Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 69, quarto
comma,  e  99  del  codice  penale, come modificati dagli artt. 3 e 4
della  legge  5  dicembre  2005, n, 251 (Modifiche al codice penale e
alla   legge  26  luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi con
ordinanze  del 21 giugno 2006 dalla Corte d'appello di Genova, del 15
luglio  2006 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Catania,  del  19  maggio  e  del  5  ottobre  (nn. 2 ordd.) 2006 dal
Tribunale  di  Cagliari,  del 15 giugno 2006 dal Tribunale di Ragusa,
sezione  distaccata  di Vittoria, del 7 novembre 2006 dal giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Novara, del 20 dicembre 2006
dal  Tribunale  di  Urbino, del 6 luglio 2006 dal Tribunale di Reggio
Emilia,  del  19  gennaio 2007 dal Tribunale di Roma, del 17 novembre
2006  dal Tribunale di Ragusa, del 6 dicembre 2006 dal Giudice per le
indagini  preliminari  del  Tribunale  di Novara, del 16 gennaio 2007
dalla  Corte  d'appello di Torino, del 22 febbraio 2007 dal Tribunale
di  Roma,  del  14  (nn. 2 ordd.) e del 28 novembre e del 21 dicembre
2006  dal  Tribunale  di Prato, del 1° febbraio 2007 dal Tribunale di
Roma,  del  18  dicembre  2006 dal Tribunale di Torino, del 17 aprile
2007  dal  Tribunale  di  Roma,  del  16  febbraio  2007  dalla Corte
d'appello  di  Torino,  del 13 marzo 2007 dal Giudice per le indagini
preliminari  del Tribunale di Prato, del 31 maggio 2007 dal Tribunale
di  Reggio  Emilia  e  del  23  aprile  2007  dal Tribunale di Tempio
Pausania,  rispettivamente  iscritte ai nn. 9, 20, 71, 282, 283, 318,
341,  345, 348, 382, 394, 417, 420, 485, da 513 a 515, 517, 534, 537,
598,  607,  679  e  736  del  registro  ordinanze 2007 e al n. 18 del
registro  ordinanze  2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  nn. 7, 8, 10, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 26, 27, 32, 35, 36,
39  e 43, 1ª serie speciale, dell'anno 2007 e n. 8 1ª serie speciale,
dell'anno 2008.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio dell'11 giugno 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
   Ritenuto  che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Catania,  con  ordinanza emessa il 15 luglio 2006 (r.o. n. 20 del
2007),  il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 19 gennaio 2007
(r.o.  n. 382  del  2007),  e  il  Tribunale  di Tempio Pausania, con
ordinanza  emessa  il  23  aprile  2007  (r.o. n. 18 del 2008), hanno
sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 27, terzo comma, della
Costituzione,  questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69,
quarto  comma,  del  codice penale, come modificato dall'art. 3 della
legge  5  dicembre  2005,  n. 251  (Modifiche al codice penale e alla
legge  26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di
recidiva,  di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per
i  recidivi,  di  usura  e  di prescrizione), nella parte in cui, nel
disciplinare il concorso di circostanze eterogenee, vieta di ritenere
le  circostanze  attenuanti prevalenti sull'aggravante della recidiva
reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen.;
     che, ad avviso dei rimettenti, la norma censurata si porrebbe in
contrasto   con  i  principi  di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza,
determinando  un  «appiattimento»  del  trattamento  sanzionatorio di
situazioni  assai  diverse:  e cio' - secondo l'ordinanza r.o. n. 382
del  2007  -  anche  all'interno  della stessa categoria dei recidivi
reiterati,  parificando  gli  imputati  ritenuti  meritevoli  di  una
pluralita'  di  attenuanti  e quelli ai quali ne sia riconosciuta una
sola;   i  recidivi  per  reati  «bagatellari»  e  quelli  per  reati
gravissimi;  i  recidivi  per  reati risalenti nel tempo e quelli per
reati commessi recentemente;
     che   la  disposizione  denunciata  rischierebbe,  altresi',  di
imporre  l'applicazione  di  pene  manifestamente  sproporzionate per
eccesso,  inidonee,  come tali, ad esplicare una funzione rieducativa
del  condannato:  fenomeno,  questo,  puntualmente  riscontrabile nei
giudizi a quibus
,  concernenti  reati  di  detenzione o cessione illecita di sostanze
stupefacenti  da ritenere di lieve entita', ai fini dell'applicazione
dell'attenuante  speciale  di  cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9
ottobre   1990,  n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
stupefacenti    e    sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza); attenuante i
cui  sensibilissimi  effetti  di  mitigazione della pena rimarrebbero
