IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2035 del 2008
proposto dalla ditta Fardous Phone di El Fardous Fatima,  in  persona
della titolare El Fardous Fatima, rappresentata  e  difesa  dall'avv.
Carlo Cappellaro e domiciliata presso la  segreteria  del  t.a.r.  ai
sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; 
    Contro il Comune di Padova, in persona del legale  rappresentante
pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e  difeso  dagli
avvocati Montobbio, Mizzoni, Lotto, Bernardi, Munari  e  Bicocchi,  e
domiciliato presso la segreteria del t.a.r. ai sensi dell'art. 35 del
r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, per  l'annullamento  del  provvedimento
del Comune di Padova -  Settore  commercio  e  attivita'  economiche,
prot. n. 0201912  del  25  luglio  2008,  concernente  rigetto  della
domanda di autorizzazione per l'esercizio di un centro  di  telefonia
fissa - phone center nei locali di Padova,  via  G.  Tiepolo,  28,  e
contestuale chiusura della  attivita',  «in  quanto  all'interno  dei
locali  destinati  alla  attivita'  di  telefonia  viene   esercitata
l'attivita' di transfer-money - agenzia finanziaria, non  considerata
attivita'  commerciale  accessoria  alla  attivita'  di  telefonia  e
pertanto in contrasto con quanto previsto dall'art. 2, comma 3, e 12,
comma 4 della l.r. n. 32/2007». 
    Visto il ricorso, notificato il 28 ottobre 2008 e  depositato  in
segreteria il 10 novembre 2008, con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del  Comune  di  Padova,
con i relativi allegati; 
    Vista l'ordinanza n. 929 del 26 novembre 2008, con  la  quale  la
sezione ha accolto la  domanda  di  emanazione  di  misure  cautelari
presentata dal ricorrente «fino alla decisione, da parte della  Corte
costituzionale,  della  questione  di  legittimita'   costituzionale»
dell'art. 12 della legge Reg. Veneto n. 32 del 2007;  «questione  che
viene rimessa con separata ordinanza»,  con  prosecuzione  dell'esame
della domanda cautelare nella camera di consiglio che  sara'  fissata
dopo la comunicazione di tale decisione; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Uditi, nella camera di consiglio del 26 novembre  2008  (relatore
il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati Cappellaro per la ditta
ricorrente e Bicocchi per il Comune di Padova; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    1. - La ricorrente espone: 
        di esercitare, nei locali siti in Padova, via G. Tiepolo, 28,
l'attivita' di telefonia in sede fissa - phone center dal  16  aprile
2007, sulla base della licenza della  Questura  di  Padova,  come  da
domanda  presentata  in  data  31  marzo  2006  ,  in  assenza  della
comunicazione di motivi ostativi  nei  successivi  60  giorni,  e  in
seguito  alla  presentazione,  in   data   27   marzo   2006,   della
dichiarazione  di  inizio  attivita'  (D.I.A.)  al  Ministero   delle
comunicazioni; 
        che i  locali  dove  viene  esercitata  l'attivita'  sono  in
possesso di regolare agibilita' e rispettano le vigenti  disposizioni
in materia di sorvegliabilita'; 
        che le persone fisiche che  gestiscono  l'esercizio  sono  in
possesso dei prescritti requisiti morali; 
        che  la   legge   regionale   n.   32   del   2007,   recante
«regolamentazione dell'attivita' dei  centri  di  telefonia  in  sede
fissa (phone center)», all'art. 12 - norma transitoria, dispone  che:
«1. I titolari dei  centri  di  telefonia  in  sede  fissa  che  gia'
esercitano attivita' di cessione al pubblico  di  servizi  telefonici
alla data di entrata in vigore della presente legge sono tenuti a: 
          a) richiedere l'autorizzazione di  cui  all'articolo  4  al
comune competente per territorio entro sessanta giorni dalla data  di
entrata in vigore della presente legge; 
          b)  porsi  in   regola   con   le   prescrizioni   previste
dall'articolo 4, comma 3 e dall'articolo 9 entro un anno  dalla  data
di entrata in vigore della presente legge, salvo proroga concessa dal
comune, fino ad un massimo di dodici  mesi,  in  caso  di  comprovata
necessita' e su istanza motivata. 
    2.  Il  comune  dispone  la  chiusura  immediata  dei  centri  di
telefonia in sede fissa di cui al comma 1 quando  il  titolare  o  il
gestore o gli altri soggetti indicati dall'articolo 3, comma  3,  non
risultano in possesso dei requisiti previsti dall'articolo  3,  comma
1. 
