Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 61, commi 8,  9,
14, 15, primo  periodo,  16,  17,  19,  20,  lettera  b)  e  21,  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
promossi  dalle  Regioni  Piemonte,  Emilia-Romagna,  Veneto,   dalla
Provincia autonoma di Trento e dalle Regioni Toscana, Valle d'Aosta e
Calabria, notificati il 16-17 e il 20  ottobre  2008,  depositati  in
cancelleria il 22, il 24 e il  29  ottobre  2008,  e  rispettivamente
iscritti ai nn. 67, 69, 70, 71, 74, 84  e  86  del  registro  ricorsi
2008, e nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,
comma 4-sexies, del decreto-legge 29 novembre 2008,  n.  185  (Misure
urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e  impresa  e
per  ridisegnare  in  funzione   anticrisi   il   quadro   strategico
nazionale), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  28  gennaio
2009, n. 2, modificativo dell'art. 61  del  decreto-legge  25  giugno
2008, n 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008
n. 133, promossi dalle Regioni Toscana e Veneto, notificati il  23  e
il 27 marzo 2009, depositati in cancelleria il 27 marzo e il 2 aprile
2009, e rispettivamente iscritti ai nn. 23 e 25 del registro  ricorsi
2009. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  2  dicembre  2009  il  Giudice
relatore Sabino Cassese; 
    Uditi gli avvocati Gabriele  Pafundi  per  la  Regione  Piemonte,
Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna e per
la Provincia autonoma di Trento, Luigi Manzi per la  Regione  Veneto,
Lucia Bora per la Regione Toscana, Francesco Saverio  Marini  per  la
Regione Valle d'Aosta,  Massimo  Luciani  e  Giuseppe  Naimo  per  la
Regione Calabria e l'avvocato  dello  Stato  Michele  Dipace  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  -  Le  Regioni  Piemonte  (reg.  ric.  n.   67   del   2008),
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto (reg.  ric.  n.  70
del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008),  Valle  d'Aosta  (reg.
ric. n. 84 del 2008) e Calabria (reg. ric. n. 86 del  2008),  nonche'
la Provincia autonoma di Trento (reg. ric.  n.  71  del  2008)  hanno
impugnato, fra l'altro, l'art. 61, commi 8, 9, 14, 15, primo periodo,
16, 17, 19, 20, lettera b), e 21 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    Le ricorrenti lamentano tutte la violazione degli artt. 117 e 119
della Costituzione e, con la sola eccezione della Regione Piemonte  e
della Provincia autonoma di Trento, la violazione  del  principio  di
leale collaborazione.  Con  riferimento  al  ricorso  proposto  dalla
Provincia autonoma  di  Trento,  la  ricorrente  deduce  altresi'  la
violazione degli artt. 8, comma 1, numero 1), 9, comma 1, numero 10),
16 e da 69  a  86  (Titolo  VI)  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  Statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige), nonche' dell'art. 2 del decreto legislativo  16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto  tra  atti  legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta'  statale
di indirizzo e  coordinamento).  Con  riferimento  al  ricorso  della
Regione Valle d'Aosta, e' dedotta  inoltre  la  violazione  dell'art.
48-bis della legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  4  (Statuto
speciale per la Valle d'Aosta), per contrasto con la norma interposta
di cui al decreto legislativo 21 settembre 2000,  n.  282  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale  della  Regione  Valle  d'Aosta  in
materia di potesta' legislativa regionale inerente  il  finanziamento
dell'universita' e  l'edilizia  universitaria)  e  del  principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.). 
    1.1. - La Regione Calabria ha  altresi'  chiesto  la  sospensione
dell'efficacia delle disposizioni impugnate, ai  sensi  dell'articolo
35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come sostituito dall'articolo 9,
comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    1.2. - Le Regioni Toscana (reg. ric. n. 23  del  2009)  e  Veneto
(reg. ric. n. 25 del 2009) hanno impugnato l'art. 18, comma 4-sexies,
del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185  (Misure  urgenti  per  il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per  ridisegnare
in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), introdotto in
sede di conversione dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, per  contrasto
con gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' con  il  principio
di leale collaborazione. 
    2. - L'art. 61 del  decreto-legge  n.  112  del  2008  (d'ora  in
avanti, «art. 61»), nelle parti censurate dalle ricorrenti, detta  la
seguente disciplina. 
    2.1. - Il comma 8  dell'art.  61  (abrogato  dall'art.  1,  comma
10-quater, lettera b), del decreto-legge 23  ottobre  2008,  n.  162,
«Interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali
da  costruzione,   di   sostegno   ai   settori   dell'autotrasporto,
dell'agricoltura   e   della   pesca   professionale,   nonche'    di
finanziamento delle opere per il G8 e definizione  degli  adempimenti
tributari per le Regioni  Marche  ed  Umbria,  colpite  dagli  eventi
sismici del 1997», convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2008, n. 201)  e  il  comma  7-bis  dell'art.  61  (inserito
dall'art. 18, comma 4-sexies, del  decreto-legge  n.  185  del  2008)
hanno ad oggetto la percentuale prevista dall'art. 92, comma  5,  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE).  L'art.  92  del  Codice   dei
contratti pubblici riguarda i corrispettivi,  gli  incentivi  per  la
progettazione e i fondi a disposizione delle stazioni appaltanti.  Il
comma 5, in particolare, prevede che «una somma non superiore al  due
per cento dell'importo posto a base di  gara  di  un'opera  o  di  un
lavoro [...] e' ripartita, per ogni singola opera o  lavoro,  con  le
modalita' e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e
assunti in  un  regolamento  adottato  dall'amministrazione,  tra  il
responsabile del procedimento e gli incaricati  della  redazione  del
progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori,  del
collaudo, nonche' tra i loro collaboratori». Il comma 8 dell'art. 61,
successivamente abrogato, ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio
2009, tale percentuale sia destinata solo nella misura dello 0,5  per
cento alla finalita' prevista  dal  Codice  dei  contratti  pubblici,
mentre, nella misura dell'1,5 per cento, venga «versata  ad  apposito
capitolo dell'entrata del  bilancio  dello  Stato».  Il  comma  7-bis
dell'art. 61, attualmente in vigore, reca una disposizione del  tutto
identica, con la sola differenza che esso precisa  che  la  somma  e'
versata ad apposito capitolo dell'entrata del  bilancio  dello  Stato
«per essere destinata al fondo di  cui  al  comma  17»  dello  stesso
articolo impugnato. 
    2.2. - Il comma  9  dell'art.  61  dispone  che  sia  versato  ad
apposito capitolo del bilancio  dello  Stato  il  50  per  cento  dei
compensi  spettanti  ai  dipendenti  pubblici  per   l'attivita'   di
componente o di segretario del collegio arbitrale e  per  i  collaudi
svolti in  relazione  a  contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
forniture. La norma precisa che il predetto importo e' riassegnato al
fondo  di  amministrazione  per  il  finanziamento  del   trattamento
economico  accessorio  dei  dirigenti  ovvero  ai  fondi  perequativi
istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e
dell'Avvocatura generale dello Stato ove esistenti. 
    2.3. - Il comma 14 dell'art. 61 prevede che siano ridotti del  20
per cento, rispetto all'ammontare risultante alla data del 30  giugno
2008 e a  decorrere  dalla  data  di  conferimento  o  rinnovo  degli
incarichi, i trattamenti economici complessivi spettanti ai direttori
generali, ai direttori sanitari, ai direttori  amministrativi,  ed  i
compensi spettanti ai componenti dei collegi sindacali delle  aziende
sanitarie  locali,   delle   aziende   ospedaliere,   delle   aziende
ospedaliero universitarie,  degli  istituti  di  ricovero  e  cura  a
carattere scientifico e degli istituti zooprofilattici. 
    2.4. - Il comma 15 dell'art. 61  stabilisce  che,  «fermo  quanto
previsto dal comma 14», le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 5  e  6
dell'art. 61 non si applicano  in  via  diretta  alle  Regioni,  alle
province autonome, agli enti, di rispettiva competenza, del  Servizio
sanitario nazionale e agli enti locali. 