neutralizzati dal divieto censurato;
     che  l'ordinanza  r.o.  n. 382  del  2007 rileva, altresi', come
l'art.  52  del  d.lgs.  28  agosto  2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge  24  novembre  1999,  n. 468)  consenta tuttora, per i reati di
competenza del giudice di pace e in relazione alla recidiva reiterata
infraquinquennale,  quel  giudizio di prevalenza delle attenuanti che
la  norma  censurata  nega  per  i  reati  di  competenza  di giudici
superiori,  in  caso  di  mera recidiva reiterata: donde un ulteriore
profilo di irrazionalita' della norma stessa;
     che   analoga   questione   di  legittimita'  costituzionale  e'
sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza emessa il 18 dicembre
2006 (r.o. n. 537 del 2007);
     che,  a  parere del rimettente, con il novellato art. 69, quarto
comma,  cod.  pen. il legislatore avrebbe introdotto un irragionevole
automatismo,  presumendo  nell'imputato  recidivo  reiterato  - senza
possibilita' di prova contraria - una capacita' a delinquere talmente
elevata  da non poter essere sopravanzata da attenuanti, di qualsiasi
genere e numero;
     che tale automatismo potrebbe imporre l'applicazione di sanzioni
manifestamente  sproporzionate, con conseguente lesione del principio
di  eguaglianza  e  della  finalita'  rieducativa della pena: lesione
apprezzabile  specie in presenza di circostanze attenuanti cosiddette
indipendenti,   che  presuppongono  una  valutazione  legislativa  di
particolare  tenuita' dell'offesa (quale, nella specie, quella di cui
all'art.  73,  comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990); nonche' quando i
precedenti penali che costituiscono lo status
di  recidivo  reiterato risultino di modesta gravita' o risalenti nel
tempo;
     che  emblematica  dell'irragionevolezza della scelta legislativa
sarebbe, altresi', l'eclatante disparita' di trattamento che la norma
denunciata si presta ad indurre fra i concorrenti nel medesimo fatto:
disparita'  di  trattamento puntualmente riscontrabile nel giudizio a
quo,  in  cui  -  a fronte d'una cessione illecita di stupefacenti di
modestissima   gravita'   oggettiva,  commessa  in  concorso  da  due
imputati,   uno  dei  quali  recidivo  semplice  e  l'altro  recidivo
reiterato  -  quest'ultimo  si troverebbe esposto all'applicazione di
una pena minima sei volte superiore a quella irrogabile al primo;
     che la legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3
e  27,  terzo comma, Cost. - del divieto sancito dall'art. 69, quarto
comma,  cod. pen. e' posta in dubbio anche il Tribunale di Prato, con
ordinanze emesse il 14 novembre 2006 (r.o. n. 513 e n. 514 del 2007),
il  28  novembre  2006  (r.o.  n. 515 del 2007) e il 21 dicembre 2006
(r.o. n. 517 del 2007);
     che  il  Tribunale  rimettente osserva come il divieto censurato
determini  non solo disparita' di trattamento per situazioni fattuali
obiettivamente  omogenee  (ad  esempio,  nel caso di detenzione di un
quantitativo  mimino  di  stupefacenti  da  parte  di due soggetti in
concorso,  uno  dei  quali  soltanto  recidivo  reiterato);  ma anche
risposte  sanzionatorie  piu'  gravi per casi meno gravi (ad esempio,
nel  caso  di  detenzione  di  quantitativi minimi di stupefacente da
parte   del   recidivo   reiterato,   rispetto   alla  detenzione  di
quantitativi  superiori  da  parte di soggetto incensurato, che possa
comunque  fruire  dell'attenuante  di  cui  all'art. 73, comma 5, del
d.P.R. n. 309 del 1990);
     che  la disposizione denunciata violerebbe, altresi', l'art. 27,
terzo  comma,  Cost.,  impedendo  al giudice di applicare, tramite il
giudizio  di comparazione tra circostanze, una sanzione proporzionata
alla  gravita'  del  fatto  commesso,  con conseguente compromissione
della funzione rieducativa della pena;
     che   una   ulteriore,   analoga   questione   di   legittimita'
costituzionale  e'  sollevata  dal Tribunale di Urbino, con ordinanza
emessa il 20 dicembre 2006 (r.o. n. 345 del 2007);
     che il giudice a quo esclude preliminarmente che la disposizione
impugnata  si presti ad interpretazioni «correttive»: quale quella di
ritenere  che  - stante il carattere tuttora facoltativo dell'aumento
di  pena  per  la  recidiva  reiterata  -  il  censurato  divieto  di
prevalenza  delle attenuanti rimanga inoperante ove il giudice, sulla
base  di  una  valutazione  discrezionale,  decida  di  non applicare
l'aumento di pena;
     che   una   simile  soluzione  interpretativa  si  scontrerebbe,
difatti,  con  il  riferimento  dell'art. 69, quarto comma, cod. pen.
