Ordinanza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 37 del codice
penale militare di pace, in combinato disposto con l'art. 47, secondo
comma,  numero  2),  del  codice  penale militare di guerra, aggiunto
dall'art.  2,  comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  1°
dicembre   2001,   n. 421,   recante   disposizioni  urgenti  per  la
partecipazione  di  personale  militare all'operazione multinazionale
denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di
guerra,  approvato  con  regio  decreto  20 febbraio 1941, n. 303), e
degli  artt.  314,  comma  2,  e  323 del codice penale, promosso con
ordinanza  del  22  dicembre 2007 dal Tribunale militare di La Spezia
nel procedimento penale militare a carico di G. F. ed altro, iscritta
al  n. 53  del  registro  ordinanze  2008 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 22 ottobre 2008 il giudice
relatore Luigi Mazzella.
   Ritenuto  che,  con  ordinanza  del 22 dicembre 2007, il Tribunale
militare  di La Spezia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e
111  della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale del
combinato  disposto  degli  articoli 37 del codice penale militare di
pace,  47,  secondo  comma,  numero  2  del codice penale militare di
guerra,  aggiunto  dall'art.  2,  comma 1, lettera c), della legge 31
gennaio  2002,  n. 6  (Conversione  in  legge, con modificazioni, del
decreto-legge  1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti
per   la   partecipazione   di   personale   militare  all'operazione
multinazionale  denominata  «Enduring  Freedom».  Modifiche al codice
penale  militare  di  guerra,  approvato  con  R.D. 20 febbraio 1941,
n. 303),  314, secondo comma, e 323 del codice penale, nella parte in
cui  il citato art. 47, secondo comma, cod. pen. mil. guerra, prevede
che  costituiscano  reati  militari  i  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione,  e  in  particolare i delitti di cui agli artt. 314,
secondo  comma,  e  323,  cod. pen., se commessi da appartenenti alle
Forze  armate  con  abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti
allo  stato  di  militare  o  in  luogo  militare,  solo  in  caso di
applicazione  della  legge  penale  militare  di guerra, ancorche' in
tempo di pace;
     che,  come  riferisce dettagliatamente il rimettente, sulla base
delle   indagini  effettuate,  il  cui  esito  era  stato  confermato
nell'istruzione   dibattimentale,   il   pubblico   ministero   aveva
contestato   agli  imputati,  militari  dell'Esercito,  il  reato  di
peculato militare (art. 215 cod. pen. mil. pace) per l'appropriazione
dell'auto  di servizio, ravvisata nella sua utilizzazione per fini di
diporto personale;
     che  il  Tribunale  ritiene  che  nella  condotta  ascritta agli
imputati sia ravvisabile lo scopo di usare momentaneamente il veicolo
per    poi    restituirlo    immediatamente    nella   disponibilita'
dell'Amministrazione;
     che  -  rileva  ancora  il rimettente - la legge 26 aprile 1990,
n. 86  (Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la
pubblica  amministrazione),  sostituendo  l'articolo  314  cod.  pen.
(peculato),   ha   introdotto  nell'ordinamento  la  fattispecie  del
cosiddetto  «peculato d'uso», di cui al secondo comma del citato art.