    2.5. - Il comma 16 dell'art. 61 prevede che le Regioni, entro  il
31  dicembre  2008,  debbano  adottare  «disposizioni,  normative   o
amministrative, finalizzate ad assicurare la  riduzione  degli  oneri
degli  organismi  politici  e  degli  apparati  amministrativi,   con
particolare riferimento alla diminuzione dell'ammontare dei  compensi
e delle indennita' dei componenti degli organi rappresentativi e  del
numero di questi ultimi, alla soppressione degli enti  inutili,  alla
fusione  delle  societa'  partecipate,  al  ridimensionamento   delle
strutture organizzative ed all'adozione di misure analoghe  a  quelle
previste»  nell'art.  61.  La  disposizione  si  autoqualifica   come
principio fondamentale di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e
precisa che i risparmi di spesa derivanti  dall'attuazione  di  essa,
aggiuntivi  rispetto  a  quelli  previsti  dal  patto  di  stabilita'
interno,   concorrono   alla   copertura   degli   oneri    derivanti
dall'attuazione del successivo comma 19 del medesimo art. 61. 
    2.6.  -  Il  comma  17  dell'art.  61  stabilisce  che  le  somme
provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui  al
medesimo articolo, con esclusione di  quelle  di  cui  ai  precedenti
commi  14  e  16,  sono  versate  annualmente  dagli  enti  e   dalle
amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate  ad  un
apposito fondo di parte corrente  ed  essere  destinate  alla  tutela
della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico o  al  finanziamento
della contrattazione integrativa delle amministrazioni  dello  Stato,
delle agenzie, degli enti pubblici non economici e delle universita'.
La disposizione non si applica agli enti territoriali e agli enti, di
competenza regionale  o  delle  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, del Servizio sanitario nazionale. 
    2.7. - Il comma 19 dell'art. 61  dispone  l'abolizione,  per  gli
anni 2009, 2010 e 2011, della quota di partecipazione al costo per le
prestazioni di  assistenza  specialistica  ambulatoriale  (cosiddetto
ticket), di cui all'art. 1, comma 796,  lettera  p),  primo  periodo,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2007), salvo che le Regioni  non  intendano  comunque  applicarla  ai
sensi del successivo comma 21 del medesimo art. 61. 
    2.8. - Il comma 20 dell'art. 61  provvede  alla  copertura  degli
oneri derivanti dall'abolizione del ticket ai  sensi  del  precedente
comma  19  del  medesimo  articolo.  A  tal  fine,  da  un  lato,  il
finanziamento del Servizio  sanitario  nazionale  al  quale  concorre
ordinariamente lo Stato viene incrementato di 400 milioni di euro  su
base annua (comma 20, lettera a). Dall'altro lato, si prevede che  le
Regioni destinino al proprio servizio sanitario regionale le  risorse
provenienti dalle disposizioni di cui ai commi 14 e 16  dell'art.  61
(comma 20, lettera b), numero  1)  e  adottino  ulteriori  misure  di
incremento  dell'efficienza  e  di  razionalizzazione  della   spesa,
dirette a realizzare la parte residuale della copertura  degli  oneri
derivanti dall'abolizione del ticket (comma 20,  lettera  b),  numero
2). 
    2.9. - Il comma  21  dell'art.  61,  infine,  stabilisce  che  le
regioni, «in luogo della completa adozione delle  misure  di  cui  ai
commi 14 e 16 ed al comma 2, lettera b), numero 2), possono  decidere
di  applicare,  in  misura  integrale  o   ridotta,   la   quota   di
partecipazione abolita ai sensi del comma 19, ovvero altre  forme  di
partecipazione  dei  cittadini  alla  spesa  sanitaria   di   effetto
finanziario   equivalente».   Ai   fini   dell'attuazione   di   tale
disposizione e di quanto previsto al comma 20, lettera b),  dell'art.
61, «il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,  comunica
alle regioni, entro il 30 settembre 2008, l'importo che  ciascuna  di
esse deve garantire ai fini dell'equivalenza finanziaria». 
    3. - La Regione Piemonte ha impugnato i commi 8 e 9 dell'art. 61,
per contrasto con l'art. 117, commi 4 e 6, e con l'art. 119, comma 1,
Cost. 
    3.1. - La Regione ricorrente innanzitutto deduce che il  comma  8
dell'art. 61, nel disporre che la percentuale  di  cui  all'art.  92,
comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006 venga destinata solo
nella misura dello 0,5 per cento alla finalita' prevista  dal  Codice
dei contratti pubblici, dovendo per il restante 1,5 per cento  essere
invece versata ad apposito capitolo dell'entrata del  bilancio  dello
Stato,   interviene   in   un   ambito   materiale   che    «inerisce
all'organizzazione amministrativa»,  che,  per  le  regioni,  rientra
nella competenza residuale regionale. La ricorrente censura anche  il
comma 9 del medesimo art. 61 e conclude che  tali  disposizioni,  ove
dovessero  ritenersi  applicabili  agli  enti  territoriali  e   alle
regioni, si porrebbero in conflitto con l'art. 117,  commi  quarto  e
sesto, e con l'art. 119, comma primo, della Costituzione. 
    3.2. - Nel giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le  proposte
censure di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili
o, comunque, non fondate. La difesa erariale ritiene, in primo luogo,
che le norme impugnate non siano lesive delle  competenze  regionali,
risolvendosi in una «misura contenitiva della spesa pubblica» che  e'
«finalizzata  alla  redistribuzione  del  reddito  prodotto  da   una
determinata categoria di cittadini chiamata  a  svolgere  l'attivita'
prevista» dalle disposizioni censurate. Queste ultime, pertanto,  non
investirebbero le competenze regionali, ma il reddito prodotto da una
specifica categoria di professionisti,  sulla  quale  il  legislatore
nazionale, «con norma rispettosa del principio di ragionevolezza,  ha
ritenuto di incidere in senso ridistributivo nel quadro di  riassetto
macroeconomico nazionale». 
    3.3. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato una memoria a  completamento  e  integrazione  di
quanto sostenuto nell'atto di costituzione, insistendo  affinche'  il
ricorso  della  Regione  Piemonte  sia  dichiarato  inammissibile   o
comunque non fondato. Nella memoria la difesa erariale  sostiene  che
le disposizioni contenute nei commi 8 e  9  dell'art.  61  hanno  una
«portata generalizzata»,  operano  «con  riferimento  alle  pubbliche
amministrazioni cui si applica» il decreto-legge n. 112 del 2008 e si
riferiscono a «tutti i dipendenti pubblici rappresentando  l'esigenza
di   assicurare    un    trattamento    uniforme»    a    prescindere
dall'amministrazione di appartenenza. Tali disposizioni, pertanto, ad
avviso dell'Avvocatura generale  dello  Stato,  rientrerebbero  nella
materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello  Stato
ai sensi dell'art. 117, lettera l), Cost., e non  riguarderebbero  la
potesta' organizzativa delle regioni. In aggiunta,  la  difesa  dello
Stato rileva che, in base a quanto previsto dal comma 17 dello stesso
art. 61, «gli enti territoriali, gli enti di competenza  regionale  e
delle Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti  del  servizio
sanitario nazionale» non debbono procedere al versamento dei risparmi
di spesa in un apposito capitolo del bilancio  dello  Stato.  Non  vi
sarebbe, quindi, violazione dell'art. 119 Cost., dal momento  che  le
economie di spesa «vanno  ad  incrementare  in  termini  positivi  il
bilancio degli enti». 
    4. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 8, 9, 14, 16,
20, lettera b), e 21 dell'art. 61, per contrasto con gli  artt.  117,
commi terzo e quarto,  e  119  della  Costituzione,  nonche'  con  il
principio di leale collaborazione. 