alle  circostanze aggravanti «ritenute»: formula a fronte della quale
il  divieto  de  quo andrebbe considerato operante in tutti i casi in
cui   si   ritengano   esistenti   i   presupposti   della  recidiva,
indipendentemente  dall'applicazione  o  meno del relativo aumento di
pena;  e  cio'  tenuto conto anche dell'intento del legislatore della
legge   n. 251   del  2005,  di  inasprire  comunque  il  trattamento
sanzionatorio del recidivo reiterato;
     che,  cio'  premesso, il rimettente assume che l'art. 69, quarto
comma,  cod. pen. comprometta la finalita' rieducativa della pena, la
quale presuppone la proporzionalita' della sanzione alle connotazioni
oggettive  del  fatto:  rapporto,  di  contro,  infranto  dalla norma
impugnata,   la   quale   conferirebbe   rilievo  preminente  ad  una
circostanza   inerente   alla   persona  del  colpevole,  consistente
nell'aver  riportato  una pluralita' di condanne, a prescindere dalla
natura dei reati commessi;
     che   sarebbe  leso,  altresi',  il  principio  di  eguaglianza,
giacche'  la  disposizione  censurata determinerebbe, da un lato, una
irragionevole   disparita'  di  trattamento  di  situazioni  analoghe
(l'imputato  nel  giudizio  a  quo,  solo perche' recidivo reiterato,
dovrebbe  essere  punito  con una pena sei volte superiore nel minimo
rispetto  a  chi  abbia  commesso  il  medesimo  fatto  senza  essere
recidivo);  e,  dall'altro  lato,  un  trattamento  irragionevolmente
eguale  di  situazioni  assai differenti tra loro (l'imputato, per la
detenzione  di  un  modesto  quantitativo di hashish, verrebbe punito
allo  stesso modo di chi detenga un quantitativo molto maggiore dello
stesso stupefacente, o anche di «droghe pesanti»);
     che  il  nuovo  testo  dell'art.  69, quarto comma, cod. pen. e'
reputato  contrastante,  in  parte qua, con gli artt. 3 e 27, primo e
terzo  comma,  Cost.,  dal  Tribunale di Reggio Emilia, con ordinanze
emesse  il  6  luglio 2006 (r.o. n. 348 del 2007) e il 31 maggio 2007
(r.o. n. 736 del 2007), e dal Tribunale di Roma, con ordinanze emesse
il 22 febbraio 2007 (r.o. n. 485 del 2007), il 1° febbraio 2007 (r.o.
n. 534 del 2007) e il 17 aprile 2007 (r.o. n. 598 del 2007);
     che,  ad  avviso dei rimettenti, la norma impugnata lederebbe il
principio  di  eguaglianza, parificando nel trattamento sanzionatorio
situazioni   profondamente  diverse  sia  sul  piano  della  gravita'
oggettiva,  che  su quello della personalita' degli autori; nonche' -
secondo   il  Tribunale  di  Reggio  Emilia  -  sanzionando  in  modo
ingiustificatamente  diverso  situazioni pressoche' equivalenti, solo
in ragione della presenza, in un caso e non nell'altro, di precedenti
penali,  ancorche'  modesti, remoti e privi di relazione con il reato
oggetto di giudizio;
     che risulterebbero altresi' vulnerati i principi di personalita'
della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena,
i quali postulano l'individualizzazione della risposta sanzionatoria,
escludendo  che  possano  prevedersi, in nome di supposte esigenze di
difesa   sociale,   trattamenti  punitivi  uniformi  per  determinate
categorie  di soggetti, ispirati ad irrazionale durezza e, come tali,
inidonei a conseguire la risocializzazione del reo;
     che  la stessa norma e' impugnata, in riferimento al solo art. 3
Cost.,  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di
Prato,  con ordinanza emessa il 13 marzo 2007 (r.o. n. 679 del 2007),
sul  rilievo  che  essa  impedisce il riconoscimento della prevalenza
delle  attenuanti - e, segnatamente, di quella ad effetto speciale di
cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 - sulla recidiva
reiterata,  senza alcun riferimento ad «indicatori di tipo oggettivo»
(mezzi,  modalita'  e  circostanze  dell'azione; qualita' e quantita'
delle   sostanze   stupefacenti):   introducendo,   con   cio',   una
ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto, ad esempio, alla
detenzione  da  parte  di  un  soggetto  incensurato  di quantitativi
superiori  di  stupefacenti,  ma  comunque  rientranti nell'ambito di
applicabilita' della predetta attenuante;
     che,  con  ordinanze  emesse il 7 novembre 2006 (r.o. n. 341 del
2007)  e il 6 dicembre 2006 (r.o. n. 417 del 2007), il giudice per le
indagini   preliminari  del  Tribunale  di  Novara  ha  sottoposto  a
scrutinio   di   costituzionalita'   la   medesima  disposizione,  in
riferimento al solo art. 27, terzo comma, Cost.;
     che il giudice a quo rileva come le funzioni che la Costituzione
assegna  alla pena - retributiva e afflittiva, in un'ottica di difesa
sociale  e  di  prevenzione  generale;  rieducativa  e di prevenzione
speciale,  in  vista del recupero del reo - coesistano all'interno di
un  sistema  che  risente  della dinamica dei fenomeni deliquenziali:
sicche'  il  legislatore  potrebbe,  nelle  sue  scelte  di  politica
criminale,  valorizzare  l'una piuttosto che l'altra, a patto, pero',
che nessuna di esse risulti obliterata;
     che nella specie, di contro, il legislatore avrebbe privilegiato
la   linea   repressiva,   obliterando  del  tutto  la  finalita'  di
rieducazione:  giacche',  inibendo  il  giudizio  di prevalenza delle
attenuanti  sulla  recidiva reiterata, avrebbe precluso al giudice la
possibilita'    di   individuare,   in   concreto,   il   trattamento
