Sentenza
nel  giudizio  per  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
sorto  a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 17
aprile   2002,   n. 133   (Doc.   IV-quater,   n. 7),  relativa  alla
insindacabilita',   ai   sensi   dell'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione,   delle   opinioni   espresse   dall'onorevole   Silvio
Berlusconi  nei confronti di Carlo Caracciolo di Castagneto, promosso
dalla  Corte  d'appello  di  Roma, sezione quarta penale, con ricorso
notificato  il  23  dicembre  2004,  depositato  in cancelleria il 31
dicembre 2004 ed iscritto al n. 33 del registro conflitti 2004.
   Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  febbraio  2008  il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
   Udito l'avvocato Massimo Lucani per la Camera dei deputati.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - Con ordinanza-ricorso del 19 giugno 2003, la Corte d'appello
di Roma, sezione quarta penale, ha promosso conflitto di attribuzione
fra  poteri  dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in
relazione  alla  delibera adottata il 17 aprile 2002 (Doc. IV-quater,
n. 7),  con  la quale - in conformita' alla proposta della Giunta per
le  autorizzazioni a procedere - e' stato dichiarato che i fatti, per
i  quali  il  deputato Silvio Berlusconi e' sottoposto a procedimento
penale per il reato di diffamazione nei confronti di Carlo Caracciolo
di  Castagneto, riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle sue
funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   La  Corte ricorrente espone che l'onorevole Berlusconi e' imputato
«del reato di cui agli artt. 595 c.p., 13 e 21 della legge 8 febbraio
1948,  n. 47  e  30  della  legge  6  agosto  1990  n. 223, per avere
rilasciato, nel corso della trasmissione radiofonica "Radio anch'io",
in  onda  il  30  novembre  1999,  dichiarazioni  che  qui  si devono
intendere  integralmente  riportate, con le quali si offendeva, anche
mediante l'attribuzione di fatti determinati, la reputazione di Carlo
Caracciolo  di  Castagneto, in proprio e nella qualita' di presidente
del  consiglio  di  amministrazione della "Gruppo Editoriale Espresso
S.p.a.",  di  cui fa parte il quotidiano "La Repubblica", affermando,
tra  l'altro:  "dispiace  che naturalmente tutti i giornali che hanno
barattato  l'impunita',  parlo  esplicitamente  della Repubblica, che
anche  oggi  continua  a  intervenire  modificando le cose, che hanno
barattato  l'impunita'  del  loro editore offrendosi a questo partito
dei  giudici,  dei giudici giacobini, come la gazzetta giustizialista
che   ha  sempre  sostenuto  le  loro  posizioni,  continuino  a  non
raccontare cio' che gli italiani, invece, che sono saggi, sanno"».
   Ricorda  la Corte che davanti a se' pende l'impugnazione, proposta
dal  pubblico  ministero,  avverso  la  sentenza  emessa  dal Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale di Roma, con la quale si e'
dichiarato   non  luogo  a  procedere  nei  confronti  dell'onorevole
Berlusconi,  ai  sensi  dell'art. 68 Cost., ritenendo che le opinioni
dallo  stesso  manifestate nella intervista radiofonica costituissero
opinioni  che  «da  tempo, formavano oggetto di doglianze espresse in
molteplici  atti  di sindacato ispettivo, in Parlamento, da esponenti
del suo partito e di quella opposizione parlamentare che lo riconosce
come proprio leader».
   Nelle  more  del  giudizio,  e'  pervenuta  la deliberazione della
Camera  dei  deputati  del  17  aprile 2002, secondo la quale i fatti
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni.
