Ordinanza
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11-quaterdecies,
comma  16,  del  decreto-legge  30  settembre 2005, n. 203 (Misure di
contrasto  all'evasione  fiscale  e  disposizioni  urgenti in materia
tributaria  e  finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.
1,  comma  1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale), convertito, con
modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della  legge 4 agosto 2006,
n. 248,  promossi  con  ordinanze  depositate il 30 agosto 2006 dalla
Commissione  tributaria  regionale  del Lazio, il 6 settembre ed il 9
ottobre  2007  dalla  Commissione  tributaria  provinciale di Ancona,
rispettivamente iscritte ai nn. 775 e 836 del registro ordinanze 2007
ed  al  n. 33 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2007 e
nn. 3 e 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2008;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella Camera  di  consiglio  dell'11 giugno 2008 il giudice
relatore Franco Gallo;
   Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio  di appello avente ad
oggetto la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva rigettato
il  ricorso  proposto  da  una  societa'  a  responsabilita' limitata
avverso un avviso di accertamento dell'ICI, la Commissione tributaria
regionale del Lazio, con ordinanza depositata il 30 agosto 2006 (r.o.
n. 775  del  2007),  ha  sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 53
della   Costituzione,   «nonche»   ai  «principi  di  ragionevolezza,
razionalita'  e  non  contraddizione»  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale   degli   artt.   11-quaterdecies,   comma   16,   del
decreto-legge   30   settembre  2005,  n. 203  (Misure  di  contrasto
all'evasione  fiscale  e disposizioni urgenti in materia tributaria e
finanziaria),  convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico
e  sociale,  per  il  contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione  fiscale),  convertito,  con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248;
     che,  secondo  quanto  premesso  in  punto  di fatto dal giudice
rimettente:  a)  con l'avviso impugnato, il Comune di Ladispoli aveva
accertato,  ai  fini  dell'ICI  relativa  all'anno 1999, il valore di
alcuni  terreni  della  suddetta  s.r.l.,  stimandoli in base al loro
valore  venale  in  comune  commercio,  invece che in base al reddito
dominicale  risultante in catasto; b) i terreni erano inseriti in una
zona  qualificata come edificabile dalla variante al piano regolatore
generale,  ma  per  la  quale  non  erano  stati  adottati  strumenti
urbanistici  attuativi  del  piano  generale;  c) l'adita Commissione
tributaria  provinciale  di  Roma aveva rigettato il ricorso proposto
dalla   societa'   avverso  il  menzionato  avviso  di  accertamento,
affermando   che   «la   semplice  iscrizione  del  terreno  in  zona
edificatoria  induce  la potenzialita' edificatoria dello stesso»; d)
con  atto d'appello, la medesima societa' aveva dedotto, tra i motivi
di  gravame,  che detti terreni non erano edificabili nel 1999, ma lo
erano  divenuti  solo  successivamente,  a  seguito di «lottizzazione
d'ufficio»  dell'area,  effettuata  con deliberazione comunale del 25
marzo 2002;
     che,  secondo  quanto  premesso in punto di diritto dal medesimo
giudice  rimettente: a) l'art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo,
del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992, n. 504 (Riordino della
finanza  degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge
23  ottobre  1992,  n. 421),  stabilisce  che,  ai  fini dell'imposta
comunale  sugli  immobili  (ICI),  «per  area fabbricabile si intende
l'area  utilizzabile  a  scopo  edificatorio  in  base agli strumenti
urbanistici  generali  o  attuativi  ovvero in base alle possibilita'
effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli
effetti  dell'indennita'  di espropriazione per pubblica utilita»; b)
era  insorto  un  contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione di
detta  disposizione  con  riguardo all'assoggettabilita' all'ICI come
"fabbricabili"  delle aree che, pur essendo considerate "utilizzabili
a  scopo  edificatorio"  dal  piano  regolatore  generale,  non erano