sanzionatorio  adeguato  alla  gravita'  del  fatto  commesso  e alla
personalita'  del  colpevole, tale da consentire l'auspicato recupero
sociale del condannato;
     che  con  ordinanza  emessa  il  19  maggio 2006 (r.o. n. 71 del
2007),  il  Tribunale  di  Cagliari ha sollevato, in riferimento agli
artt.  3,  25,  secondo  comma,  e  27,  primo  e terzo comma, Cost.,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma,
cod.  pen.,  come modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005,
con riguardo alla stessa articolazione precettiva;
     che  il  Tribunale  rimettente  ritiene che il divieto censurato
violi,  anzitutto,  il  principio  di  eguaglianza:  giacche', per un
verso,  imporrebbe  di  punire  allo  stesso  modo  fatti  di diversa
gravita'   concreta   (nella   specie,   la  detenzione  illecita  di
stupefacenti  di  lieve  entita' verrebbe punita con la medesima pena
prevista  i  fatti non lievi); e, per un altro verso, farebbe si' che
vengano  puniti  in modo diverso fatti oggettivamente analoghi, sulla
base  del solo elemento differenziale rappresentato dalla qualita' di
recidivo reiterato dell'autore;
     che   la   norma   censurata   introdurrebbe,  in  sostanza,  un
«automatismo  sanzionatorio»  atto  a determinare una «indiscriminata
omologazione»  dei  recidivi reiterati, sulla base di una presunzione
assoluta di pericolosita' che - prescindendo dalla natura dei delitti
cui  si  riferiscono  le  precedenti  condanne, dall'epoca della loro
commissione e dalla identita' della loro indole rispetto a quella del
nuovo reato - potrebbe non trovare riscontro nei fatti;
     che  tale  «automatismo»,  ancorato  alla  sola personalita' del
colpevole,  lederebbe anche l'art. 25, secondo comma, Cost., il quale
sancisce  un  legame  indissolubile  tra  la  sanzione  penale  e  la
commissione  di un «fatto», impedendo, quindi, che si punisca la mera
pericolosita' sociale;
     che  la norma censurata - impedendo l'adeguamento della risposta
punitiva  alle  caratteristiche  del  singolo  caso  - si porrebbe in
contrasto,   infine,   con   i   principi   di   personalita'   della
responsabilita'  penale,  di  proporzionalita'  della  pena  e  della
funzione  rieducativa  della  medesima,  posti  dall'art. 27, primo e
terzo comma, Cost.;
     che   il   Tribunale  di  Cagliari  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  della stessa norma, in riferimento agli
artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., con due
ulteriori ordinanze, emesse entrambe il 5 ottobre 2006 (r.o. n. 282 e
n. 283 del 2007);
     che  il  giudice a quo osserva come, ai sensi dell'art. 133 cod.
pen., la «pena giusta» debba essere determinata combinando in maniera
sintetica,  ma  razionale,  il  giudizio  in ordine alla gravita' del
reato  e  quello  concernente la capacita' a delinquere, desunta, fra
l'altro, dai precedenti penali e giudiziari;
     che  tale  ultimo  indice  si  presenta,  peraltro,  «del  tutto
indipendente  dalla  valutazione  del  fatto»: con la conseguenza che
quanto  maggiore  e'  la  rilevanza  ad esso accordata, tanto piu' la
sanzione  -  «a  causa  dell'efficacia  determinante svolta dal "tipo
d'autore"»  - acquisterebbe caratteri di «esemplarita», incompatibili
non soltanto con il principio della finalita' rieducativa della pena,
ma  anche  con  il principio di offensivita' desumibile dall'art. 25,
secondo comma, Cost.;
     che,  limitando  i  possibili esiti del giudizio di comparazione
delle  circostanze  -  e,  in  particolare, impedendo che elementi di
segno  contrario  possano  travolgere l'indice negativo rappresentato
dalla reiterazione del reato - la norma censurata avrebbe introdotto,
in  effetti, una sorta di presunzione legale di pericolosita' sociale
del recidivo reiterato;
     che  tale  previsione  si rivelerebbe peraltro irrazionale, alla
luce del carattere «perpetuo» della recidiva: la quale si configura -
fatta eccezione per la recidiva infraquinquennale - a prescindere dal
tempo  trascorso  dalla commissione dell'ultimo reato, e dunque anche
in  casi  in  cui,  essendosi  di  fronte a precedenti penali remoti,
l'indicata   presunzione  di  pericolosita'  non  trovi  in  concreto
giustificazione;
     che   il   divieto  di  «subvalenza»  della  recidiva  reiterata
opererebbe,  inoltre  -  altrettanto  irrazionalmente - in rapporto a
tutte  indistintamente le circostanze attenuanti: e, dunque, anche in
relazione alle attenuanti a carattere oggettivo, disomogenee rispetto
all'aggravante  de  qua, in quanto espressive del minor disvalore del
fatto,  a  prescindere  dalla  personalita' dell'autore; nonche' alle
attenuanti  ad  effetto  speciale,  cui  e'  spesso  sottesa  -  come
nell'ipotesi  di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
-  una  valutazione  del  tutto diversa della gravita' del fatto, col
rischio di imporre l'applicazione di pene palesemente inique;
     che,  con  ordinanze  emesse il 16 gennaio 2007 (r.o. n. 420 del
2007) e il 6 febbraio 2007 (r.o. n. 607 del 2007), la Corte d'appello
di  Torino  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 25, secondo
comma,   e   27,   terzo  comma,  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato
dall'art.  3  della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede
il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art.