314, ormai unanimemente ritenuta fattispecie autonoma di reato;
     che  il  reato di peculato militare, non modificato dalla citata
novella,  non contempla la meno grave ipotesi di condotta consistente
nell'uso  momentaneo  del  bene, introdotta, invece, nella disciplina
penale comune;
     che,  pertanto,  il Tribunale militare afferma di trovarsi nella
necessita'  di  dichiarare  il  proprio  difetto  di giurisdizione in
ordine  alla  ravvisata ipotesi di reato di cui all'art. 314, secondo
comma,  cod.  pen.,  e  di  trasmettere  gli  atti alla Procura della
Repubblica di Pisa, con la conseguente regressione alla fase iniziale
del procedimento;
     che  tale  regressione  pregiudicherebbe l'attivita' processuale
gia'   svolta   e  la  possibilita'  per  gli  imputati  di  ottenere
immediatamente  la  sentenza di primo grado, ponendosi in tal modo in
contrasto  con  la  ragionevole  durata del processo e conseguirebbe,
altresi', all'applicazione di una normativa irragionevole;
     che, prosegue il rimettente, la giurisprudenza costituzionale ha
gia' ritenuto non conforme a razionalita' la mancata estensione della
nuova  disciplina  introdotta  dalla legge n. 86 del 1990 al peculato
militare,  considerato  sostanzialmente  identico alla corrispondente
fattispecie  comune  (sentenze n. 4 del 1974, n. 473 del 1990, n. 448
del 1991);
     che  le  palesi  irrazionalita'  del sistema penale militare non
deriverebbero,   secondo   il   rimettente,   soltanto   dal  mancato
coordinamento con norme innovatrici della legislazione penale comune,
ma   soprattutto   dal   disomogeneo  riparto  di  giurisdizione  tra
l'autorita'  giudiziaria  ordinaria  e quella giudiziaria militare, e
nella nozione meramente formale di reato militare contenuta nell'art.
37  cod.  pen.  mil.  pace  («qualunque violazione della legge penale
militare e' reato militare»);
     che, infatti, secondo il rimettente, il legislatore del 1941 non
ha  delineato  una  fisionomia  di  reato  militare,  affidando  alla
discrezionalita'  legislativa  i  limiti oggettivi (art. 37 cod. pen.
mil.  pace)  e  soggettivi  (art.  263  cod.  pen.  mil.  pace) della
giurisdizione  militare,  scelta  dalla  quale  deriverebbe l'odierna
frammentarieta' normativa che, includendo nella legge penale militare
soltanto  alcuni  dei  reati  che  offendono beni tutelati dal codice
penale,    rende   attualmente   irrazionale   e   carente   l'ambito
giurisdizionale dei tribunali militari;
     che,  nel  caso al suo esame, pur trattandosi di reati contro la
pubblica  amministrazione,  non  apparterrebbero  alla  giurisdizione
militare le fattispecie di «peculato d'uso» (art. 314, secondo comma,
cod.  pen.)  e  abuso  di  ufficio  (art.  323, cod. pen.), mentre vi
rientrerebbe il reato di peculato militare (215 cod. pen. mil. pace);
     che,  per  altro  verso,  il legislatore, con l'art. 2, comma 1,
lettera  c),  della  legge  31 gennaio 2002, n. 6, avrebbe finalmente
dettato  una  precisa nozione di reato militare, pur ai soli fini del
codice  penale militare di guerra, inserendola nell'art. 47, secondo,
terzo  e  quarto  comma,  cod.  pen. mil. guerra, che definisce reato
militare  «ai  fini  del presente codice, ogni altra violazione della
legge  penale  commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso
dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o
in luogo militare, e prevista come delitto contro: 1) la personalita'
dello  Stato;  2)  la  pubblica amministrazione; 3) l'amministrazione
della  giustizia; 4) l'ordine pubblico; 5) l'incolumita' pubblica; 6)
la  fede  pubblica; 7) la moralita' pubblica e il buon costume; 8) la
persona;  9)  il  patrimonio»;  nonche'  «ogni altra violazione della
legge  penale  commessa  dall'appartenente alle Forze armate in luogo
militare  o  a  causa  del  servizio militare, in offesa del servizio
militare  o  dell'amministrazione  militare  o di altro militare o di
appartenente  alla  popolazione  civile che si trova nei territori di
