Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2-bis,
del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare   la   funzionalita'    di    settori    della    pubblica
amministrazione) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto
2005, n. 168, promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa  per
la Regione siciliana nel procedimento vertente tra il Ministero della
Giustizia ed altri e  G.  C.,  con  ordinanza  del  7  ottobre  2008,
iscritta al n. 432 del registro ordinanze del 2008 e pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  2, 1ª   serie   speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del  6  maggio  2009  il  giudice
relatore Sabino Cassese. 
    Ritenuto che il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la
Regione siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3,  24,
25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione,  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma   2-bis,   del
decreto-legge 30  giugno  2005,  n.  115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare   la   funzionalita'    di    settori    della    pubblica
amministrazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  17
agosto 2005, n. 168, a norma del quale «conseguono  ad  ogni  effetto
l'abilitazione professionale o il titolo per il  quale  concorrono  i
candidati, in possesso dei titoli per partecipare  al  concorso,  che
abbiano superato le prove  d'esame  scritte  ed  orali  previste  dal
bando, anche se l'ammissione alle medesime  o  la  ripetizione  della
valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di
provvedimenti giurisdizionali o di autotutela»; 
        che il Collegio rimettente espone che dinanzi a esso pende il
ricorso in appello contro la  sentenza  con  la  quale  il  Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sede di Catania, sez. IV,  ha
accolto il ricorso presentato da  un  candidato  che  non  era  stato
ammesso alle prove orali  dell'esame  di  abilitazione  all'esercizio
della professione forense, per  l'insufficiente  punteggio  riportato
nelle prove scritte; 
        che  l'appellato,  il  quale  -  a  seguito  della   sentenza
impugnata - ha superato le prove orali  e  si  e'  iscritto  all'Albo
degli avvocati, eccepisce  l'improcedibilita'  dell'appello,  facendo
riferimento tra l'altro alla disposizione impugnata; 
        che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale, il Collegio rimettente osserva  che,  se  si  dovesse
applicare  la  disposizione  impugnata,  l'atto  di  appello  sarebbe
improcedibile in quanto essa, comportando il definitivo conseguimento
dell'abilitazione  professionale  da  parte  del  candidato,  farebbe
cessare ex lege ogni interesse dell'amministrazione  appellante  alla
decisione; 
        che, secondo  il  rimettente,  la  disposizione  impugnata  -
rendendo avulsa la misura cautelare dal giudizio di merito  -  viola,
in  primo  luogo,  l'art.   3   Cost.,   poiche'   lede   l'interesse
dell'amministrazione che ha indetto il concorso o la sessione d'esame
a far si' che la misura cautelare eventualmente accordata conservi il
suo carattere  strumentale  rispetto  alla  decisione  di  merito  e,
consolidando gli effetti prodotti dall'ordinanza cautelare favorevole
all'interessato,   si   pone   in    contrasto    con    il    dovere
dell'amministrazione di tutelare la par condicio degli esaminandi; 
        che la violazione dell'art. 3 Cost. viene  prospettata  anche
sotto il profilo dell'eguaglianza e della ragionevolezza,  in  quanto
la disposizione impugnata farebbe si' che  la  possibilita',  per  la
parte soccombente, di ottenere la decisione  di  merito  sull'appello
dipenda  da  un  elemento  di  fatto  come  i  tempi  entro  i  quali
l'amministrazione da' esecuzione alla decisione del giudice di  primo
grado; 
        che la disposizione violerebbe, in secondo luogo,  gli  artt.