73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata;
     che  la  Corte  rimettente esclude, anzitutto, che il divieto in
parola  possa  essere  reso  inoperante  dal  giudice,  semplicemente
decidendo - in relazione al carattere discrezionale dell'applicazione
della recidiva reiterata - di non tenere conto di tale aggravante nel
calcolo  della  pena:  e  cio'  in quanto il divieto e' stabilito con
riferimento  all'ipotesi  in  cui  le  circostanze  aggravanti  siano
«ritenute»; formula che lascerebbe intendere come sia sufficiente che
il  giudice reputi corretta la contestazione della recidiva reiterata
affinche' il divieto stesso scatti;
     che,  in  tale  ottica, la norma impugnata violerebbe l'art. 27,
terzo  comma,  Cost.,  ponendo  un  limite  alla discrezionalita' del
giudice  nella  determinazione  della  pena,  legato  ad una qualita'
personale  del  colpevole  (essere  gia'  stato condannato almeno due
volte per delitto), che puo' comportare - specie quando si discuta di
attenuanti  ad  effetto speciale, quale quella dell'art. 73, comma 5,
del  d.P.R.  n. 309  del 1990 - l'applicazione di pene sproporzionate
per  eccesso  rispetto alla gravita' oggettiva del fatto, inidonee ad
esplicare   effetti   risocializzanti   proprio   perche'   percepite
soggettivamente come inique;
     che  la  previsione normativa censurata comporterebbe, inoltre -
con  particolare  riguardo  all'attenuante anzidetta - una violazione
del  principio della necessaria proporzionalita' tra la pena inflitta
ed  il  fatto commesso, desumibile come «corollario» del principio di
offensivita' del reato (che trova fondamento, in primis
,   nell'art.   25,   secondo   comma,  Cost.)  e  del  principio  di
ragionevolezza della pena (art. 3 Cost.);
     che   il   limite   alla   discrezionalita'  del  giudice  nella
determinazione  della  pena,  derivante  dal  divieto denunciato, non
sarebbe infatti connesso al grado e all'intensita' dell'offesa che il
fatto  arreca al bene protetto, ma alle precedenti condanne riportate
da  chi  lo  ha  realizzato:  donde  il  pericolo  che  venga  punita
prevalentemente  la «colpevolezza per la condotta di vita» tenuta dal
soggetto  nel  tempo  che  ha  preceduto  la  commissione  del reato,
riesumando, in sostanza, la figura del «tipo di autore»;
     che  la  Corte  d'appello  di Genova, con ordinanza emessa il 21
giugno  2006  (r.o. n. 9 del 2007), ha sollevato, in riferimento agli
artt.   3   e   27  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  69,  quarto comma, e 99 cod. pen., come
modificati dagli artt. 3 e 4 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in  cui  stabiliscono  il  divieto  di  prevalenza  delle circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata;
     che,  a  parere  del  giudice  a  quo,  il  divieto in questione
sancirebbe  un  «inaccettabile  automatismo giuridico», evocativo del
«superato  concetto  di  delitto  o colpa d'autore»: con l'effetto di
omologare,  sul  piano  del trattamento sanzionatorio, situazioni del
tutto disomogenee, in violazione del principio di eguaglianza;
     che,   in   particolare,  un'ipotesi  di  cessione  illecita  di
stupefacenti, quale quella oggetto del giudizio a quo, da considerare
oggettivamente  lieve  per  la  modesta  quantita' dello stupefacente
ceduto  e  le  modalita'  dell'azione,  dovrebbe essere punita con la
medesima  pena, estremamente severa, applicabile ai sensi del comma 1
dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 a fatti ben piu' gravi;
     che   ne   deriverebbe,   al   tempo   stesso,   un  trattamento
sanzionatorio ingiustificatamente differenziato dei medesimi fatti di
lieve  entita',  i  quali,  solo  perche'  commessi  da  un  recidivo
reiterato, sarebbero puniti con pena di gran lunga superiore a quella
irrogabile  al  non recidivo: e cio' sulla base di una presunzione di
pericolosita'  da  ritenere affatto irrazionale, in quanto svincolata
dalla  natura  e  dalla  gravita'  dei  reati  per i quali sono state
pronunciate le precedenti condanne;
     che  risulterebbe  leso,  infine, l'art. 27, terzo comma, Cost.,
giacche'  le  norme  denunciate  rischierebbero di imporre - come nel
caso    di   specie   -   l'applicazione   di   pene   manifestamente
sproporzionate,   l'espiazione   delle  quali  non  consentirebbe  la
rieducazione del condannato;
     che  con  ordinanze emesse, rispettivamente, il 17 novembre 2006
(r.o. n. 394 del 2007) e il 15 giugno 2006 (r.o. n. 318 del 2007), il
Tribunale  di  Ragusa e il Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di
Vittoria,  hanno  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo
comma,  e  27  Cost. - e, limitatamente all'ordinanza r.o. n. 394 del
2007,   anche  in  riferimento  all'art.  24  Cost.  -  questioni  di
legittimita'  costituzionale:  a)  dell'art.  69,  quarto comma, cod.
