Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  commi  9,
lett. a), ultima parte, e 10, della  legge  8  agosto  1995,  n.  335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e  complementare)  in
combinato disposto con l'art. 15 del regolamento del Consiglio  delle
Comunita' europee n.  659/1999  (recante  modalita'  di  applicazione
dell'art. 93 del  Trattato  CE)  promosso  dal  Tribunale  di  Reggio
Calabria  nel  procedimento  vertente  tra  la  Medcenter   Container
Terminal s.p.a. e l'I.N.P.S. ed altri con ordinanza dell'11  febbraio
2008, iscritta al n. 227 del registro  ordinanze  2008  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2008. 
    Visti l'atto di costituzione della Medcenter  Container  Terminal
s.p.a. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  24  febbraio  2009  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi gli avvocati Giampiero Proia e  Camillo  Paroletti  per  la
Medcenter Container Terminal s.p.a. e l'avvocato dello Stato  Antonio
Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice  del
lavoro, con ordinanza depositata l'11 febbraio 2008 ha sollevato - in
riferimento agli artt. 3, primo  comma,  e  97,  primo  comma,  della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3,
commi 9, lettera a), ultima parte, e 10, della legge 8  agosto  1995,
n.  335   (Riforma   del   sistema   pensionistico   obbligatorio   e
complementare), in combinato disposto con l'art. 15  del  regolamento
del Consiglio delle Comunita' europee n. 659/1999 del 22  marzo  1999
(recante modalita' di applicazione dell'art. 93 del Trattato CE). 
    Il rimettente premette che, con ricorso depositato il  26  luglio
2007, la societa'  Medcenter  Container  Terminal  s.p.a.  (d'ora  in
avanti Medcenter s.p.a) ha adito il  giudice  del  lavoro  di  Reggio
Calabria impugnando una cartella esattoriale relativa alla  somma  di
euro 14.168.650,17, «emessa per recupero sgravi, oltre accessori,  in
applicazione della decisione dell'Unione Europea dell'11 maggio  1999
concessi per i contratti di formazione lavoro dal  novembre  1995  al
maggio 2001». 
    Dopo  avere  riassunto  i  numerosi  motivi  addotti  a  sostegno
dell'opposizione, tra cui in primo luogo «la prescrizione dei diritti
di credito vantati ex artt. 3 e 9 legge n. 335/1995» (recte  art.  3,
comma 9, lettera a, ultima parte, della legge n. 335  del  1995),  il
rimettente prosegue osservando che, nel giudizio cosi' introdotto, si
sono costituiti l'Istituto nazionale di previdenza sociale (d'ora  in
avanti INPS) e  la  S.C.C.I.  s.p.a.,  mentre  e'  rimasta  contumace
Equitalia ETR s.p.a., concessionaria del servizio di riscossione  dei
tributi. 
    Le parti convenute hanno dedotto - tra l'altro - che, secondo  la
giurisprudenza comunitaria, la  normativa  interna  non  puo'  essere
invocata  per  escludere  il  diritto  dell'INPS  e  l'obbligo  della
Repubblica Italiana di recuperare gli aiuti di stato illegittimamente
concessi, dovendo il giudice interpretare  la  normativa  interna  in
modo da dare attuazione al diritto comunitario  e  non  applicare  le
norme di  diritto  interno  idonee  ad  impedire  l'effettivita'  del
recupero; che la prescrizione non era operante perche'  la  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, con la sentenza del 20 marzo 1997,
causa C-24/95, aveva ritenuto che il  principio  della  certezza  del
diritto non poteva precludere la restituzione di un  aiuto  di  Stato
per il ritardo col quale le autorita' nazionali si  erano  conformate
alla  decisione  della  Commissione   europea   che   imponeva   tale
restituzione, decisione immediatamente  efficace  e  non  richiedente
alcuna procedura di recepimento; che, in ogni caso, si sarebbe dovuta
applicare  la  prescrizione  decennale,   versandosi   in   tema   di
restituzione d'indebito ai sensi dell'art. 2953 del codice civile. 
    Cio' posto, il rimettente chiarisce che la causa e'  stata  messa
in discussione in  ordine  a  «profili  di  possibile  illegittimita'
costituzionale della lettura della legge n. 335 del  1995  alla  luce
della normativa comunitaria» ed osserva che la  controversia  de  qua
prende  le  mosse  dalla  decisione  della  Commissione  europea   n.
2000/128/CE dell'11 maggio 1999, con la quale, traendo  spunto  dalla
notifica del disegno di legge che avrebbe dato  vita  alla  legge  24
giugno   1997,   n.   196   (Norme   in   materia    di    promozione
dell'occupazione), detta Commissione, estendendo l'esame a  tutta  la
normativa nazionale relativa ai contratti  di  formazione  e  lavoro,
aveva avviato la procedura d'infrazione di cui all'art. 88, paragrafo
2, del Trattato che istituisce la  Comunita'  europea  del  25  marzo
1957, reso esecutivo  con  legge  14  ottobre  1957,  n.  1203  (come
modificato dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, reso esecutivo
con legge 11  maggio  2002,  n.  102),  (ex  art.  93,  paragrafo  3,
dell'originario  Trattato  CE),  in  relazione  alla  disciplina  che
accordava benefici contributivi in caso di contratti di formazione  e
lavoro e, in particolare, per quella parte  di  sgravio  contributivo
differenziale rispetto alla misura fissa  ed  uniforme  di  cui  alla
legge  19  dicembre  1984,  n.  863  (conversione   in   legge,   con
modificazioni, del decreto-legge 30 ottobre  1984,  n.  726,  recante
misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali)  e
pari al 25%. Ad avviso  della  Commissione  (che  indicava  pure  dei
criteri cui i contratti dovevano uniformarsi per essere conformi alla
normativa comunitaria) gli sgravi accordati in misura  superiore,  in
ragione  del  luogo  d'insediamento  dell'impresa  beneficiaria,  del
settore di  appartenenza  e  della  dimensione,  costituivano  misure
selettive capaci d'incidere sulla concorrenza sia  all'interno  dello
Stato sia tra imprese insediate in Stati diversi. 
