Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 667, comma 4,
e 672 del codice di procedura penale, promosso  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di Forli' nel procedimento  penale
a carico di B. G. con ordinanza del 5 gennaio 2008,  iscritta  al  n.
151 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del  6  maggio  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 5 gennaio 2008 (r.o. n.
151 del 2008), il Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale
di Forli' solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
disposizione combinata degli artt. 667, comma 4, e 672 del codice  di
procedura penale, nella  parte  in  cui -  secondo  l'interpretazione
fornita dalla Corte di cassazione, vincolante per il  giudice  a  quo
perche'  espressa,  quale  principio  di  diritto,  in  una  sentenza
attributiva   di   competenza -   prevede    che    «all'applicazione
dell'amnistia e dell'indulto si possa procedere  "senza  formalita'",
intesa  tale  espressione  come   "d'ufficio"»,   prospettandone   il
contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24, primo comma, 27,  terzo
comma, 97, primo comma, 101, primo comma, e 111, secondo comma, della
Costituzione; 
    che il giudice a quo espone, in fatto, che, con ordinanza del  21
marzo 2007, il Tribunale di Forli', chiamato a decidere, come giudice
dell'esecuzione, sull'eventuale applicazione dell'indulto a favore di
B. G., condannato, con sentenza emessa dallo stesso Tribunale in data
22 marzo 2004, alla pena pecuniaria  di  euro  780  di  multa,  aveva
dichiarato la  propria  incompetenza  funzionale,  rilevando  che  il
beneficiando aveva riportato una  successiva  condanna  a  sola  pena
pecuniaria, a seguito di decreto penale emesso  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di Forli', in data 7 maggio  2004,
per cui la competenza sarebbe spettata, ai sensi dell'art. 665, comma
4, cod. proc. pen., a tale giudice; 
    che, ricevuti gli atti, il Giudice per  le  indagini  preliminari
del Tribunale di Forli'  aveva  sollevato  conflitto  di  competenza,
evidenziando  un  difetto  assoluto  di  competenza  del  giudice   a
decidere, in quanto - a suo avviso - la mancanza di una richiesta  di
parte non consentiva, ai sensi dell'art. 667,  comma  4,  cod.  proc.
pen., di  procedere,  nella  fase  dell'esecuzione,  all'applicazione
dell'indulto sulle pene pecuniarie; 
    che,  decidendo  sul  conflitto,  la  Corte  di  cassazione,  con
sentenza n. 3628 del 2007, depositata in data 23 novembre 2007, aveva
dichiarato la competenza del Giudice per le indagini preliminari  del
Tribunale di Forli', affermando che la previsione normativa dell'art.
672,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,  per  la  quale  all'applicazione
dell'amnistia o dell'indulto si  procede  «senza  formalita»,  andava
interpretata come «senza necessita' di una formale richiesta da parte
dei soggetti interessati»; 
    che, in conseguenza di cio', il giudice a  quo  reputa  di  dover
sollevare  la  suddetta  questione  di  legittimita'  costituzionale,
ritenuta rilevante - in quanto l'interpretazione data dalla Corte  di
cassazione della disposizione combinata degli artt. 672, comma  1,  e
667, comma 4, cod. proc. pen. lo  obbliga  a  provvedere  «d'ufficio»
sull'applicazione  dell'indulto -  e  altresi'   non   manifestamente
infondata; 
    che la non manifesta  infondatezza  si  apprezzerebbe,  in  primo
luogo, con riferimento al principio di ragionevolezza,  dato  che  il
ritenere che il giudice  dell'esecuzione  possa  applicare  d'ufficio
l'indulto alle pene pecuniarie sarebbe in contraddizione  con  quanto
previsto dall'art. 212, comma 2, del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia -  Testo