pen.,  come modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella
parte  in  cui vieta di ritenere le circostanze attenuanti prevalenti
sulla  recidiva  reiterata; b) dell'art. 99, quarto comma, cod. pen.,
come  sostituito dall'art. 4 della medesima legge, nella parte in cui
prevede  un  aumento  di  pena obbligatorio e fisso per le ipotesi di
recidiva reiterata;
     che  le  norme censurate lederebbero i principi di eguaglianza e
di ragionevolezza, determinando - secondo l'ordinanza r.o. n. 394 del
2007  - illogiche disuguaglianze tra imputati dei medesimi reati; e -
secondo   l'ordinanza   r.o.   n. 318   del  2007  -  un  irrazionale
livellamento  del  trattamento  sanzionatorio dei recidivi reiterati,
indipendentemente    dal    numero   delle   circostanze   attenuanti
ravvisabili,  nonche'  dalla  natura  e dalla gravita' dei precedenti
penali;
     che  un  ulteriore  profilo  di  violazione  dell'art.  3  Cost.
emergerebbe  dal raffronto con il trattamento sanzionatorio riservato
al  delitto  di  associazione  finalizzata  al  traffico  illecito di
sostanze  stupefacenti: delitto riguardo al quale l'art. 74, comma 6,
del  d.P.R.  n. 309  del 1990 - ove l'associazione sia costituita per
commettere fatti di lieve entita' - opera un rinvio all'art. 416 cod.
pen.;  prevedendo,  cosi'  -  secondo  i rimettenti - una fattispecie
autonoma  di  reato,  e  non  gia'  una  semplice diminuzione di pena
rispetto alle ipotesi associative piu' gravi previste dai commi 1 e 2
del medesimo art. 74;
     che da cio' deriverebbe che mentre il recidivo reiterato, per la
cessione  anche  solo  di  qualche  grammo  di stupefacente, verrebbe
punito  con  la  pena  della reclusione da sei a venti anni, oltre la
multa,  stante  la natura circostanziale dell'ipotesi di cui all'art.
73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e il divieto di prevalenza di
detta  circostanza;  il medesimo recidivo reiterato che - commettendo
un  fatto  da  ritenere  senz'altro piu' grave - partecipi o si renda
promotore  di  una  associazione  dedita  al  narcotraffico, anche di
cosiddette droghe pesanti, per fatti di lieve entita', sarebbe punito
con la minore pena della reclusione da uno a cinque anni (nel caso di
mera  partecipazione)  o  da tre a sette anni (nel caso di promozione
del sodalizio criminoso);
     che  sarebbero altresi' compromessi i principi di materialita' e
offensivita'  del  reato,  desumibili  dall'art.  25,  secondo comma,
Cost.,  i  quali  impongono  al  legislatore di costituire l'illecito
penale  come  accadimento  esteriore,  lesivo di interessi penalmente
rilevanti: precetto viceversa eluso se il giudice, nel commisurare la
pena,  potesse  tenere conto solo di fattori legati alla personalita'
del  soggetto, desunta dalle precedenti condanne, a prescindere dalle
connotazioni concrete del fatto commesso;
     che  verrebbe leso, ancora - secondo l'ordinanza r.o. n. 318 del
2007  - il principio di personalita' della responsabilita' penale, in
forza  del quale la quantita' della pena dipende dalla commissione di
un  fatto  colpevole  e  dalla  misura della riprovazione cui esso si
espone:  rimanendo  con cio' escluso che l'autore possa essere punito
maggiormente  per  esigenze di difesa sociale, indipendenti dal fatto
commesso;
     che  i  nuovi  artt.  69, quarto comma, e 99, quarto comma, cod.