    Avverso tale decisione l'Italia aveva proposto ricorso alla Corte
di giustizia, che lo aveva respinto con sentenza del  7  marzo  2002,
C-310/99, nella quale il giudice comunitario si era espresso anche in
ordine al legittimo affidamento e  lo  aveva  escluso  in  capo  allo
Stato, avuto riguardo alla comunicazione  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale delle  Comunita'  europee,  con  la  quale  la  Commissione
informava i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarieta'
degli aiuti stessi che fossero stati loro illegittimamente  concessi,
nel senso che essi potevano essere tenuti a  restituirli,  pur  senza
escludere  la  possibilita',  per  il  beneficiario   di   un   aiuto
illegittimamente concesso, d'invocare circostanze  eccezionali  sulle
quali fondare il proprio affidamento circa la regolarita'  dell'aiuto
e di opporsi alla sua restituzione. 
    Per  la  perdurante  inerzia  dell'Italia  era  poi  seguito   il
giudizio, conclusosi con la  sentenza  di  condanna  della  Corte  di
giustizia della Comunita' europea del 1° aprile 2004, C-99/02, con la
quale la Corte aveva ribadito il carattere obbligatorio del  recupero
delle somme erogate a titolo di aiuto illegittimo ed aveva  precisato
che  non  era  configurabile  l'impossibilita'   assoluta   di   dare
esecuzione alla decisione. Le mere  difficolta'  operative  avrebbero
dovuto comportare  un  diligente  intervento  presso  la  Commissione
stessa, proponendo appropriate modifiche della decisione  in  termini
tali  da  renderla  suscettibile  di  ottemperanza  in  ragione   del
principio di leale collaborazione e buona fede che informa i rapporti
tra gli Stati e le istituzioni comunitarie. 
    2. - In questo  quadro,  il  rimettente  rileva  che  la  domanda
dell'INPS non va  qualificata  come  ripetizione  d'indebito,  bensi'
«come azione promossa dall'ente  previdenziale  per  il  recupero  di
contributi omessi poiche'  il  diritto  nasce  dall'affermazione  del
ripristino dell'obbligo contributivo  che  scaturirebbe  per  effetto
dell'impatto della normativa  comunitaria  sul  diritto  interno  che
autorizzava lo sgravio». 
    Per ragioni di ordine logico, quindi, afferma di dovere esaminare
con priorita' la questione  preliminare  relativa  alla  prescrizione
della pretesa azionata, postulante la soluzione di problemi  connessi
«all'interferenza ed impatto  del  diritto  comunitario  sul  diritto
interno, non  solo  e  non  tanto  in  ordine  alle  norme  di  legge
ordinaria,  ma  anche  e  soprattutto   in   relazione   a   principi
fondamentali  aventi   rilevanza   e   riconoscimento   nel   sistema
costituzionale italiano». 
    Dopo avere posto in rilievo che l'efficacia diretta  della  fonte
comunitaria nel caso in esame non potrebbe essere messa in  questione
- traendo essa fondamento dalla decisione della Corte di giustizia  7
marzo 2002, C-310/99, che aveva avallato l'orientamento gia' espresso
dalla Commissione europea  -  il  rimettente  procede  all'esame  dei
principi che governano i rapporti tra diritto comunitario  e  diritto
nazionale ed afferma che, pur in presenza del primato da  riconoscere
al primo, avente come destinatario non soltanto lo Stato ma lo stesso
giudice interno, quest'ultimo  dovrebbe  porsi  il  dubbio  circa  la
conformita' della normativa comunitaria «ai principi fondamentali  ed
ai  limiti  che  in  ragione  della  certezza  del   diritto   devono
riconoscersi anche ad interventi conformativi del giudice delle leggi
quali il limite del diritto quesito e  delle  situazioni  esaurite  o
irrevocabili che la stessa Corte nazionale intervenendo con  pronunce
ablative non puo' travalicare». 
    In sostanza, la qualificazione della pretesa azionata  dall'INPS,
come  azione  promossa  per  il  recupero   di   contributi   omessi,
implicherebbe l'applicabilita' dell'art. 3, commi 9 e 10, della legge
n. 335 del 1995 (secondo cui, a far tempo dal  1°  gennaio  1996,  le
contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori  dipendenti
e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie si prescrivono,  e
non possono essere versate, col decorso del termine di  cinque  anni,
salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti). 
    Tale regime, con orientamento costante della Corte di cassazione,
sarebbe ritenuto di  ordine  pubblico  e,  dunque,  irrinunciabile  e
rilevabile d'ufficio dal  giudice.  Invece  la  pretesa  contributiva
dello  Stato,   sorretta   da   una   declaratoria   d'illegittimita'
comunitaria, sarebbe sottratta al regime della prescrizione  prevista
dal diritto nazionale, sia qualora il principio di  effettivita'  del
diritto comunitario si  debba  intendere  in  senso  rigoroso  (cioe'
postulante un obbligo di recupero non soggetto a  limiti  temporali),
sia qualora, «piu' ragionevolmente», si debba ritenere che  anche  il
diritto   comunitario   conosca   dei   termini   di    prescrizione,
individuabili nel periodo di dieci anni ai  sensi  dell'art.  15  del
regolamento (CE) n. 659/1999. 
    In questa seconda «ipotesi interpretativa», si dovrebbe procedere
alla  verifica  di  compatibilita'  tra  la  legge  nazionale  e   il
regolamento  (CE)  del  Consiglio  n.  659/1999,   che   fissa   alla
Commissione il termine di dieci anni per il recupero dei contributi. 