effettivamente  suscettibili  di  edificazione  a causa della mancata
approvazione  dei  necessari piani attuativi ovvero dell'esistenza di
misure  di  salvaguardia  adottate dal Comune (il rimettente cita, in
senso  favorevole  alla  qualificabilita'  come fabbricabili di dette
aree,  la  sentenza  della  Corte di cassazione n. 16751 del 2004; in
senso sfavorevole, la sentenza della stessa Corte n. 21573 del 2004);
c)  a  dirimere detto contrasto sono sopravvenute, nella pendenza del
giudizio  di appello, le due denunciate disposizioni di legge, aventi
entrambe (come il rimettente desume dalla loro formulazione letterale
e dalla loro ratio
)  indubbia natura di interpretazione autentica (per la parte che qui
interessa  ai  fini di causa) dell'art. 2, comma 1, lettera b), primo
periodo,  del decreto legislativo n. 504 del 1992 e, pertanto, dotate
entrambe  di  efficacia  retroattiva;  d)  la  piu' recente delle due
citate  disposizioni  interpretative  (cioe'  l'art. 36, comma 2, del
decreto-legge   n. 223   del   2006)   ha  comportato  «l'abrogazione
implicita»  della  prima  (cioe' dell'art. 11-quaterdecies, comma 16,
del  decreto-legge  n. 203  del 2005), stabilendo (con norma ritenuta
dal  rimettente di «identico significato» rispetto a quella abrogata)
che  un'area  e' da considerare fabbricabile, ai fini dell'ICI (oltre
che   ai   fini  delle  imposte  sui  redditi  e  di  registro),  «se
utilizzabile  a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico
generale  adottato  dal  comune,  indipendentemente dall'approvazione
della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo»;
     che,  in  ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate
questioni,  il  giudice a quo afferma che «la norma d'interpretazione
autentica  denunciata»,  nell'equiparare ai fini fiscali, quanto alla
potenzialita'  edificatoria,  un'area  qualificata come "edificabile"
dal  piano regolatore generale, per la quale - a causa della mancanza
di  uno strumento urbanistico attuativo del piano regolatore - non e'
concedibile  il  permesso di costruire, ad un'area per la quale (data
la  presenza  dello  strumento  attuativo) detto permesso e', invece,
concedibile,  viola:  a)  l'art.  3  Cost., perche' irragionevolmente
sottopone    al   medesimo   trattamento   fiscale   situazioni   che
l'ordinamento giuridico (avendo separato lo ius aedificandi
dal   diritto  di  proprieta'  e  configurato  un  differente  regime
edificatorio  dei  terreni  a seconda che sia stato o no adottato uno
strumento  urbanistico  di  attuazione del piano regolatore generale)
considera  diverse  ai  fini dell'edificabilita'; b) l'art. 53 Cost.,
perche'   «prescinde   dalla  capacita'  contributiva  reale  che  e'
necessariamente  mediata  dalle  norme  imperative  relative allo ius
aedificandi»;
     che,  al  riguardo,  il  giudice  rimettente  osserva che, se e'
insindacabile  nel  merito la scelta discrezionale del legislatore di
sottoporre  un  immobile  ad  una imposta patrimoniale annuale (quale
l'ICI)  commisurandola al valore venale del bene in comune commercio,
tuttavia,  nella  specie,  tale  discrezionalita' non ha rispettato i
«requisiti  e  principi  di logica, congruenza e non contraddizione»;
che  in  particolare  -  prosegue  il  giudice a quo -, poiche' e' in
concreto  edificabile  soltanto il terreno per il quale uno strumento
attuativo  del  piano  regolatore generale prevede la possibilita' di
rilasciare  la  concessione  edilizia,  e'  «[...]  contraddittorio e
illogico     ritenere,    per    interpretazione    autentica,    che
l'edificabilita'  si  realizzi  solo  sulla base della previsione del
PRG» (cioe' del piano regolatore generale), e «cio' per due ordini di
motivi»: in «primo luogo», perche' eventuali clausole di salvaguardia
adottate  dal Comune impedirebbero, per un periodo di almeno quindici
anni,  «secondo  la  giurisprudenza  della  Corte costituzionale», il
rilascio  del  permesso  di  costruire;  in «secondo luogo», perche',
«anche   scaduta   la   validita'   delle  norme  di  salvaguardia  e
nell'impossibilita' di reiterarle, l'edificabilita' sarebbe legata ai
ristretti limiti del PRG, solitamente identici a quelli in vigore con
gli  strumenti  attuativi  per  le  zone  agricole, il che riporta il
