Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 35 e 41,
primo  e  quarto  comma,  del  regio  decreto  16  marzo 1942, n. 267
(Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo  e  della
liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dagli artt. 31 e
39  del  decreto  legislativo  9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica
della  disciplina  delle  procedure  concorsuali a norma dell'art. 1,
comma  5,  della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza
del  15  dicembre  2007  dal  Tribunale  ordinario  di  Firenze nella
procedura  fallimentare relativa al Fallimento 51 s.a.s., iscritta al
n. 119  del  registro  ordinanze  2008  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio dell'8 ottobre 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
   Ritenuto  che,  con  ordinanza  depositata il 15 dicembre 2007, il
Tribunale  ordinario  di  Firenze,  ha sollevato, in riferimento agli
artt.   3   e   76  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  35  e 41, primo e secondo comma (recte:
quarto),  del  regio  decreto  16  marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,  del  concordato  preventivo  e della liquidazione coatta
amministrativa),  come  sostituiti  dal decreto legislativo 9 gennaio
2006,   n. 5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure
concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005,
n. 80);
     che,  in  via  subordinata,  lo  stesso  rimettente  ha,  con la
medesima   ordinanza,   sollevato  anche  questione  di  legittimita'
costituzionale,   sempre  in  relazione  agli  artt.  3  e  76  della
Costituzione, del solo art. 35 del regio decreto n. 267 del 1942;
     che  il  Tribunale  rimettente  premette,  in  fatto,  che  il 6
dicembre 2007 il giudice delegato del fallimento della societa' 51 s.
a. s. gli riferiva: a) di essere stato informato dal curatore di quel
fallimento  che,  a  seguito  della  autorizzazione  del comitato dei
creditori, era imminente il perfezionamento di un atto di transazione
e  vendita  a  trattativa  privata di una quota significativa di beni
immobili facenti parte dell'attivo della procedura, ad un prezzo pari
al  valore  di stima; b) di aver rilevato che, non essendo stata data
pubblicita'  alla  predetta  vendita,  non  era  dato sapere se fosse
possibile  ottenere  un  prezzo  piu'  elevato;  c) di aver ritenuto,
pertanto,  che  tale  vendita  a  trattativa privata poteva risultare
viziata  sia  sotto  il  profilo  di  merito,  in  quanto  inidonea a
realizzare  il  massimo interesse del «ceto creditorio», sia sotto il
profilo  della legittimita', in quanto in contrasto con la previsione
dall'art.  107,  primo  comma,  del  r.d.  n. 267  del 1942, il quale
prescrive,  per  la  vendita  dei  beni immobili fallimentari, che il
curatore  segua  «procedure  competitive», assicurando, «con adeguate
forme di pubblicita'», la massima partecipazione degli interessati;
     che il collegio, ritenuti primo visu non infondati i rilievi del
giudice  delegato,  emetteva  decreto  col  quale  disponeva  che  il
curatore non desse corso al perfezionamento degli atti di transazione
e  vendita, fissando per il successivo 12 dicembre l'udienza camerale
per l'adozione degli ulteriori provvedimenti;
     che,  in tale sede, il Tribunale, con l'ordinanza di rimessione,
osservava  che  il nuovo art. 41 del r.d. n. 267 del 1942 attribuisce
il  potere  di  autorizzare  gli  atti  del  curatore al comitato dei
creditori,   risultando   confinata   solo   ad   ipotesi   residuali
l'attribuzione  di tale potere al giudice delegato e che, al di fuori
di   tali   ipotesi,   al   giudice   delegato   spetta  la  potesta'
autorizzatoria  principalmente  in  caso di approvazione del piano di
liquidazione ai sensi dell'art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942;
     che,  aggiunge  il  rimettente,  essendo,  tuttavia, compito del