   La  Corte  ricorrente, richiamata la giurisprudenza costituzionale
in  materia,  ha  sottolineato:  a)  che,  ai  fini dell'applicazione
dell'art. 68 Cost., non e' sufficiente che le opinioni espresse fuori
dalla  sede  parlamentare  siano genericamente inerenti all'esercizio
delle  funzioni,  ne'  basta  la  semplice  comunanza  di argomenti o
l'identita' di contesto tra le dichiarazioni e gli atti tipici, ma e'
necessaria    una   identificabilita'   della   dichiarazione   quale
espressione  di  attivita' parlamentare e non genericamente politica;
con  la conseguenza che gli atti extra moenia sono insindacabili solo
in  caso di corrispondenza sostanziale di contenuto con atti tipici e
ove    siano    riproduttivi    di    opinione   precedentemente   (o
contestualmente)  espressa  in sede parlamentare; b) che la questione
dei  rapporti  anomali tra politica, magistratura e stampa e' materia
troppo  vasta  e indefinita e costituisce solo il quadro entro cui si
inseriscono  le  esternazioni  rilevanti  nel  processo;  c)  che non
risulta  che,  in occasione dell'attivita' parlamentare tipica, l'on.
Berlusconi  (o  altro parlamentare) abbia mai espresso l'opinione che
«La  Repubblica»  (o  altro giornale) abbia barattato l'impunita' del
suo  editore  aderendo al «partito dei giudici giacobini»; d) che gli
atti parlamentari richiamati nella delibera della Camera (e prima dal
GUP)   non   fanno  riferimento  a  tale  accordo  criminoso,  ma  si
inseriscono   nel  quadro  generale  suddetto;  e)  che  una  qualche
comunanza   di   argomenti  puo'  rinvenirsi  in  una  interrogazione
presentata   da   altri  parlamentari  di  «Forza  Italia»  in  epoca
successiva   (20  gennaio  2000),  pertanto  irrilevante  secondo  un
principio  gia'  affermato  dalla  Corte  costituzionale.  Infine, il
giudice  a  quo,  richiamato l'orientamento della Corte di cassazione
secondo  cui la «comunicazione» e' elemento essenziale della funzione
parlamentare  e il collegamento non puo' dipendere da criteri formali
(sentenze  n. 16195  del  2002  e  n. 8742 del 1999), sostiene che la
«comunicazione»  non  puo'  confondersi  con l'aggressione all'altrui
reputazione al di fuori di ogni controllo, anche parlamentare, e che,
essendo   la   «comunicazione»  elemento  strutturale  del  reato  di
diffamazione,   e'   necessario   un  bilanciamento  degli  interessi
attraverso  l'individuazione  del  confine  della liceita', anche con
criteri formali, per non approdare alla irresponsabilita'.
   La  Corte d'appello conclude nel senso che la Camera, erroneamente
esercitando  il  proprio  potere  con la delibera di insindacabilita'
adottata,  ha  leso  le  attribuzioni  costituzionali  dell'autorita'
giudiziaria,   e,  pertanto,  chiede  l'annullamento  della  suddetta
delibera.
   2.  -  Il  conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 397 del 2004, depositata il 21 dicembre 2004, e notificata, a cura
del  ricorrente,  unitamente all'atto introduttivo del giudizio, alla
Camera  dei  deputati  in  data  23  dicembre  2004. Il successivo 31
dicembre la stessa ricorrente ha provveduto ad effettuare il deposito
presso la cancelleria di questa Corte.
   3.  -  Si  e'  costituita  nel giudizio la Camera dei deputati, la
quale,  riservandosi  di  identificare  compiutamente  le  ragioni di
irricevibilita',  inammissibilita'  e improcedibilita' del conflitto,
ha  concluso,  nel  merito,  per  la  sua  infondatezza, rilevando il
fondamento  politico  delle  dichiarazioni in relazione alle quali si
procede  a  carico  del deputato e la sussistenza di nesso funzionale
tra le stesse e gli atti tipici di funzione.
   In  proposito,  si  richiamano  una  serie  di  interrogazioni  ed
interpellanze,   presentate,   a  partire  da  un'epoca  notevolmente
anteriore,  da  deputati  e  senatori appartenenti allo stesso gruppo
parlamentare  dell'imputato, nelle quali si manifestava l'opinione di
una   indebita  commistione  tra  mondo  della  carta  stampata,  con
particolare  riferimento  al  gruppo  «L'Espresso»,  e  settori della
magistratura;  e  se  ne  fa  discendere  la  sussistenza  del  nesso
funzionale  con  le  dichiarazioni  rese  dal  deputato,  relative  a
ritenuti  illegittimi  intrecci fra giornalismo e magistratura, ed al
favor  di  quest'ultima nei confronti del quotidiano «La Repubblica»,
ricambiato  dall'atteggiamento  giustizialista del predetto giornale.