    A tal proposito, il giudice a quo si pone il quesito se il  detto
termine sia stato previsto  soltanto  come  limite  al  potere  della
Commissione nei confronti  dello  Stato  (il  che  non  comporterebbe
necessariamente un conflitto con la normativa  di  diritto  nazionale
che disciplina la prescrizione degli obblighi  contributivi),  oppure
se sia stato introdotto anche  come  limite  al  potere  dello  Stato
membro per esperire un'utile azione di  recupero  nei  confronti  dei
beneficiari degli aiuti; e, traendo argomento sia  da  una  decisione
della Commissione europea in data 28 giugno 2000  (riguardante  aiuti
di Stato concessi dalla Germania a favore di alcune societa' operanti
nel settore siderurgico), sia da due pronunce di  giudici  di  merito
italiani (ad avviso del giudicante indicativi della formazione di  un
diritto vivente sull'interpretazione dell'art. 15 del regolamento  CE
del Consiglio n. 659/1999), sia infine dal testuale disposto di detta
norma («Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno  Stato
membro, che agisca su  richiesta  della  Commissione,  nei  confronti
dell'aiuto illegale interrompe il  periodo  limite»),  perviene  alla
conclusione di ritenere il limite temporale per il recupero di  dieci
anni  esteso  «allo  Stato  membro  che  agisca  su  richiesta  della
Commissione» e quindi ai rapporti tra lo Stato e i beneficiari. 
    3. - Acquisito questo punto, il  rimettente  prosegue  osservando
che, se il  conflitto  tra  norma  comunitaria  e  norma  interna  va
risolto, di regola, ritenendo la prevalenza del primo, resta tuttavia
il problema relativo al rispetto  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.
nell'ordinamento  statale.  Invero  il   giudice   interno,   dovendo
«adeguare» al diritto comunitario l'art.  3,  comma  9,  lettera  a),
ultima parte, e comma 10, della  legge  n.  335  del  1995,  dovrebbe
leggere tale disposizione «nel senso che il  limite  quinquennale  di
prescrizione dei crediti contributivi opera a meno che i  crediti  in
questione non siano accertati come frutto di aiuti illegittimi  dalla
Commissione europea». In questo modo, pero', verrebbe introdotta  per
tali fattispecie una disciplina diversa rispetto alle  altre  ipotesi
di contribuzioni che restano soggette alla legge nazionale in ragione
del suo perdurante vigore. Di detta disciplina andrebbe verificata la
coerenza rispetto al principio di  eguaglianza  sancito  nell'art.  3
Cost., perche' il giudice deve «dare un'interpretazione  del  diritto
nazionale conforme non solo  al  diritto  comunitario  prevalente  su
quello interno ma anche ai valori costituzionali  fondamentali  dello
Stato». 
    Cio' posto, il giudice a quo esclude che la  diversa  provenienza
delle norme - una  comunitaria  e  una  di  diritto  interno -  possa
giustificare trattamenti diseguali, trattandosi  di  fonti  destinate
entrambe ad operare nel territorio dello Stato  e  percio'  tenute  a
coordinarsi ed integrarsi, nel rispetto della preminenza del  diritto
comunitario  operante  in  virtu'  delle  limitazioni  di  sovranita'
consentite dall'art. 11 Cost., ma sempre  in  attuazione  dei  valori
costituzionali nazionali aventi  il  rango  di  «principi  e  diritti
fondamentali», la  cui  osservanza  va  garantita  all'interno  dello
Stato, come da  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte.  Procede
quindi a verificare se siano ravvisabili caratteri eterogenei tra  le
fattispecie  in  esame  e  conclude  in  senso   negativo,   «poiche'
l'interpretazione nascente dal combinato disposto dell'art. 3,  comma
9, lettera a), ultima parte, e comma 10, della legge n. 335 del  1995
ed  il  regolamento  (CE)  n.  659/1999  implica  che  norme  diverse
disciplinano  in  maniera  diseguale  situazioni  identiche,  l'unica
differenza  riposando  sull'intervento  della  Commissione  e   sulla
diversa disciplina apprestata dal diritto  comunitario  nel  caso  di
pronuncia della Commissione di illegittimita'  degli  aiuti  (che  si
siano sostanziati, nel caso, in  uno  sgravio  ossia  nella  rinunzia
dello Stato ad esigere determinati  crediti  contributivi  oltre  una
certa misura»). 
    Non ravvisando spazio per  una  interpretazione  adeguatrice,  il
rimettente  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 3, nei sensi indicati  in  epigrafe,  osservando,  quanto
alla rilevanza, che il  termine  di  prescrizione  va  accertato  con
priorita' e che esso trova applicazione nel caso di  specie  «essendo
stata rimessa al giudicante  la  verifica  della  legittimita'  degli
aiuti concessi all'impresa nel periodo che va  da  novembre  1995  al
maggio 2001 che si intendono recuperare con la cartella  esattoriale,
per 957 contratti tutti singolarmente prodotti», mentre la  richiesta
dei contributi da parte dell'INPS e' stata notificata  il  7  gennaio
2005. 
    La non manifesta infondatezza, poi, discenderebbe dal rilievo che
il giudice puo' rivolgersi alla Corte costituzionale qualora  la  non
applicazione di una  disposizione  interna  determini  un  contrasto,
sindacabile esclusivamente  dalla  Corte  medesima,  con  i  principi
fondamentali  dell'ordinamento  costituzionale  ovvero  con   diritti
inalienabili della persona. 
    Nel giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, contestando che, nel caso di  cui  si  tratta,  la  necessaria
prevalenza della regola comunitaria rispetto  a  quella  del  diritto
interno  determina  un  contrasto  col  principio  di  eguaglianza  e
rilevando che, nella fattispecie,  si  sarebbe  in  presenza  di  una
situazione  assimilabile  alla  ripetizione  d'indebito,  soggetta  a
prescrizione decennale (giusto il combinato disposto degli artt. 2033
e 2946 cod. civ.), con la  conseguenza  che  la  questione  sollevata
verrebbe ad essere priva di rilevanza, perche' la norma da  applicare
nel processo a quo non sarebbe quella denunciata in questa  sede.  Ha
chiesto, quindi, che la questione sia dichiarata inammissibile o  non
fondata. 