giudice  delegato  esercitare  il  controllo  e  la  vigilanza  sulla
regolarita' della procedura, non sarebbe chiaro come tale funzione di
controllo  si  possa  esplicare,  in  presenza  di atti illegittimi o
comunque in contrasto con gli interessi dei creditori;
     che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la previsione contenuta
nell'art.  35  del  r.d.  n. 267  del 1942, che impone al curatore di
informare   preventivamente   il   giudice  delegato  degli  atti  di
straordinaria    amministrazione   aventi   significativo   contenuto
economico  e di tutte le transazioni, e', appunto, volta a consentire
l'esercizio  del  potere  di  vigilanza  e di controllo, il quale non
potrebbe  piu'  esplicarsi  direttamente attraverso strumenti di tipo
inibitorio,  in  quanto  non  previsti, ma si svolgerebbe attualmente
tramite  la  informativa  al  collegio,  secondo  la procedura di cui
all'art.  25,  primo  comma,  numero  1), del r.d. n. 267 del 1942, a
seguito  della  quale  il collegio avrebbe il potere di verificare la
legittimita'   formale   e  sostanziale  dell'atto  di  straordinaria
amministrazione;
     che,  opina  ancora il rimettente, nell'esercizio di tale potere
spetterebbe   al  collegio  anche  la  competenza  ad  adottare  quei
provvedimenti,   inibitori   o   confermativi  della  iniziativa  del
curatore,   idonei   ad  assicurare  il  regolare  svolgimento  della
procedura;
     che,  peraltro,  la  possibilita'  del  collegio  di entrare nel
merito   delle   osservazioni  del  giudice  delegato,  valutando  la
legittimita' della iniziativa del curatore fallimentare, presuppone -
sempre   a  giudizio  del  rimettente  collegio  -  che  «il  sistema
autorizzatorio   delineato   dagli   artt.   41   e   35  L.  F.  sia
costituzionalmente  legittimo  o,  in  via  subordinata, che sia tale
l'esclusione di un autonomo potere di intervento da parte del G.D.»;
     che,  in  tal senso, la questione di legittimita' costituzionale
delle indicate disposizioni normative sarebbe rilevante;
     che il Tribunale di Firenze argomenta prioritariamente, riguardo
alla non manifesta infondatezza della questione, con riferimento alla
conformita'   delle   predette   disposizioni   all'art.   76   della
Costituzione,  dubitando  che l'indicato sistema autorizzatorio trovi
un  «conforto»  nella  legge  14  maggio  2005, n. 80 (Conversione in
legge,  con  modificazioni,  del  decreto legge 14 marzo 2005, n. 35,
recante  disposizioni  urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la
modifica  del  codice  di  procedura civile in materia di processo di
cassazione  e  di  arbitrato  nonche'  per  la riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali);
     che, ad avviso del rimettente, le due disposizioni in questione,
ponendo, salvo ipotesi residuali, il potere autorizzatorio in capo al
comitato dei creditori - cosi' «stravolgendo per riflesso la funzione
del  G.D.», che verrebbe ridimensionato nella sua funzione di «organo
di garanzia della tutela degli interessi sottesi al fallimento» - non
troverebbero  fondamento  in  alcuno dei principi e criteri direttivi
contenuti nella legge di delega;
     che,  in  particolare,  non  sarebbe  consentito  rinvenirne  la
giustificazione  nella  possibilita'  prevista  dall'art. 1, comma 6,
lettera  a),  numero  1), della legge n. 80 del 2005, di procedere al
coordinamento dei poteri degli organi della procedura;
     che  il  rimettente  osserva  come  tale  criterio di delega non
preveda  un  mutamento  delle  attribuzioni  dei «poteri» agli organi
della  procedura,  ma  solo  un coordinamento degli stessi, stanti le
piu' ampie «competenze» assegnate al comitato dei creditori;
     che,  peraltro,  ad  avviso  del rimettente, l'ampliamento delle
competenze  del comitato dei creditori previsto dalla legge di delega
sarebbe  finalizzato  ad  estendere  la partecipazione di questo alla