    4.1. - La ricorrente, in primo luogo, sostiene che i commi 8 e  9
dell'art. 61, sono «accomunati dal fatto di "avocare" allo Stato» una
parte delle somme spettanti  ai  dipendenti  pubblici  per  attivita'
connesse ai lavori pubblici e una  parte  delle  somme  spettanti  ai
dipendenti  pubblici  per  l'attivita'  svolta  nell'ambito   di   un
arbitrato  o  di  un  collaudo.  Tali  disposizioni,  ove   dovessero
intendersi  applicabili  anche  ai  dipendenti  pubblici   regionali,
risulterebbero   palesemente   lesive   dell'autonomia    finanziaria
regionale, nella parte in cui esse stabiliscono che le predette somme
«affluiscano al bilancio  statale  invece  che  a  quello  regionale,
qualora si tratti di dipendenti regionali o di  enti  pararegionali».
Ritiene infatti la Regione Emilia-Romagna che  lo  Stato  non  possa,
senza violare l'art. 119 Cost., acquisire al proprio bilancio risorse
che provengono (o nel caso degli arbitrati possono  provenire)  dalla
regione  e  che  sono  dirette  a  compensare  attivita'  svolte   da
dipendenti regionali per conto della regione e in sostituzione  della
loro normale attivita' lavorativa. 
    In secondo luogo, la Regione Emilia-Romagna censura i  commi  14,
16 e 20, lettera b), dell'art.  61,  in  quanto  con  essi  lo  Stato
avrebbe dettato  norme  di  dettaglio  in  materia  di  coordinamento
finanziario,  lesive  dell'autonomia  organizzativa   e   finanziaria
regionale e in contrasto con gli artt. 117, commi terzo e  quarto,  e
119 Cost. In particolare, ad avviso della ricorrente,  il  comma  14,
nel disporre una riduzione del 20 per cento dei trattamenti economici
dei direttori generali, sanitari e amministrativi  e  dei  componenti
dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, imporrebbe alla
regione un «limite puntuale ad una  specifica  voce  di  spesa»  che,
secondo il costante orientamento della  Corte  costituzionale  (e  in
particolare la sent. n. 157 del 2007), non puo' essere considerato un
principio di coordinamento della finanza pubblica.  La  disposizione,
infatti, ad avviso  della  regione,  non  ha  carattere  transitorio,
colpisce una voce minuta di spesa e non lascia margine di scelta alle
regioni per il conseguimento dell'obiettivo di risparmio. 
    Gli stessi motivi di censura sono fatti valere  dalla  ricorrente
con  riferimento  al  comma  16  dell'art.  61.  Secondo  la  Regione
Emilia-Romagna,   infatti,   tale   disposizione,    nonostante    si
autoqualifichi come «principio fondamentale  di  coordinamento  della
finanza pubblica», ha contenuto dettagliato, perche', in primo luogo,
sottrae alle Regioni qualunque margine di scelta in ordine  ai  mezzi
per la realizzazione dell'obiettivo (diminuzione  dell'ammontare  dei
compensi   e   delle   indennita'   dei   componenti   degli   organi
rappresentativi e del numero di questi  ultimi);  in  secondo  luogo,
lascia alle regioni un «margine irrisorio,  che  implica  valutazioni
tecniche  piu'  che  politiche»  (soppressione  degli  enti  inutili,
fusione delle societa' partecipate, ridimensionamento delle strutture
organizzative  e  adozione  di  misure  analoghe  a  quelle  previste
dall'art. 61). Lo stesso comma 16, cosi' come il successivo comma 20,
lettera b), dell'art. 61 sarebbero inoltre  illegittimi,  secondo  la
ricorrente,  nella  parte  in  cui,  imponendo  la  destinazione  dei
risparmi  di  spesa  alla  copertura  degli  oneri  derivanti   dalla
abolizione  del  ticket  (disposta  dal  comma   19   dell'art.   61)
condizionano «l'uso che la regione fa delle proprie risorse imponendo
di destinarle ad un certo settore (nel caso di specie, la  sanita')»,
con conseguente lesione dell'autonomia finanziaria regionale. 
    Infine,  la  Regione  Emilia-Romagna  contesta  la   legittimita'
costituzionale del comma 21 dell'art. 61. Secondo la ricorrente,  con
tale disposizione, lo  Stato  addosserebbe  la  maggior  parte  delle
conseguenze finanziarie  dell'abolizione  del  ticket  alle  regioni,
potendo queste ultime «diminuire i tagli di cui ai commi 14, 16 e 20»
solo reintroducendo il  ticket,  cioe'  togliendo  «ai  cittadini  un
beneficio che il legislatore statale  ha  espressamente  voluto  dare
loro». Cio' pero' violerebbe «il principio di leale collaborazione  e
l'art. 119, quarto comma, Cost., cioe' il principio di corrispondenza
fra  funzioni  e  risorse,  perche'  dalle  norme  impugnate  risulta
chiaramente  che  il  ticket  e'  considerato  dallo   Stato   stesso
essenziale per il funzionamento del Servizio sanitario  nazionale  ma
la legge statale lo abolisce senza preoccuparsi di fornire le risorse
alternative». 
    4.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. La difesa erariale chiede che le censure riferite ai commi 8 e
9 dell'art. 61 siano dichiarate inammissibili, per le stesse  ragioni
gia' esposte con  riferimento  al  giudizio  promosso  dalla  Regione
Piemonte. La difesa dello Stato chiede, inoltre, che le altre censure
siano  dichiarate  non  fondate,  dal  momento  che  le  disposizioni
censurate devono essere valutate nella loro complessita' e alla  luce
del  contesto  di  risanamento  della  finanza  pubblica  in  cui  si
inquadrano, in quanto «fortemente integrate al fine  di  sterilizzare
gli effetti finanziari derivanti dall'abolizione a livello  nazionale
del ticket». 
    4.3. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato una memoria a  completamento  e  integrazione  di
quanto  sostenuto  nell'atto  di   costituzione,   insistendo   circa
l'inammissibilita' o comunque la non  fondatezza  del  ricorso  della
Regione Emilia-Romagna. Con riferimento ai commi 8 e 9 dell'art.  61,
in particolare, la difesa erariale propone le medesime argomentazioni
dedotte nella memoria  presentata  per  il  giudizio  promosso  dalla
Regione Piemonte. Con riguardo ai commi 14, 16, 20, lettera b), e  21
dell'art. 61, la difesa erariale rileva che le  norme  in  questione,
innanzitutto, debbono  essere  valutate  unitariamente  nel  contesto
economico finanziario di risanamento della  finanza  pubblica,  posto
che «sono dirette a evitare gli effetti finanziari  negativi  per  le
regioni derivanti dall'abolizione a livello nazionale del  ticket  di
10  euro  per  ricetta  sulla  specialistica».  Secondo  l'Avvocatura
generale dello Stato, le norme impugnate «non  indicano  attivita'  e
comportamenti vincolanti per le regioni ma una serie di opzioni»  che
le regioni stesse «possono liberamente adottare, potendo  esse  nella
loro autonomia finanziaria trovare altre forme di  finanziamento  dei
servizi cui e' tenuta ad erogare». Le  norme  in  questione,  quindi,
rientrerebbero nel potere generale dello Stato di coordinamento della
finanza  pubblica  e  non  sarebbero   disposizioni   di   dettaglio,
«consentendo alle regioni la massima flessibilita' di intervento». Ad
avviso della difesa erariale, dunque, l'unico limite delle  norme  in
questione   e'   rappresentato   dalla   necessita'   di    garantire
l'equivalenza  finanziaria  delle  diverse  misure  che  le  regioni,
nell'ambito dell'autonomia finanziaria loro  riconosciuta,  intendono
adottare. 