    Inoltre si e' costituita la Medcenter s.p.a., osservando, in  via
preliminare,  che  il  rimettente  avrebbe  preso  le  mosse  da   un
presupposto erroneo, cioe' dalla pretesa coesistenza,  nella  specie,
di  due  distinte  discipline  della  prescrizione,  l'una  di  fonte
nazionale (e di durata quinquennale), l'altra di fonte comunitaria (e
di durata decennale). Invece le due discipline sarebbero operanti  su
piani diversi, cioe' quello dei  rapporti  tra  Commissione  e  Stato
membro e quello dei rapporti tra  Stato  membro  e  contribuente.  In
particolare,  l'art.  3,  comma  9,  della  legge  n.  335  del  1995
regolerebbe  il  regime  di  prescrizione  dei  crediti  relativi   a
«contributi  di  previdenza  e  assistenza   sociale   obbligatoria»,
fissando il termine (quinquennale) entro il quale l'organo  nazionale
puo' procedere al recupero nei confronti del debitore. Invece  l'art.
15 del regolamento (CE) n.  659/1999  non  introdurrebbe  affatto  un
termine piu'  ampio  di  prescrizione,  ma  regolerebbe  soltanto  la
diversa  fattispecie  del  «periodo  limite»  entro   il   quale   la
Commissione puo' esercitare, nei confronti  dello  Stato  membro,  il
proprio potere di recupero. 
    Pertanto questa Corte dovrebbe affermare che  l'unica  disciplina
della prescrizione applicabile nel  giudizio  a  quo  sarebbe  quella
prevista dall'art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995. 
    In subordine, qualora tali considerazioni non fossero  condivise,
la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal  rimettente
sarebbe rilevante e fondata, per le ragioni esposte nell'ordinanza. 
    Nell'imminenza dell'udienza di discussione la Medcenter s.p.a. ha
depositato una memoria  illustrativa  nella  quale,  richiamando  gli
argomenti gia' esposti con l'atto  di  costituzione  ed  ampliandoli,
ribadisce che nella specie il giudice a quo si sarebbe basato  su  un
presupposto erroneo, cioe' sulla pretesa coesistenza di due  distinte
discipline della  prescrizione,  l'una  di  fonte  nazionale  (avente
durata quinquennale) e l'altra di fonte  comunitaria  (avente  durata
decennale), tra loro in  conflitto.  Cosi'  operando,  il  rimettente
avrebbe confuso due piani, concettuali e giuridici, tra loro distinti
e non sovrapponibili: il piano dei rapporti tra Commissione  e  Stato
membro, da una parte, e il piano dei  rapporti  tra  Stato  membro  e
contribuente dall'altro. 
    Nei rapporti tra Commissione e Stato membro troverebbe  esclusiva
applicazione l'art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, destinato  a
regolare  il  «periodo  limite»  (dieci  anni)  entro  il  quale   la
Commissione puo' esercitare  nei  confronti  dello  Stato  membro  il
proprio potere di ingiungere il recupero degli  aiuti  illegittimi  o
incompatibili col mercato  comune.  Il  diverso  piano  dei  rapporti
correnti fra ciascuno Stato membro ed i beneficiari  degli  aiuti  da
recuperare resterebbe disciplinato, invece, in ordine al  termine  di
prescrizione dell'azione restitutoria, dalla legislazione  nazionale,
e quindi (nella specie) dall'art. 3, comma 9, della legge n. 335  del
1995, che determina il regime di prescrizione dei crediti relativi  a
«contributi  di  previdenza  e  assistenza   sociale   obbligatoria»,
fissando il termine (quinquennale) entro il quale l'organo  nazionale
puo' procedere al recupero nei confronti del debitore. 
    La necessita' di distinguere i due  piani  suddetti  non  avrebbe
nulla a che vedere con la  ricostruzione  teorica  dei  rapporti  tra
ordinamento  comunitario  ed  ordinamento  interno.  Essa,   infatti,
deriverebbe dal consolidato insegnamento della  giurisprudenza  della
Corte di giustizia, alla quale spetta stabilire in  via  autoritativa
la portata del diritto comunitario. 
    La Corte di giustizia, con riguardo ai rapporti tra Commissione e
Stati membri, avrebbe affermato che, a fronte di una decisione  della
Commissione  con  la  quale  si  ingiunga  di  recuperare  presso   i
beneficiari un aiuto dichiarato illegittimo o  incompatibile  con  il
mercato comune, lo Stato membro non potrebbe invocare norme, prassi o
situazioni del proprio ordinamento giuridico  interno  per  sottrarsi
all'esecuzione degli obblighi ad esso incombenti. Con la  conseguenza
che,  secondo  le  statuizioni  di  detta  Corte,  l'unica  eccezione
opponibile dallo Stato membro al ricorso  per  inadempimento  sarebbe
quella relativa all'impossibilita' assoluta di dare  esecuzione  alla
decisione. 
    La  societa'  prosegue  affermando   che,   sempre   secondo   la
giurisprudenza della Corte  di  giustizia,  le  discipline  nazionali
regolanti le azioni di  ripetizione,  mentre  non  potrebbero  essere
invocate da uno Stato membro  per  sottrarsi  agli  obblighi  imposti
dalla Commissione, potrebbero invece essere invocate dai  beneficiari
degli aiuti per resistere all'azione di  ripetizione  proposta  dallo
Stato membro. Cio' perche' in tutti i casi in cui  la  violazione  di
norme comunitarie determini un obbligo di  rimborso,  e  tuttavia  il
diritto comunitario non disciplini direttamente, sulla  base  di  una
specifica disposizione, le  condizioni  dell'azione  di  ripetizione,
andrebbe applicata la regola generale per la quale «il rimborso  puo'
essere chiesto solo alle condizioni, di merito e di forma,  stabilite
dalle varie legislazioni nazionali in  materia»  (regola  applicabile
anche per  quanto  riguarda  la  ripetizione  degli  aiuti  nazionali
contrari al diritto comunitario). 