pen.   -   col   prevedere  un  trattamento  sanzionatorio  modellato
prettamente  sul  «tipo  di autore» - comprometterebbero, inoltre, le
diverse  funzioni  della  pena  (di  prevenzione,  sia  generale  che
speciale,  retributiva  e rieducativa): funzioni che presuppongono la
proporzionalita'  e  l'individualizzazione  della  risposta punitiva;
ostacolando,  al  tempo  stesso,  la  resipiscenza del condannato, il
quale   non  avrebbe  alcuno  stimolo  a  porre  in  essere  condotte
riparatorie o risarcitorie post factum
,  quali  quelle  rilevanti  ai  fini dell'applicazione dell'art. 62,
numero 6), cod. pen.;
     che,  secondo  l'ordinanza  r.o.  n. 394  del 2007, risulterebbe
vulnerato,  infine,  il  diritto di difesa (art. 24 Cost.): giacche',
nel caso di specie, il meccanismo sanzionatorio censurato - imponendo
l'irrogazione  di  una  pena  minima  non  inferiore  a  sei  anni di
reclusione  - priverebbe l'imputato della possibilita' di accedere al
«patteggiamento»; rito viceversa ammissibile «per altre ipotesi, pure
riconducibili  all'art.  73»  del  d.P.R.  n. 309  del  1990  «e  non
espressamente  escluse dall'art. 444» del codice di procedura penale,
«quando il bilanciamento delle circostanze e la riduzione per il rito
consenta di irrogare una pena non superiore ad anni cinque»;
     che  in  tutti  i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni
siano dichiarate infondate.
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni
identiche  od  analoghe,  onde  i  relativi giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
     che  questa  Corte  ha gia' scrutinato questioni di legittimita'
costituzionale  in  tutto  simili  a  quelle  odierne,  dichiarandone
l'inammissibilita'  per  non avere i giudici rimettenti verificato la
praticabilita'  di  una  soluzione  interpretativa  diversa da quella
posta  a  base  dei  dubbi di costituzionalita' ipotizzati, e tale da
determinare  il  possibile  superamento di detti dubbi, o da renderli
comunque  non rilevanti nei casi di specie (sentenza n. 192 del 2007;
ordinanze n. 33 e n. 90 del 2008, n. 409 del 2007);
     che  anche gli odierni rimettenti censurano, difatti, il divieto
di  prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata,
sancito  dal  nuovo  testo  dell'art.  69,  quarto  comma, cod. pen.,
sull'assunto  che  la norma denunciata avrebbe indebitamente limitato
il  potere-dovere  del  giudice  di  adeguamento  della  pena al caso
concreto  - adeguamento funzionale alla realizzazione dei principi di
eguaglianza,  di  necessaria  offensivita' del reato, di personalita'
della  responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena
-  introducendo  un  «automatismo  sanzionatorio»,  correlato  ad una
irrazionale presunzione iuris et de iure
di pericolosita' sociale del recidivo reiterato;
     che  ad  avviso dei rimettenti, cioe', il fatto che il colpevole
del  nuovo  reato  abbia riportato due o piu' precedenti condanne per
delitti  non  colposi  farebbe inevitabilmente scattare il meccanismo
limitativo  degli esiti del giudizio di bilanciamento tra circostanze
prefigurato dalla norma impugnata: con l'effetto di "neutralizzare" -
anche  quando  si  sia  in  presenza di precedenti penali remoti, non
gravi  e  scarsamente significativi in rapporto alla natura del nuovo
delitto - la diminuzione di pena connessa alle circostanze attenuanti
concorrenti,  indipendentemente  dalla natura e dalle caratteristiche
di queste ultime;
     che la maggior parte dei giudici a quibus
giunge a tale conclusione muovendo dal presupposto - per lo piu' solo
implicito,  e  comunque  indimostrato  -  che,  a seguito della legge
n. 251  del 2005, l'aumento di pena per la recidiva reiterata, di cui
all'art.  99,  quarto  comma, cod. pen., sia divenuto obbligatorio, e
non  possa  essere,  dunque, discrezionalmente escluso dal giudice in
correlazione alle peculiarita' del caso concreto: regime, questo, che
-  unitamente al carattere fisso del predetto aumento - forma oggetto
di  parallela  denuncia di incostituzionalita' da parte del Tribunale
di Ragusa e del Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria;
     che,  per contro, la Corte d'appello di Torino e il Tribunale di
Urbino,  pur  ritenendo  che la recidiva reiterata abbia mantenuto il
pregresso  carattere di facoltativita', assumono che tale carattere -
attenendo  alla sola applicazione dell'aumento di pena - non varrebbe
comunque   a   sottrarre   l'aggravante,   correttamente  contestata,
all'obbligatorio   giudizio   di   comparazione   con  le  attenuanti
concorrenti,  che  provoca la necessaria elisione di queste ultime in
base all'art. 69, quarto comma, cod. pen.;
     che  quella  prospettata dai giudici rimettenti non rappresenta,
tuttavia - sotto ambedue i versanti dianzi indicati - la sola lettura