«gestione»  della crisi dell'impresa, di tal che, dovendosi escludere
che   il  potere  autorizzatorio  sia  riconducibile  ad  un  profilo
«gestorio»,  essendo,  invece,  esso  riferibile  ad  una funzione di
carattere  direttivo,  la  descritta  estensione delle competenze del
comitato dei creditori esulerebbe comunque dai limiti della delega;
     che,  aggiunge  il rimettente, parrebbe difficile ipotizzare che
una  modifica  quale  quella  di  trasferire  dal giudice delegato al
comitato dei creditori - organo non neutrale e non rappresentativo di
tutti  gli interessi rilevanti (certamente non di quelli del fallito)
- il potere di autorizzare gli atti del curatore, potere connotato da
finalita'  di  garanzia  e  tutela,  non sarebbe stata oggetto di una
specifica  direttiva  nella  delega  legislativa  ove  il legislatore
delegante l'avesse effettivamente voluta;
     che,  sotto  altro profilo, il rimettente ritiene che il sistema
autorizzatorio  ricavabile dagli artt. 41, primo e quarto comma, e 35
del   r.d.  n. 267  del  1942  sia  in  contrasto  col  canone  della
ragionevolezza, presidiato dall'art. 3 della Costituzione;
     che,   rileva  il  rimettente,  potendo  detto  sistema  trovare
applicazione  solo  nelle procedure in cui e' possibile costituire un
efficiente  comitato  dei  creditori,  si  determina un'irragionevole
disparita' di trattamento, stante il fatto che, spettando, in caso di
assenza  o  di  mancato funzionamento di detto comitato, il potere di
autorizzazione  al  giudice  delegato,  il  «ceto  creditorio»  ed il
fallito  saranno tutelati tramite l'esercizio di tale potere da parte
di   un   organo   giurisdizionale  solo  in  tale  ipotesi,  mentre,
nell'ipotesi  di  esistenza  e  di  funzionamento  del  comitato  dei
creditori,  il  potere  di controllo sara' esercitato da un organo di
matrice  privatistica, non rappresentativo, in quanto non nominato da
costoro, nemmeno di tutti i creditori;
     che   l'irragionevolezza   delle   disposizioni   censurate   e'
riscontrabile  anche  nel  fatto che, anche all'interno di una stessa
procedura,  se  l'atto  di  straordinaria amministrazione e' previsto
all'interno  del  programma  di liquidazione o di un suo supplemento,
esso  sara'  oggetto  dell'autorizzazione  del  giudice delegato, se,
invece,  e'  estraneo  al  programma  di  liquidazione sara' soggetto
all'autorizzazione del comitato dei creditori;
     che,  pertanto,  la  diversa  tutela  offerta ai creditori ed al
fallito   dipende,   irragionevolmente,  da  un  fattore  casuale  o,
comunque, da una scelta del curatore del fallimento;
     che, in via subordinata, il Tribunale di Firenze solleva, sempre
in  relazione  agli  artt.  3  e  76 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  del  solo  art.  35 del r.d. n. 267 del
1942,  nella  parte in cui non prevede in capo al giudice delegato la
possibilita'  di  intervenire, inibendo il perfezionamento di un atto
di  straordinaria amministrazione del curatore ritenuto illegittimo o
contrario agli interessi dei creditori o del fallito;
     che, ad avviso del rimettente, nella legge di delega non sarebbe
rinvenibile  alcun  principio  che  autorizzi  la  trasformazione del
giudice delegato in un organo passivo, destinato ad esercitare le sue
attribuzioni solo a seguito della iniziativa di terzi;
     che, competendo al giudice delegato il controllo sulla procedura
fallimentare  -  anche  a voler ammettere l'avvenuto trasferimento al
comitato  dei  creditori  del  potere di autorizzare il compimento di
atti  di  straordinaria  amministrazione  -  ove  si  intenda dare un
effettivo   contenuto  al  predetto  potere  di  controllo,  sarebbe,
quantomeno, necessario configurare un potere di intervento sugli atti
autorizzati o autorizzandi in capo al giudice delegato;
     che la mancata attribuzione di siffatto potere violerebbe l'art.