valore  del  terreno  appunto a quella qualificazione agricola che si
sarebbe voluta negare»;
     che   la  normativa  denunciata  -  conclude  il  rimettente  -,
assimilando l'edificabilita' di un terreno assistito da uno strumento
attuativo  a  quella  di  un  terreno  soltanto  inserito in una zona
edificabile  del  piano  regolatore generale, «intende sovrapporre la
realta'  giuridica a quella di fatto», con «atteggiamento sicuramente
vessatorio, proprio di regimi ben diversi dalla democrazia»;
     che,  in ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo
afferma  che  l'indubitabile  natura  interpretativa  e,  quindi,  la
valenza   retroattiva   delle   disposizioni   denunciate   le  rende
applicabili   anche   ai   periodi  d'imposta  oggetto  del  giudizio
principale,   con  conseguente  rigetto  dell'appello  (basato  sulla
dedotta  impossibilita'  giuridica  di costruire sui terreni indicati
nell'avviso  impugnato),  ove dette disposizioni non siano dichiarate
costituzionalmente illegittime;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate;
     che  la difesa erariale preliminarmente osserva che il contrasto
giurisprudenziale  menzionato  dal rimettente e' stato composto dalle
sezioni  unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 25506 del
2006,  secondo  cui  le  norme  denunciate  dal  giudice  a quo hanno
evidenziato  un  coerente  sistema  normativo in base al quale, da un
lato,  la legislazione fiscale - al fine di adeguare il prelievo alle
variazioni  nel  tempo  dei  valori  economici  dei suoli - considera
fabbricabile  un'area sin dal suo inserimento tra le zone edificabili
del  piano  regolatore  generale  (inserimento  che  normalmente gia'
influenza  il  valore  di  mercato,  determinato dalla effettivita' e
prossimita'   della   utilizzabilita'   edificatoria   del   suolo  e
dall'entita'  degli  eventuali  futuri  oneri  di  urbanizzazione) e,
dall'altro,  la  legislazione  urbanistica  - al fine di garantire il
corretto  uso  del  territorio urbano e di contemperare gli interessi
individuali  con  quelli della collettivita' - considera esercitabile
lo ius aedificandi
solo  dopo  il  perfezionamento  di  tutti  gli strumenti urbanistici
previsti  dalla  legge  (indipendentemente  dal valore di mercato nel
frattempo raggiunto dal terreno);
     che l'Avvocatura generale dello Stato afferma, pertanto, che: a)
la  denunciata  violazione  degli evocati parametri costituzionali e'
esclusa  proprio dalle riferite argomentazioni contenute nella citata
sentenza  delle sezioni unite della Corte di cassazione, in quanto e'
ragionevole  distinguere  le  finalita'  del  legislatore  fiscale da
quelle  del  legislatore urbanistico ed in quanto l'edificabilita' di
un  terreno  sulla  base del solo piano regolatore, anche se privo di
strumenti  attuativi,  e' gia' sufficiente, di norma, a far lievitare
il  valore  di  mercato  di detto terreno; b) contrariamente a quanto
ritenuto   dal   giudice  rimettente,  la  valutazione  come  terreno
agricolo, ai fini fiscali, di un'area qualificata come edificabile da
un  piano  regolatore generale privo di strumenti attuativi creerebbe
una   ingiustificata   disparita'   di   trattamento   rispetto  alla
valutazione  di un'area qualificata come edificabile da uno strumento
attuativo,  perche'  -  come  gia'  osservato - in entrambi i casi il
valore  di  mercato  del  bene e' superiore a quello risultante dalle
rendite catastali agricole;
     che,  nel  corso di due giudizi - nell'ambito dei quali e' stata
disposta   la   riunione   di  piu'  ricorsi  -,  aventi  ad  oggetto
l'impugnazione  e  la  sospensione dell'efficacia di alcuni avvisi di
accertamento  dell'ICI relativi agli anni 2000, 2001, 2002 e 2003, la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Ancona,  con  due ordinanze
depositate  rispettivamente in data 6 settembre 2007 (r.o. n. 836 del
2007)  e  9  ottobre  2007  (r.o.  n. 33 del 2008), ha sollevato - in
riferimento  agli  artt.  3,  53,  97,  102 e 111 della Costituzione,
nonche',  nella  sola ordinanza r.o. n. 33 del 2008, all'art. 3 della
legge  27  luglio  2000,  n. 212 (Disposizioni in tema di statuto dei
diritti del contribuente), ritenuta fonte a «normativita' rafforzata»
-    questioni    di    legittimita'   costituzionale   degli   artt.