    4.4. - La Regione Emilia-Romagna, in prossimita' dell'udienza, ha
depositato  una  memoria  in  replica  alle  argomentazioni   dedotte
dall'Avvocatura generale dello Stato. Quanto al comma 8 dell'art. 61,
la regione sostiene innanzitutto che, nonostante la norma  sia  stata
abrogata,  la   successiva   approvazione   di   altra   disposizione
dall'identico tenore (comma 7-bis) consente  il  trasferimento  delle
censure sulla nuova norma. Nel merito, la ricorrente, con riguardo ai
commi 8 e 9, da un lato, conferma le censure prospettate nel  ricorso
e osserva che tali disposizioni «non riguardano generici  "cittadini"
o "professionisti", bensi' dipendenti regionali e incidono  su  somme
date ad essi dalla regione  per  attivita'  svolte  per  conto  della
regione». Dall'altro, rileva che ove si  interpretasse  il  combinato
disposto dei commi 7-bis, 9 e 17 nel senso di applicare alle  regioni
solo la riduzione di incentivi per la progettazione e di compensi per
i dipendenti pubblici, ma non di imporre il versamento delle relative
somme  al  bilancio  dello  Stato,  «risulterebbero   sostanzialmente
soddisfatte le ragioni del ricorso». Con riferimento ai commi 14, 16,
20,  lettera  b),  e  21  dell'art.  61,   la   regione   sottolinea,
innanzitutto, che la difesa erariale non ha formulato alcuna  replica
specifica alle censure avanzate. Ad avviso  della  regione,  inoltre,
«la possibilita' alternativa "concessa" dal comma  21  non  fa  venir
meno la lesivita' delle norme impugnate», poiche'  tale  alternativa,
in primo luogo, non esclude del tutto le misure previste ai commi 14,
16 e 20, lettera b), numero 2) - come farebbe  intendere  la  formula
«in luogo della completa adozione» usata dal legislatore statale - e,
in secondo luogo, e' «un'alternativa politicamente  impraticabile  e,
comunque, vincolata nel suo  contenuto,  trattandosi  pur  sempre  di
reintrodurre  forme  di  partecipazione  dei  cittadini  alla   spesa
sanitaria». Mancherebbe, percio', secondo la ricorrente, «la  massima
flessibilita'  d'intervento»   delle   regioni   prospettata   invece
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    5. - La Regione Veneto, con un primo ricorso (reg. ric. n. 70 del
2008), ha impugnato i commi 8, 9,  14,  19,  20,  lettera  b),  e  21
dell'art. 61, per contrasto con gli artt. 117,  terzo  comma,  e  119
della Costituzione. Con successivo  ricorso  (reg.  ric.  n.  25  del
2009), la Regione Veneto  ha  altresi'  impugnato  l'art.  18,  comma
4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto  in  sede  di
conversione dalla legge n. 2 del 2009, che ha inserito il comma 7-bis
dell'art. 61, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.,
nonche' del principio di leale collaborazione. 
    5.1.  -  Con  il  primo  ricorso,  la  Regione  Veneto   censura,
innanzitutto, i commi 8 e  9  dell'art.  61,  che,  ad  avviso  della
ricorrente, ove fossero  ritenuti  applicabili  anche  nei  confronti
delle  regioni  e  degli  enti  locali,  concreterebbero  una   grave
violazione dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost.  Tali
disposizioni,  infatti,  secondo  la  Regione  Veneto,  non  soltanto
stabiliscono «vincoli puntuali e significativi alle voci di spesa dei
bilanci regionali»,  ma  dispongono  anche  «unilateralmente  che  le
risorse intercettate dalle norme confluiscano nel bilancio  statale».
I commi 14, 19, 20 e 21 dell'art. 61 presentano poi tutti, ad  avviso
della  ricorrente,  «i  medesimi  profili  di  contrasto  al  dettato
costituzionale». Essi dettano una  disciplina  che,  intervenendo  in
materie di potesta' legislativa concorrente (tutela  della  salute  e
coordinamento della finanza pubblica), ha un «carattere  estremamente
dettagliato»,  che  appare  «particolarmente  evidente  laddove  essa
determina in una  percentuale  fissa  la  riduzione  dei  trattamenti
economici  spettanti  ai  direttori  e  ai  componenti  dei   collegi
sindacali delle aziende sanitarie locali (comma 14)». Ne consegue, ad
avviso della ricorrente, la violazione dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost. A cio' si aggiunge anche la  violazione  dell'art.  119  Cost.,
perche' il comma 14 «introduce un limite puntuale ad una singola voce
di spesa», mentre i successivi commi 19, 20  e  21  risultano  lesivi
dell'autonomia finanziaria regionale sotto il profilo delle  entrate,
cioe' relativamente al «reperimento delle risorse da  destinare  alla
gestione di un settore» quale quello della tutela della  salute.  Con
tali disposizioni, infatti, il legislatore statale  pretenderebbe  di
«imporre alle Regioni i mezzi con i quali realizzare un  contenimento
della spesa sanitaria», in particolare «imponendo  che  l'importo  di
manovra individuato  dallo  Stato  si  realizzi  mediante  misure  di
partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie ad esclusione  di
ogni altra modalita'». 
    5.2. - Con il secondo ricorso, la Regione Veneto osserva che,  in
pendenza del precedente  reg.  ric.  n.  70  del  2008,  il  comma  8
dell'art. 61 e' stato abrogato ad opera dell'art. 1, comma 10-quater,
del decreto-legge n. 162 del 2008. Successivamente, tuttavia,  l'art.
18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto  in
sede di conversione dalla legge n. 2  del  2009,  ha  sostanzialmente
reintrodotto la misura di contenimento  della  spesa  che  era  stata
originariamente prevista dal comma  8  dell'art.  61.  Pertanto,  «in
ragione della  sostanziale  reintroduzione,  nel  nuovo  comma  7-bis
dell'art. 61 del decreto-legge n. 112  del  2008,  e  quindi  in  una
disposizione formalmente nuova, di una misura gia' oggetto di ricorso
regionale, la Regione Veneto ha ritenuto necessario tornare ad adire»
la Corte  costituzionale,  impugnando  il  predetto  art.  18,  comma
4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008. 
    La regione ricorrente preliminarmente precisa di  voler  proporre
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sulla  base  di  una
interpretazione da essa prospettata come possibile. La Regione Veneto
pertanto impugna la disposizione censurata ove  quest'ultima  dovesse
ritenersi applicabile anche alle regioni e nella parte  in  cui  essa
dispone tale applicazione. 
    Nel merito, la Regione Veneto ritiene che la  disciplina  dettata
dalla disposizione censurata si ponga innanzitutto in  contrasto  con
l'art. 117 Cost., dal momento che la disciplina degli incentivi  alla
progettazione, non rientrando in alcuna delle materie di cui all'art.
117, secondo comma, spetta alla regione, almeno  per  quanto  attiene
alle regioni che si trovino in posizione di stazione appaltante.  Ne'
potrebbe invocarsi, in senso  contrario,  la  competenza  legislativa
statale in materia  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  dal
momento  che  la  norma  censurata,  prevedendo  in  modo   esaustivo
strumenti  e  modalita'  per  il  perseguimento   di   obiettivi   di
riequilibrio finanziario, non rispetta le condizioni  indicate  dalla
giurisprudenza costituzionale per potersi qualificare come  principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. 
    La regione ricorrente lamenta, poi, la violazione  della  propria
autonomia finanziaria, sancita dall'art.  119  Cost.  Tale  autonomia
risulterebbe lesa in quanto la disposizione censurata prevede vincoli
«puntualissimi e significativi» alla spesa dei bilanci  regionali  e,
per di piu', dispone «unilateralmente che le risorse  sottratte  alla
loro originaria finalita' confluiscano in un  capitolo  del  bilancio
statale». 
    Si  ipotizza,  ancora,  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, in quanto, in un ambito non  esclusivamente  devoluto
alla competenza esclusiva statale, sarebbe mancato il  coinvolgimento
delle regioni sia al momento di introdurre l'innovazione legislativa,
sia  in  ordine  alla  «programmazione  della  determinazione   della
destinazione  delle  risorse  sottratte  ai  corrispettivi   e   agli
incentivi di programmazione». 
