nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10, comma 2, della medesima legge, promosso dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento penale a carico di S. G. con ordinanza del 6 dicembre 2006, iscritta al n. 430 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. Udito nella Camera di consiglio del 10 giugno 2009 il giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto che la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza del 6 dicembre 2006, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dell'art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui limita l'appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento alle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., e dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui prevede che gli appelli proposti prima della sua entrata in vigore devono essere dichiarati inammissibili con ordinanza non impugnabile; che la Corte rimettente precisa di essere investita dell'appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza del Tribunale di Gorizia con la quale l'imputato S. G. e' stato assolto dal delitto di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen., perche' il fatto non sussiste; che la Corte d'appello di Trieste evidenzia, sotto il profilo della rilevanza, che il giudizio dovrebbe essere definito con ordinanza non impugnabile di inammissibilita', in applicazione del nuovo testo dell'art. 593 cod. proc. pen. come introdotto dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006, che ha sottratto al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento; che la rimettente ritiene che la disciplina censurata sia in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost., in quanto introduce una limitazione dei poteri del pubblico ministero priva di idonee ragioni giustificative; che la non manifesta infondatezza della questione e' argomentata anche in riferimento al principio della ragionevole durata del processo, in quanto l'eliminazione dell'appello avverso le sentenze di proscioglimento e il rinvio al giudice di primo grado in caso di annullamento da parte della Corte di cassazione potrebbero determinare un aumento dei gradi di giudizio con dilatazione dei tempi processuali e con diretta incidenza anche sulla prescrizione dei reati; che tale allungamento dei tempi risulterebbe ancora piu' evidente in relazione alla disciplina transitoria contenuta nell'art. 10 della legge n. 46 del 2006, in quanto la previsione di una «indiscriminata declaratoria di inammissibilita» degli appelli proposti prima dell'entrata in vigore della legge, «derogando al principio tempus regit actum che governa la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a presentarne un altro, ma comporta l'inevitabile differimento della presentazione di esso all'eseguita notifica del provvedimento di inammissibilita' e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto». Considerato che la Corte d'appello di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui limita l'appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento alle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., e dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui prevede che gli appelli proposti prima della sua entrata in vigore devono essere dichiarati inammissibili con ordinanza non impugnabile; che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova e' decisiva», e dell'art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»; che, per effetto di tale sentenza, le questioni di costituzionalita' delle medesime disposizioni sono divenute manifestamente inammissibili in quanto prive di oggetto; che, invero, secondo l'indirizzo recentemente seguito da questa Corte, l'efficacia ex tunc della citata dichiarazione d'incostituzionalita' preclude al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza delle sollevate questioni, valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente (ex multis, ordinanze nn. 449, 415 e 269 del 2008). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.