11-quaterdecies,   comma  16,  del  decreto-legge  n. 203  del  2005,
convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma 1, della legge
n. 248  del  2005,  e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006,
convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma 1, della legge
n. 248 del 2006;
     che  il  suddetto  giudice rimettente si limita a premettere, in
punto   di  fatto,  che  le  aree  dei  ricorrenti  sono  considerate
«fabbricabili»,  e  come tali assoggettate ad ICI, perche' ricomprese
«in uno strumento urbanistico adottato dal comune»;
     che,  in  ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate
questioni,  la  Commissione  tributaria  provinciale  afferma  che le
disposizioni  censurate  violano gli evocati parametri costituzionali
sotto diversi profili;
     che,  in  primo  luogo,  il  giudice rimettente - sulla base del
duplice   presupposto   che   «in   materia  fiscale  gli  interventi
interpretativi  [...]  Non  sono  ispirati  [...]  alla  esigenza  di
realizzare  la  certezza  del  diritto,  ma  soltanto a garantire gli
interessi  di  una  delle parti in causa», e che, nel caso di specie,
non  e'  facile  «distinguere l'amministrazione finanziaria, parte in
causa,  dal  legislatore,  posto che la norma interpretativa e' stata
approvata  con decreto-legge del Governo, convertito in una legge, la
cui  approvazione  e'  stata  condizionata  dal  voto  di  fiducia al
Governo»  -  denuncia  la violazione: a) dell'art. 102 Cost., perche'
«la  giurisdizione  deve  essere  esercitata  dai  giudici, non da un
Legislatore  d'urgenza che faccia pendere la bilancia della giustizia
in proprio favore con una legge pretesamente interpretativa di quella
che i giudici debbono applicare»; b) dell'art. 111 Cost., perche' «il
processo  -  qualsiasi  processo  - e' regolamentato sulla base della
parita'  delle  parti in causa di fronte alla legge e al giudice, con
ovvia  impossibilita'  per  ciascuna  delle  parti  di intervenire in
proprio  favore  sulla  legge  stessa  da applicare»; c) dell'art. 97
Cost.,  perche'  «Neppure  la  pubblica  amministrazione  puo'  farsi
giustizia  da sola, e meno che mai con questi mezzi» (cioe' con leggi
di  interpretazione  autentica  volte  a predeterminare l'esito delle
controversie di cui essa stessa e' parte);
     che,    in   secondo   luogo,   il   rimettente   denuncia   sia
«l'insostenibile  parificazione fiscale» fra «aree con edificabilita'
concreta  e reale» ed «aree con edificabilita' "astratta" e meramente
virtuale»,  parificazione  che  ridonda  in  una  lesione dell'art. 3
Cost.,  sia  la  violazione  del  principio di capacita' contributiva
(art. 53 Cost.);
     che  la Commissione tributaria provinciale precisa, al riguardo,
che  le  disposizioni denunciate violano l'art. 53 Cost., perche' «il
necessario   presupposto  di  legittimita'  di  un  tributo  [e]  una
capacita'  contributiva non meramente ipotetica e virtuale (spesso un
flatus
vocis
     che,  in  terzo  luogo,  il  rimettente - sul presupposto che la
legge   n. 212  del  2000  e'  caratterizzata  da  una  «normativita'
rafforzata»  o  da una «superiore efficacia», che «rischia di restare
priva   di   precisi  contorni  specie  nel  contrasto,  sempre  piu'
frequente,  fra  lo  statuto  e  le  leggi  tributarie  successive» -
denuncia  la  violazione  dell'art. 3 della legge n. 212 del 2000, il
quale,  stabilendo  il  principio  dell'irretroattivita'  delle leggi
fiscali,  vieta  interpretazioni  autentiche,  che  sono  «ovviamente
retroattive»;
     che  il  medesimo giudice afferma, infine, che le questioni sono
rilevanti,  perche',  nell'ambito  dei  giudizi  di  impugnazione dei