operazioni  all'estero»;  e infine «ogni altra violazione della legge
penale  prevista  quale  delitto  in materia di controllo delle armi,
munizioni  ed  esplosivi  e di produzione, uso e traffico illecito di
sostanze  stupefacenti  o psicotrope, commessa dall'appartenente alle
Forze armate in luogo militare»;
    che,  come  si  evincerebbe  dai  lavori preparatori della citata
legge  n. 6  del  2002,  il  legislatore avrebbe inteso «evitare ogni
incertezza  o  sovrapposizione dell'autorita' giudiziaria competente,
che   sarebbe   invece   derivata  dall'applicazione  della  lacunosa
normativa in tema di reato militare, cosi' razionalizzando il riparto
di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello speciale»;
     che  la  collocazione  sistematica nel codice penale militare di
guerra   della  nozione  «materiale»  di  reato  militare,  contenuta
nell'art.  47 cod. pen. mil. guerra, parrebbe non poter in alcun modo
influire  sul  concetto  di reato militare per il tempo di pace, dato
che   tra   il   codice   militare   di   pace  e  quello  di  guerra
intercorrerebbe,    secondo    il    rimettente,   un   rapporto   di
complementarita',  stabilito  dall'art.  19  cod. pen. mil. pace («le
disposizioni  di  questo  codice  si  applicano  anche  alle  materie
regolate  dalla  legge  penale  militare  di  guerra e da altre leggi
penali  militari,  in quanto non sia da esse stabilito altrimenti») e
dall'art.  47,  primo  comma,  cod.  pen.  mil. guerra («nei casi non
preveduti  da  questo codice, si applicano le disposizioni del codice
penale   militare   di   pace,   concernenti   i  reati  militari  in
particolare»);
     che  d'altra  parte,  l'art.  9  cod.  pen.  mil.  guerra,  come
sostituito  dall'art.  2, lettera a), legge n. 6 del 2002, prevedendo
l'assoggettamento alla legge penale di guerra, «ancorche' in tempo di
pace»,  dei  corpi  di  spedizione all'estero per operazioni militari
armate,  rende  applicabile  in  tali  situazioni la nozione di reato
militare delineata dall'art. 47 cod. pen. mil. guerra;
     che il novellato art. 47 cod. pen. mil. guerra, infatti, proprio
in  virtu'  dell'art.  9  cod.  pen.  mil. guerra, avrebbe in realta'
esteso anche la giurisdizione penale militare per il tempo di pace;
     che per tali ragioni l'art. 9 del decreto-legge n. 421 del 2001,
convertito,  con  modificazioni, nella legge n. 6 del 2002, prevedeva
che  al personale impegnato nell'operazione «Enduring Freedom» non si
applicassero  ne'  le  disposizioni processuali di guerra, ne' quelle
proprie dell'ordinamento giudiziario militare di guerra;
     che,   pertanto,   in   tempo  di  pace,  secondo  la  normativa
richiamata,  si registrerebbero due diverse nozioni di reato militare
le  quali,  seppure  applicabili  a  situazioni  diverse,  riguardano
fattispecie  comunque  assegnate  alla  giurisdizione di un tribunale
militare previsto dall'ordinamento giudiziario di pace, da esercitare
secondo le comuni regole del codice di procedura penale;
     che  a  fronte  della nuova nozione di reato militare introdotta
nell'art.  47  cod.  pen.  mil.  guerra, dunque, se il fatto in esame
fosse  stato commesso pur sempre in tempo di pace, ma all'estero e da
militari  appartenenti  ad  un  corpo  di  spedizione  per operazioni
militari  armate, esso sarebbe rientrato nella giurisdizione militare
anche  qualora fosse giuridicamente qualificato come peculato d'uso o
abuso  d'ufficio  e  non  si  manifesterebbero le irrazionalita' che,
ripetutamente  evidenziate  dalla  Corte  costituzionale, inducono il
giudice a quo a sollevare questione di legittimita' costituzionale;
     che,  pertanto,  la  norma  censurata  sarebbe  in contrasto con
l'art.  3  della  Costituzione per difetto di ragionevolezza perche',
risultando  applicabile  anche  in  tempo di pace, determinerebbe una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nel giudizio tra i fatti
commessi  in  tempo  di  pace  sul  territorio  nazionale  e  i fatti