    3. Il comune effettua la ricognizione dei centri di telefonia  in
sede fissa di cui al comma 1 e ne dispone  la  chiusura  in  caso  di
decorrenza del termine di cui al comma 1, lettera b),  senza  che  il
titolare abbia provveduto a  porsi  in  regola  con  le  prescrizioni
previste dall'articolo 4, comma 3 e dall'articolo 9. 
    4. Nei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 cessa,
dalla data di entrata in vigore della presente legge, ogni  attivita'
diversa da quella di cui all'articolo 2, comma 2, lettere b) ed e)»; 
        che  l'art.  4  della  legge  reg.  n.  32/2007  -   funzioni
autorizzatorie dei  comuni,  stabilisce  che:  «1.  L'apertura  e  il
trasferimento di sede di un centro di telefonia in  sede  fissa  sono
soggetti ad  autorizzazione  rilasciata  dal  comune  competente  per
territorio. 
    2.  La  domanda  di  rilascio  dell'autorizzazione  contiene  tra
l'altro copie della dichiarazione di inizio attivita'  presentata  al
Ministero delle comunicazioni ai sensi dell'articolo 25  del  decreto
legislativo 1º  agosto  2003,  n.  259  "Codice  delle  comunicazioni
elettroniche" e  della  licenza  rilasciata  dal  questore  ai  sensi
dell'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito,
con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155 "Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 luglio 2005,  n.  144,
recante   misure   urgenti   per   il   contrasto   del    terrorismo
internazionale". 
    3.  Il  comune  rilascia  l'autorizzazione  previa  verifica  del
possesso dei requisiti  di  cui  all'articolo  3  (vale  a  dire  dei
requisiti morali) nonche': 
        a) della disponibilita', all'atto della  presentazione  della
domanda, del locale nel quale s'intende esercitare l'attivita'; 
        b) dell'indicazione del gestore  preposto  all'esercizio,  se
diverso dal richiedente l'autorizzazione; 
        c)  del  rispetto   delle   vigenti   norme   legislative   e
regolamentari in materia edilizia,  urbanistica,  igienico-sanitaria,
di tutela dall'inquinamento  acustico,  di  sicurezza  e  prevenzione
incendi nonche' di destinazione d'uso dei locali e degli edifici e di
sorvegliabilita'; 
        d)  del   possesso   della   documentazione   attestante   la
conformita' delle  apparecchiature  di  comunicazione  utilizzate  ai
requisiti previsti dalla normativa comunitaria ..."; 
        che l'art. 9 disciplina  i  requisiti  igienico-sanitari  dei
locali. 
    Come si e' appena visto, l'art. 12 della legge  reg.  n.  32/2007
stabilisce che i centri di telefonia in sede fissa operanti alla data
di entrata in vigore della legge, per adeguarsi ai  citati  requisiti
ex art. 4, comma 3, nonche' a quelli previsti dall'art. 9,  hanno  un
anno di tempo, salvo motivata proroga per un ulteriore anno. A questo
scopo il Comune effettua una ricognizione dei centri di telefonia  in
sede fissa operanti nel suo territorio e ne dispone la  chiusura  nel
caso in cui non abbiano provveduto ad  adeguarsi  entro  il  predetto
termine. L'ultimo comma dell'art. 12 prevede quindi che nei centri di
telefonia in sede fissa, dalla data della  entrata  in  vigore  della
legge, debba cessare ogni altra attivita' diversa dalla  cessione  al
pubblico dei servizi telefonici e dall'attivita' commerciale ad  essa
accessoria (cfr. art. 2, comma 2, lettere b) ed e) legge cit.); 
        di avere presentato al Comune di Padova, in data 15  febbraio
2008, rituale domanda di autorizzazione, ex art. 12, comma 1/a),  per
l'esercizio di un centro di telefonia in sede fissa  -  phone  center
con riferimento all'attivita' esercitata nei locali di  via  Tiepolo,
28. Nella domanda la ricorrente dichiara che «il  money  transfer  e'
stato chiuso»; 
        che il Comune, con nota in data 16 aprile 2008, ha comunicato
l'avvio del procedimento di diniego e di chiusura  dell'attivita'  ai
sensi degli artt. 7 e 8  della  legge  241  del  1990,  in  relazione
all'esito di un sopralluogo, eseguito il 10 marzo 2008 dalla  Polizia
municipale presso i locali  di  via  Tiepolo,  nel  corso  del  quale
sarebbe  stato  accertato   lo   svolgimento,   congiuntamente   alla
telefonia, dell'attivita' di money-transfer; 
        di avere controdedotto all'avviso di avvio  del  procedimento
ma che, nonostante cio', con il provvedimento in epigrafe  il  Comune
ha rigettato la domanda e ha disposto la chiusura dell'attivita'. Nel
provvedimento impugnato il Comune richiama la nota del 18 marzo  2008
con la quale il Comando della Polizia  municipale  ha  comunicato  di
avere accertato, nel corso del sopralluogo  effettuato  il  10  marzo
2008, che  nei  locali  di  Via  Tiepolo  viene  esercitata,  insieme
all'attivita' di telefonia, quella di «transfer money».  Si  richiama
altresi' l'art. 12 della legge  reg.  e  si  rigetta  la  domanda  di
autorizzazione  comunicando  che,  conseguentemente,  l'attivita'  di
telefonia non puo' essere esercitata. Il Comune muove, evidentemente,
dall'assunto  che  l'attivita'  di  money  transfer  non  costituisce
attivita' commerciale accessoria ai sensi e per gli  effetti  di  cui
all'art. 2/e) della legge reg. n. 32/2007. 