24 e 111 Cost., che garantiscono il diritto al contraddittorio  e  la
sua effettivita', introducendo un modello di processo nel quale viene
attribuita efficacia di giudicato all'esito di un giudizio che non e'
neppure a cognizione piena; 
        che  la  violazione  degli  artt.  24  e  111   Cost.   viene
prospettata anche sotto il profilo  della  parita'  delle  parti  nel
processo, non essendo accettabile che, secundum  eventum  litis,  una
sola parte venga privata del diritto di appello; 
        che la disposizione impugnata  violerebbe,  in  terzo  luogo,
l'art. 25 Cost., in  quanto  la  rivalutazione  delle  prove  scritte
potrebbe avvenire per effetto di una decisione cautelare emessa da un
giudice incompetente, e in quanto la possibilita' che sia precluso il
giudizio di appello distoglierebbe la parte pubblica dal suo  giudice
naturale precostituito per legge, cioe' - in grado  di  appello -  il
Consiglio di Stato; 
        che la disposizione violerebbe, in quarto  luogo,  gli  artt.
24, 111 e 113 Cost., in quanto la decisione cautelare  favorevole  al
candidato diverrebbe sostanzialmente inimpugnabile una volta che egli
abbia superato  le  prove  concorsuali  scritte  e  orali,  con  cio'
verificandosi, da un lato, che  un'ordinanza  di  sospensiva  produca
effetti definitivi e irreversibili e, dall'altro lato, che  la  parte
interessata perda  la  possibilita'  di  ottenere  il  riesame  della
decisione  cautelare,  ogni  qualvolta  la  rivalutazione  con  esito
positivo delle prove scritte si concluda -  com'e'  nella  normalita'
dei casi - prima della  decisione  sull'appello  avverso  l'ordinanza
cautelare; 
        che la disposizione violerebbe, in quinto  luogo,  gli  artt.
111 e 113 Cost. sulla garanzia del  doppio  grado  di  giurisdizione,
oltre  che  i  principi   comunitari   relativi   alla   qualita'   e
all'efficacia   della   tutela    giurisdizionale    nell'ordinamento
comunitario; 
        che la violazione dell'art. 113  Cost.  deriverebbe  altresi'
dalla  lesione  del  principio  di  non  limitabilita'  della  tutela
giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie  di  atti,  che  conseguirebbe  all'inappellabilita'  delle
statuizioni rese dal giudice di prime cure; 
        che la disposizione impugnata violerebbe, infine, l'art.  125
Cost., impedendo di fatto, almeno potenzialmente, lo svolgimento  del
giudizio di appello in tutti i casi di accoglimento in prime cure  di
ricorsi avverso l'esito negativo degli esami  e  facendo  si'  che  i
tribunali amministrativi regionali  operino  come  giudici  di  unico
grado; 
        che nel giudizio dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  per  affermare  l'infondatezza
della questione,  in  quanto  relativa  a  una  norma  di  sanatoria,
ragionevolmente introdotta per esigenze organizzative e di celerita',
per evitare gravi disfunzioni e consolidare posizioni acquisite; 
        che la difesa statale afferma che non vi  e'  violazione  ne'
del  principio  di  eguaglianza,  in  quanto   il   presupposto   per
l'applicazione  della  disposizione  e'   comunque   il   superamento
dell'esame, ne' del diritto di difesa, in quanto la  disposizione  si
applica solo agli esami  di  abilitazione,  nei  quali  non  vi  sono
controinteressati, ne' del principio del  giudice  naturale,  essendo
irrilevante che in  singoli  casi  concreti  possa  essere  adito  un
giudice  incompetente,  ne'  del  principio  del  doppio   grado   di
giurisdizione, in quanto la disposizione non preclude la proposizione
dell'appello, ma puo' solo renderlo improcedibile. 