commessi,  sempre  in  tempo di pace, nell'ambito operazioni militari
armate all'estero;
     che  detta disparita' di trattamento si riverbererebbe anche sul
principio  di  ragionevole  durata del processo sancito dall'art. 111
della Costituzione, poiche' il rimettente, anziche' potersi esprimere
nel  merito  dopo  avere  qualificato il fatto in modo giuridicamente
diverso,  dovrebbe  a  suo dire trasmettere gli atti processuali alla
competente   Procura   della   Repubblica  ordinaria,  cosi'  facendo
regredire  il processo alla fase iniziale delle indagini preliminari,
nonostante  il  reato  ravvisato  sia  di  minor  gravita'  e leda il
medesimo bene giuridico tutelato dal reato di peculato militare;
     che,  con  sentenza  n. 298  del  1995, questa Corte, chiamata a
pronunciarsi  in  relazione  all'art. 37 cod. pen. mil. pace, avrebbe
ribadito  la propria giurisprudenza in materia, affermando che «nello
scegliere  il  tipo  di  illecito,  militare o comune, il legislatore
resta  [...] libero, purche' osservi il canone della ragionevolezza»,
e che spetta al legislatore sia la creazione di nuove figure di reato
sia  la  sottrazione di alcune fattispecie alla disciplina comune per
ricondurle  in  una  disciplina speciale che tuteli piu' congruamente
gli interessi coinvolti»;
     che  oggi,  secondo il Tribunale rimettente, sarebbe ravvisabile
un  termine di comparazione normativa nella nozione di reato militare
introdotta  dalla legge n. 6 del 2002, con la quale il legislatore ha
individuato  il  discrimine  tra  le due giurisdizioni nell'abuso dei
poteri o nella violazione dei doveri inerenti allo stato di militare,
ovvero  nella qualita' militare del luogo in cui e' stato commesso il
fatto;
     che,  secondo  l'opinione  del  giudice  rimettente,  il  mutato
assetto   normativo   consentirebbe  di  assoggettare  al  vaglio  di
ragionevolezza  la  scelta  del legislatore di non estendere la nuova
nozione  di  reato  militare anche ai fatti commessi in tempo di pace
sul territorio nazionale;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   con   il  patrocinio
dell'Avvocatura  generale  dello Stato, sostenendo l'inammissibilita'
della  questione, in riferimento all'art. 3, Cost. e la sua manifesta
infondatezza in riferimento all'art. 111 Cost.;
     che, secondo l'Avvocatura, il giudizio di irragionevolezza della
norma   formulato   dal   rimettente   sarebbe  fondato  sull'erroneo
presupposto  che  le  modifiche  apportate  dalla legge n. 6 del 2002
all'art.   47   cod.   pen.   mil.   guerra  comportino  l'automatica
applicazione della disposizione di tale codice ai corpi di spedizione
all'estero  per  operazioni  militari,  ancorche'  in  tempo di pace:
quando,  invece,  in  tutte  le leggi di finanziamento delle missioni
internazionali  successive al decreto-legge n. 421 del 2001 il regime
applicabile  al  personale  in  missione  e'  stato individuato senza
automatismi,  risultando,  in fatto, l'applicazione del codice penale
militare  di  guerra limitata - nel periodo compreso tra il 2001 e il
2006   -   al   solo   personale   impiegato   nei  teatri  operativi
dell'Afghanistan e dell'Iraq;
     che  in  secondo  luogo  la pronuncia richiesta presenterebbe il
carattere  di un intervento di sistema, rimesso alla discrezionalita'
del  legislatore,  avendo  la Corte affermato, con la sentenza n. 298
del  1995,  che  spetta  al  legislatore  e  solo ad esso non solo la
creazione di nuove figure di reato, ma anche la sottrazione di alcune
fattispecie  alla disciplina comune, per ricondurle ad una disciplina
che tuteli piu' congruamente gli interessi coinvolti;
     che  infine,  con riferimento alla censura relativa all'art. 111
della Costituzione, l'Avvocatura ha dedotto la manifesta infondatezza
della  sollevata  questione,  poiche'  le  procedure  di  entrambe le
giurisdizioni  hanno  la  stessa celerita', onde non si comprende per
quale  motivo la previsione della giurisdizione militare sarebbe piu'
rispettosa del principio della ragionevole durata del processo.