    Avverso e per l'annullamento del provvedimento sopra riassunto la
ditta  ricorrente  ha  formulato  cinque  censure,  concernenti:   1)
illegittimita' derivata per contrasto della legge reg. n. 32 del 2007
con gli articoli 3, 97 e 117 della Costituzione; 2 e  3)  eccesso  di
potere per travisamento dei presupposti; 4) violazione dell'art.  107
del t. u. n. 267 del 2000 e 5) violazione degli articoli 2 e 20 della
legge n. 241 del 1990 e 4, comma 4, della legge reg. n. 32 del 2007. 
    Il  Comune  di  Padova  si  e'   costituito   in   giudizio,   ha
controdedotto e ha prodotto in giudizio il provvedimento n.  32  1248
del 24 novembre 2008 del dirigente capo settore commercio e attivita'
economiche, di convalida del provvedimento impugnato,  emesso  il  25
luglio  2008  da   un   funzionario   con   incarico   di   posizione
organizzativa. 
    Con ordinanza emanata nella camera di consiglio del  26  novembre
2008 il collegio, considerato che l'art. 12 della legge regionale del
Veneto n. 32 del 2007, nelle parti in cui,  anche  per  i  centri  di
telefonia in sede fissa esistenti, prescrive l'obbligo di munirsi  di
autorizzazione comunale, pone  il  divieto  immediato  di  esercitare
attivita' diverse da quelle di cui all'art. 2, comma 2, lettere b) ed
e), vale  a  dire  cessione  al  pubblico  di  servizi  telefonici  e
attivita' commerciale accessoria, e pone l'obbligo di porsi in regola
entro un anno con tutte  le  nuove  prescrizioni  che  riguardano  la
gestione dei  «phone  center»,  sotto  pena  della  chiusura,  sembra
presentare profili di incostituzionalita' (cfr. C.  cost.,  sent.  n.
350/2008 sulla legge Reg. Lombardia n. 6/2006), tali da  giustificare
la sottoposizione della corrispondente questione dinanzi  alla  Corte
costituzionale; che la questione anzidetta appare rilevante e che  il
pregiudizio derivante dalla esecuzione del provvedimento impugnato e'
grave e irreparabile, ha accolto la domanda di  misure  cautelari  e,
per l'effetto, ha sospeso l'esecuzione  del  provvedimento  impugnato
fino alla decisione,  da  parte  della  Corte  costituzionale,  della
questione di  legittimita'  costituzionale,  che  sara'  rimessa  con
separata ordinanza, con la precisazione che l'esame  ulteriore  della
domanda cautelare va rinviato alla  camera  di  consiglio  che  sara'
fissata  dopo  la   comunicazione   della   decisione   della   Corte
costituzionale (cfr. C. cost., nn. 183/1997, 30/1995 e 451/1993). 