Il contenuto delle dichiarazioni per le quali si procede a carico del
predetto  deputato  sarebbe,  dunque, corrispondente, al di la' della
diversita'  di  alcune  delle  parole  adoperate, a quello degli atti
tipici   di   funzione   richiamati  dalla  difesa  della  Camera,  a
prescindere  dalla  identita'  del  parlamentare  dichiarante,  avuto
riguardo   alla   funzione  oggettiva  di  tutela  delle  istituzioni
rappresentative,  e  non  dei  singoli  membri  delle  stesse, cui e'
preordinata  la  guarentigia  di  cui all'art. 68, primo comma, della
Costituzione.   Sotto   tale  profilo,  si  sollecita  una  revisione
dell'indirizzo  della  giurisprudenza costituzionale in tema di nesso
funzionale.
   In  una successiva memoria, la Camera dei deputati ha richiesto la
declaratoria  di  improcedibilita'  ovvero  di  inammissibilita'  per
sopravvenuta carenza di interesse, in considerazione della entrata in
vigore  della  legge  20  febbraio  2006, n. 46, che ha modificato il
regime dei gravami contro le sentenze di proscioglimento, disponendo,
tra  l'altro, all'art. 10, comma 1, che l'appello proposto contro una
sentenza  di  proscioglimento  dall'imputato o dal pubblico ministero
prima  della  data  di  entrata  in  vigore  della legge stessa viene
dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile.
   Nel merito, la Camera insiste per la infondatezza del ricorso.
   4. - Nell'imminenza della data fissata per la udienza pubblica, la
difesa  della  Camera  dei  deputati ha depositato una memoria con la
quale  insiste  nelle  conclusioni  gia'  rassegnate,  richiamando le
argomentazioni  svolte in merito alla improcedibilita' del conflitto,
che,  peraltro,  non  tenevano,  ovviamente, conto della sopravvenuta
sentenza  della  Corte  n. 26  del  2007, e ribadendo la infondatezza
delle   censure   prospettate   dalla  ricorrente,  alla  luce  della
configurabilita'  del  nesso  funzionale  tra  gli  atti tipici della
funzione  parlamentare gia' citati nella memoria di costituzione e le
dichiarazioni  in oggetto. In proposito, si sottolinea che, quando la
manifestazione  di  opinione extra moenia si inserisce in un contesto
politico-parlamentare,  ed  e'  espressione di politica parlamentare,
non  si  tratterebbe  di  una  generica  manifestazione  di  opinione
politica,  ma  di  una  piu'  puntuale  e  giuridicamente qualificata
opinione, specificamente legata alla discussione parlamentare.
   Nella  memoria  si  aggiunge che la paternita' delle dichiarazioni
rese  intra  ed  extra  moenia  non  avrebbe  alcun  rilievo  al fine
dell'attivazione  della  garanzia  di  cui  all'art. 68, primo comma,
della  Costituzione.  La logica della guarentigia costituzionale, che
tutela la istituzione e non il singolo, suggerirebbe di agganciare il
nesso   funzionale  all'intera  attivita'  parlamentare  di  tutti  i
componenti  le Assemblee rappresentative. Tale conclusione troverebbe
conferma  nell'art.  67  della  Costituzione,  secondo  il quale ogni
membro  del  Parlamento  rappresenta  la  Nazione  ed esercita le sue
funzioni  senza vincolo di mandato: proprio perche' non vi e' vincolo
di  mandato,  sarebbe  la  Nazione  intera  ad  avere in ciascuno dei
parlamentari rappresentazione e rappresentanza.
