Sentenza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 155-quater,
primo  comma,  del  codice  civile,  introdotto dall'art. 1, comma 2,
della  legge  8  febbraio  2006,  n. 54  (Disposizioni  in materia di
separazione  dei  genitori  e  affidamento  condiviso  dei  figli), e
dell'art. 4 della stessa legge promossi con ordinanze del 22 febbraio
2007  dalla  Corte  d'appello  di  Bologna,  dell'11 gennaio 2007 dal
Tribunale  di  Firenze,  del 15 maggio 2007 dal Tribunale di Ragusa e
del  9  giugno 2007 dal Tribunale di Firenze rispettivamente iscritte
ai  nn.  569, 573, 787 e 818 del registro ordinanze 2007 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  34 e 48, 1ª serie
speciale,  dell'anno  2007  e  n. 1,  prima serie speciale, dell'anno
2008.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 maggio 2008 il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Corte  d'appello  di  Bologna  - nel corso del giudizio
originato  dal  gravame  proposto  da A.G. avverso la sentenza con la
quale  il  Tribunale  ordinario  di Bologna, dichiarata la cessazione
degli  effetti  civili  del  matrimonio  tra lo stesso e C. C., aveva
affidato il figlio minore alla madre, assegnandole la casa familiare,
ed  aveva  posto a carico del padre un contributo per il mantenimento
del  figlio,  avendo  rilevato  che  era emerso, gia' nel giudizio di
primo  grado, che l'appellata aveva intrapreso una convivenza, avente
carattere  di  stabilita',  con  il suo nuovo partner - con ordinanza
emessa il 22 febbraio 2007 (reg. ord. n. 569 del 2007), ha sollevato,
in   riferimento   all'art.   30  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  155-quater, primo comma, del
codice  civile,  introdotto  dall'art.  1,  comma  2,  della  legge 8
febbraio  2006,  n. 54  (Disposizioni  in  materia di separazione dei
genitori  e  affidamento  condiviso  dei  figli),  nella parte in cui
prevede  la  revoca,  con carattere di automatismo, dell'assegnazione
della  casa  familiare  in  caso di convivenza more uxorio o di nuovo
matrimonio   dell'assegnatario,   precludendo  qualunque  valutazione
dell'interesse del minore.
   Il  Collegio  rimettente  richiama, al riguardo, la giurisprudenza
costituzionale,  che,  osserva, ha costantemente sottolineato come la
predisposizione e conservazione dell'ambiente domestico, realizzabile
mediante  l'assegnazione  della  casa,  sia  funzionale allo sviluppo
armonico  della  personalita'  dei  figli  (sentenze n. 454 del 1989,
n. 166 del 1998, n. 125 del 1999, n. 394 del 2005).
   La  norma  censurata  non  sarebbe,  dunque,  coerente col rilievo
sistematico   centrale   che,   nell'ordinamento   dei   rapporti  di
filiazione,   fondato   sull'art.   30   della  Costituzione,  assume
l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori.
   2. - Il Tribunale ordinario di Firenze, nel corso del procedimento
ex art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento  del matrimonio), vertente tra S.A. e V.C., ed avente ad
oggetto  la  richiesta  di  modifica  delle  condizioni  di  divorzio
relative  al  regime  di  affidamento  dei  figli, alla entita' della
contribuzione  e alla assegnazione della casa familiare, rilevato che
la convenuta aveva contratto nuovo matrimonio e risiedeva col coniuge
ed  i  figli  da  lui  avuti  nella casa familiare, ha sollevato, con
ordinanza dell'11 gennaio 2007 (reg. ord. n. 573 del 2007), questione
di  legittimita'  costituzionale  del predetto art. 155-quater, primo
comma, cod. civ. in combinato disposto con l'art. 4 della legge n. 54
del  2006,  nella  parte in cui prevede, nel caso di divorzio, che il
nuovo    matrimonio    contratto    dal    genitore   affidatario   o
«domiciliatario»   di   prole   minorenne   o   maggiorenne,  ma  non
economicamente  autosufficiente,  comporti  la  revoca del diritto di
godimento  della  casa  familiare, per contrasto con gli artt. 3 e 29
della Costituzione.