    Sempre  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  di   giustizia
(richiamata in memoria), il rinvio alle legislazioni  nazionali -  in
ordine alla disciplina delle condizioni di forma e di sostanza  delle
azioni di ripetizione degli aiuti contrari al  diritto  comunitario '
comprenderebbe  anche  l'istituto  della  prescrizione.  I   relativi
termini,   infatti,   costituendo   «applicazione    del    principio
fondamentale della  certezza  del  diritto»,  se  «ragionevoli»,  non
renderebbero «praticamente  impossibile  o  eccessivamente  difficile
l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario  anche  se,
per  definizione,  lo  spirare  di  detti  termini  comporterebbe  il
rigetto, totale  o  parziale,  dell'azione  esperita».  La  Corte  di
giustizia, inoltre, avrebbe affermato che un termine di  prescrizione
di cinque anni deve essere considerato ragionevole,  sicche'  la  sua
applicazione ad un'azione di rimborso non sarebbe  incompatibile  col
diritto comunitario. 
    Pertanto   il   contrasto   denunciato   dal    rimettente    non
sussisterebbe,  perche'  basato  sull'erroneo  presupposto   che   il
"periodo  limite"  di  dieci  anni,  previsto  dall'art.  15,   primo
paragrafo, del regolamento (CE) n. 659/1999  troverebbe  applicazione
non soltanto sul piano dei rapporti tra Commissione e  Stati  membri,
ma  anche  sul  diverso  piano  dei  rapporti  tra  Stati  membri   e
beneficiari degli  aiuti.  Invece  il  citato  art.  15  non  sarebbe
applicabile a quest'ultimo profilo, con la conseguenza che,  mancando
una specifica disciplina, nei rapporti tra Stati membri e beneficiari
degli aiuti continuerebbe a trovare esclusiva applicazione il termine
di prescrizione quinquennale previsto dall'art.  3,  comma  9,  della
legge n. 335 del 1995. 
    La societa' procede quindi ad illustrare le ragioni che,  secondo
la giurisprudenza della Corte di giustizia (ed anche del Tribunale di
primo  grado  delle   Comunita'   europee),   indurrebbero   a   tale
conclusione, soffermandosi altresi' sull'interpretazione letterale  e
sistematica della richiamata disposizione regolamentare e contestando
il diverso avviso  esposto  nell'ordinanza  di  rimessione.  Afferma,
quindi, che la questione di costituzionalita' sollevata dal Tribunale
di Reggio Calabria  sarebbe  manifestamente  infondata  e,  comunque,
irrilevante, stante l'inapplicabilita' alla  fattispecie  del  citato
art. 15. 
    La  questione,  inoltre,  sarebbe  irrilevante,  ai  fini   della
definizione del giudizio, anche  per  altro  ed  assorbente  profilo.
Infatti, pur volendo ammettere che il periodo limite di  dieci  anni,
di cui alla norma ora indicata, trovi applicazione  anche  sul  piano
dei rapporti tra Stato membro e beneficiario  degli  aiuti,  andrebbe
rilevato che, secondo la legge italiana, dopo il  decorso  di  cinque
anni le somme oggetto di  recupero  non  potrebbero  essere  versate,
sicche' l'INPS non potrebbe ricevere i contributi prescritti (art. 55
del  regio  decreto-legge  4   ottobre   1935,   n.   1827,   recante
«Perfezionamento  e  coordinamento   legislativo   della   previdenza
sociale» convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n.
1155, e art. 3, comma 9,  della  legge  n.  335  del  1995).  L'INPS,
quindi, non potrebbe pretendere ne'  conseguire  la  restituzione  di
contributi che la legge italiana le impedirebbe di riscuotere. 
    Infine,  in  via  subordinata,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale sarebbe fondata, perche' nella  specie  la  prevalenza
dell'art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 sull'art. 3, commi 9  e
10, della legge n. 335 del  1995  determinerebbe  una  violazione  di
principi   fondamentali   dell'ordinamento   costituzionale   e    in
particolare: a) del principio di uguaglianza,  nella  misura  in  cui
introdurrebbe una irragionevole disparita'  di  trattamento;  b)  del
principio  di   certezza   del   diritto,   nella   misura   in   cui
comprometterebbe la certezza nei rapporti giuridici ed  il  legittimo
affidamento nelle leggi dello Stato. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice  del
lavoro, dubita della legittimita'  costituzionale  -  in  riferimento
agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma,  della  Costituzione  -
dell'art. 3, comma 9, lettera a), ultima  parte  e  comma  10,  della
legge 8 agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), in «combinato disposto» con l'art.  15
del regolamento del Consiglio delle Comunita'  europee  n.  659/1999,
del 22 marzo 1999 (recante modalita' di applicazione dell'art. 93 del
Trattato CE). 
    La questione e' stata sollevata in una controversia  promossa  da
Medcenter  Container  Terminal  s.p.a.  (d'ora  in  avanti  Medcenter
s.p.a.) nei confronti dell'INPS e  di  S.C.C.I.  s.p.a.,  nonche'  di
Equitalia ETR s.p.a., concessionaria del servizio di riscossione  dei
tributi. Con l'atto introduttivo del  giudizio  Medcenter  s.p.a.  ha
proposto opposizione avverso una cartella esattoriale per la somma di
euro 14.168.650,17, oltre accessori, relativa al  recupero  da  parte
dell'INPS di agevolazioni contributive, ritenute aiuti di  Stato  non
conformi al Trattato CE con decisione della  Commissione  europea  in
data 11 maggio 1999, n. 2000/128/CE, poi confermata  dalla  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee con sentenza 7  marzo  2002,  causa
C-310/99 e ribadita dalla medesima Corte con pronunzia del 1°  aprile
2004, causa C-99/02. 