menzionati  avvisi  di accertamento, deve decidere sulla richiesta di
sospensione   cautelare   degli   avvisi   e,   pertanto,  deve  fare
applicazione   delle   disposizioni   denunciate,   al   fine   della
«valutazione pregiudiziale del fumus boni
iuris
     che  il  rimettente ha, pertanto, sospeso l'efficacia degli atti
impugnati solo «fino all'esito del giudizio di costituzionalita»;
     che,  anche  in questi giudizi (r.o. n. 836 del 2007 e n. 33 del
2008),  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo   che   le   questioni  siano  dichiarate  inammissibili  o
infondate;
     che   la  difesa  erariale  eccepisce  l'inammissibilita'  delle
questioni,  sia  perche'  la mancata descrizione della fattispecie da
parte  del giudice rimettente rende impossibile valutare la rilevanza
delle  questioni medesime, sia perche', quanto al giudizio principale
in  cui  e'  stata  emessa l'ordinanza r.o. n. 836 del 2007, le norme
denunciate,  anche ove avessero natura innovativa (come affermato dal
rimettente  in  detta ordinanza, secondo l'Avvocatura generale) e non
interpretativa,  si  applicherebbero quantomeno dalla data della loro
entrata  in  vigore  e, quindi, anteriormente alla data di inizio del
giudizio  a  quo  (avente  ad  oggetto  «ricorsi riuniti iniziati nel
maggio 2007»);
     che,  nel  merito,  la  medesima  difesa erariale afferma che le
questioni  sono  infondate,  perche':  a)  le denunciate disposizioni
hanno  natura autenticamente interpretativa, rendendo obbligatorio un
significato  tra  quelli astrattamente attribuibili alle disposizioni
interpretate;  b)  non  e'  dubbio  che  uno strumento urbanistico in
itinere
conferisce  al terreno da esso qualificato come edificabile un valore
ben superiore a quello precedente;
     che,  al  riguardo, l'Avvocatura generale dello Stato aggiunge -
nel solo atto di intervento relativo al giudizio di costituzionalita'
promosso  con  l'ordinanza  r.o.  n. 836  del 2007 - che, nel caso di
«ritiro  del piano» attributivo della qualifica di area fabbricabile,
v'e'  comunque  un  sistema di rimborsi a favore degli interessati e,
percio',  nemmeno  sotto tale profilo vi e' una lesione degli evocati
parametri costituzionali.
     Considerato  che  la  Commissione tributaria regionale del Lazio
(r.o.  n. 775  del  2007)  -  in  riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione,  «nonche» ai principi di ragionevolezza, razionalita' e
non  contraddizione  -  e  la  Commissione  tributaria provinciale di
Ancona  (r.o. n. 836 del 2007 e n. 33 del 2008) - in riferimento agli
artt.  3,  53,  97, 102 e 111 della Costituzione, nonche', nella sola
ordinanza r.o. n. 33 del 2008, all'art. 3 della legge 27 luglio 2000,
n. 212 (Disposizioni in tema di statuto dei diritti del contribuente)
-  dubitano della legittimita' degli artt. 11-quaterdecies, comma 16,
del  decreto-legge  30  settembre  2005,  n. 203 (Misure di contrasto
all'evasione  fiscale  e disposizioni urgenti in materia tributaria e
finanziaria),  convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico
e  sociale,  per  il  contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione  fiscale),  convertito,  con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, legge 4 agosto 2006, n. 248;
     che,  in  ragione  dell'identita' delle norme denunciate e della
parziale   coincidenza   delle   censure   proposte,   i  giudizi  di
legittimita'   costituzionale   debbono  essere  riuniti  per  essere
congiuntamente decisi;
     che  i  giudici rimettenti muovono, nella sostanza, dalla comune
premessa  che  le  disposizioni censurate - e, in particolare, l'art.