   Rileva   il   giudice  a  quo  che,  nel  vigore  della  normativa
antecedente  la  riforma,  la  assegnazione  della casa familiare era
direttamente  ancorata  alla valutazione dei bisogni dei figli minori
di cui si mirava, col provvedimento in questione, a salvaguardare una
esigenza  di  stabilita' compromessa dalla crisi familiare intercorsa
tra  i  genitori.  Anche  la  valutazione introdotta all'art. 6 della
legge  n. 898  del  1970,  come modificato dall'art. 11 della legge 6
marzo  1987, n. 74, recante «Nuove norme sulla disciplina dei casi di
scioglimento  di matrimonio» («in ogni caso ai fini dell'assegnazione
il  giudice dovra' valutare le condizioni economiche dei coniugi e le
ragioni della decisione e favorire il coniuge piu' debole») in ordine
alla   situazione   economica   del  coniuge  piu'  debole  e'  stata
interpretata    dalla    giurisprudenza    di    legittimita'    come
necessariamente  ricollegata  alla  presenza di figli della coppia, i
cui bisogni dovevano ritenersi prevalenti sulla tutela del diritto di
proprieta'  del  genitore proprietario della abitazione (in comunione
legale  o  in  proprieta' esclusiva). Pertanto, anche nell'ipotesi in
cui  l'immobile  sia di proprieta' comune dei coniugi, la concessione
del  beneficio  in  questione  resta  subordinata, rileva il Collegio
rimettente,   all'imprescindibile  presupposto  dell'affidamento  dei
figli   minori   o  della  convivenza  con  i  figli  maggiorenni  ma
economicamente non autosufficienti.
   Tale  finalita', si osserva nella ordinanza di rimessione, permane
nella  disciplina  dell'art.  155-quater,  primo comma, cod. civ., il
quale  dispone  che  «il godimento della casa familiare e' attribuito
tenendo    prioritariamente    conto    dell'interesse   dei   figli.
Dell'assegnazione  il  giudice  tiene  conto  nella  regolazione  dei
rapporti  economici  tra i genitori considerato l'eventuale titolo di
proprieta».
   L'interesse  che  si  persegue e' quindi l'interesse del figlio al
mantenimento  dell'originario  habitat familiare: interesse che cede,
tuttavia,  nella  previsione  legislativa,  al diritto di proprieta',
qualora  il genitore assegnatario conviva more uxorio o celebri nuove
nozze.  Tale  disposto  crea  quindi,  secondo  il giudice a quo, una
irragionevole   disparita'  di  trattamento  tra  figli  di  genitori
separati   o   divorziati,  a  seconda  che  il  rispettivo  genitore
collocatario  intraprenda  o meno una stabile convivenza con un nuovo
partner:  il  figlio  di  genitore separato o divorziato ha sempre il
medesimo   interesse   al   mantenimento   della  propria  abitazione
familiare,  a  prescindere dalle vicende successive e dalle scelte di
vita del genitore col quale convive. D'altra parte, la limitazione al
diritto di proprieta' dell'altro genitore e' pienamente attuata anche
nel  vigente  assetto  normativo,  la'  dove  e' tutt'ora prevista la
assegnazione  della  casa  familiare  al genitore domiciliatario (non
convivente  o  non nuovamente coniugato) in attuazione della funzione
sociale  della  proprieta'  privata  (sancita  dall'art.  42, secondo
comma, Cost.).
   Alla  luce  delle argomentazioni che precedono, appare al Collegio
rimettente  irragionevole  privilegiare  il diritto di proprieta' del
genitore   non  domiciliatario  di  prole  solo  nel  caso  di  nuovo
matrimonio  o  nuova  convivenza  del  genitore domiciliatario (senza
tenere conto della portata pratica di tale disposizione, che imporra'
subprocedimenti   all'interno   dei  procedimenti  di  separazione  o
divorzio,  che  si vogliono rapidi per intuibili esigenze di certezza
dei  rapporti  familiari), in ulteriore contrasto con l'art. 29 Cost.
che  riconosce  la  liberta'  di matrimonio, la quale potrebbe venire
compressa  da  valutazioni  relative  alla  perdita  della abitazione
familiare.
   Gli   abusi,  che  sicuramente  sono  rinvenibili  nella  pratica,
relativi  al mantenimento della assegnazione la' dove in concreto non
ve ne sia la necessita' per le piu' varie ragioni, potrebbero trovare
adeguata  soluzione  - osserva il rimettente - nella previsione di un
potere  discrezionale  del  giudice della separazione o del divorzio,
nel  disporre  la revoca della assegnazione, e non nella imposizione,
attualmente  disposta,  di  una  automatica  revoca  conseguente alla
oggettivita' di una convivenza.