    La ricorrente deduce, infine, la violazione dei principi  di  cui
agli artt. 3, 97 e 118 Cost., dal momento  che  la  norma  impugnata,
riducendo    enormemente    l'importo     dell'incentivo,     finisce
irragionevolmente per negare la stessa possibilita' di realizzare  la
finalita'  per  cui  tale   incentivo   e'   stato   previsto.   Cio'
rappresenterebbe,    inoltre,    una    violazione     dell'autonomia
organizzativo-amministrativa delle regioni e una turbativa  del  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    5.3. - Si e' costituito in entrambi i giudizi il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    Relativamente al primo ricorso, la difesa erariale ha chiesto che
le censure riferite ai commi 8 e  9  dell'art.  61  siano  dichiarate
inammissibili e le censure relative ai commi 14, 19, 20, lettera  b),
e 21 siano dichiarate non fondate,  per  le  stesse  ragioni  esposte
dalla  difesa  erariale   con   riferimento   ai   giudizi   promossi
rispettivamente   dalla   Regione   Piemonte    e    dalla    Regione
Emilia-Romagna. Con riguardo al secondo ricorso, la  difesa  erariale
ha chiesto che ne venga dichiarata la non fondatezza, dal momento che
la disposizione impugnata, nel modificare  il  Codice  dei  contratti
pubblici con una «disciplina di carattere  generale  che  impatta  su
tutti i dipendenti pubblici cui la stessa e'  applicabile»,  «non  e'
suscettibile di attuazione differenziata  a  seconda  dei  comparti».
Essa  costituisce  un  «intervento   da   ricondurre   alla   materia
ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva  statale,  e
non e' attribuibile alla potesta' organizzativa delle regioni. 
    5.4. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato una memoria a  completamento  e  integrazione  di
quanto  sostenuto  nell'atto  di   costituzione,   insistendo   circa
l'inammissibilita' o comunque la non  fondatezza  del  primo  ricorso
della Regione Veneto. Con riferimento ai commi 8 e 9 dell'art. 61, in
particolare, la difesa erariale propone  le  medesime  argomentazioni
dedotte nelle memorie presentate per i giudizi promossi dalla Regione
Piemonte e dalla Regione Emilia-Romagna. 
    5.5.  -  La  Regione  Veneto,  in  prossimita'  dell'udienza,  ha
depositato  due  memorie  illustrative.  La  prima  si  riferisce  al
giudizio promosso con il secondo ricorso. La regione, in particolare,
sostiene che la tesi dell'Avvocatura generale dello  Stato  non  puo'
essere accolta, poiche', anche se la norma impugnata  «intercetta  la
disciplina  del  rapporto  di   lavoro»   di   dipendenti   pubblici,
«decurtando una delle voci del loro corrispettivo, il  cd.  incentivo
alla progettazione-direzione, e' altrettanto vero che cio' non  basta
ad escludere una competenza regionale sul  punto».  Ad  avviso  della
regione, in base alla giurisprudenza costituzionale (sono  citate  le
sentenze n. 401 del 2007 e n. 282 del  2002),  andrebbe  escluso  che
ogni disciplina tesa a regolare e  vincolare  l'opera  di  dipendenti
pubblici, rientri per  cio'  stesso  nella  materia  dell'ordinamento
civile, riservata allo Stato.  La  competenza  esclusiva  statale  in
detta  materia,  infatti,  potrebbe  essere  legittimamente  invocata
qualora siano in gioco profili che  attengono  alla  regolamentazione
civilistica di aspetti afferenti al vincolo negoziale,  tali  percio'
da richiedere necessariamente un trattamento uniforme sul  territorio
nazionale. La norma impugnata, inoltre, si caratterizzerebbe «per  un
grado di dettaglio tale da non poter certo essere  qualificata  quale
"principio fondamentale"» di coordinamento della finanza pubblica. La
regione, dunque, «rivendica un proprio spazio di autonoma  scelta  in
materia di determinazione della percentuale di incentivo» prevista  a
favore dei soggetti di cui all'art.  92,  comma  5,  del  Codice  dei
contratti pubblici. 
    La seconda memoria si riferisce al giudizio promosso con il primo
ricorso, per la parte riguardante l'art. 61.  La  regione,  in  primo
luogo, si sofferma sul comma 9, riconoscendo  che  tale  disposizione
«intercetta» la disciplina del  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti
pubblici,  ma  ritenendo  che  «cio'  non  sembra  possa  bastare  ad
escludere una competenza regionale sul  punto».  In  particolare,  ad
avviso  della  ricorrente,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  non
avrebbe spiegato per quale ragione «la disciplina-rectius, piu' nello
specifico, la determinazione - di specifiche e particolarissime  voci
di compenso, che -  sembra  opportuno  ricordare  -  sono  del  tutto
aggiuntive rispetto al corrispettivo  base  spettante  al  dipendente
pubblico, non possa esser rimessa alle singole regioni, sulla base di
un'autonoma          valutazione          di          costi-benefici,
esigenze-risorse-obiettivi». Il comma 9, percio', altro  non  sarebbe
che una  disposizione  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica,  e  dunque  illegittima  perche'   di   dettaglio   e   non
qualificabile come principio fondamentale.  La  regione,  in  secondo
luogo, prende in esame il comma 14, lamentandone la illegittimita' in
quanto la norma, nel fissare vincoli puntuali relativi a singole voci
di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali, si imporrebbe
alle regioni senza lasciare ad esse alcun margine di alternativa.  La
ricorrente, in terzo luogo, si sofferma sui commi 19, 20, lettera b),
e  21  dell'art.  61,   rispondendo   alle   argomentazioni   dedotte
dall'Avvocatura generale dello Stato al riguardo. Le norme impugnate,
ad  avviso  della  regione,  anche  se  sorrette  da   finalita'   di
contenimento della spesa pubblica, si muovono  nell'ambito  materiale
concorrente della «tutela della salute» e, dato  «il  loro  grado  di
dettaglio e l'efficacia autoapplicativa che le contraddistingue», non
possono essere qualificate come principi fondamentali. 
    6. - La Provincia autonoma di Trento ha impugnato i  commi  14  e
15,  primo  periodo,  dell'art.  61,  per  violazione  dei   seguenti
parametri costituzionali: artt. 8, comma 1, numero 1),  9,  comma  1,
numero 10), 16 e da 69 a 86 (Titolo VI) del d.P.R. n.  670  del  1972
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); art. 2 del d.lgs. n.
266 del 1992 (Norme di  attuazione  dello  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto  tra  atti  legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta'  statale
di indirizzo e coordinamento); art. 117, terzo comma,  e  119  Cost.,
come  estesi  alle  autonomie  speciali  dall'art.  10  della   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione). 
    6.1. - Premette la ricorrente di avere impugnato le  disposizioni
censurate a titolo cautelativo, per l'ipotesi cioe' in cui  il  comma
15 dell'art. 61, il  quale  esclude  l'applicabilita'  alle  province
autonome dei commi 1, 2, 5 e 6 dello stesso articolo, lasciando pero'
«fermo quanto previsto dal comma 14», dovesse  intendersi  nel  senso
che quest'ultimo  comma  si  riferisca  invece  anche  alle  province
autonome. In tal caso, l'applicazione alle  province  autonome  della
prevista riduzione dei compensi dei direttori generali, dei direttori
sanitari e dei direttori amministrativi, nonche' dei  componenti  dei
collegi sindacali delle strutture sanitarie, risulterebbe, ad  avviso
della ricorrente, costituzionalmente illegittima. 
    Verrebbe lesa,  in  primo  luogo,  la  competenza  provinciale  a
disciplinare l'organizzazione  delle  strutture  sanitarie,  prevista
dagli artt. 8, comma 1, numero 1), e 9, comma 1,  numero  10),  dello
Statuto, che attribuiscono alla provincia, rispettivamente,  potesta'
legislativa  esclusiva  in  tema   di   «ordinamento   degli   uffici
provinciali e del personale ad essi addetto» e  potesta'  legislativa
concorrente  in  materia  di  «igiene   e   sanita',   ivi   compresa
l'assistenza sanitaria e ospedaliera».  In  particolare,  secondo  la
ricorrente, la diretta  applicazione  alle  province  autonome  della
disposizione statale censurata, relativa alla riduzione dei  compensi
dei vertici  amministrativi  delle  strutture  sanitarie,  violerebbe
l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in base al quale la legislazione
provinciale «deve essere adeguata ai  principi  e  norme  costituenti
limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e recati  da
atto legislativo  dello  Stato  entro  i  sei  mesi  successivi  alla
pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel  piu'
ampio termine da esso stabilito», restando «nel frattempo applicabili
le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti». 