    2. - In diritto va premesso: 
        che la convalida,  sopravvenuta  il  24  novembre  2008,  del
provvedimento impugnato, adottato il 25 luglio 2008, elimina il vizio
di incompetenza relativa di cui  l'atto  convalidato  avrebbe  potuto
essere affetto. Restano pero' fermi il contenuto e gli effetti lesivi
del provvedimento sottoposto a convalida, fin dal momento  della  sua
emanazione (25 luglio 2008); 
        che l'ordine  di  esposizione  delle  censure  seguito  dalla
ricorrente, e l'ordine di esame dei  motivi  secondo  logica  possono
giustificare una analisi in via prioritaria della  censura  formulata
sub 1), censura che, come  si  e'  detto  sopra  al  p.  1.,  risulta
imperniata sulla illegittimita' derivata del provvedimento  impugnato
«per contrasto  della  l.r.  n.  32  del  2007  (piu'  correttamente,
dell'art. 12 della legge reg. cit., articolo  di  cui  il  Comune  di
Padova ha fatto applicazione) con i principi costituzionali  in  tema
di competenze legislative delle Regioni nonche'  con  quelli  sanciti
dagli articoli 3, 41 e 97 Cost.; 
        che non sembra pero' inutile aggiungere che,  anche  a  voler
effettuare una delibazione  circa  la  possibilita'  di  definire  il
giudizio  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale, la conclusione  necessitata  alla  quale
giungere dovrebbe essere ugualmente quella di sollevare questione  di
incostituzionalita'. E infatti: la censura di  incompetenza  relativa
e' stata sanata mediante il provvedimento dirigenziale di  convalida,
mentre le violazioni di norme sul  procedimento  amministrativo  alle
quali la ricorrente fa riferimento nell'ambito della  stessa  censura
di incompetenza sopra indicata, ove pure sussistenti,  non  avrebbero
una rilevanza tale da determinare l'illegittimita' del  provvedimento
finale, in disparte il rilievo secondo cui un eventuale  annullamento
dell'atto per le ragioni esclusivamente  procedimentali  descritte  a
pag. 13 ric. non precluderebbe il riesercizio  del  potere  da  parte
della p.a. con risultati ugualmente sfavorevoli per la ricorrente; il
travisamento dei presupposti dedotto alle pagine 10  e  11  ric.  non
sussiste giacche', dal verbale 10 marzo 2008,  prodotto  in  giudizio
sub allegato 3 fasc. p.a., si ricava con chiarezza che al momento del
sopralluogo   la   Polizia   municipale    aveva    riscontrato    la
visualizzazione di una  somma  di  denaro  trasferita  all'estero  (€
222,5), e che, nell'occasione, la titolare della ditta aveva altresi'
dichiarato, a verbale, di svolgere, insieme alle attivita'  di  phone
center e internet point, quella di transfer money;  quanto  poi  alla
assenta violazione degli articoli 2 e 20 della legge n. 241 del 1990,
e dell'art. 4, comma 4, della legge reg. n. 32 del 2007, in relazione
al silenzio-assenso che, cosi' si sostiene nel  ricorso,  si  sarebbe
formato sulla domanda della ditta Fardous Phone,  la  ricorrente  non
tiene conto del fatto che, in base a cio' che dispone  l'art.  10-bis
della legge n. 241  del  1990,  la  comunicazione  del  preavviso  di
rigetto interrompe i termini per  concludere  il  procedimento,  e  i
termini  iniziano   nuovamente   a   decorrere   dalla   data   della
presentazione delle osservazioni (vale a dire, nel  caso  di  specie,
dal 6 maggio 2008; circa la censura con la quale si sostiene  che  il
Comune avrebbe dovuto applicare il sistema sanzionatorio di cui  agli
articoli 11, comma 3, e 10, comma 1, lett. d)  della  legge  reg.  n.
32/2007  e,  quindi,  non  avrebbe  potuto  rifiutare   il   rilascio
dell'autorizzazione a causa del solo esercizio, negli  stessi  locali
del phone center,  della  attivita'  di  money  transfer,  attivita',
quest'ultima,   da    assoggettare    esclusivamente    a    sanzione
amministrativa pecuniaria, il collegio ritiene che, indipendentemente
dalla   possibile   consistenza   del   motivo    sopra    riassunto,
l'accoglimento della questione di legittimita'  costituzionale  sotto
indicata sarebbe in grado di per se'  di  soddisfare  in  modo  pieno
l'interesse perseguito dalla ricorrente giacche', per  effetto  della
dichiarata incostituzionalita' del citato art. 12, verrebbe  meno  la
necessita' di uno specifico e autonomo  provvedimento  autorizzatorio
comunale per consentire l'esercizio della attivita' di phone center e
inoltre - e in  particolare  -  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale del comma 4 dell'art. 12 eliminerebbe in modo radicale
il sostegno sul quale si regge il provvedimento impugnato. 
    Tutto  cio'  premesso,  e  ribadito  che  con  il   provvedimento
impugnato e' stata rifiutata l'autorizzazione e, conseguentemente, e'
stata disposta la chiusura dell'esercizio di telefonia per la ragione
descritta  sopra,  al  p.  1.,  il  collegio   e'   dell'avviso   che
l'accoglimento, da parte della Corte costituzionale, della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge  reg.  n.  32
del 2007, nelle parti in cui: 
        dispone che i soggetti interessati sono tenuti a richiedere e
a conseguire, dal Comune competente per territorio,  l'autorizzazione
all'esercizio di un centro di telefonia in sede fissa (phone center); 
        pone il divieto immediato di esercitare attivita' diverse  da
quelle di cui all'art. 2, comma 2, lettere b)  ed  e),  vale  a  dire
dalla cessione al pubblico di servizi telefonici  e  dalle  attivita'
accessorie (nelle quali, secondo il Comune  di  Padova,  non  rientra
l'attivita' di transfer money); e  sancisce  l'obbligo  di  porsi  in
regola entro un anno con tutte le nuove prescrizioni  che  riguardano
la gestione dei phone center, sotto  pena  della  chiusura,  potrebbe
soddisfare in maniera completa l'interesse fatto valere  in  giudizio
dalla ricorrente. 