   3.  -  Lo  stesso  Tribunale  ordinario  di Firenze, nel corso del
procedimento  avente  ad  oggetto  lo scioglimento del matrimonio dei
coniugi  B.N.  e  A.I.,  con  le  conseguenti determinazioni inerenti
l'affidamento  della figlia minore E., il mantenimento della stessa e
della  figlia  maggiorenne  A.,  non  autonoma  dal  punto  di  vista
economico, e l'assegnazione della casa coniugale in comproprieta' tra
le parti, con Ordinanza emessa il 9 giugno 2007 (reg. ord. n. 818 del
2007),   nel   corso   di  un  procedimento  in  cui,  con  ordinanza
presidenziale  anteriore  all'entrata in vigore della legge n. 54 del
2006,  era  stato  stabilito, tra l'altro, l'affidamento della figlia
minore  E.  (quindicenne)  alla madre e l'assegnazione a questa della
casa  coniugale,  nella  sua  veste di genitore affidatario di figlio
minore,  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale dello
stesso art. 155-quater, primo comma, cod. civ., in combinato disposto
con  l'art. 4 della legge n. 54 del 2006, nella parte in cui prevede,
nel  caso di divorzio, che la convivenza more uxorio instaurata nella
casa  familiare  dal  genitore  affidatario o domiciliatario di prole
minorenne   o  maggiorenne  ma  non  economicamente  autosufficiente,
comporti la revoca del diritto di godimento della casa familiare, per
contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   Il  giudice  a  quo  premette  di  non ritenere praticabile la via
dell'interpretazione  costituzionalmente  orientata  della  norma,  a
fronte della chiarezza ed inequivocita' della formulazione letterale,
che  non  sembra  lasciare spazio a valutazioni del giudice in ordine
all'interesse  dei figli; e reputa, invece, sussistenti i presupposti
per  sollevare  questione  di  costituzionalita' della predetta norma
sulla  base  di  argomentazioni  analoghe  a quelle gia' riferite con
riguardo   alla  precedente  ordinanza  di  rimessione  dello  stesso
Tribunale ordinario (con esclusione del richiamo all'art. 29 Cost.).
   4.  - Il Tribunale ordinario di Ragusa, nel corso del procedimento
di  revisione ex art. 710 del codice di procedura civile, promosso da
C.M.  nei  confronti  della  moglie  separata  per  la  revoca  della
assegnazione della casa coniugale in favore di quest'ultima - questa,
prevista  dalle  condizioni  della  separazione  consensuale  di essi
coniugi gia' omologata - per effetto della sua convivenza more uxorio
con altro uomo ai sensi dell'art. 155-quater cod. civ., ha sollevato,
con  ordinanza  del  15  maggio  2007  (reg.  ord.  n. 787 del 2007),
questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
2, 3 e 30, primo comma, della Costituzione, della citata norma, nella
parte  in  cui prevede l'automatica decadenza dall'assegnazione della
casa  coniugale,  anche  in caso di coabitazione di figli maggiorenni
non  economicamente autonomi, nel caso in cui il coniuge assegnatario
«conviva more uxorio».
   Il  giudice  a  quo, premesso - analogamente a quanto ritenuto dal
Tribunale  ordinario  di  Firenze  -  che  la  questione  non risulta
superabile  in  via  di interpretazione costituzionalmente orientata,
perche'  una  opzione ermeneutica che limiti l'ambito di operativita'
della previsione alla sola ipotesi di mancata convivenza di figli non
autosufficienti sotto il profilo economico non sarebbe consentita ne'
dal   tenore   testuale   della  norma  ne'  dallo  spazio  operativo
assegnatole  dal  diritto vivente, sospetta che tale nuova previsione
si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza e di parita'
di  trattamento  di  cui  all'art.  3  della Costituzione, perche' la
decadenza  dall'assegnazione  della casa coniugale, prevista come una
sorta  di  punizione  del coniuge che prenda a convivere in essa more
uxorio  con altro partner o passi a nuove nozze, prescinde totalmente
dall'interesse  del figlio convivente con detto genitore a continuare
ad  usufruire dell'ambiente domestico; vale a dire da quel valore, di
rango  costituzionale (art. 30, primo comma, della Costituzione), che
il  giudice deve avere presente, secondo lo stesso dettato normativo,
in  via  prioritaria per l'assegnazione della casa coniugale e che e'
stato determinante per la individuazione dell'ascendente affidatario,
o  collocatario,  della  prole stessa (se di minore eta) o con cui il
figlio  maggiorenne  non  autosufficiente abbia liberamente scelto di
coabitare.
