Ordinanza
nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 150 del decreto
legislativo  9  gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina
delle  procedure concorsuali, a norma dell'articolo 1, comma 5, della
legge  14  maggio  2005,  n. 80),  promossi con n. 2 ordinanze dell'8
maggio 2007 dal Tribunale ordinario di Pescara sulle istanze proposte
da P. M. e da P. A., iscritte ai nn. 763 e 764 del registro ordinanze
2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ª
speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto che,  con  due  ordinanze  di  identico  tenore - ambedue
depositate  in  data  8  maggio  2007  e  pronunziate  nel  corso  di
altrettanti  giudizi  volti  al  conseguimento  della  riabilitazione
civile  da  parte  di  soggetti gia' dichiarati falliti anteriormente
alla  data  di  entrata  in  vigore  del  d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma  organica  della  disciplina  delle procedure concorsuali, a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), -
il  Tribunale  ordinario  di  Pescara  ha  sollevato,  in riferimento
all'art.    3   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in
cui  non  prevede  la  persistente  applicabilita',  nei confronti di
coloro  il  cui fallimento sia stato integralmente disciplinato dalla
previgente normativa fallimentare, delle disposizioni che prevedevano
e regolavano la procedura di riabilitazione;
     che,  rileva  il  rimettente,  il  16 gennaio 2006 e' entrato in
vigore  l'art.  47  del  d.lgs.  n. 5  del 2006, il quale ha abrogato
l'art.  50  del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,   del   concordato   preventivo,   della  amministrazione
controllata   e   della   liquidazione  coatta  amministrativa),  che
istituiva  il  registro  dei  falliti  e correlava alla iscrizione in
detto  registro  la persistenza delle incapacita' personali stabilite
dalla legge a carico dei falliti;
     che, prosegue il Tribunale di Pescara, sebbene il citato art. 47
del  d.lgs.  n. 5  del  2006  sia  applicabile  anche  ai  fallimenti
dichiarati  prima  della sua entrata in vigore, di talche', anche per
tali  fattispecie,  puo'  ritenersi  che dalla data sopra indicata le
incapacita'   personali   che  conseguono  al  fallimento  permangono
soltanto  finche'  permane  lo  status  di  fallito  e cessano con la
chiusura  del  fallimento,  senza  che  sia  a  tal  fine  necessario
procedere alla riabilitazione del fallito, tuttavia non per questo vi
e'  totale carenza di interesse da parte dei ricorrenti nei giudizi a
quibus;
     che,   infatti,   gli   effetti   della  riabilitazione  non  si
esauriscono  nella  sola  cancellazione  del nome del riabilitato dal
registro   dei   falliti   e   nella  conseguente  «cessazione  delle
incapacita'  personali»  connesse a tale iscrizione, residuando anche
quelli previsti dall'art. 241 della legge fallimentare, relativamente
alla  estinzione  del reato di bancarotta semplice o, in caso di gia'
intervenuta  condanna,  della  esecuzione  e degli effetti di questa,
nonche'  dagli  artt. 24, 26 e 28 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia   di   casellario  giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni
amministrative  dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti),
disposizioni,   queste,   che   subordinano   la   non  menzione  dei
provvedimenti   concernenti   il   fallimento   nei  certificati  del
casellario   giudiziale   alla   definitivita'   della   sentenza  di
riabilitazione;
     che, continua il rimettente, a decorrere dal 16 luglio del 2006,
data  di  entrata in vigore nella sua completezza del d.lgs. n. 5 del
2006  -  il  quale,  agli artt. 128 e 129, ha sostituito all'istituto
della   riabilitazione   quello,   avente   diversa   natura,   della
esdebitazione  -  si  e'  determinata  non  solo la impossibilita' di
ammettere   i   ricorsi  per  riabilitazione  relativi  a  fallimenti
disciplinati  dalle  nuove  norme,  ma  anche  la  impossibilita'  di
ammettere  gli  analoghi  ricorsi  riferiti a fallimenti disciplinati
dalla normativa previgente;
     che a tale conclusione il rimettente giunge in quanto l'art. 150
del  d.lgs.  n. 5 del 2006, nel dettare la disciplina transitoria fra
il  sistema  precedente  alla  riforma  e  quello  successivo, limita
