Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 4, del
decreto  legislativo  17  gennaio  2003,  n.   5   (Definizione   dei
procedimenti in materia di diritto societario  e  di  intermediazione
finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in  attuazione
dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n.  366),  promosso  dal
Tribunale di Milano nel procedimento  civile  vertente  tra  la  Sept
Italia S.p.a. e la Kaitech S.p.a. ed  altri,  con  ordinanza  del  23
gennaio 2008 iscritta  al  n.  243  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 17 dicembre 2008  il  giudice
relatore Francesco Amirante. 
    Ritenuto che nel corso di una controversia  concernente  rapporti
societari il Tribunale di Milano,  in  composizione  collegiale,  con
ordinanza del 23 gennaio 2008,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  24  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 8,  comma  4,  del  decreto  legislativo  17
gennaio 2003, n.  5  (Definizione  dei  procedimenti  in  materia  di
diritto societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche'  in
materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo  12  della
legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce che  «la
mancata notifica  dell'istanza  di  fissazione  d'udienza  nei  venti
giorni  successivi  alla  scadenza  dei  termini  di  cui  ai   commi
precedenti,  o  del  termine  per  il  deposito  della   memoria   di
controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero  dalla
scadenza del termine massimo di cui all'art. 7,  comma  3,  determina
l'estinzione immediata del processo», anziche' la cancellazione della
causa dal ruolo; 
        che nella specie - riferisce il remittente - dopo lo  scambio
di memorie previsto dagli artt. 6 e 7 del  citato  d.lgs.  n.  5  del
2003,  la  parte  attrice  ha  notificato  l'istanza  di   fissazione
dell'udienza di discussione di cui al censurato art. 8 e  il  giudice
relatore  designato  ai  sensi  dell'art.  12  dello   stesso decreto
legislativo ha  dichiarato,  con  ordinanza  del  5  febbraio   2007,
l'intervenuta  estinzione  del  processo,  in  quanto   la   suddetta
notificazione e' stata effettuata oltre il termine  di  venti  giorni
dalla notifica della memoria della  controparte  alla  quale  non  si
intendeva replicare, previsto dal comma 1, lettera c),  del  suddetto
art. 8; 
        che avverso tale ordinanza ha presentato reclamo al  collegio
la parte attrice sostenendo che -  avendo  i  convenuti  indicato  il
termine di trenta giorni per la notificazione di eventuale  ulteriore
memoria di replica  e  scadendo  tale  ultimo  termine  oltre  quello
suddetto di venti giorni -  per  evitare  l'estinzione  del  giudizio
aveva inteso avvalersi della possibilita' di notificare l'istanza  di
fissazione dell'udienza nei venti giorni dalla scadenza  del  termine
massimo di ottanta giorni di cui all'art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 5
del 2003 (richiamato dal successivo art. 8, comma 4), chiedendo,  nel
contempo,  di  essere  autorizzata  a  replicare  ulteriormente   nel
medesimo termine; 
        che ad avviso del Tribunale, tuttavia,  tale  tesi  non  puo'
essere accolta e, nella specie, sia il termine di venti giorni  dalla
notifica dell'ultimo scritto difensivo dei convenuti sia  il  termine
massimo di ottanta giorni dalla memoria di  controreplica  di  questi
ultimi  erano  ampiamente   scaduti   al   momento   della   notifica
dell'istanza  di  fissazione   dell'udienza   dell'attrice,   sicche'
dovrebbe, comunque, essere confermato il provvedimento di  estinzione
del processo, sulla base della  disposizione  censurata  (di  qui  la
rilevanza della questione); 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, il  Tribunale  -
dopo aver ricordato che  l'estinzione  e'  una  vicenda  anomala  del
processo,  finalizzata  ad  evitare  la  prosecuzione  dell'attivita'
processuale quando si verifichino fatti o  circostanze  ritenute  dal
legislatore incompatibili con la volonta' delle parti  di  proseguire
il  giudizio  -  ritiene  la  scelta  legislativa  di  porre  termini
perentori sanzionati con l'estinzione immediata al fine di  governare
il passaggio del giudizio alla fase apud  iudicem,  contrastante,  in
primo luogo, con l'art. 24 Cost. perche' del tutto sproporzionata  ed
irragionevole rispetto alla perseguita finalita' acceleratoria; 
        che, nel rito ordinario,  infatti,  in  ipotesi  analoghe  e'
prevista la meno penalizzante conseguenza della  cancellazione  della
causa dal ruolo da cui puo' derivare l'estinzione del  processo  solo
nell'ipotesi di omessa riassunzione della causa cancellata  entro  il
termine di un anno; 
        che, viceversa, nella specie, la prevista sanzione  impedisce
all'interessato di sanare  autonomamente  (con  la  riassunzione  del
giudizio) l'eventuale errore  di  valutazione  o  di  interpretazione
compiuto e di ottenere la tutela del diritto azionato; 
        che, del resto, nello stesso rito societario, nell'ipotesi di
cui all'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 5 del 2003 - in cui  si  verifica
la mancata presentazione delle  parti  davanti  al  collegio  per  la
sentenza contestuale (e, quindi, una manifestazione  di  disinteresse
alla prosecuzione del giudizio ben piu' esplicita della semplice  non
tempestiva notifica dell'istanza di  fissazione  dell'udienza)  -  e'
prevista la cancellazione della causa dal  ruolo,  donde  l'ulteriore
contrasto  della  disposizione  censurata  con  l'art.  3  Cost.  per
irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto  alla   suddetta
fattispecie; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per il rigetto della questione. 
    Considerato  che  il  Tribunale  di   Milano,   in   composizione
collegiale, con ordinanza del 23 gennaio 2008, dubita, in riferimento
agli  artt.  3  e   24   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 8,  comma  4,  del  decreto  legislativo  17
gennaio 2003, n.  5  (Definizione  dei  procedimenti  in  materia  di
diritto societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche'  in
materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo  12  della
legge 3 ottobre 2001, n. 366), nella parte in cui stabilisce che  «la
mancata notifica  dell'istanza  di  fissazione  d'udienza  nei  venti
giorni  successivi  alla  scadenza  dei  termini  di  cui  ai   commi
precedenti,  o  del  termine  per  il  deposito  della   memoria   di
controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero  dalla
scadenza del termine massimo di cui all'art. 7,  comma  3,  determina
l'estinzione immediata del processo», anziche' la cancellazione della
causa dal ruolo; 
        che questa Corte, investita di una questione analoga a quella
oggi proposta dal giudice remittente, l'ha dichiarata non fondata con
sentenza n. 221 del  2008,  successiva  alla  presente  ordinanza  di
rimessione; 
        che nella richiamata  pronuncia  -  dopo  aver  ricordato  il
costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale secondo cui le
scelte compiute  dal  legislatore,  nell'esercizio  della  sua  ampia
discrezionalita'  in  ordine  alla  configurazione   degli   istituti
processuali, sono sindacabili solo se manifestamente irragionevoli  -
la Corte ha escluso che la  disposizione  censurata  travalichi  tale
limite ed ha anche affermato la compatibilita' della  stessa  con  la
garanzia costituzionale del diritto di difesa; 
        che il Tribunale di Milano non sottopone  alla  Corte  alcuna
argomentazione diversa ed ulteriore rispetto a quelle gia' scrutinate
nella menzionata decisione; 
        che la presente questione, pertanto, deve  essere  dichiarata
manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.