   Inoltre,   secondo  il  giudice  rimettente,  la  norma  censurata
introdurrebbe  una  vistosa  disparita'  di  trattamento tra la prole
convivente con un genitore assegnatario che non abbia contratto nuovo
vincolo  coniugale,  ne'  abbia instaurato rapporti di convivenza con
altra  persona,  e  quella di un genitore che abbia invece optato per
una   nuova   unione  (de  facto  o  coniugale),  finendo  cosi'  per
penalizzare,  senza  alcuna ragionevole giustificazione, soggetti del
tutto  estranei  alle  scelte  di  vita  del  genitore affidatario (o
collocatario) o con cui hanno scelto di convivere.
   Infine,  la  norma  in  questione  recherebbe  vulnus  al  diritto
inviolabile  di  libera  autodeterminazione  e  allo  sviluppo  della
persona  umana  di  cui  all'art.  2  della  Costituzione,  in quanto
costituirebbe un ostacolo alla liberta' di contrarre nuovo matrimonio
o  intraprendere  una stabile unione, essendo il coniuge assegnatario
posto  di  fronte all'alternativa di rinunciare all'esercizio di tale
fondamentale  diritto  oppure  di  perdere  la  casa  coniugale  e di
arrecare  indirettamente  al  figlio  convivente un pregiudizio ancor
piu' grave.
                       Considerato in diritto
   1. - La Corte d'appello di Bologna (reg. ord. n. 569 del 2007) e i
Tribunali  di  Firenze (reg. ord. nn. 573 e 818 del 2007) e di Ragusa
(reg.   ord.   n. 787   del   2007)   dubitano   della   legittimita'
costituzionale  dell'art. 155-quater, primo comma, del codice civile,
introdotto  dall'art.  1, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54
(Disposizioni  in  materia  di separazione dei genitori e affidamento
condiviso  dei figli), anche in combinato disposto con l'art. 4 della
stessa  legge,  nella  parte  in  cui  prevede  la  revoca automatica
dell'assegnazione della casa familiare nel caso in cui l'assegnatario
conviva  more uxorio o contragga nuovo matrimonio, per violazione: a)
dell'art.  30  della  Costituzione,  per la incoerenza con il rilievo
sistematico centrale che nell'ordinamento dei rapporti di filiazione,
fondato   su   detta   norma  costituzionale,  assume  l'esigenza  di
protezione dell'interesse dei minori (questione sollevata dalla Corte
d'appello  di Bologna); b) degli artt. 3 e 29 della Costituzione, per
la  irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra figli di genitori
separati  o  divorziati  a seconda che il rispettivo genitore, con il
quale  convivono,  intraprenda  una  stabile  convivenza con un nuovo
partner,  ovvero  contragga  un  nuovo  matrimonio,  o  meno;  c) del
principio  del  riconoscimento  della  liberta'  di  matrimonio,  che
potrebbe  venire compressa da valutazioni relative alla perdita della
abitazione  familiare (questione sollevata dal Tribunale ordinario di
Firenze  con  ordinanza dell'11 gennaio 2007, r.o. n. 573 del 2007, e
dallo  stesso  Tribunale  ordinario,  in  riferimento  al solo art. 3
Cost.,  con  ordinanza  del  9 giugno 2007, r.o. n. 818 del 2007); d)
degli  artt.  2,  3,  e 30, primo comma, Cost., per la violazione del
principio   di   parita'  di  trattamento,  in  quanto  la  decadenza
dall'assegnazione  della  casa  coniugale, prevista come una sorta di
punizione  del coniuge che prenda a convivere in essa more uxorio con
altro   partner   o   passi   a  nuove  nozze,  prescinde  totalmente
dall'interesse  del figlio convivente con detto genitore a continuare
ad  usufruire  dell'ambiente  domestico,  e, cioe', da quel valore di
rango  costituzionale  (art.  30,  primo  comma,  Cost.) che, secondo
quanto  esplicitato  dallo  stesso legislatore, il giudice deve avere
presente in via prioritaria nell'assegnazione della casa coniugale, e