l'ultrattivita'  della  previgente  legge  fallimentare (oltre che ai
ricorsi   per  dichiarazione  di  fallimento  gia'  depositati)  alle
procedure  di fallimento pendenti alla data del 16 luglio 2006, cosi'
escludendo   i   procedimenti   per   riabilitazione   che,   sebbene
presuppongano  una  procedura  fallimentare, non ne costituiscono una
fase,  essendo, invece autonomi, per genesi e disciplina, rispetto ad
essa;
     che,  da quanto sopra, il rimettente fa derivare, per i debitori
dichiarati  falliti  che  gia'  non  l'abbiano  ottenuta prima del 16
luglio 2006, la impossibilita' di accedere alla riabilitazione, anche
quale  causa  di  estinzione del reato di bancarotta semplice o degli
effetti  della  relativa  condanna  nonche'  quale  motivo  della non
menzione del fallimento nei certificati del casellario giudiziale;
     che,  secondo  il  rimettente,  cio'  determina un'inammissibile
disparita'  di  trattamento  fra  situazioni  identiche, non trovando
giustificazione   alcuna   la   discriminazione,   sotto  il  profilo
dell'accesso  alla  riabilitazione,  esistente  fra  soggetti  le cui
procedure sono state disciplinate dalla medesima normativa, cagionata
solo  dal  fatto  che  taluni,  e  non  altri,  abbiano  ottenuto  la
riabilitazione prima di una certa data;
     che  il  rimettente ritiene non emendabile in via interpretativa
la  descritta  disparita'  di  trattamento, sicche' l'unico mezzo per
rimuoverla  e'  sollevare la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  150  del  d.lgs.  n. 5  del  2006  in  quanto  non prevede
l'applicabilita' della disciplina della riabilitazione civile, di cui
agli  artt. da 142 a 145 della legge fallimentare nel testo anteriore
alla  entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 5  del 2006, ai fallimenti
soggetti, per il resto, alla previgente normativa fallimentare;
     che,   quanto  alla  rilevanza  della  questione,  il  Tribunale
rimettente osserva come la norma censurata debba essere applicata nei
giudizi    a   quibus,   derivando   dall'esito   dell'incidente   di
costituzionalita' l'ammissibilita' o meno dei ricorsi;
     che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  concluso  per  la  inammissibilita' ovvero per
l'infondatezza della sollevata questione;
     che,   in  particolare,  ad  avviso  della  difesa  pubblica  la
questione  sarebbe  inammissibile per difetto di rilevanza in quanto,
non  sussistendo  a  carico degli istanti nei giudizi a quibus alcuna
conseguenza  pregiudizievole  della  dichiarazione  di  fallimento, i
medesimi sarebbero in tali giudizi carenti di interesse a ricorrere;
     che,  nel  merito,  la  interveniente difesa ha osservato che il
rimettente non avrebbe dimostrato quale lesione possa derivare, a chi
sia   stato   dichiarato   fallito,   dalla   iscrizione,   meramente
rappresentativa  di  un dato storico, della sentenza dichiarativa del
fallimento nel casellario giudiziale.
   Considerato  che  il  Tribunale  ordinario  di  Pescara,  con  due
identiche  ordinanze,  ha  sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 150
del  d.lgs.  9  gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina
delle  procedure  concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della
legge  14  maggio 2005, n. 80), nella parte in cui, non prevedendo la
ultrattivita'  -  nei  confronti di coloro che siano stati dichiarati
falliti   con   integrale  applicazione,  sino  alla  chiusura  della
procedura,   della   previgente   disciplina   fallimentare  -  delle
disposizioni  che,  nel testo della legge fallimentare anteriore alla
riforma  realizzata  col  citato  d.lgs. n. 5 del 2006, regolavano la
riabilitazione  civile,  impedisce  a  questi soggetti di beneficiare
delle  persistenti conseguenze favorevoli della riabilitazione quali,
ai  sensi  dell'art.  241  del  regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo  e  della
liquidazione  coatta  amministrativa),  la  estinzione  del  reato di
bancarotta  semplice  oppure,  ove  gia' sia intervenuta condanna, la
cessazione  della  sua  esecuzione e degli altri effetti, o quali, ai
sensi  degli artt. 24 e 26 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
casellario  giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), la non menzione
dei provvedimenti concernenti il fallimento nei certificati, generale