76  della  Costituzione,  in  quanto  la previsione, non solo sarebbe
stata introdotta in carenza di una disposizione di delega, ma sarebbe
anche   in   contrasto   col   principio  direttivo  che  prevede  il
coordinamento fra i poteri degli organi della procedura; infatti, pur
ammettendo  la  legittimita'  costituzionale  del  trasferimento  del
potere autorizzatorio dal giudice delegato al comitato dei creditori,
risponderebbe  a tale principio direttivo la previsione di un residuo
potere di intervento in capo al giudice delegato;
     che,  infine,  la  mancata  previsione  del  ricordato potere di
intervento  risulterebbe irragionevole, sia per la contraddittorieta'
insita  nel prevedere un obbligo di informazione cui non e' correlata
alcuna  possibilita'  di intervenire da parte del soggetto informato,
sia  perche'  la  gia' dianzi descritta disparita' di trattamento che
sussiste fra chi (qualora l'atto di straordinaria amministrazione sia
inserito nel programma di liquidazione) goda della tutela offerta dal
meccanismo  di  autorizzazione  da  parte  di un organo giudiziario e
quanti (qualora l'atto si collochi al di fuori di tale programma) non
possano  godere di detta tutela, e' resa ancor piu' intensa dal fatto
che  costoro,  stante  la mancata previsione di un apposito strumento
inibitorio,   non   possono   effettivamente  usufruire  neppure  del
controllo ex post del giudice delegato;
     che  e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
Stato,   concludendo   per   la  inammissibilita'  e,  comunque,  per
l'infondatezza della questione;
     che, quanto alla inammissibilita' della questione, la Avvocatura
ne contesta la rilevanza;
     che, infatti, secondo la difesa pubblica, nel giudizio a quo, in
cui  non  e'  in  discussione  la  legittimita'  o  meno di eventuali
provvedimenti  inibitori  emessi  dal  giudice  delegato, ma, semmai,
l'ampiezza  dei  poteri  di controllo spettanti al collegio a seguito
della  relazione  ad  esso  indirizzata, ai sensi dell'art. 25, primo
comma,  numero  1),  del  r.d.  n. 267 del 1942, dallo stesso giudice
delegato,  l'eventuale  accoglimento  della  sollevata  questione non
spiegherebbe alcun effetto;
     che,  sempre secondo la difesa erariale, un ulteriore profilo di
inammissibilita'   della   questione   deriverebbe   dal  fatto  che,
diversamente da quanto ritenuto dal rimettente, il giudizio a quo non
avrebbe  ad oggetto un generico atto di straordinaria amministrazione
ma  un  vero e proprio atto di liquidazione dell'attivo fallimentare,
la  cui  disciplina,  contenuta nell'art. 104-ter del r.d. n. 267 del
1942, prevede che esso sia autorizzato dal giudice delegato, dopo che
ne ha verificato la legittimita';
     che,   quanto  al  merito,  la  interveniente  difesa,  ritenuto
corretto   inquadrare   la  fattispecie  nell'ambito  degli  atti  di
liquidazione  dell'attivo  fallimentare,  osserva  che  la  norma  da
sottoporre  a  scrutinio  di  costituzionalita'  doveva essere l'art.
104-ter  del r.d. n. 267 del 1942, norma quest'ultima che, anche alla
luce  delle  correzioni intervenute a seguito della entrata in vigore
del  decreto  legislativo  12  settembre  2007,  n. 169 (Disposizioni
integrative  e  correttive  al  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267,
nonche'  al  decreto  legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di
disciplina   del   fallimento,  del  concordato  preventivo  e  della
liquidazione  coatta  amministrativa,  ai sensi dell'art. 1, commi 5,
5-bis  e  6,  della legge 14 maggio 2005, n. 80), e' perfettamente in
linea  sia  col  criterio  direttivo  contenuto nell'art. 1, comma 6,
numero  10),  della  legge  n. 80  del 2005, sia con quello contenuto
nell'art.  1,  comma 6, lettera a), numero 1), della stessa legge, il
quale  introduce  la distinzione tra controllo sugli atti di gestione
del  curatore  fallimentare,  assegnato  al comitato dei creditori, e
controllo  di  legittimita' sugli atti medesimi, riservato al giudice
delegato.