che  e'  stato  determinante  per  la  individuazione dell'ascendente
affidatario, o collocatario, della prole (se di minore eta) o con cui
il figlio maggiorenne non autosufficiente abbia liberamente scelto di
coabitare; e) per la introduzione di una ingiustificata disparita' di
trattamento  tra la prole convivente con un genitore assegnatario che
non  abbia  contratto  nuovo  vincolo coniugale, ne' abbia instaurato
rapporti di convivenza con altra persona, e quella di un genitore che
abbia  invece  optato  per  una  nuova unione (de facto o coniugale),
finendo    cosi'    per   penalizzare,   senza   alcuna   ragionevole
giustificazione,  soggetti del tutto estranei alle scelte di vita del
genitore  affidatario  (o  collocatario)  o  con  cui hanno scelto di
convivere;  e, infine, f) per contrasto con il diritto inviolabile di
libera  autodeterminazione  e  con lo sviluppo della persona umana di
cui  all'art.  2  della  Costituzione,  in  quanto  costituirebbe  un
ostacolo  alla liberta' di contrarre nuovo matrimonio o intraprendere
una  stabile  unione, essendo il coniuge assegnatario posto di fronte
all'alternativa  di  rinunciare  all'esercizio  di  tale fondamentale
diritto   oppure   di   perdere  la  casa  coniugale  e  di  arrecare
indirettamente  al  figlio convivente un pregiudizio ancor piu' grave
(questione  sollevata dal Tribunale ordinario di Ragusa con ordinanza
del 15 maggio 2007, r.o. n. 787 del 2007).
   2.  -  Poiche'  le  varie  ordinanze  prospettano,  sotto  diversi
aspetti,  la incostituzionalita' della medesima norma, va disposta la
riunione  dei  giudizi  perche'  gli  stessi  siano  decisi con unica
pronuncia.
   3. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione.
   3.1. - In sede di scrutinio di costituzionalita', la dichiarazione
di  illegittimita'  di  una norma e' giustificata dalla constatazione
che   non   ne   e'   possibile  una  interpretazione  conforme  alla
Costituzione, ma non dalla mera possibilita' di attribuire ad essa un
significato  che contrasti con parametri costituzionali (ex plurimis:
sentenze  n. 379  del  2007  e  n. 356  del 1996, ordinanza n. 87 del
2007).
   L'art.  155-quater  cod.  civ.,  introdotto  dall'art. 1, comma 2,
della  legge  8  febbraio  2006,  n. 54, esordisce con l'affermazione
solenne  secondo  la  quale  «il  godimento  della  casa familiare e'
attribuito  tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli».
Prosegue  la  norma codicistica, nella nuova formulazione, stabilendo
che  «dell'assegnazione  il giudice tiene conto nella regolazione dei
rapporti  economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di
proprieta».  Quindi,  la  norma  prevede alcune ipotesi di cessazione
dell'assegnazione, disponendo che «il diritto al godimento della casa
familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di
abitare  stabilmente  nella  casa  familiare  o conviva more uxorio o
contragga nuovo matrimonio».
   Il sospetto di illegittimita' costituzionale sottoposto alla Corte
riguarda  le  ultime  due  ipotesi  di  cessazione dell'assegnazione,
quella  della  convivenza  more  uxorio  dell'assegnatario  con altro
soggetto,  e quella del nuovo matrimonio contratto dall'assegnatario.
In  realta',  mentre  i  primi  due  casi di revoca sono collegati ad
eventi  che fanno presupporre il venir meno della esigenza abitativa,
non  cosi'  puo'  dirsi per gli altri due, sui quali si incentrano le
censure  dei  giudici  remittenti  e che si sostanziano, soprattutto,
sulla critica alla operativita' automatica della revoca, senza alcuna
possibilita'  per  il giudice di valutare la rispondenza della revoca
all'interesse della prole.