    Il collegio e', inoltre,  dell'avviso  che  l'accoglimento  della
domanda di misure cautelari disposta con l'ordinanza n. 929 del  2008
non tolga rilevanza alla questione  di  legittimita'  costituzionale,
dato che la sospensiva e' stata accordata in via temporanea fino alla
ripresa del giudizio cautelare successivamente alla  pronuncia  della
Corte costituzionale e alla sua comunicazione al t.a.r.: la questione
di legittimita' costituzionale mantiene infatti la propria  rilevanza
qualora il giudice amministrativo abbia accordato  la  sospensiva  in
via  provvisoria  e  interinale,  fino  alla  ripresa  del   giudizio
cautelare dopo l'incidente di costituzionalita', atteso che  in  tale
situazione il potere di sospensiva  del  t.a.r.  non  si'  e'  ancora
esaurito (v. C. cost., sentenze nn. 183 del 1997, 30  del  1995,  451
del 1993 e 444 del 1990). 
    Va aggiunto che appare esatta la  premessa  interpretativa  dalla
quale  hanno  preso  le  mosse  sia  il  Comune,   nell'adottare   il
provvedimento impugnato, sia  la  ditta  ricorrente  nell'esporre  la
censura  sub  1).  Ci  si  riferisce  al  fatto  che  l'attivita'  di
trasferimento di denaro all'estero (Money Transfer) non  puo'  essere
fatta rientrare, secondo ragionevolezza, nell'ambito della «attivita'
commerciale  accessoria,  ...   riferita   a   servizi   e   prodotti
strettamente  connessi  alla  cessione  al  pubblico  di  servizi  di
telefonia» (cfr. articoli 2, comma 2, lettera e) e 12, comma 4, legge
reg. n. 32/2007).  Il  servizio  di  money  transfer  appare  infatti
analogo al servizio offerto dal sistema interbancario. Si  tratta  di
un servizio che non implica necessariamente  l'utilizzo  dei  servizi
telefonici o telematici del phone center. 
    La legge reg. n. 32 del 2007 e,  in  particolare,  la  disciplina
transitoria  suindicata,  nella  parte  in  cui  prescrive  l'obbligo
dell'autorizzazione comunale, nel rispetto dei requisiti di cui  agli
articoli 3, 4 e 9 legge cit., anche  per  i  titolari  di  centri  di
telefonia in sede fissa che gia' esercitano attivita' di cessione  al
pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in  vigore  della
legge reg. n. 32/2007, sembra porsi in contrasto con l'art. 117 della
Costituzione, in relazione al sistema  di  riparto  delle  competenze
legislative Stato-regione. 
    La disciplina dei phone center non ricade infatti  nella  materia
del commercio ma rientra nella materia del «servizio di comunicazione
elettronica»,  come   definito   dal   codice   delle   comunicazioni
elettroniche, approvato con il d. lgs. n. 259 del 2003. 
    Su  questo  argomento,  come  e'  stato  riepilogato   da   Corte
costituzionale al p. 2. del «Considerato in diritto»  della  sentenza
n. 25 del 2009, con la quale  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8 della legge Reg. Veneto n. 32 del 2007, la
stessa Corte, nel dichiarare,  con  la  sentenza  n.  350  del  2008,
l'illegittimita' costituzionale della legge della  Regione  Lombardia
n. 6 del 2006 sull'insediamento e la gestione dei centri di telefonia
in sede fissa, «ha riconosciuto che l'attivita' svolta dai centri  di
telefonia in sede fissa  e'  qualificabile,  alla  luce  del  decreto
legislativo 1°  agosto  2003,  n.  259  (Codice  delle  comunicazioni
elettroniche), come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione
elettronica (si vedano in particolare l'art. 25 e l'Allegato n. 9 del
decreto legislativo n. 259 del  2003).  Con  la  succitata  sentenza,
questa Corte ha precisato  che  la  competenza  statale  in  tema  di
comunicazioni elettroniche non riguarda solo  "la  definizione  delle
tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono
la rete delle  infrastrutture  di  comunicazione  elettronica"  (come
asserisce la difesa regionale nel  presente  giudizio),  ma  l'intera
serie delle infrastrutture relative alle reti ed i  relativi  servizi
pubblici e privati che operano nel settore. Piu' in generale,  questa
Corte  ha  affermato  che  "le  disposizioni  del   suddetto   codice
intervengono in molteplici ambiti materiali,  diversamente  tra  loro
caratterizzati in relazione al riparto di competenza legislativa  fra
Stato e Regioni: sono, infatti, rinvenibili in questo settore  titoli
di competenza esclusiva statale ('ordinamento civile', 'coordinamento
informativo statistico ed informatico dei  dati  dell'amministrazione
statale, regionale e locale', 'tutela della concorrenza'),  e  titoli
di  competenza  legislativa   ripartita   ('tutela   della   salute',
'ordinamento  della  comunicazione',   'governo   del   territorio').