   Considerato  che  il  Tribunale  ordinario  di Firenze dubita, con
riferimento  agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  degli  artt. 35 e 41, primo e quarto comma, del regio
decreto  16  marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato  preventivo  e  della liquidazione coatta amministrativa),
come sostituiti dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma
organica   della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a  norma
dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte
in  cui  prevedono  che,  affinche'  il  curatore  fallimentare possa
effettuare  atti  di straordinaria amministrazione, sia necessaria la
previa  autorizzazione  del  comitato dei creditori e non piu' quella
del  giudice delegato, cosi' come era, invece, previsto anteriormente
alla  riforma  della  procedure  concorsuali realizzata con il d.lgs.
n. 5 del 2006;
     che,  subordinatamente  all'eventuale rigetto della questione di
legittimita'  costituzionale  ora  indicata,  il  medesimo  Tribunale
dubita,  ancora con riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione,
della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 35 del r.d. n. 267 del
1942,  come  sostituito dal d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui,
pur   prevedendo   che   il  curatore  del  fallimento,  in  caso  di
effettuazione  di atti di straordinaria amministrazione il cui valore
sia   superiore   a  cinquantamila  euro,  o  in  ogni  caso  per  le
transazioni,  debba  previamente  informare  il giudice delegato, non
attribuisce  a  quest'ultimo,  ove  ravvisi ipotesi di illegittimita'
formale  o  sostanziale dell'atto in questione, il potere di inibirne
il compimento;
     che, in particolare, con riferimento alla censura principale, il
rimettente ritiene che il trasferimento del potere di autorizzare gli
atti  di  straordinaria  amministrazione  del  curatore  fallimentare
dall'ambito  delle  attribuzioni  del  giudice  delegato a quello del
comitato  dei  creditori  non trovi riscontro in alcuno dei criteri e
principi  direttivi  di  cui  alla delega legislativa contenuta nella
legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni,
del  decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti
nell'ambito  del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale.  Deleghe  al  Governo  per  la  modifica  del codice di
procedura  civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato
nonche'  per  la  riforma  organica  della disciplina delle procedure
concorsuali),  e  che,  d'altra  parte,  la circostanza che il potere
autorizzatorio  continui ad essere attribuito al giudice delegato nel
caso   di   procedura  fallimentare  in  cui  non  sia  possibile  il
funzionamento  del  comitato  dei  creditori,  ovvero  in  cui questo
rimanga inerte, determina un'irragionevole disparita' di trattamento;
     che  ulteriore  disparita'  di  trattamento  viene ravvisata dal
rimettente  nel fatto che, diversamente da quanto si verifica per gli
atti  di  straordinaria  amministrazione di cui al citato art. 35 del
r.d.  n. 267  del  1942,  gli  atti  di straordinaria amministrazione
contenuti  nel programma di liquidazione predisposto dal curatore del
fallimento, ai sensi dell'art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942, sono
autorizzati  dal giudice delegato, sicche' la forma di controllo piu'
intensa affidata ad un organo della giurisdizione dipenderebbe da una
scelta del curatore del fallimento;
     che,  con riguardo alla censura formulata in via subordinata, il
rimettente,  oltre  a  dubitare del fatto che - avendo il legislatore
delegante  previsto,  fra  i  compiti  del  legislatore  delegato, in
considerazione  dell'ampliamento  delle  competenze  del comitato dei
creditori,  quello  di provvedere al coordinamento degli altri organi
della  procedura  fallimentare  -  sia  rispettosa  di tale delega la
mancata previsione del potere del giudice delegato di intervenire con
strumenti  inibitori  sul perfezionamento degli atti di straordinaria