    Le agevolazioni erano state ottenute da  detta  societa'  tra  il
novembre 1995 e il  maggio  2001,  a  fronte  della  stipulazione  di
numerosi contratti di formazione e lavoro, ai sensi del decreto-legge
30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno  e  ad  incremento
dei livelli  occupazionali),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 19 dicembre 1984, n. 863, nonche' del decreto-legge  16  maggio
1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia  di  occupazione  e  di
fiscalizzazione degli oneri sociali),  convertito  con  modificazioni
dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, con le ulteriori modifiche di cui
alla legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme  in  materia  di  promozione
dell'occupazione). 
    A sostegno  dell'opposizione  Medcenter  s.p.a.  ha  dedotto  una
pluralita' di motivi,  eccependo  in  via  preliminare  l'intervenuta
prescrizione quinquennale del credito azionato, ai sensi dell'art. 3,
comma 9, lettera a), ultima parte, della legge n. 335 del 1995. 
    L'INPS, costituendosi in giudizio, ha replicato che nella  specie
la  prescrizione  quinquennale  non  sarebbe  operante,  perche'   la
normativa  di  diritto  interno  non  potrebbe  essere  invocata  per
escludere il diritto dell'INPS e l'obbligo dello  Stato  italiano  di
recuperare gli aiuti illegittimamente concessi, in quanto il  giudice
dovrebbe interpretare la normativa interna in modo da dare attuazione
al diritto comunitario e disapplicare la detta normativa qualora essa
dovesse impedire l'effettivita' del recupero. 
    1.1. - Il giudice rimettente, dopo avere premesso che la  domanda
dell'INPS non andava qualificata come ripetizione d'indebito (secondo
la  tesi  dell'ente),  bensi'  come  azione  promossa   dall'istituto
previdenziale per il recupero di contributi omessi, ha ritenuto  che,
per ragioni di ordine logico, si dovesse decidere con priorita' sulla
questione della prescrizione. 
    Ha quindi affermato che, nel caso in esame,  l'efficacia  diretta
della  fonte  comunitaria  non  poteva  essere   messa   in   dubbio,
individuando tale fonte nella decisione della Commissione  europea  e
nelle due sentenze della Corte di giustizia delle  Comunita'  europee
(sopra citate), che il giudice nazionale aveva l'obbligo di applicare
previa disapplicazione della normativa  di  diritto  interno  qualora
essa si ponesse in conflitto con quella comunitaria. 
    Dopo  avere  rilevato  che,  secondo  l'ordinamento  interno,  il
diritto azionato dall'INPS  per  il  recupero  di  contributi  omessi
sarebbe stato  soggetto  alla  prescrizione  (quinquennale)  prevista
dall'art. 3, comma 9 e comma 10, della legge  n.  335  del  1995,  il
giudice a quo ravvisa nell'art. 15 del regolamento (CE)  n.  659/1999
del Consiglio, che fissa un «periodo limite» di  dieci  anni  per  il
recupero degli aiuti di Stato illegittimamente concessi, la norma  di
diritto comunitario rilevante nella fattispecie. 
    Il rimettente procede all'interpretazione  del  citato  art.  15,
affermando che esso contempla un termine di prescrizione destinato  a
trovare  applicazione  non  soltanto  nei  rapporti  tra  Commissione
europea e Stato membro, ma anche tra quest'ultimo e beneficiari degli
aiuti da recuperare, con la conseguenza che il termine  per  azionare
la  relativa  pretesa  creditoria  in  base  al  diritto  comunitario
applicabile sarebbe diverso e piu' lungo rispetto a quello  stabilito
dal diritto interno. 
    A questo punto il rimettente osserva che «il giudice  di  diritto
interno, dovendo adeguare al diritto comunitario l'art. 3,  comma  9,
lettera a), ultima parte, e comma 10, della legge n.  335  del  1995,
dovrebbe leggere tale previsione nel senso che il limite quinquennale
di prescrizione dei crediti contributivi opera a meno che  i  crediti
in questione non siano accertati come  frutto  di  aiuti  illegittimi
dalla Commissione europea». Ma tale interpretazione implicherebbe  la
sottrazione delle relative ipotesi alla norma interna  (art.  3  cit.
della legge  n.  335  del  1995)  e  obbligherebbe  il  giudicante  a
verificare se le situazioni sostanziali soggette al  diverso  termine
di prescrizione previsto dal diritto comunitario possano considerarsi
«eterogenee» rispetto a quelle  che  restano  sottoposte  alla  legge
nazionale. Si dovrebbe cioe' verificare se la diversa disciplina  sia
ragionevole, perche' il giudice  dovrebbe  dare  una  interpretazione
conforme non soltanto al diritto comunitario  (prevalente  su  quello
interno)  ma  anche   ai   principi   fondamentali   dell'ordinamento
costituzionale, fra i quali e' il principio di uguaglianza consacrato
nell'art. 3 Cost. 
    Il giudice a quo perviene ad escludere  il  carattere  eterogeneo
delle fattispecie, perche' «l'interpretazione nascente dal  combinato
disposto dell'art. 3, comma 9, lettera a), ultima parte, e comma  10,
della legge n. 335 del  1995  e  del  regolamento  (CE)  n.  659/1999
implica  che  norme  diverse  disciplinano   in   maniera   diseguale
situazioni   identiche».   Infatti,   l'unica   differenza    sarebbe
ravvisabile nell'intervento della Commissione europea e nella diversa
disciplina prevista dal diritto  comunitario  in  caso  di  pronuncia
d'illegittimita' degli aiuti. 
    Pertanto, non ravvisando la  possibilita'  di  un'interpretazione
adeguatrice, il rimettente ritiene rilevante (avuto riguardo all'arco
temporale in  cui  gli  aiuti  furono  concessi  all'impresa)  e  non
manifestamente infondata (alla stregua delle considerazioni  esposte)
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  nei  termini   sopra
indicati, richiamando il  principio  secondo  cui  il  giudice  della
controversia puo' investire la Corte costituzionale  della  questione
di compatibilita' comunitaria nel caso di norme dirette ad impedire o
pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in  relazione  al
sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi, nell'impossibilita'
di un'interpretazione conforme, nonche' qualora la  non  applicazione
della  disposizione  interna  determini  un  contrasto,   sindacabile
esclusivamente   dalla   Corte   costituzionale,   con   i   principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale  ovvero  con  i  diritti
inalienabili della persona. 