Vengono, infine in rilievo anche materie  di  competenza  legislativa
residuale delle Regioni, quali, in particolare, l''industria'  ed  il
'commercio') "» (cosi' le sentenze n. 350  del  2008  e  n.  336  del
2005). 
    Inoltre, fin dalla sentenza n.  336  del  2005  questa  Corte  ha
riconosciuto che il codice delle comunicazioni elettroniche, al  fine
di adeguarsi alla normativa comunitaria,  ha  inteso  perseguire  «un
vasto processo di liberalizzazione  delle  reti  e  dei  servizi  nei
settori  convergenti  delle  telecomunicazioni,  dei  media  e  delle
tecnologie dell'informazione (...)  secondo  le  linee  di  un  ampio
disegno europeo tendente  ad  investire  l'intera  area  dei  servizi
pubblici». 
    Fra i principi fondamentali espressamente enunciati  dall'art.  3
del Codice, in questa  sede  assumono  particolare  rilevanza  quello
secondo il quale sono garantiti «i diritti inderogabili  di  liberta'
delle  persone  nell'uso  dei  mezzi  di  comunicazione  elettronica,
nonche' il diritto di iniziativa economica ed  il  suo  esercizio  in
regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche»,
e quello secondo cui «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica, che e' di preminente interesse generale, e' libera».  Ed
e' rilevante che, proprio a proposito di questi principi,  la  citata
sentenza  n.  350  del  2008  sottolinei  come  sia   «evidente   che
disposizioni del genere sono espressione della  competenza  esclusiva
dello Stato in tema di "tutela della concorrenza" e  di  "ordinamento
civile", prima ancora di costituire principi fondamentali in tema  di
"ordinamento della comunicazione"». 
    Coerentemente con questo assetto, l'art. 25  del  Codice  prevede
che i fornitori  di  servizi  di  comunicazione  elettronica  debbano
semplicemente ottenere  una  autorizzazione  generale  da  parte  del
Ministero delle comunicazioni, secondo il modello della  denuncia  di
inizio  attivita'.  L'impresa  pertanto  e'  abilitata  ad   iniziare
immediatamente la propria attivita', salva  la  possibilita'  per  il
Ministero, che  verifica  l'esistenza  dei  presupposti  e  requisiti
richiesti, di vietare motivatamente  la  prosecuzione  dell'attivita'
entro il termine perentorio di sessanta giorni. 
    Senza dubbio  il  legislatore,  sia  statale  che  regionale,  e'
legittimato a porre limiti alle attivita' in oggetto: il terzo  comma
dello stesso art. 3 del Codice contempla  «limitazioni  derivanti  da
esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione
civile, della salute pubblica e della tutela  dell'ambiente  e  della
riservatezza e protezione dei dati  personali,  poste  da  specifiche
disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione».
Appare, inoltre, evidente - ha proseguito C. cost. n. 25/2009  -  che
possono essere fissati anche ulteriori limiti ... diversi  da  quelli
espressi   dalla   specifica   legislazione    sulle    comunicazioni
elettroniche. 