possibile del vigente quadro normativo;
     che,  in primo luogo, infatti - per le ragioni specificate nella
sentenza  n. 192  del  2007  -  e' possibile ritenere che la recidiva
reiterata  sia  divenuta  obbligatoria  unicamente  nei casi previsti
dall'art.  99,  quinto  comma,  cod. pen. (rispetto ai quali soltanto
tale  regime  e'  espressamente contemplato), e cioe' ove concernente
uno  dei  delitti  indicati  dall'art.  407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale (il quale reca un elenco di reati ritenuti
dal  legislatore,  a  vari  fini,  di  particolare gravita' e allarme
sociale);   salvo,   poi,   l'ulteriore  problema  interpretativo  di
stabilire  quale  delitto debba rientrare in tale catalogo, affinche'
scatti  l'obbligatorieta':  se  il  delitto  oggetto della precedente
condanna; ovvero il nuovo delitto che vale a costituire lo status
di  recidivo;  o  indifferentemente  l'uno  o  l'altro; o addirittura
entrambi;
     che,   in   fatto,  nessuno  degli  odierni  rimettenti  risulta
procedere  per  delitti  compresi  nell'elenco  di  cui  alla  citata
disposizione  del  codice  di rito; e, d'altra parte, le ordinanze di
rimessione  o non specificano a quali delitti attengano le precedenti
condanne riportate dagli imputati; ovvero fanno riferimento a delitti
che - alla stregua delle indicazioni contenute nelle ordinanze stesse
- esulano anch'essi dall'elenco;
     che,  in secondo luogo, poi, nei limiti in cui si escluda che la
recidiva  reiterata sia divenuta obbligatoria, e' possibile sostenere
che  il  giudice  debba  procedere  al  giudizio  di  bilanciamento -
soggetto alla disciplina limitativa di cui all'art. 69, quarto comma,
cod.   pen.   -  unicamente  quando  ritenga  la  recidiva  reiterata
effettivamente  idonea  a determinare, di per se', un aumento di pena
per  il  fatto  per cui si procede: il che avviene - alla stregua dei
criteri  di  corrente adozione in tema di recidiva facoltativa - solo
allorche'   il   nuovo   episodio   delittuoso  appaia  concretamente
significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei
precedenti,  sotto  il  profilo  della piu' accentuata colpevolezza e
della maggiore pericolosita' del reo;
     che  la  Corte  d'appello  di  Torino  e  il Tribunale di Urbino
basano,  in  effetti, l'opposta conclusione sul mero riferimento alla
formula - in se' affatto anodina - «circostanze aggravanti ritenute»,
che  figura nell'art. 69, quarto comma, cod. pen.: senza considerare,
tuttavia,  che  anche  il  giudizio  di  comparazione tra circostanze
attiene al momento commisurativo della pena;
     che, al riguardo, va difatti osservato che qualora si ammettesse
che  la  recidiva  reiterata,  da  un  lato, mantenga il carattere di
facoltativita',  ma  dall'altro  abbia efficacia comunque inibente in
ordine  all'applicazione  di  circostanze  attenuanti concorrenti, ne
deriverebbe la conseguenza - primo visu
paradossale   -  di  una  circostanza  «neutra»  agli  effetti  della
determinazione   della   pena   (ove   non   indicativa  di  maggiore
colpevolezza  o  pericolosita'  del  reo),  nell'ipotesi di reato non
(ulteriormente)   circostanziato;   ma  in  concreto  «aggravante»  -
eventualmente,  anche  in  rilevante  misura  - nell'ipotesi di reato
circostanziato in mitius
     che  la  stessa giurisprudenza di legittimita' - che in un primo
tempo  si  era  espressa  sul tema in modo contrastante - appare, del
resto,   ormai   consolidata   nel  senso  dell'adesione  alla  linea
interpretativa dianzi tratteggiata;
     che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto, manifestamente
inammissibili: e cio' a prescindere dalla inesattezza dei presupposti
normativi  della  denuncia di violazione dell'art. 24 Cost. formulata
dal Tribunale di Ragusa nell'ordinanza r.o. n. 394 del 2007 (la quale
non  tiene  conto  ne' dei criteri di computo della pena, comprensivi
della  diminuzione connessa al rito, previsti dall'art. 444, comma 1,
cod.  proc.  pen.  ai  fini dell'accesso al cosiddetto patteggiamento
allargato,  ne'  della  preclusione  prevista in rapporto ai recidivi
reiterati   dal   comma  1-bis  del  medesimo  articolo);  nonche'  a
prescindere  dall'ulteriore  considerazione  che,  nelle  fattispecie
concrete  all'esame  dello stesso Tribunale di Ragusa e del Tribunale
di  Ragusa,  sezione  distaccata  di  Vittoria, la censurata fissita'
dell'aumento  di  pena  per la recidiva reiterata rimarrebbe comunque
irrilevante:  giacche',  per  affermazione  degli  stessi rimettenti,
detto  aumento  resterebbe  neutralizzato,  in  caso  di applicazione
dell'art.  69,  quarto  comma, cod. pen., dal giudizio di equivalenza
con l'attenuante concorrente.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.