    La Provincia autonoma di Trento, in secondo  luogo,  osserva  che
essa provvede al finanziamento  della  spesa  sanitaria  nel  proprio
territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato.  In
tali circostanze, secondo la ricorrente sarebbe «irragionevolmente  e
immotivatamente lesiva dell'autonomia  provinciale  l'imposizione  di
precisi limiti di spesa da parte dello Stato in un ambito  nel  quale
la Provincia non dipende dalle risorse del bilancio statale». 
    Infine, la ricorrente rileva che  la  limitazione  contenuta  nel
comma 14 risulterebbe  in  ogni  caso  illegittima,  anche  ove  alla
Provincia dovessero applicarsi le stesse  regole  che  riguardano  il
rapporto fra  lo  Stato  e  le  Regioni  a  statuto  ordinario.  Tale
limitazione, infatti, non avendo carattere transitorio, colpendo  una
minuta voce di spesa  e  non  lasciando  margine  di  scelta  per  il
conseguimento dell'obiettivo di risparmio, non potrebbe  qualificarsi
come principio di coordinamento della finanza pubblica e, in base  ad
un  costante  orientamento   della   giurisprudenza   costituzionale,
risulterebbe pertanto in contrasto con gli artt. 117, terzo comma,  e
119 Cost. 
    6.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Secondo
la difesa erariale, la disposizione censurata non viola la competenza
della Provincia di Trento in materia di ordinamento del  personale  e
in tema di igiene e sanita', trattandosi di  norme  di  coordinamento
della finanza pubblica. 
    6.3. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato una memoria a  completamento  e  integrazione  di
quanto  sostenuto  nell'atto  di   costituzione,   insistendo   circa
l'inammissibilita' o comunque la non  fondatezza  del  ricorso  della
Provincia autonoma di Trento. La difesa erariale rileva che le  norme
impugnate «essendo finalizzate a  coprire  gli  oneri  connessi  alla
spesa sanitaria, non  si  ritengono  applicabili  alla  provincia  di
Trento». Ad avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  dunque,
poiche' la Provincia provvede al finanziamento della spesa  sanitaria
«senza alcun apporto a carico del bilancio dello  Stato»,  essa  puo'
provvedere autonomamente all'individuazione delle «modalita'  per  la
copertura degli oneri del  servizio  sanitario  provinciale  nel  suo
complesso, ivi compreso l'ammontare dei compensi degli  organi  delle
azione sanitarie». 
    6.4.  -  La  Provincia  autonoma  di   Trento,   in   prossimita'
dell'udienza, ha depositato una memoria illustrativa in cui ribadisce
le censure proposte  con  l'atto  introduttivo  del  giudizio.  Nella
memoria, in particolare, viene sottolineato che il comma 15 dell'art.
61 individua un complesso ampio di soggetti rispetto ai quali i commi
1, 2, 5 e 6 non trovano applicazione  in  alcun  modo,  ma  cio'  non
comporta che tutte le altre disposizioni debbano applicarsi sia  alle
regioni che alle province autonome. Al contrario, posto che le  norme
non eccettuate sono destinate a trovare  applicazione  nei  confronti
delle regioni, per quanto riguarda le province autonome spettera'  ad
esse di valutare, come per la  generalita'  delle  norme  statali  di
disciplina della materia, se  esse  comportino  o  meno,  secondo  le
regole statutarie, l'adeguamento della disciplina provinciale,  ferma
restando la possibilita' per lo Stato di contestare, ove lo ritenga e
nei termini previsti, il mancato adeguamento. La precisazione  «fermo
quanto previsto dal comma 14», contenuta nel comma 15, «non puo'  che
essere  intesa  nel  senso  di  mantenere   ferma   la   disposizione
nell'ambito di applicazione che risulta dal suo  testo  diretto».  Le
norme censurate, d'altro canto, ad avviso  della  ricorrente  e  come
prospettato dalla stessa Avvocatura generale dello  Stato,  non  sono
applicabili nei confronti della Provincia autonoma di Trento. A  tale
conclusione,  del   resto,   porterebbe   anche   un'«interpretazione
costituzionalmente orientata» della norma. La ricorrente chiede  alla
Corte, dunque, di sancire che i commi 14 e 15  dell'art.  61  non  si
applicano alla Provincia autonoma di Trento o in subordine, ove  essi
fossero invece  ritenuti  applicabili  alla  Provincia  autonoma,  di
dichiararne l'illegittimita' costituzionale per  le  ragioni  dedotte
nel ricorso. 
    7. - La Regione Toscana ha impugnato, con un  primo  ricorso,  il
comma 8 dell'art. 61 e, con un successivo ricorso, l'art.  18,  comma
4-sexies, del decreto-legge n. 185 del 2008, introdotto  in  sede  di
conversione dalla legge n. 2 del 2009, per contrasto con  l'art.  117
Cost. 
    7.1. - Nel primo ricorso, la Regione Toscana innanzitutto precisa
di impugnare il comma 8 dell'art. 61  per  l'ipotesi  in  cui  questa
Corte dovesse ritenere corretta una  determinata  interpretazione  di
tale disposizione. La ricorrente sostiene, infatti, che  il  predetto
comma 8 debba essere considerato,  in  base  a  quanto  disposto  dal
successivo comma 17,  non  applicabile  alle  regioni.  Tuttavia,  la
Regione  Toscana  ritiene  possibile  anche  una  diversa   e   «piu'
restrittiva» interpretazione, in base alla quale la  riduzione  della
percentuale diretta ad incentivare  il  personale  interno  coinvolto
nella  progettazione  e  nel  collaudo  potrebbe   invece   ritenersi
applicabile anche alle regioni, restando queste soltanto esentate, ai
sensi del comma 17,  dall'obbligo  di  versare  le  maggiori  entrate
derivanti da tale riduzione al bilancio  statale.  Se,  pertanto,  il
comma   17   dell'art.   61   escludesse   le   regioni   non    gia'
dall'applicazione della riduzione dell'incentivo prevista  dal  comma
8, ma solo dall'obbligo di versare allo Stato le conseguenti maggiori
entrate, allora la  disposizione  censurata  violerebbe,  secondo  la
ricorrente, la potesta' legislativa esclusiva regionale in materia di
organizzazione    amministrativa.    La    lesione     dell'autonomia
organizzativa regionale deriverebbe in particolare dalla  circostanza
che la prevista riduzione  dell'incentivo  inciderebbe  negativamente
sulla progettazione interna delle stazioni appaltanti, che verrebbero
pertanto  costrette  ad  affidare   all'esterno   le   attivita'   di
progettazione e di collaudo, con inevitabile aggravio dei costi. 
    7.2. - Con il secondo ricorso,  la  Regione  Toscana  impugna  il
predetto art. 18, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 185 del  2008,
convertito dalla legge n. 2 del 2009, che ha inserito il comma  7-bis
dell'art. 61, proponendo in relazione ad  esso  le  medesime  censure
presentate con riferimento alla norma  impugnata  con  il  precedente
ricorso. 
    7.3. - Si e' costituito in entrambi i giudizi il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato. In relazione al primo ricorso (reg. ric. n.  74
del 2008), la difesa erariale ha chiesto che le proposte  censure  di
legittimita'  costituzionale  siano   dichiarate   inammissibili   o,
comunque, non fondate, per le stesse ragioni esposte con  riferimento
al giudizio promosso dalla Regione Piemonte. Con riguardo al  secondo
ricorso, la difesa dello Stato ha chiesto che ne venga dichiarata  la
non fondatezza, per le ragioni esposte  con  riferimento  al  secondo
giudizio promosso dalla Regione Veneto (reg. ric. n. 25 del 2009). 