   Considerato  che  il  Tribunale militare di La Spezia dubita della
legittimita'  costituzionale del combinato disposto degli articoli 37
del  codice penale militare di pace, 47, secondo comma, numero 2, del
codice  penale  militare  di  guerra,  aggiunto dall'art. 2, comma 1,
lettera  c),  della legge 31 gennaio 2002 n. 6 (Conversione in legge,
con  modificazioni,  del  decreto-legge  1°  dicembre  2001,  n. 421,
recante  disposizioni  urgenti  per  la  partecipazione  di personale
militare all'operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom».
Modifiche  al  codice  penale militare di guerra, approvato con regio
decreto  20  febbraio  1941,  n. 303),  314, secondo comma, e 323 del
codice  penale,  in  relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione,
nella  parte  in cui il citato art. 47, secondo comma, cod. pen. mil.
guerra,  prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la
pubblica  amministrazione,  e  in  particolare  i delitti di cui agli
artt.   314,  secondo  comma,  e  323,  cod.  pen.,  se  commessi  da
appartenenti  alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei
doveri  inerenti  allo stato di militare o in luogo militare, solo in
caso di applicazione della legge penale militare di guerra, ancorche'
in tempo di pace;
     che  il  rimettente,  sia  pure  con  effetti limitati alle sole
fattispecie di peculato d'uso e di abuso d'ufficio, chiede alla Corte
di  intervenire sulla norma che definisce la giurisdizione penale dei
Tribunali  militari  in  tempo  di guerra, specificamente dettata dal
legislatore  per  tale  ambito,  al  fine  di  estenderne la portata,
attraverso una sua manipolazione, anche al tempo di pace;
     che  l'intervento  invocato,  proprio perche' destinato ad avere
effetto  solo  su  alcune  ipotesi di reato (quelle di cui agli artt.
314,  secondo comma, e 323, cod. pen.), non determinerebbe affatto il
superamento  di  quella  frammentazione  della  giurisdizione  che il
rimettente chiede di rimuovere;
     che l'intervento richiesto, in ogni caso, e' di quelli riservati
alla  discrezionalita' del legislatore, in quanto, per la sua portata
sistematica,  postula  una  revisione dell'intero quadro normativo in
materia;
     che  la  preclusione, per la Corte, di un tale intervento deriva
anche  dall'ambito su cui esso inciderebbe, che e' quello del riparto
di  giurisdizione  e  della  composizione  degli  organi  giudicanti,
trattandosi   di   materia  rimessa  all'ampia  discrezionalita'  del
legislatore  (ordinanze  n. 22  e  n. 287  del 2007, n. 301 del 2004,
n. 204 del 2001);
     che,  d'altra  parte,  proprio  con  riguardo  ai reati militari
contro  la  pubblica amministrazione, questa Corte ha gia' avuto modo
di  affermare  che  «nello  scegliere il tipo di illecito, militare o
comune,  il legislatore resta [...] libero, purche' osservi il canone
della ragionevolezza» (sentenza n. 298 del 1995);
     che,  come  affermato  da  questa  stessa Corte, con riferimento
all'art.  103 della Costituzione, la scelta di sottrarre alcuni reati
alla  cognizione  del  giudice militare, riservandoli alla cognizione
del  giudice  ordinario,  in  base  al criterio «formalistico» di cui
all'art.   37,   cod.   pen.   mil.   pace,   rientra  appieno  nella
discrezionalita'  del legislatore e non puo' reputarsi irragionevole,
dal  momento  che  la  Costituzione  non  contiene alcuna clausola di
riserva esclusiva di giurisdizione a favore dei tribunali militari in
tempo   di  pace  e  non  preclude  al  Parlamento  di  estendere  la
giurisdizione  del  giudice  ordinario,  quando  sussistano interessi
valutati  non  irragionevolmente come preminenti (sentenze n. 271 del
2000 e n. 81 del 1980);
     che,   pertanto,   la   sollevata  questione  deve  considerarsi
manifestamente inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.