36,  comma  2, del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale stabilisce
che  un'area  e' da considerare fabbricabile, ai fini dell'ICI (oltre
che   ai   fini  delle  imposte  sui  redditi  e  di  registro),  «se
utilizzabile  a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico
generale  adottato  dal  comune,  indipendentemente dall'approvazione
della  regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo» -
sono  dotate  di  efficacia  retroattiva ed incidono, pertanto, sulla
precedente   definizione  di  area  fabbricabile  rilevante  ai  fini
dell'ICI e contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo,
del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992, n. 504 (Riordino della
finanza  degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge
23  ottobre  1992, n. 421), in forza del quale «per area fabbricabile
si  intende  l'area  utilizzabile  a  scopo edificatorio in base agli
strumenti  urbanistici  generali  o  attuativi  ovvero  in  base alle
possibilita'  effettive di edificazione determinate secondo i criteri
previsti  agli effetti dell'indennita' di espropriazione per pubblica
utilita»;
     che, ad avviso della rimettente Commissione tributaria regionale
del  Lazio (r.o. n. 775 del 2007), le suddette disposizioni censurate
violano   gli   evocati   parametri   costituzionali,   perche':   a)
sottopongono   irragionevolmente   al  medesimo  trattamento  fiscale
situazioni  che  l'ordinamento  giuridico  (avendo  separato  lo  ius
aedificandi
dal   diritto  di  proprieta'  e  configurato  un  differente  regime
edificatorio  dei  terreni  a seconda che sia stato o no adottato uno
strumento  urbanistico  di  attuazione del piano regolatore generale)
considera  diverse ai fini dell'edificabilita'; b) prescindono «dalla
capacita'  contributiva  reale  che  e' necessariamente mediata dalle
norme imperative relative allo ius aedificandi»;
     che tali questioni sono in parte manifestamente inammissibili ed
in parte manifestamente infondate;
     che,   in   via  preliminare,  vanno  dichiarate  manifestamente
inammissibili,  per  difetto  di  rilevanza, le questioni concernenti
l'art.  11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005,
convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,  comma 1, della legge
n. 248  del  2005, perche' di tale disposizione il giudice rimettente
non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
     che,  infatti,  come affermato dallo stesso giudice rimettente e
come  gia'  rilevato  da  questa Corte nell'ordinanza n. 41 del 2008,
l'art.  36,  comma  2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006,
ha sostituito con effetto ex tunc
, abrogandola, la disciplina dettata dal citato art. 11-quaterdecies,
comma  16,  del decreto-legge n. 203 del 2005, con la conseguenza che
detto   art.   36,  comma  2,  e'  l'unica  disposizione,  delle  due
denunciate, a trovare applicazione nel giudizio principale;
     che,   nel  merito,  le  questioni  sollevate  dalla  rimettente
Commissione tributaria regionale del Lazio con riguardo al menzionato
art.  36,  comma  2, del decreto-legge n. 223 del 2006 debbono essere
dichiarate manifestamente infondate;
     che, infatti, questioni identiche a quelle sollevate dal giudice
a  quo  sono  gia'  state  dichiarate  manifestamente  infondate  con
l'ordinanza n. 41 del 2008, con cui questa Corte ha affermato che «e'
del tutto ragionevole che il legislatore: a) attribuisca alla nozione
di  "area  edificabile"  significati  diversi  a  seconda del settore
normativo  in  cui  detta nozione deve operare e, pertanto, distingua
tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione
del  valore  imponibile  del  suolo,  e normativa urbanistica, per la
quale invece rileva l'effettiva possibilita' di edificare, secondo il
corretto  uso del territorio, indipendentemente dal valore venale del
suolo;  b)  muova  dal  presupposto fattuale che un'area in relazione
alla  quale non e' ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che
tuttavia   e'   qualificata   come  "edificabile"  da  uno  strumento
urbanistico  generale  non  approvato  o attuato, ha un valore venale