    7.4.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  Toscana  ha
depositato una memoria illustrativa  unica  per  i  due  ricorsi.  Ad
avviso della ricorrente, le norme impugnate non sono applicabili alle
regioni,  per  il  rispetto  della  loro  autonomia  organizzativa  e
finanziaria.   Nel    rispondere    alle    argomentazioni    dedotte
dall'Avvocatura generale dello Stato nell'atto  di  costituzione,  la
regione sottolinea di non aver  mai  contestato  che  la  percentuale
dell'incentivo di progettazione sia determinata dallo Stato, al  fine
di garantire una uniformita' di trattamento tra  tutti  i  dipendenti
pubblici.  La  regione  contesta,  invece,  il   fatto   che,   sulla
percentuale del 2 per cento, la norma impugnata imponga «un limite di
utilizzabilita', perche' l'1,5 per cento deve necessariamente restare
nel  capitolo  di  bilancio»  regionale.   Sarebbe   percio'   lesivo
dell'autonomia organizzativa delle  regioni  non  poter  usare  somme
stanziate per gli incentivi. Ove riferito anche alle regioni, quindi,
«l'obbligo di articolare l'incentivo del 2 per  cento  in  due  parti
dando lo 0,5 per cento per la progettazione svolta  internamente  dal
personale regionale e trattenendo  l'1,5  per  cento,  determina  una
violazione dell'art. 117 Cost. per  interferenza  con  le  competenze
delle  regioni  in  tema  di  organizzazione  amministrativa   e   di
disciplina del  personale».  Secondo  la  ricorrente,  in  base  alla
giurisprudenza costituzionale, la compressione degli spazi entro  cui
possono esercitarsi le competenze  legislative  e  amministrative  di
regioni e province autonome, specialmente in tema di organizzazione e
personale, potrebbe derivare soltanto da  un  intervento  legislativo
statale diretto a  stabilire  principi  fondamentali  in  materia  di
coordinamento della finanza  pubblica.  Ma  le  norme  impugnate,  ad
avviso della regione, non hanno la natura di principio  fondamentale,
poiche'  «non  pongono  obiettivi  di  riequilibrio   della   finanza
pubblica, ne' criteri e obiettivi cui dovra' attenersi la regione, ma
contengono  un   precetto   puntuale,   dettagliato,   immediatamente
applicabile, che individua una specifica voce di spesa  del  bilancio
regionale da limitare». 
    8. - La Regione Valle d'Aosta ha impugnato il comma 17  dell'art.
61, lamentando la violazione dell'art. 48-bis della legge cost. n.  4
del 1948 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), per  contrasto  con
la norma interposta di cui al  d.lgs.  n.  282  del  2000  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale  della  Regione  Valle  d'Aosta  in
materia di potesta' legislativa regionale inerente  il  finanziamento
dell'universita' e  l'edilizia  universitaria),  nonche'  la  lesione
dell'autonomia finanziaria e legislativa della Regione e dei principi
di leale collaborazione e di ragionevolezza. 
    8.1.  -  Premette  la  regione   ricorrente   che,   nel   recare
disposizioni di  attuazione  dello  Statuto  speciale  per  la  Valle
d'Aosta, adottate seguendo il particolare procedimento previsto dallo
statuto stesso, il d.lgs. n. 282 del 2000 ha attribuito alla  Regione
Valle d'Aosta la potesta' legislativa e amministrativa in materia  di
finanziamento dell'Ateneo di cui al  comma  120  dell'art.  17  della
legge 15 maggio 1997, n.  127  (Misure  urgenti  per  lo  snellimento
dell'attivita' amministrativa e dei procedimenti di  decisione  e  di
controllo), cioe' l'Universita' della Valle d'Aosta. In tale  quadro,
la ricorrente afferma che il comma 17 dell'art. 61, «nel prevedere il
versamento ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato
delle  somme  provenienti  dalle  riduzioni  di  spesa  disposte  dal
medesimo articolo, ove  ritenuto  applicabile  all'Universita'  della
Valle  d'Aosta,  risulta  lesivo  delle  competenze   legislative   e
amministrative in materia  di  finanziamento  all'Ateneo  valdostano,
attribuite alla Regione Valle d'Aosta dal d.lgs. n. 282 del  2000  in
attuazione  dell'art.  48-bis  dello  Statuto  speciale  valdostano».
Ritiene infatti la regione ricorrente che la disposizione  censurata,
nella parte in cui non esclude dal  proprio  ambito  di  applicazione
l'Universita' della  Valle  d'Aosta,  contrasti  con  un  decreto  di
attuazione dello statuto speciale valdostano, che  «non  puo'  essere
derogato o tacitamente abrogato da una legge ordinaria dello Stato  o
da un atto ad essa equiparato che sia  adottato  senza  osservare  il
peculiare procedimento previsto dall'art. 48-bis dello  Statuto».  Ne
deriva  la  violazione  di  quest'ultima  disposizione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    Osserva  inoltre  la   regione   ricorrente   che,   essendo   il
finanziamento dell'Universita' valdostana  prevalentemente  a  carico
del bilancio regionale, l'applicazione della  disposizione  censurata
avrebbe l'effetto di «trasformare le riduzioni di spesa o le maggiori
entrate  dell'Ateneo  valdostano  [...]   in   un   irragionevole   e
illegittimo trasferimento di risorse economiche  dalla  regione  allo
Stato». Cio' lederebbe l'autonomia legislativa  e  finanziaria  della
regione, nonche' il principio di ragionevolezza, traducendosi appunto
in  una  «irragionevole  sanzione  nei   confronti   del   principale
finanziatore [...] di un ente [...] con un  bilancio  in  attivo,  in
ragione di una sana ed efficiente gestione economico-finanziaria». 
    8.2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
dichiarata non fondata. La difesa erariale precisa che  l'Universita'
della Valle d'Aosta, unitamente ad  altre  universita'  non  statali,
risulta finanziata dal Ministero dell'istruzione, dell'universita'  e
della ricerca ed  e'  ricompresa  nell'ambito  delle  amministrazioni
pubbliche di cui al conto economico consolidato annualmente elaborato
dall'ISTAT. Ne deriva, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, che
la disposizione censurata non  e'  lesiva  dell'autonomia  statutaria
della  regione  ricorrente,  in  quanto  l'Universita'  della   Valle
d'Aosta,  risultando  inclusa  nel   novero   delle   amministrazioni
pubbliche   del   conto   economico   consolidato,   e'    sottoposta
all'applicazione della norma censurata. 
    9. - La Regione Calabria  ha  impugnato,  chiedendone  la  previa
sospensione, l'art. 61, con censure riferite specificamente ai  commi
14, 16, 19, 20, lettera b), e 21, per  violazione  degli  artt.  117,
terzo  comma,  e  119  Cost.,  nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione. 
    9.1. - La ricorrente censura la complessiva disciplina risultante
dai predetti commi dell'art.  61,  la  quale,  da  un  lato,  prevede
l'abolizione  della  quota  di  partecipazione  al   costo   per   le
prestazioni di  assistenza  specialistica  ambulatoriale  (cosiddetto
ticket) e, dall'altro lato, dispone che, ai fini della copertura  dei
relativi oneri finanziari, le regioni adottino misure  di  incremento
dell'efficienza e razionalizzazione della spesa, fra  cui  quelle  di
cui ai commi 14 e 16, ovvero, in alternativa, introducano,  in  forma
integrale o ridotta, il ticket abolito dal comma 19 o altre forme  di
partecipazione dei cittadini  alla  spesa  sanitaria  di  equivalente
effetto finanziario. 