amministrazione del curatore, autorizzati del comitato dei creditori,
ritiene,   altresi',  che  sia  intrinsecamente  irragionevole  avere
previsto,  per gli atti di significativo valore economico, ed in ogni
caso  per le transazioni, la necessaria previa informativa al giudice
delegato,  laddove non sia stata anche prevista - quale strumento per
l'attuazione  dei  compiti  di  controllo e vigilanza sulla procedura
demandati  al giudice delegato ed in relazione ai quali si giustifica
la  necessita'  della  previa  informativa  - la attribuzione a detto
giudice  dell'autonomo  potere di impedire il perfezionamento di tali
atti;
     che,  d'altra parte, tale circostanza risulterebbe foriera anche
di una disparita' di trattamento, in quanto, diversamente da cio' che
si  verifica  nelle  sopraindicate residuali e derogatorie ipotesi in
cui  la  competenza  autorizzatoria  e'  rimasta  in  capo al giudice
delegato,  nella  disciplina ordinaria non sarebbe consentito neppure
un  efficace  controllo ex post del giudice delegato sull'operato del
curatore del fallimento;
     che,  a  prescindere  dal  problematico  inquadramento normativo
attribuito  dal  giudice  rimettente  alla  fattispecie al suo esame,
risultando   dubbio   che  essa  sia  riconducibile  alla  previsione
dell'art.  35  del  r.d.  n. 267  del  1942,  piuttosto  che a quella
dell'art.  104-ter  del  r.d.  n. 267 del 1942 - disposizione questa,
peraltro,  modificata  successivamente  al deposito dell'ordinanza di
rimessione  dall'art.  7  del  decreto legislativo 12 settembre 2007,
n. 169  (Disposizioni  integrative  e  correttive al regio decreto 16
marzo  1942,  n. 267,  nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006,
n. 5,  in  materia  di  disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo  e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai sensi
dell'art.  1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80),
nel  senso  dell'estensione  anche  al  programma di liquidazione del
potere  di  approvazione  del  comitato  dei creditori, residuando al
giudice  delegato  solo  il  compito  di autorizzare l'esecuzione dei
singoli  atti  ad  esso  conformi  -  la  questione  di  legittimita'
costituzionale,  sia  come  formulata  in  via  principale  sia  come
formulata  in via subordinata, appare manifestamente inammissibile in
quanto  irrilevante  nell'ambito  della  fase  processuale durante la
quale l'incidente di costituzionalita' e' stato sollevato;
     che,   in  particolare,  essendo  stato  il  giudice  collegiale
rimettente   oramai   gia'   investito  dal  giudice  delegato  -  in
applicazione  del  generale  potere  di «relazione» al collegio a lui
attribuito  dall'art. 25, primo comma, numero 1), del r.d. n. 267 del
1942 - della valutazione sulla legittimita' dell'operato del curatore
del fallimento non ha piu' alcuna attualita' - ed e', pertanto, privo
di   rilevanza   -   il  quesito  sia  in  ordine  alla  legittimita'
costituzionale del trasferimento dal giudice delegato al comitato dei
creditori  del  potere  di  autorizzare  gli  atti  di  straordinaria
amministrazione   del  curatore  fallimentare,  sia  in  ordine  alla
ragionevolezza  della  mancata  previsione  di un immediato potere di
intervento  del  giudice  delegato  per  impedire  il perfezionamento
dell'atto  del  curatore  fallimentare  autorizzato  dal comitato dei
creditori;
     che,  infatti,  il  giudice  delegato,  cui  semmai  spettava di
dolersi  di  quanto  successivamente lamentato dal giudice collegiale
(sulla  legittimazione  del  giudice  delegato  a sollevare questione
incidentale  di  legittimita'  costituzionale  si  vedano la sentenza
n. 71  del  1994  e  le  ordinanze  n. 168  e  n. 75  del  2002), ha,
viceversa,  ritenuto  di  definire la vicenda procedurale di fronte a
se'  attraverso  il  deferimento  di essa alla cognizione del giudice
collegiale, privando in tal modo di rilevanza la dedotta questione.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.