    2. - La questione e' inammissibile sotto vari profili. 
    2.1. - Il rimettente, dopo avere correttamente affermato che, nel
contrasto tra norma interna e norma comunitaria con effetto  diretto,
il   giudice   deve   applicare   la   norma   comunitaria,    previa
disapplicazione della norma di diritto nazionale, individua nell'art.
15  del  regolamento  (CE)  n.  659/1999  del  Consiglio   la   norma
comunitaria  applicabile   nell'ambito   dell'azione   di   recupero,
affermando che essa contempla un termine di prescrizione  (decennale)
destinato  a  spiegare  efficacia  non  soltanto  nei  rapporti   tra
Commissione e Stato membro, ma anche tra quest'ultimo e i beneficiari
degli aiuti da  recuperare.  Di  qui  prende  le  mosse  il  percorso
argomentativo che lo conduce a sollevare la questione nei sensi sopra
indicati. 
    Ma il giudice a quo non chiarisce in modo sufficiente le  ragioni
di tale interpretazione, che si rivela anzi non plausibile. 
    Essa e' affidata sia alla lettura degli  articoli  14  e  15  del
citato regolamento, sia ad uno spunto  argomentativo  tratto  da  una
decisione della Commissione europea del 28 giugno  2000,  riguardante
aiuti di Stato concessi dalla Germania  alla  societa'  Salzgitter  e
alle  controllate  del  gruppo  operante  nel  settore   siderurgico.
Tuttavia, ne' le norme indicate ne' la  pronuncia  della  Commissione
confortano  l'opzione  ermeneutica  adottata   dal   rimettente;   al
contrario, per piu' aspetti la smentiscono. 
    Invero, l'art. 14 - sotto il titolo «recupero degli aiuti»  -  si
riferisce alle iniziative  della  Commissione  e,  nel  terzo  comma,
dispone che «il recupero  va  effettuato  senza  indugio  secondo  le
procedure previste dalla legge  dello  Stato  membro  interessato,  a
condizione che esse consentano l'esecuzione  immediata  ed  effettiva
della  decisione  della  Commissione.  A  tal  fine  e  in  caso   di
procedimento  dinanzi  ai  Tribunali  nazionali,  gli  Stati   membri
interessati adottano  tutte  le  misure  necessarie  disponibili  nei
rispettivi ordinamenti giuridici,  comprese  le  misure  provvisorie,
fatto salvo il diritto comunitario». 
    Il principio che le  procedure  dirette  al  recupero  dell'aiuto
incompatibile  sono  disciplinate  dal  solo  diritto  nazionale   e'
espresso, dunque, in forma molto chiara. Ne' a diverse conclusioni si
puo' giungere sulla base del successivo art. 15,  anch'esso  riferito
ai poteri della Commissione (primo comma), il quale, con il  richiamo
a «qualsiasi azione intrapresa  dalla  Commissione  o  da  uno  Stato
membro, che agisca su  richiesta  della  Commissione,  nei  confronti
dell'aiuto illegale», non ha inteso riferirsi alle azioni di recupero
avviate  nell'ambito  degli   ordinamenti   nazionali   bensi'   alle
iniziative intraprese sempre dalla medesima Commissione, che ben puo'
chiedere informazioni, chiarimenti, indagini agli  Stati  membri  per
pervenire alle proprie determinazioni. 
    Quanto alla decisione Salzgitter, essa al punto 84 cosi'  recita:
«Nell'ambito delle  riflessioni  sul  principio  della  certezza  del
diritto, la Germania accenna inoltre  alla  necessita'  che,  per  il
recupero degli aiuti  illegali  e  incompatibili,  si  applichino  le
procedure  del  diritto  nazionale,  che  prevede  l'applicazione  di
termini di prescrizione. Al  riguardo  la  Commissione  si  limita  a
ricordare che in base alla giurisprudenza della Corte le disposizioni
del diritto nazionale devono essere applicate in modo da non  rendere
praticamente impossibile la ripetizione degli  aiuti  prescritta  dal
diritto comunitario».  Come  si  vede,  dunque,  la  decisione  della
Commissione non contesta affatto  il  principio  che  per  gli  aiuti
illegali e incompatibili  si  applichino  le  procedure  del  diritto
nazionale, che prevede  termini  di  prescrizione,  ma  si  limita  a
ribadire  che  le  disposizioni  del  diritto  nazionale  non   vanno
applicate in modo da rendere impossibile la ripetizione degli  aiuti.
Ed e' il caso di aggiungere che anche  la  sentenza  della  Corte  di
giustizia in data 22 aprile 2008,  C-408/04,  la  quale  trae  spunto
dalla decisione della Commissione europea ora citata, nel prendere in
esame il «periodo limite» ed il  termine  di  prescrizione  stabilito
dall'art. 15 del regolamento n. 659/1999, ne tratta a  proposito  del
tempo di cui dispone la Commissione per esercitare la sua funzione di
controllo  della  compatibilita'  dell'aiuto  e  per  la  conseguente
ingiunzione  di  recupero  allo  Stato  membro,  come  si  legge  con
chiarezza nei  punti  della  sentenza  raggruppati  sotto  il  titolo
(anch'esso significativo) «relativamente al tempo di  reazione  della
Commissione», nei punti da 95 a 108 (in particolare,  nei  punti  98,
101, 103). 
