Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 267 del  codice
di procedura penale, promosso dal Tribunale di Enna nel  procedimento
penale a carico di M.V. ed altri con ordinanza del  17  aprile  2007,
iscritta al n. 841 del registro ordinanze  2007  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  4, 1ª   serie   speciale,
dell'anno 2008. 
    Udito nella Camera di consiglio del 22  aprile  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 17 aprile 2007, il  Tribunale  di
Enna  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e   15   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  267
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il
decreto di  autorizzazione  delle  intercettazioni  di  comunicazioni
debba contenere, a pena di nullita' dell'atto, la sottoscrizione  del
giudice; 
        che il rimettente riferisce, in punto di fatto, che nel corso
del processo a quo - provvedendo sulle richieste di  prova  formulate
dalle parti - il Tribunale  di  Enna  aveva  accolto,  con  ordinanza
dell'11 ottobre 2005, l'eccezione della difesa  di  inutilizzabilita'
delle intercettazioni tra presenti, perche' autorizzate  dal  Giudice
per le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Caltanissetta  con
decreto privo di sottoscrizione; 
        che,  in  una  successiva  udienza,  l'ordinanza  era   stata
peraltro revocata dal medesimo Tribunale,  in  diversa  composizione,
che aveva dichiarato quindi utilizzabili le predette intercettazioni; 
        che i difensori degli imputati avevano chiesto, tuttavia,  al
Tribunale di riesaminare l'eccezione di inutilizzabilita',  deducendo
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 267  cod.  proc.  pen.  per
violazione degli artt. 2, 3, 15 e 111 Cost., nella parte in  cui  non
prevede la sottoscrizione del  giudice  quale  requisito  a  pena  di
nullita' dell'atto; 
        che,  ad  avviso  del  rimettente,   la   questione   sarebbe
rilevante, stante la necessita'  di  fare  applicazione  della  norma
sospettata di  incostituzionalita',  in  sede  di  delibazione  della
rinnovata eccezione della difesa; 
        che il giudice a  quo  reputa,  altresi',  la  questione  non
manifestamente infondata in riferimento agli  artt.  3  e  15  Cost.,
assumendo che il vigente sistema processuale penale sarebbe  ispirato
al  principio  per  cui  i  provvedimenti  limitativi   di   liberta'
costituzionalmente garantite debbono essere adottati per atto scritto
e sottoscritti, a pena di nullita', dal giudice, cosi' come  prevede,
ad esempio, l'art. 292 cod.  proc.  pen.,  in  materia  di  ordinanze
applicative di misure cautelari sia coercitive che interdittive; 
        che, a parere del rimettente, al rigore che  caratterizza  la
disciplina delle ordinanze ora indicate - non soltanto  ove  incidano
sul bene primario della liberta' personale, ma anche quando  limitino
diritti  di  rango  meno  elevato,  come  nel   caso   delle   misure
interdittive -   verrebbe   irragionevolmente   a   contrapporsi   la
possibilita'  che  un  atto  idoneo  a  comprimere  la  liberta'   di
comunicazione - la cui limitazione puo' avvenire, ai sensi  dell'art.
15 Cost., «soltanto per atto motivato dell'autorita' giudiziaria  con
le garanzie previste dalla legge», analogamente a  quanto  stabilisce
l'art. 13 Cost. per la liberta' personale -  sia  adottato  senza  la
garanzia minima, offerta appunto dalla sottoscrizione, che lo  stesso
provenga da soggetto investito della funzione giurisdizionale. 
    Considerato che il Tribunale di Enna  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 267 del codice di  procedura  penale,  nella
parte  in  cui  non  prevede  la  sottoscrizione  del  giudice  quale
requisito  a  pena  di  nullita'  del  decreto   che   autorizza   le
intercettazioni; 
        che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata violerebbe
tanto l'art. 3 Cost., per la irragionevole disparita' di  trattamento
rispetto alla disciplina valevole per  le  ordinanze  applicative  di
misure cautelari (art. 292 cod. proc. pen.); quanto l'art. 15  Cost.,
giacche', in assenza della sottoscrizione, verrebbe meno la  garanzia
della riferibilita' del decreto ad un soggetto investito di  funzioni
giurisdizionali, richiesta ai fini della limitazione  della  liberta'
di comunicazione; 
        che, in rapporto a tale quesito, il giudice a quo  offre  una
descrizione inadeguata della fattispecie concreta sottoposta alla sua
valutazione, limitandosi soltanto  a  riferire  che  il  decreto  che
autorizza le intercettazioni, oggetto del vaglio di  utilizzabilita',
difetta della sottoscrizione; 
        che il rimettente omette  con  cio'  di  considerare  che  la
sanzione della nullita' presuppone logicamente la giuridica esistenza
dell'atto; 
    che, di conseguenza, nel caso del difetto di  sottoscrizione,  in
tanto il vizio di nullita' e' ipotizzabile,  in  quanto  non  sia  in
discussione la circostanza che, al di la' della carenza  formale,  il
documento non sottoscritto racchiuda comunque il provvedimento di  un
giudice; 
        che il Tribunale di Enna non indica, tuttavia, quali elementi
consentano di ritenere che il decreto non firmato, di cui si  discute
nella specie, sia stato effettivamente adottato dal giudice che vi e'
indicato  come   autore:   anzi,   dolendosi   specificamente   della
circostanza che il difetto di sottoscrizione  faccia  venir  meno  la
«garanzia minima, offerta appunto dalla sottoscrizione, che lo stesso
provenga da un soggetto investito della funzione giurisdizionale», il
rimettente sembrerebbe escludere che i suddetti elementi sussistano; 
        che - in conformita' alla costante giurisprudenza  di  questa
Corte (ex plurimis, ordinanze n. 248, n. 217 e n. 82 del 2008)  -  la
carente  descrizione  della  fattispecie   concreta,   impedendo   di
verificare l'effettiva rilevanza della questione nel giudizio a  quo,
rende la stessa  manifestamente  inammissibile;  cio'  a  prescindere
dall'ulteriore rilievo che, nel sollevare la  questione,  il  giudice
rimettente non prende affatto in considerazione - anche solo al  fine
di contestarne la validita' - gli orientamenti  della  giurisprudenza
di legittimita' secondo i quali il difetto di sottoscrizione  sarebbe
causa   di   nullita'   dei   provvedimenti   giurisdizionali   (pure
riconoscibili come tali), in applicazione di  un  principio  generale
desumibile dall'art. 546,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  dettato  in
rapporto alla sentenza (si veda la sentenza della Corte di cassazione
n. 9759 del 2005), ovvero implicherebbe - almeno in taluni casi -  la
carenza di un requisito  da  ritenere  comunque  necessario  ai  fini
dell'esistenza dell'atto (si veda, in questo senso,  con  riferimento
all'omessa sottoscrizione della sentenza del giudice monocratico, sul
rilievo  che  la   sottoscrizione   «conferisce   al   documento   il
collegamento necessario fra la sua materiale formazione e  l'autore»,
la sentenza della Corte di cassazione n. 5223 del 2000). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.