    Vale forse aggiungere, alla  sintesi  sopra  trascritta,  che  la
Corte costituzionale, con la citata sentenza  n.  350  del  2008,  ha
altresi' statuito: 
        che nell'attivita' posta in essere dai  centri  di  telefonia
sono  rinvenibili  alcuni  degli  elementi  tipici   degli   esercizi
commerciali,  ma  si  tratta,  tuttavia,  «di  elementi  accessori  e
strumentali rispetto all'oggetto qualificante l'attivita' svolta  dai
centri di telefonia in sede fissa, consistente nella erogazione di un
servizio di comunicazione  elettronica.  "Nei  centri  di  telefonia,
invero, lo scambio di un  servizio  verso  la  corresponsione  di  un
prezzo afferisce a beni ed esigenze fondamentali della persona e, nel
contempo,  della  comunita',   coinvolgendo   interessi   individuali
(correlati alla comunicazione con altre persone) e generali (difesa e
sicurezza dello Stato; protezione  civile;  salute  pubblica;  tutela
dell'ambiente;  riservatezza  e  protezione  dei   dati   personali),
diversamente da quanto accade nelle ordinarie  attivita'  commerciali
di cui all'art. 4 del decreto  legislativo  31  marzo  l998,  n.  114
..."»; 
        rispetto al «quadro normativo istituito dallo  Stato  membro»
(v., in particolare, quanto statuito dall'art.  25  del  Codice),  si
pone in contrasto la legge Reg. Lombardia n. 6 del 2006 la quale, «in
nome della propria competenza legislativa in  materia  di  commercio,
pretende di disciplinare organicamente "l'insediamento e la  gestione
di centri di telefonia in sede fissa" (nuovi o gia' attivi alla  data
della entrata in vigore della legge reg. cit. , "prevedendo, all'art.
4,  la  necessita'  di  uno  speciale  provvedimento  autorizzatorio,
diverso ed ulteriore rispetto a  quello  previsto  dall'art.  25  del
Codice ... "»; 
        la  legge   Reg.   Lombardia   subordina   il   conseguimento
dell'autorizzazione,   alla   sussistenza   di   requisiti   alquanto
eterogenei  i  quali  -  prosegue  C.  cost.,  n.  350/2008   -   «si
sovrappongono largamente ed in diversi ambiti, ai requisiti  previsti
dal codice  e  dalle  leggi  a  cui  questo  rinvia  e,  soprattutto,
contraddicono palesemente l'unicita' del procedimento autorizzativo e
le  collegate  esigenze  di  semplificazione  e   tempestivita'   dei
procedimenti»; 
        confligge, dunque, con  le  scelte  operate  dal  legislatore
statale in tema di  liberalizzazione  dei  servizi  di  comunicazione
elettronica e di semplificazione procedimentale la  introduzione,  ad
opera del legislatore  regionale,  di  un  vero  e  proprio  autonomo
procedimento autorizzatorio per  lo  svolgimento  dell'attivita'  dei
centri di telefonia; ferma restando la  possibilita'  per  i  comuni,
tramite la loro potesta' regolamentare, e le regioni, tramite la loro
potesta' legislativa, di  disciplinare  specifici  profili  incidenti
anche su questo settore. Di qui l'illegittimita' costituzionale,  per
violazione dei criteri di riparto delle competenze  di  cui  all'art.
117 Cost., (non solo) delle disposizioni, della legge Reg.  Lombardia
n. 6/2006,  «che  configurano  l'autorizzazione  ivi  prevista  quale
nucleo essenziale del prescelto regime  amministrativo»,  (ma  anche)
della «intera  disciplina  dei  centri  di  telefonia»,  dettata  dal
legislatore  lombardo,  e  cio'  per  vizio  di   incostituzionalita'
derivato ex art. 27 della legge n. 87 del 1953. 
    Guardando ora piu' da vicino la fattispecie per cui e' causa,  al
collegio  sembra  evidente  che  le  statuizioni  poste  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 350 del 2008  si  riflettano  sulla
disciplina - transitoria, ma non  solo  -  introdotta  dalla  Regione
Veneto con l'art. 12 della legge n. 32 del 2007,  nel  senso  che  il
citato art. 12, nelle parti in cui prescrive l'obbligo di munirsi  di
autorizzazione comunale, nel  rispetto  dei  requisiti  di  cui  agli
articoli 3, 4 e 9 della legge stesa, e pone  l'obbligo  di  porsi  in
regola entro un anno con tutte le nuove prescrizioni  che  riguardano
la gestione dei phone  center,  sotto  pena  della  chiusura,  sembra
confliggere con l'art. 117 della Costituzione per le  ragioni,  sopra
riassunte, enunciate nella sentenza n. 350 del 2008 emessa  dalla  C.
cost.  con  riferimento,  per  quanto  qui   piu'   interessa,   alle
disposizioni, similari rispetto a quelle che  rilevano  nel  giudizio
odierno, di cui agli articoli 1, 4, 9 e 12 della  citata  legge  Reg.
Lombardia. 
    A cio' va aggiunto che l'art. 12, comma 4, della legge reg. n. 32
del 2007 (o, per essere piu' precisi, il combinato  disposto  di  cui
agli articoli 12 comma 4 e 2, comma  2,  lett.  e),  secondo  cui  e'
vietato, a decorrere dalla data di entrata in vigore della  legge  n.