    Il  suddetto  principio,  del   resto,   e'   consolidato   nella
giurisprudenza comunitaria, la quale ha piu' volte affermato  che  il
recupero  dell'aiuto  deve  realizzarsi  attraverso  i  mezzi  e   le
procedure vigenti negli Stati membri, sempre che il  recupero  stesso
non sia reso praticamene impossibile ( tra le altre:  sentenza  della
Corte di giustizia 21 maggio 1990,  C-142/87,  Tubemeuse,  punto  61;
sentenza 20 settembre 2001, C-390/98, Banks, punti 121-122;  sentenza
5  ottobre  2006,  C-368/04,  Transalpine   Olleitung,   punto   45).
L'autonomia  dello   Stato   membro   incontra   due   soli   limiti:
l'equivalenza tra cio' che e' previsto dal  diritto  comunitario  con
quanto  previsto  per  le   violazioni   del   diritto   interno;   e
l'effettivita' del rimedio, nel senso che non sia reso impossibile  o
eccessivamente  difficoltoso  l'esercizio   dei   diritti   garantiti
dall'ordinamento comunitario.  Cio'  riguarda  anche  il  termine  di
prescrizione;  secondo  il  diritto  comunitario,  esso  deve  essere
analogo a  quello  previsto  per  i  casi  «interni»  e  deve  essere
ragionevolmente idoneo a rendere effettiva la sentenza o la decisione
comunitaria che obbliga lo Stato al recupero. 
    Il rimettente ha omesso di considerare i profili ora  indicati  e
tale omissione, rendendo non plausibile l'individuazione dell'art. 15
del citato regolamento comunitario come norma applicabile nell'ambito
dell'azione di recupero proposta dallo Stato membro nei confronti del
beneficiario  degli  aiuti  ritenuti  incompatibili,  si  traduce  in
erroneita' del presupposto interpretativo, gia' di per se' idonea  ad
integrare una ragione d'inammissibilita'  della  questione  sollevata
(ex plurimis, sentenza n. 390 del 2008; ordinanze n. 447 del 2008, n.
63 del 2007 e n. 109 del 2006). 
    2.2  - Altro profilo di inammissibilita' si  deve  ravvisare  nel
difetto di motivazione dell'ordinanza di rimessione  in  ordine  alla
applicabilita', alla fattispecie oggetto del giudizio principale, del
termine di prescrizione quinquennale stabilito dall'art. 3, commi 9 e
10, della legge n. 335 del 1995 per le obbligazioni contributive. 
    Il giudice a quo, infatti, non ha approfondito la  rilevanza,  ai
fini dell'individuazione della natura  dell'obbligazione,  della  sua
finalita' di porre rimedio alla violazione del  diritto  comunitario,
in quanto diretta al recupero di aiuti  di  Stato  accertati  in  via
definitiva come illegittimi da una decisione della Commissione  e  da
due sentenze della Corte di giustizia (ordinanza n. 36 del 2009,  con
riguardo  all'ipotesi  di  esenzioni  fiscali),  affermando  in  modo
apodittico che la pretesa vantata dall'Inps andrebbe ricondotta nella
categoria  delle  obbligazioni  contributive,  peraltro   dopo   aver
rilevato che la relativa fonte era nel diritto comunitario. 
    Il giudice rimettente trascura, altresi', di precisare le ragioni
che lo inducono ad escludere, in difetto  di  uno  specifico  termine
breve di prescrizione in ordine al recupero degli aiuti di Stato,  il
ricorso al termine ordinario decennale. 
    Siffatte carenze, rendendo incerto il presupposto  interpretativo
ed impedendo il dovuto controllo  sulla  applicabilita'  della  norma
oggetto   della   questione    di    costituzionalita',    comportano
l'inammissibilita' della stessa per insufficiente  motivazione  sulla
rilevanza. 
    3. - Inoltre, anche il quesito  sottoposto  all'esame  di  questa
Corte e' errato. Esso prospetta un «combinato disposto» tra l'art. 3,
commi 9, lettera a), ultima parte, e 10 della legge n. 335 del 1995 e
l'art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, ed in tal  modo  realizza
un'interpolazione che risulta viziata sul piano giuridico. 
    Infatti, per giurisprudenza ormai costante di questa  Corte,  nei
rapporti tra diritto comunitario e diritto interno i due sistemi sono
configurati come autonomi e distinti, ancorche'  coordinati,  secondo
la ripartizione di competenza  stabilita  e  garantita  dal  Trattato
(sentenze n. 168 del 1991, n. 170 del 1984 e n.  183  del  1973).  Le
norme derivanti dalla fonte comunitaria vengono a ricevere, ai  sensi
degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  diretta  applicazione  nel
territorio italiano, ma rimangono estranee  al  sistema  delle  fonti
interne e, se munite di  efficacia  diretta,  precludono  al  giudice
nazionale  di  applicare  la  normativa  interna  con  esse  ritenuta
inconciliabile (ove occorra, previo rinvio pregiudiziale  alla  Corte
di giustizia, ex art. 234 del Trattato CE). 
    In  questo  quadro,  il  «combinato  disposto»   realizzato   dal
rimettente non e' consentito perche' si risolve nella fusione di  due
norme (sulla cui individuazione, peraltro, valgono le  considerazioni
esposte  nei  paragrafi  precedenti)  destinate  invece   a   restare
distinte, in quanto  appartenenti  ad  ordinamenti  diversi,  pur  se
coordinati,  e  che  non  sono  suscettibili  di  essere   lette   in
combinazione appunto perche' tra loro contrastanti. 
    Ne  consegue  che  non  e'  stata  individuata  correttamente  la
disposizione   da   sottoporre   allo   scrutinio   di   legittimita'
costituzionale, giungendo quindi a formulare un petitum  che,  invece
di essere espresso in termini puntuali e specifici,  risulta  erroneo
nell'individuazione    dei     presupposti     interpretativi,     ed
insufficientemente determinato (ex  plurimis,  sentenza  n.  325  del
2008, ordinanze n. 393 del 2007 e n. 279 del 2007). 
    La questione sollevata  dal  Tribunale  di  Reggio  Calabria,  in
funzione di giudice  del  lavoro,  dunque,  e'  per  diversi  profili
inammissibile.