    Considerato che il Consiglio di giustizia amministrativa  per  la
Regione siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3,  24,
25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125 della Costituzione,  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma   2-bis,   del
decreto-legge 30  giugno  2005,  n.  115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare   la   funzionalita'    di    settori    della    pubblica
amministrazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  17
agosto 2005, n. 168, a norma del quale «conseguono  ad  ogni  effetto
l'abilitazione professionale o il titolo per il  quale  concorrono  i
candidati, in possesso dei titoli per partecipare  al  concorso,  che
abbiano superato le prove  d'esame  scritte  ed  orali  previste  dal
bando, anche se l'ammissione alle medesime  o  la  ripetizione  della
valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di
provvedimenti giurisdizionali o di autotutela»; 
        che la questione e' manifestamente infondata; 
        che, infatti, analoga questione, sollevata dal  Consiglio  di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana con una  precedente
ordinanza, e' gia' stata dichiarata infondata da questa Corte con  la
sentenza n. 108 del 2009; 
        che,  in  tale  occasione,  la  Corte  ha  osservato  che  la
disposizione impugnata «ha lo scopo di  evitare  che  il  superamento
delle prove di un esame di  abilitazione  venga  reso  inutile  dalle
vicende processuali successive al  provvedimento,  con  il  quale  un
giudice o la stessa amministrazione, in via  di  autotutela,  abbiano
disposto l'ammissione alle prove di  esame  o  la  ripetizione  della
valutazione»  e  che,  per  raggiungere  questo  scopo,  essa  «rende
irreversibili  -  secondo  la  giurisprudenza  amministrativa  -  gli
effetti del superamento delle prove  scritte  e  orali  previste  dal
bando»; 
        che la Corte ha ritenuto che la disposizione sia il risultato
di una scelta operata dal legislatore in  sede  di  bilanciamento  di
interessi contrapposti; 
        che, infatti, da un lato, vi e'  «l'interesse  alla  piena  e
definitiva  verifica   della   legittimita'   degli   atti   compiuti
dall'amministrazione nel corso del procedimento di esame  e,  quindi,
della correttezza della precedente valutazione, che abbia in  ipotesi
condotto  all'esclusione  del  candidato»,  il  quale  indurrebbe   a
consentire la  prosecuzione  del  processo  fino  alla  sua  naturale
conclusione, e allo stesso esito condurrebbe  la  piena  esplicazione
del diritto di difesa di entrambe le parti; 
        che, dall'altro lato, vi sono «l'interesse a evitare che  gli
esami si svolgano inutilmente, quello a evitare che la  lentezza  dei
processi ne renda incerto l'esito e, soprattutto,  l'affidamento  del
privato, il quale abbia superato le prove di esame e - in  ipotesi  -
avviato in buona fede la relativa attivita' professionale»,  oltre  a
un'esigenza generale di certezza in ordine ai  tempi  di  conclusione
dell'accertamento  dell'idoneita'  dei  candidati  e  in  ordine   ai
rapporti instaurati dal candidato  nello  svolgimento  dell'attivita'
professionale; 
        che, come affermato nella menzionata sentenza, il legislatore
«ha  ritenuto  di  contemperare  i   diversi   interessi   rilevanti,
accordando una particolare tutela all'affidamento del cittadino», che
«comporta indubbiamente una certa compressione del diritto di difesa,
in quanto si introduce una dissimmetria tra le due parti del processo
amministrativo eventualmente avviato», ma - alla  luce  dei  principi
costituzionali, che non escludono  una  ragionevole  limitazione  del
diritto  di  difesa  dell'amministrazione  -  il   bilanciamento   di
interessi non e' irragionevole; 
        che, infatti, il diritto di difesa  dell'amministrazione  «e'
si' compresso,  ma  non  eliminato,  in  quanto  esso  puo'  comunque
esplicarsi fino all'eventuale superamento  delle  prove»  e  «la  sua
compressione e' giustificata dal fatto  che  dell'interesse  pubblico
all'accertamento    dell'idoneita'    del    candidato,    di     cui
l'amministrazione  stessa  e'  portatrice,  la  disposizione  si   fa
comunque carico, richiedendo il superamento della prova»; 
        che, in base alle considerazioni che precedono, la  Corte  ha
ritenuto infondate le censure prospettate dal rimettente; 
        che, pertanto, non essendo state  proposte  censure  nuove  e
diverse da quelle gia' esaminate da questa  Corte,  la  questione  di
legittimita' costituzionale  deve  essere  dichiarata  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.