32 cit. , lo svolgimento di attivita' commerciali  non  accessorie  a
quella di telefonia, tra le quali rientra quella di trasferimento  di
denaro all'estero (Money Transfer): e si noti che  il  rigetto  della
domanda di autorizzazione e la  chiusura  della  attivita'  di  phone
center sono stati disposti proprio in  quanto  la  ditta  ricorrente,
all'interno  dei  locali,  destinati  all'attivita'   di   telefonia,
esercitava attivita' vietata  di  transfer  money,  sembra  porsi  in
contrasto con gli articoli 3 e 41 Cost., dato che viene introdotto un
elemento di rigidita' del sistema - una «prescrizione  eccessivamente
penalizzante per gli operatori economici, in specie per  quelli  gia'
presenti sul mercato»  -,  che  si  concretizza  in  una  limitazione
quantitativa  dell'offerta  che  si  traduce   in   una   limitazione
quantitativa dell'offerta economica di servizi, in danno dei  gestori
di phone center ai quali, diversamente da altri operatori  economici,
e'  ingiustificatamente  preclusa   la   possibilita'   di   cumulare
l'esercizio  dell'attivita'  di  cessione  al  pubblico  di   servizi
telefonici con lo svolgimento di un'altra attivita'  economica  -  il
money transfer, appunto -  perfettamente  compatibile  e  liberamente
esercitatile  dai  titolari  di  attivita'  non   disomogenee   (come
rivendite di tabacchi, ricevitorie e internet point). 
    Vale  richiamare,   sul   punto,   la   segnalazione   /   parere
dell'Autorita' garante per la concorrenza e il mercato AS 443 del  24
gennaio  2008  che,  su  questo  tema,  rileva  che  «il  divieto  di
svolgimento, nei centri di telefonia fissa, di servizi diversi  dalla
cessione  al  pubblico  di  servizi   telefonici   e   dell'attivita'
commerciale accessoria ... rappresenta una ingiustificata limitazione
quantitativa  e  qualitativa  della  offerta,  in  contrasto  con  le
esigenze di salvaguardia della concorrenza e, peraltro, con l'art. 3,
lett.  c),  del  d.l.  n.  223/2006  che,  in  una   prospettiva   di
liberalizzazione degli accessi al mercato, esclude l'applicazione  di
limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto  negli
esercizi  commerciali,  fatta  salva  la  distinzione   tra   settore
alimentare e non alimentare». 
    Sotto un diverso profilo, il combinato  disposto  degli  articoli
12, comma 4, e 2, comma 2, lett. e) della legge reg. n. 32  del  2007
appare in contrasto con gli articoli 3 e 97  Cost.,  sotto  l'aspetto
della  irragionevolezza,  connessa   al   carattere   sostanzialmente
retroattivo  del  divieto  di  cumulo  tra   le   diverse   attivita'
economiche. 
    Di per se', come ha affermato la  giurisprudenza  costituzionale,
il  divieto  di  retroattivita'  della  legge,  pur  costituendo   un
fondamentale  valore  di   civilta'   giuridica   non   ha   dignita'
costituzionale al di fuori dell'ambito penale.  Tuttavia  non  devono
essere  sacrificati  altri  valori  e  interessi   costituzionalmente
protetti,  tra  cui  «l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto,  non
puo' essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino  in
un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti» (cfr. C. cost., nn. 416/1999, 274/2006 e  282/2005).  Nel
caso di specie, le aspettative dei titolari e dei gestori  dei  phone
center, gia' attivi, di poter  svolgere,  e  continuare  a  svolgere,
anche altre attivita',  e  non  solo  le  attivita'  accessorie  alla
telefonia, appaiono essere state irragionevolmente frustrate. Non  si
riesce a vedere, infatti,  per  quale  ragione  plausibile  si  debba
vietare ai  gestori  di  phone  center  di  espletare,  insieme  alla
telefonia, anche altri servizi, come il money transfer,  al  pari  di
altri operatori economici presenti sul mercato. 
    In base alle considerazioni su esposte, il collegio  ritiene  che
sussistano le condizioni indicate dall'art. 23 della legge n. 87  del
1953  per   la   proposizione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 12 della legge Reg. Veneto 30 novembre 2007,
n. 32, e, ove occorra, del combinato disposto di  cui  agli  articoli
12, comma 4, e 2, comma 2, lett. e), legge reg. cit., in  riferimento
agli articoli 3, 41, 97 e 117 della Costituzione. 
    Si deve quindi disporre la sospensione del presente giudizio e la
rimessione della questione all'esame della Corte  costituzionale,  in
base a quanto dispone l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per
la decisione sulla prospettata questione di costituzionalita'.