tendenzialmente  diverso  da  quello  di un terreno agricolo privo di
tale  qualificazione;  c)  conseguentemente  distingua, ai fini della
determinazione   dell'imponibile   dell'ICI,   le   aree  qualificate
edificabili  in  base  a  strumenti  urbanistici  non approvati o non
attuati (e, quindi, in concreto non ancora edificabili), per le quali
applica  il  criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di
detta  qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della
valutazione basata sulle rendite catastali»;
     che,  in  particolare, «la potenzialita' edificatoria dell'area,
anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere
o  ancora  inattuati,  costituisce notoriamente un elemento oggettivo
idoneo  ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta
un  indice  di capacita' contributiva adeguato, ai sensi dell'art. 53
Cost.,  in  quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio
economicamente rilevante» (citata ordinanza n. 41 del 2008);
     che  il  giudice  rimettente  non  prospetta,  pertanto, profili
diversi  da  quelli  gia'  presi  in  esame  con la piu' volte citata
pronuncia  n. 41  del 2008, o comunque tali da indurre questa Corte a
modificare il precedente orientamento;
     che   tali   questioni,   dunque,   devono   essere   dichiarate
manifestamente infondate;
     che,   ad   avviso   della   rimettente  Commissione  tributaria
provinciale  di  Ancona  (r.o.  n. 836 del 2007 e n. 33 del 2008), le
suddette  disposizioni  censurate  violano gli artt. 3, 53, 97, 102 e
111 della Costituzione, nonche' l'art. 3 della legge n. 212 del 2000,
perche': a) creano un'«insostenibile parificazione fiscale» fra «aree
con  edificabilita'  concreta  e  reale»  ed «aree con edificabilita'
"astratta" e meramente virtuale» e considerano, quale presupposto del
tributo, una capacita' contributiva «meramente ipotetica e virtuale»;
b)  ledono la riserva di giurisdizione di cui all'art. 102 Cost. ed i
principi  della  parita'  delle parti nel processo e di imparzialita'
della  pubblica  amministrazione  quand'essa  e'  parte  processuale,
essendo dette disposizioni d'interpretazione autentica - contenute in
decreti-legge  la  cui conversione «e' stata condizionata dal voto di
fiducia al Governo» - finalizzate ad incidere sui processi in corso a
vantaggio  della  stessa  amministrazione  finanziaria,  che  avrebbe
assunto,   nella   fattispecie,   anche   veste  di  legislatore;  c)
contrastano   con  il  principio  dell'irretroattivita'  delle  leggi
fiscali stabilito dall'art. 3 della legge n. 212 del 2000, essendo le
leggi di interpretazione autentica «ovviamente retroattive»;
     che tali questioni sono manifestamente inammissibili, per omessa
descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus
;
     che   infatti  il  giudice  rimettente  non  ha  indicato  quali
strumenti   urbanistici  disciplinano,  per  gli  anni  d'imposta  in
contestazione, le aree oggetto degli impugnati avvisi d'accertamento,
ma   si   limita  a  rilevare,  al  riguardo,  che  dette  aree  sono
«considerate»   come   «fabbricabili»   perche'  ricomprese  «in  uno
strumento urbanistico adottato dal comune»;
     che,  pertanto, le ordinanze di rimessione non specificano - con
riferimento   a   ciascun   periodo  d'imposta  oggetto  dei  giudizi
principali  -  se,  per  le  aree  indicate dagli impugnati avvisi di
accertamento,  potesse  essere  rilasciato  o no titolo abilitativo a
costruire;
     che,  dunque, il rimettente non chiarisce se a dette fattispecie
si applicano le disposizioni denunciate;
     che,   secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'insufficiente  descrizione  della  fattispecie,  poiche' impedisce,
come nel caso di specie, di vagliare l'effettiva applicabilita' delle
norme  denunciate  ai casi dedotti nei giudizi principali, si risolve
in  carente  motivazione  sulla  rilevanza delle questioni sollevate,
determinandone,   conseguentemente,   la  manifesta  inammissibilita'
(ordinanze n. 129 e n. 31 del 2007; ord. n. 289 del 2006).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.