A),  cosi'  come  integrato  dalla  circolare  del  Ministero   della
giustizia n. 11865 del 2007, in forza del quale, entro  un  mese  dal
passaggio in giudicato, o dalla definitivita'  del  provvedimento  da
cui sorge l'obbligo, l'ufficio per il  recupero  dei  crediti  ha  il
dovere «tassativo ed esclusivo» di procedere alla  riscossione  delle
pene pecuniarie, non essendo prevista alcuna deroga  dalla  legge  31
luglio 2006, n. 241 (Concessione di indulto); 
    che altrettanto non manifestamente infondato sarebbe il dubbio di
incostituzionalita' con riguardo all'art. 24, secondo  comma,  Cost.,
perche' l'interpretazione censurata della norma impedirebbe di  agire
in giudizio per tutelare la propria posizione secondo le opportunita'
ritenute piu' convenienti, potendo il potenziale  beneficiario  avere
interesse a non richiedere l'applicazione dell'indulto per  una  pena
pecuniaria, considerato che, ai sensi dell'art. 174,  secondo  comma,
del codice penale, si potrebbe usufruire di tale beneficio  una  sola
volta; 
    che, ulteriormente, si rileverebbe un conflitto  con  l'art.  27,
terzo  comma,  Cost.,  perche'  «in  caso  di  pena   congiunta,   la
concessione d'ufficio dell'indulto consentirebbe di  applicarlo  alla
sola pena pecuniaria o alla sola  pena  detentiva,  a  seconda  delle
contingenze e al di fuori di una previsione  normativa  ad  hoc,  con
conseguente lesione del principio costituzionale di  proporzionalita'
e adeguatezza della pena, e quindi della sua finalita' rieducativa»; 
    che, sotto altro  profilo,  se  al  giudice  si  attribuisce  «la
responsabilita'  di  far   rinunciare   lo   Stato,   e   quindi   la
collettivita',  a  un'entrata»,  si  determinerebbe   la   violazione
dell'art. 101, primo comma  Cost.,  per  il  quale  la  giustizia  e'
amministrata in nome del popolo, e del principio del  buon  andamento
della pubblica amministrazione, stabilito dall'art. 97, primo  comma,
Cost.; 
    che, infine, la procedura  imposta  dalla  Corte  di  cassazione,
prevedendo che l'applicazione dell'indulto si puo' avviare  d'ufficio
e svolgere all'insaputa delle parti o quanto meno senza  una  istanza
delle stesse, sarebbe in contrasto con  l'art.  111,  secondo  comma,
Cost., per il quale ogni processo si svolge nel contraddittorio delle
parti e innanzi a un giudice terzo; 
    che  nel  giudizio  di  costituzionalita'   e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale di Forli' solleva, in riferimento  agli  artt.  3,  secondo
comma, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 101,  primo
comma,  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale della disposizione combinata degli  artt.
667, comma 4, e 672 del codice di procedura penale,  nella  parte  in
cui -  secondo  l'interpretazione  vincolante  data  dalla  Corte  di
cassazione -   prevede   che   «all'applicazione   dell'amnistia    e
dell'indulto si  possa  procedere  "senza  formalita'",  intesa  tale
espressione come "d'ufficio"»; 
    che, pertanto, il giudice rimettente  non  contesta  in  toto  la
legittimita' della procedura semplificata prevista per l'applicazione
dell'indulto, ma solo per la parte in  cui  prevede  che  il  giudice
dell'esecuzione  possa,  secondo  quanto  affermato  dalla  Corte  di
cassazione, adottare il provvedimento di concessione anche in assenza
di istanza di parte; 
    che, pur essendo rilevante nel giudizio a quo e  ammissibile,  la
questione  e'  manifestamente  infondata  con  riguardo  a  tutti   i
parametri costituzionali evocati; 
    che, in particolare, il contrasto con l'art. 3  Cost.,  sotto  il
profilo  della  ragionevolezza,  non  sussiste  in  quanto   non   e'
pertinente il termine di comparazione utilizzato, atteso  che  l'art.
212, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115  del
2002 stabilisce che, entro un mese  dal  passaggio  in  giudicato,  o
dalla  definitivita'  del  provvedimento  da  cui  sorge   l'obbligo,
l'ufficio  per  il  recupero  dei  crediti  debba  dare  inizio  alla
riscossione, mediante notifica dell'avviso di pagamento, solo  per  i
crediti  esigibili,  categoria  a  cui  non  appartengono   le   pene
pecuniarie estinte a seguito di concessione dell'indulto; 
    che non corrisponde al quadro  normativo  vigente  l'assunto  del
rimettente, secondo cui l'applicazione dell'indulto per una  condanna
a pena pecuniaria impedirebbe all'interessato di fruire del  medesimo
indulto in rapporto  a  una  eventuale  successiva  condanna  a  pena
detentiva, per altro reato commesso entro la data di operativita' del
provvedimento di clemenza; 
    che, infatti, l'art. 174, secondo comma, cod. pen., in forza  del
quale, «nel concorso di piu' reati, l'indulto  si  applica  una  sola
volta, dopo  cumulate  le  pene,  secondo  le  norme  concernenti  il
concorso di reati», non determina che dell'indulto si puo' fruire per
una sola condanna, ma solo che il beneficio non puo' essere applicato
in misura superiore  al  massimo  consentito,  per  cui,  qualora  il
soggetto abbia commesso, entro la data di operativita' del beneficio,
una pluralita' di reati, l'indulto si applica una  sola  volta  sulla
somma delle pene irrogate e non  tante  volte  quante  sono  i  reati
commessi; operazione, questa, che potrebbe portare  a  condonare  una
pena complessivamente superiore al limite massimo stabilito; 
    che, pertanto, l'interpretazione data dalla Corte di  cassazione,
con la sentenza n. 3628 del 2007, della disposizione combinata  degli
artt. 667, comma 4, e  672  cod.  proc.  pen.  non  determina  alcuna
menomazione per il beneficiando del diritto «di agire in giudizio per
tutelare la propria posizione secondo le opportunita'  ritenute  piu'
convenienti», anche perche' non spetta al condannato decidere a quali
pene debba applicarsi il condono, ma deve il pubblico  ministero,  ai
sensi dell'art. 663 cod. proc. pen., provvedere ad unificare le  pene
concorrenti, per poi applicare  il  beneficio  nella  misura  massima
concedibile, o al condannato richiedere, in fase esecutiva, il cumulo
delle pene ai fini dell'applicabilita' dell'indulto:  e  tale  ultima
considerazione  consente  di  far  ritenere  insussistente  anche  la
prospettata violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.; 
    che neppure possono dirsi violati gli artt. 97,  primo  comma,  e
101, primo  comma,  Cost.,  in  quanto  la  rinuncia  ad  un'entrata,
conseguente all'applicazione dell'indulto, deriva dalla legge, che il
giudice si limita solo ad applicare; 
    che, secondo  quanto  ha  piu'  volte  deciso  questa  Corte,  il
principio del contraddittorio non impone che esso si esplichi con  le
medesime modalita' in ogni tipo di procedimento e  neppure  sempre  e
necessariamente nella fase iniziale dello stesso, onde  non  sono  in
contrasto con l'art. 111, secondo comma, Cost. i modelli  processuali
a contraddittorio eventuale e differito: «i quali, cioe', in ossequio
a criteri di economia processuale e di massima  speditezza,  adottino
lo  schema  della  decisione  de  plano  seguita  da   una   fase   a
contraddittorio pieno, attivata dalla  parte  che  intenda  insorgere
rispetto al decisum» (tra le  molte,  sentenza  n.  115  del  2001  e
ordinanze n. 291 del 2005, n. 352, n. 172 e n. 8 del 2003); 
    che, di conseguenza, anche la procedura de plano  prevista  dalle
norme  impugnate  per  l'applicazione  dell'indulto  e'  conforme  al
dettato costituzionale, proprio perche' attribuisce alle  parti,  una
volta conosciuto il provvedimento adottato d'ufficio, la facolta'  di
richiedere che la questione  decisa  sia  nuovamente  sottoposta,  in
contraddittorio e nelle forme previste dall'art. 666 cod. proc. pen.,
al vaglio del giudice dell'esecuzione; 
    che, infine, neppure sussiste lesione del principio di  terzieta'
del giudice, sia perche' - in generale -  esso  non  implica  che  il
giudice  non  possa  adottare  d'ufficio  senza  richiesta  di  parte
decisioni su singole questioni processuali (in  questi  termini,  con
riferimento al potere, previsto dall'art. 507  cod.  proc.  pen.,  di
disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi  mezzi  di  prova,  si
vedano le sentenze n. 111 del 1993 e n. 241 del 1992); sia  perche' -
nello specifico - il giudice dell'esecuzione agisce sempre  in  forza
di poteri che gli sono propri e  comunque  sempre  su  sollecitazione
esterna -  cosi'  e'  stato  anche  nel  giudizio  a  quo -  per  cui
l'espressione «d'ufficio», se correttamente intesa, indica che non e'
necessaria una formale istanza delle parti,  ma  e'  sufficiente  una
qualsiasi segnalazione  anche  proveniente  dalla  cancelleria  o  da
organi esterni all'amministrazione della giustizia, per  dare  inizio
alla procedura d'applicazione dell'indulto. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.