo  muove  dall'erroneo presupposto che la norma denunciata abbia
efficacia retroattiva;
     che  tale presupposto e' infondato, perche' la suddetta norma e'
dettata  con  riferimento  non gia' agli anni d'imposta oggetto delle
indagini  degli uffici tributari, ma all'acquisizione, da parte degli
uffici  stessi,  di dati relativi ai conti correnti bancari e simili,
concernenti qualsiasi periodo d'imposta e, quindi, anche i periodi  -
come quello al quale si riferisce il giudizio principale  - anteriori
al  1992,  anno  di entrata in vigore della suddetta legge n. 413 del
1991;
     che,  pertanto, la norma denunciata non ha efficacia retroattiva
ed  esplica  i  suoi  effetti  solo  sul  piano  istruttorio,  con la
conseguenza  che  - contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente
-  il  contribuente  non  puo' subire alcun pregiudizio, rilevante ai
fini  del  giudizio  di costituzionalita', in caso di applicazione di
detta  norma  ad  anni d'imposta anteriori al 1992, in quanto: a) sul
piano  sostanziale,  la  pretesa  impositiva  erariale e gli obblighi
tributari  del  contribuente non mutano per effetto dell'applicazione
del  censurato  art.  51, secondo comma, numero 2), del d.P.R. n. 633
del  1972;  b)  il  contribuente  non  puo'  vantare  alcun legittimo
affidamento   ad   evitare  che  l'accertamento  relativo  agli  anni
d'imposta  anteriori  al  1992  sia  effettuato  in  base  alla norma
censurata,  successivamente al 1° gennaio 1992 (come si e' verificato
nella   specie);  c)  la  presunzione  basata  sui  dati  bancari  e'
suscettibile di prova contraria e, comunque, si fonda ragionevolmente
sul  carattere oggettivo delle risultanze (ordinanze n. 33 del 2002 e
n. 260 del 2000), oltre che sulla natura e consistenza degli elementi
in  concreto  utilizzati  dall'amministrazione  (come  chiarito anche
dalla sentenza della Corte di cassazione n. 11778 del 2001);
     che, dunque, la norma medesima, in quanto si limita ad integrare
i  poteri istruttori esercitabili dall'amministrazione finanziaria ai
fini  dell'accertamento,  riguarda  il  solo  profilo  probatorio  e,
percio', non vulnera il principio della capacita' contributiva di cui
all'art.  53  Cost.  (come  gia'  precisato dalla citata ordinanza di
questa Corte n. 260 del 2000);
     che,  inoltre,  il  principio  della  riserva  di  legge  di cui
all'art. 23 Cost. risulta pienamente rispettato, sia perche' la norma
denunciata  e'  posta  da  una  legge  ordinaria non avente efficacia
retroattiva,  sia  perche',  comunque,  l'evocato  art.  23 Cost. non
stabilisce alcun principio di irretroattivita' della legge tributaria
(ordinanza n. 428 del 2006);
     che  tali  conclusioni  coincidono  con  il  diritto  vivente in
materia  (ivi  compresa la sentenza che ha formulato il «principio di
diritto»  vincolante per il giudice rimettente), secondo cui la norma
denunciata non ha efficacia retroattiva, attiene alle sole operazioni
di  acquisizione dei dati bancari (cioe' ad un piano «processuale» ed
istruttorio)  e,  quindi,  puo'  essere  applicata  ad anni d'imposta
anteriori  al  1992,  in piena coerenza con il principio tempus regit
actum
(ex  plurimis,  Corte  di  cassazione,  sentenze  n. 14023  del 2007;
n. 19613 del 2006; n. 4732 del 2006);
     che   anche  la  questione  relativa  alla  asserita  violazione
dell'art.  97  Cost.  e'  manifestamente  infondata, perche' la norma
denunciata  non compromette ne' l'imparzialita' ne' il buon andamento
della   pubblica   amministrazione,   limitandosi  a  chiarire  quali
presunzioni  (oggettive, ragionevoli e relative) possono essere poste
a  base  delle  rettifiche e degli accertamenti tributari di cui agli
artt. 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.