   L'esame  della  questione  deve partire dalla considerazione delle
finalita'  che  governano  l'assegnazione  della  casa  familiare. Al
riguardo,  deve  rilevarsi  che,  gia'  secondo  il  diritto  vivente
formatosi nella vigenza dell'art. 155, quarto comma, cod. civ., quale
sostituito   dall'art.   36  della  legge  19  maggio  1975,  n. 151,
l'assegnazione   della   casa   coniugale   era  strettamente  legata
all'affidamento  della  prole.  E tale principio e' stato ribadito da
questa Corte, che, con le sentenze n. 166 del 1998 e 394 del 2005, ha
riconosciuto   che  detta  assegnazione  e'  strettamente  funzionale
all'interesse   dei   figli,   specificando   che   gli  obblighi  di
mantenimento  ed  educazione della prole, derivanti dalla qualita' di
genitore, trovano fondamento nell'art. 30 Cost., che si richiama alla
responsabilita'   genitoriale.  Il  concetto  di  mantenimento,  come
evidenziato  nella  menzionata sentenza n. 166 del 1998, comprende in
via  primaria  il  soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse
inscindibilmente  alla  prestazione dei mezzi necessari per garantire
un  corretto  sviluppo  psicologico e fisico del figlio, tra le quali
assume  profonda  rilevanza  quella  relativa  alla predisposizione e
conservazione  dell'ambiente  domestico,  considerato quale centro di
affetti, interessi e consuetudini di vita, che contribuisce in misura
fondamentale alla formazione armonica della personalita' della prole.
Sotto  tale  profilo, l'obbligo di mantenimento si sostanzia, quindi,
nell'assicurare  ai  figli  la  idoneita'  della dimora, intesa quale
luogo  di formazione e sviluppo della personalita' psico-fisica degli
stessi.
   Nel  nuovo  regime,  scomparso  il  «criterio  preferenziale»  per
l'assegnazione della casa familiare costituito dall'affidamento della
prole  -  una  scomparsa  coerente  con  il  superamento, in linea di
principio,    dell'affidamento   monogenitoriale   -   l'attribuzione
dell'alloggio  viene  espressamente  condizionata  all'interesse  dei
figli.
   E'  poi  da  ricordare  che  la  giurisprudenza  di  merito  e  di
legittimita'   e'  concorde  nel  ritenere,  sulla  base  del  tenore
originario  del  testo codicistico, nonche' dell'art. 6 della legge 1
dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina  dei  casi  di  scioglimento del
matrimonio),  come  modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987,
n. 74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi di scioglimento di
matrimonio), che, anche per l'assegnazione della casa familiare, vale
il  principio  generale  della  modificabilita'  in  ogni  tempo  del
provvedimento   per  fatti  sopravvenuti.  Tuttavia  tale  intrinseca
provvisorieta' non incide sulla natura e sulla funzione della misura,
posta  ad  esclusiva tutela della prole, con la conseguenza che anche
in   sede   di   revisione   resta   imprescindibile   il   requisito
dell'affidamento  di  figli  minori  o  della  convivenza  con  figli
maggiorenni  non  autosufficienti  (ex  plurimis:  Cass. n. 13736 del
2003),  nonche'  quello  dell'accertamento dell'interesse prioritario
della prole.
   Da  tale  contesto normativo e giurisprudenziale emerge il rilievo
che  non  solo  l'assegnazione  della  casa  familiare,  ma  anche la
cessazione  della  stessa,  e'  stata  sempre  subordinata,  pur  nel
silenzio  della  legge,  ad una valutazione, da parte del giudice, di
rispondenza all'interesse della prole.
   Ne deriva che l'art. 155-quater cod. civ., ove interpretato, sulla
base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il
nuovo   matrimonio  dell'assegnatario  della  casa  sono  circostanze
idonee,   di   per   se   stesse,   a   determinare   la   cessazione
dell'assegnazione,  non e' coerente con i fini di tutela della prole,
per i quale l'istituto e' sorto.
   La  coerenza  della  disciplina e la sua costituzionalita' possono
essere  recuperate  ove  la  normativa sia interpretata nel senso che
l'assegnazione  della  casa  coniugale  non  venga meno di diritto al
verificarsi  degli  eventi  di  cui  si  tratta (instaurazione di una
convivenza  di  fatto,  nuovo  matrimonio), ma che la decadenza dalla
stessa  sia  subordinata  ad un giudizio di conformita' all'interesse
del minore.
   Tale  lettura non fa altro che evidenziare un principio in realta'
gia'  presente  nell'ordinamento, e consente di attribuire alla norma
censurata  un  contenuto  conforme ai parametri costituzionali, come,
del  resto,  gia'  ritenuto  da  diversi  giudici  di  merito e dalla
prevalente dottrina.