   Infine,   nella  imminenza  della  data  fissata  per  la  udienza
pubblica,  a  seguito di rinvio a nuovo ruolo, la difesa della Camera
dei  deputati  ha depositato altra memoria, con la quale ribadisce le
proprie conclusioni, in particolare insistendo per la declaratoria di
inammissibilita' del conflitto, alla stregua della ritenuta mancanza,
nell'atto  introduttivo del giudizio, di una compiuta esposizione dei
presupposti   di   fatto   del  conflitto;  e,  nel  merito,  per  la
infondatezza dello stesso, in considerazione del nesso funzionale tra
le  dichiarazioni  rese extra moenia dal deputato di cui si tratta ed
alcuni  atti  tipici  del  mandato parlamentare, nesso ritenuto tanto
piu'  evidente in considerazione del ruolo di leader dell'opposizione
rivestito   dal   deputato   medesimo   all'epoca  cui  risalgono  le
dichiarazioni in questione.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte d'appello di Roma, sezione quarta - nel corso del
giudizio  di  appello  promosso  dal  pubblico  ministero  avverso la
sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Roma,  con la quale si dichiarava non luogo a procedere nei confronti
del  deputato Berlusconi - ha sollevato conflitto di attribuzione fra
poteri  dello  Stato in relazione alla deliberazione della Camera dei
deputati,  adottata  nella seduta del 17 aprile 2002 (Doc. IV-quater,
n. 7), con la quale e' stato dichiarato che i fatti per i quali e' in
corso  il  predetto  procedimento penale per il reato di diffamazione
aggravata nei confronti di Carlo Caracciolo di Castagneto, in proprio
e  nella  qualita' di Presidente del consiglio di amministrazione del
Gruppo editoriale l'Espresso s.p.a, di cui fa parte il quotidiano «La
Repubblica»,    riguardano   opinioni   espresse   dal   parlamentare
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
   2.  -  Preliminarmente,  deve essere confermata l'ordinanza n. 397
del  2004,  con  la  quale questa Corte ha ritenuto l'esistenza della
materia di un conflitto, la cui soluzione spetta alla sua competenza,
per   la   sussistenza   dei   requisiti   soggettivo  ed  oggettivo,
impregiudicata   ogni   ulteriore   decisione,   anche  in  punto  di
ammissibilita'.
   3. - Il ricorso e' inammissibile.
   3.1.  -  L'autorita' giudiziaria, la quale propone il conflitto di
attribuzione, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,
ha  l'onere,  per  il principio di completezza ed autosufficienza del
ricorso,  di riportare le dichiarazioni addebitate al parlamentare in
modo  tale  da  consentire  a  questa  Corte  di  raffrontarle con il
contenuto di atti tipici della funzione (sentenza n. 271 del 2007).
   Questa  Corte,  in altre occasioni, ha evidenziato che la mancanza
di  tale  puntuale  riproduzione determina il difetto di un requisito
essenziale (sentenze nn. 368 e 305 del 2007).
   E'  pur  vero  che  e' stata ritenuta sufficiente, a tali fini, la
riproduzione  delle  dichiarazioni  del deputato quali risultanti dal
capo di imputazione (sentenza nn. 97 e 28 del 2008 e nn. 291, 97 e 53
del  2007);  peraltro,  con  riguardo  al  caso di specie, il capo di
imputazione,  riportato  nell'atto introduttivo del giudizio, rinvia,
per  la  descrizione dei fatti, a dichiarazioni che «qui si intendono
integralmente  riportate»,  senza che le stesse risultino dagli atti.
Lo  stesso  capo  di imputazione si limita, poi, a riportare solo una
fra  le  varie affermazioni che la rimettente ritiene offensive della
reputazione del querelante.
   La  Corte  ricorrente  non  ha, pertanto, fornito gli elementi per
accertare   la   sussistenza   o   meno   del  nesso  funzionale  fra
dichiarazioni rese extra moenia e attivita' parlamentare, limitandosi
a   prospettare   una   ipotesi   di   offensivita'  in  ordine  alle
dichiarazioni   medesime,   senza   enunciarle,  e  rendendo,  cosi',
impossibile  a questa Corte di svolgere il compito ad essa riservato,
in  sede  di  decisione  del  conflitto  di  attribuzione,  ai  sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   Le  carenze  descritte comportano la non autosufficienza dell'atto
introduttivo  del  presente  giudizio  che  si traduce, a norma degli
artt. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e
sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),  e  26 delle norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla Corte costituzionale, nel
difetto   di   un   requisito   essenziale  del  ricorso,  che  deve,
conseguentemente, essere dichiarato inammissibile.