e   civile,   del   casellario   giudiziale  rilasciati  a  richiesta
dell'interessato;
     che,   attesa   l'evidente  connessione  fra  gli  incidenti  di
costituzionalita',   essi   possono   essere   riuniti   e   trattati
congiuntamente per essere decisi con unica pronunzia;
     che,  come  gia'  rilevato da questa Corte con l'ordinanza n. 87
del   2008,  successivamente  al  deposito  delle  due  ordinanze  di
remissione il quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono
le    disposizioni    oggetto   della   questione   di   legittimita'
costituzionale e' sensibilmente mutato;
     che, in particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, e' entrato
in   vigore   il   decreto  legislativo  12  settembre  2007,  n. 169
(Disposizioni  integrative  e  correttive  al  regio decreto 16 marzo
1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in
materia  di  disciplina  del  fallimento, del concordato preventivo e
della  liquidazione  coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1,
commi  5,  5-bis,  e  6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), il quale,
all'art.  21,  comma  1,  ha espressamente disposto la abrogazione di
talune disposizioni contenute del d.P.R. n. 313 del 2002;
     che,  nello  specifico, oltre ad essere stati abrogati l'art. 3,
comma   1,  lettera  l),  del  d.P.R.  n. 313  del  2002,  norma  che
disciplinava  la  iscrizione  nel casellario giudiziale, fra l'altro,
dei  provvedimenti  giudiziari  aventi ad oggetto la dichiarazione di
fallimento, e il successivo art. 5, comma 2, lettera i), del medesimo
d.P.R.  n. 313  del 2002, che, a sua volta, prevedeva la eliminazione
della  iscrizione  della sentenza dichiarativa del fallimento solo in
caso  di intervenuta revoca definitiva dello stesso, risultano essere
stati  oggetto  di  abrogazione  anche  gli stessi artt. 24, comma 1,
lettera  n),  25, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del
d.P.R.  n. 313  del 2002, cioe' alcune delle disposizioni legislative
che   il  Tribunale  di  Pescara  ha  tenuto  presenti  nel  motivare
l'incidente   di   costituzionalita',   trattandosi   proprio   delle
disposizioni   che   disciplinavano   la  inseribilita'  o  meno  nei
certificati del casellario giudiziale della sentenza dichiarativa del
fallimento;
     che,  peraltro,  il medesimo art. 21 del d.lgs. n. 169 del 2007,
al comma 2, prevede altresi' che, per le procedure concorsuali aperte
a  far  data  dal 16 gennaio 2006, il richiamo, contenuto negli artt.
24, comma 1, lettera n), e 26, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 313
del  2002, all'istituto della riabilitazione deve intendersi riferito
alla chiusura del fallimento;
     che,  oltre alle ricordate sopravvenienze legislative, e' ancora
intervenuta  la  sentenza  n. 39  del  2008  di questa Corte che, nel
dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 50 e 142
della  legge fallimentare, nel testo anteriore alla entrata in vigore
del d.lgs. n. 5 del 2006, - concernenti, il primo, la istituzione del
«pubblico  registro  dei  falliti»  e  la previsione della permanenza
delle  incapacita' connesse allo status di fallito fin tanto che dura
la   predetta  iscrizione  e,  il  secondo,  la  cancellazione  della
iscrizione  in  questione e la cessazione delle ricordate incapacita'
solo a seguito della definitivita' della sentenza di riabilitazione -
ha  precisato,  anche  sulla  scorta  della  giurisprudenza formatasi
presso  la Corte europea dei diritti dell'uomo, che le norme suddette
risultavano  in contrasto con l'art. 3 della Costituzione proprio la'
dove prevedevano che determinati effetti del fallimento, assunti come
genericamente  sanzionatori, permanessero anche «dopo la chiusura del
fallimento  [...]  senza  correlarsi  alla  protezione  di  interessi
meritevoli di tutela»;
     che   la   complessita'   ed   articolazione   delle  menzionate
sopravvenienze,   intervenute  nell'ambito  normativo  oggetto  delle
ordinanze  di  rimessione,  inducono questa Corte, come gia' avvenuto
relativamente  alla  fattispecie  definita  con l'ordinanza n. 87 del
2008,  a  disporre  la  restituzione degli atti al rimettente perche'
valuti,  anche  in  considerazione di eventuali ulteriori prospettive
interpretative  costituzionalmente orientate, la perdurante rilevanza
della questione nei giudizi di cui e' investito.