    Ad avviso della regione,  tale  disciplina  attiene,  in  maniera
trasversale,  alle  materie  della  tutela   della   salute   e   del
coordinamento  della  finanza  pubblica,  entrambe  rientranti  nella
potesta' legislativa concorrente di cui all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. In tali materie, quindi, il legislatore statale deve  limitarsi
alla definizione  dei  principi  fondamentali  della  materia,  senza
invece dettare, come secondo la ricorrente  avverrebbe  nel  caso  in
esame - in particolare  ad  opera  dei  commi  14,  16,  20  e  21  -
«disposizioni puntuali e di dettaglio», che producono  una  invasione
della competenza legislativa regionale asseritamente acuita, anziche'
ridimensionata, dalla previsione di una serie di  misure  alternative
rimesse alla scelta della regione. 
    In secondo luogo, la regione ritiene che la disciplina  censurata
leda l'autonomia finanziaria regionale sancita  dall'art.  119  Cost.
L'abolizione del ticket, prevista dal comma 19, e le gia'  menzionate
disposizioni (commi  14,  16,  20  e  21)  che  fissano  «in  maniera
estremamente e irragionevolmente puntuale le misure  finanziarie  per
il  reperimento  delle  risorse  sostitutive»  di   tale   fonte   di
finanziamento,  concreterebbero  infatti  una   «evidente   invasione
dell'autonomia finanziaria regionale». 
    Infine, secondo la regione ricorrente,  la  disciplina  impugnata
violerebbe anche il principio di leale collaborazione, che impone  la
predisposizione di meccanismi di confronto fra Stato  e  regioni.  In
particolare, la ricorrente richiama la sentenza n. 203 del 2008,  con
la quale  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato  non  fondata  la
questione di legittimita' costituzionale della norma introduttiva del
ticket ora abolito, nel presupposto che tale disposizione fosse stata
preceduta, con il cosiddetto patto per la salute, da una  intesa  fra
Stato e regioni, con conseguente osservanza del  principio  di  leale
collaborazione. Ritiene pertanto la Regione Calabria che, cosi'  come
l'introduzione del ticket e'  stata  considerata  legittima  solo  in
ragione della previa intesa fra Stato e regioni, allo stesso modo una
simile  intesa   deve   considerarsi   condizione   di   legittimita'
costituzionale di norme  che  aboliscono,  o  comunque  «incidono  in
radice»,   sul   ticket   stesso.   Ne   consegue    l'illegittimita'
costituzionale della disciplina censurata, e in particolare dei commi
dal 19 al 21 e di quelli  da  essi  richiamati,  per  violazione  del
principio di leale collaborazione. Aggiunge inoltre  la  Regione  che
per effetto delle disposizioni impugnate, in base alle  quali  alcune
regioni potrebbero abolire il ticket facendo ricorso alle  misure  di
razionalizzazione  della  spesa  indicate  dal  legislatore  statale,
mentre altre regioni potrebbero reintrodurre il  ticket  con  propria
determinazione, si verrebbe a creare una «disomogeneita', da  regione
a  regione,  del  regime  di  compartecipazione  economica   per   le
prestazioni  di   assistenza   specialistica   ambulatoriale».   Cio'
rappresenterebbe una situazione opposta a quella che  ha  indotto  la
Corte costituzionale, con la citata  sentenza  n.  203  del  2008,  a
dichiarare  la  non  fondatezza  della  questione   di   legittimita'
costituzionale della norma che ha introdotto il ticket. 
    9.2. - Si e'  costituita  in  giudizio,  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato,  chiedendo
che la questione di legittimita' costituzionale  sia  dichiarata  non
fondata.  Secondo  il  resistente,  l'impianto  normativo   censurato
consente  in  realta'  alle  regioni  di   esercitare   la   «massima
flessibilita' di intervento», potendo ciascuna  Regione  decidere  di
«dosare varie leve disponibili» (diverse  tipologie  di  risparmi  di
spesa o reintroduzione del ticket), «a seconda  delle  politiche  che
riterra' piu' opportuno attuare sul proprio  territorio».  Ad  avviso
della difesa erariale, lo Stato non  avrebbe  in  alcun  modo  invaso
spazi di autonomia regionale costituzionalmente garantiti. 
    9.3. - In prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato una memoria a  completamento  e  integrazione  di
quanto  sostenuto  nell'atto  di   costituzione,   insistendo   circa
l'inammissibilita' o comunque la non  fondatezza  del  ricorso  della
Regione Calabria. La difesa erariale,  in  particolare,  sostiene  le
medesime  argomentazioni  dedotte  nelle  memorie  presentate  per  i
giudizi promossi dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Veneto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Le  Regioni  Piemonte  (reg.  ric.  n.   67   del   2008),
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto (reg.  ric.  n.  70
del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008),  Valle  d'Aosta  (reg.
ric. n. 84 del 2008) e Calabria (reg. ric. n. 86 del  2008),  nonche'
la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 71 del 2008), impugnano
i commi 8, 9, 14, 15, primo periodo, 16, 17, 19, 20, lettera b), e 21
dell'art. 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133  (d'ora  in  avanti,  «art.  61»).  La  Regione
Calabria ha altresi'  chiesto  la  sospensione  dell'efficacia  delle
disposizioni impugnate, ai sensi dell'art. 35 della  legge  11  marzo
1953, n. 87, come sostituito dall'art. 9,  comma  4,  della  legge  5
giugno 2003, n. 131. Le Regioni  Toscana  e  Veneto,  con  successivi
ricorsi (reg. ric. rispettivamente n. 23 e n. 25 del 2009)  censurano
inoltre l'art. 18, comma  4-sexies,  del  decreto-legge  29  novembre
2008, n. 185 (Misure urgenti per  il  sostegno  a  famiglie,  lavoro,
occupazione e impresa e per ridisegnare  in  funzione  anti-crisi  il
quadro strategico nazionale), introdotto in sede di conversione dalla
legge 28 gennaio 2009, n. 2, che a sua volta  ha  inserito  il  comma
7-bis nel testo  dell'art.  61  (d'ora  in  avanti,  la  disposizione
censurata con i reg. ric. nn. 23 e  25  del  2009  e'  sinteticamente
indicata come «comma 7-bis dell'art. 61»). 
    La trattazione delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
relative alle suddette disposizioni  viene  qui  separata  da  quella
delle altre questioni, promosse con i medesimi  ricorsi,  che  devono
essere riservate ad altre pronunce. 
    I giudizi, cosi' separati e delimitati, in  considerazione  della
loro connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere  decisi
con un'unica pronuncia. 
    2. - Cio' premesso, ai fini dell'ordine della  loro  trattazione,
le censure proposte  dalle  ricorrenti  vanno  suddivise  in  quattro
gruppi, in ragione della omogeneita' e  della  reciproca  connessione
delle norme cui esse si  riferiscono.  Il  primo  gruppo  include  le
censure relative ai commi 7-bis, 8 e 9 dell'art. 61,  proposte  dalle
Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e  Toscana.  Il  secondo  e'
dato dalle  censure  prospettate  dalla  Regione  Valle  d'Aosta  con
riferimento al comma 17 dell'art. 61. Il  terzo  gruppo  riguarda  le
censure relative ai commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21  dell'art.
61, prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna, Veneto e  Calabria.  Il
quarto, infine, si riferisce alle censure prospettate dalla Provincia
autonoma di Trento relativamente ai commi 14 e 15 dell'art. 61. 
    3. - Le Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana  hanno
impugnato i commi 7-bis, 8 e 9 dell'art. 61, deducendo la  violazione
degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.,  nonche'  del  principio  di
leale collaborazione. 
    3.1. - Va premesso che le disposizioni  censurate  si  inquadrano
nel contesto di una manovra di risanamento della finanza pubblica  di
ampio respiro, imperniata sull'applicazione  di  numerose  misure  di
contenimento della spesa  corrente,  fra  cui  sono  da  comprendersi
quelle imposte dall'art. 61 a  carico  di  tutte  le  amministrazioni
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione. In questo quadro, le norme impugnate concorrono alla
realizzazione   dei   predetti   obiettivi    di    contenimento    e
razionalizzazione della spesa, imponendo una  riduzione  delle  somme
che, in aggiunta alla retribuzione, sono  corrisposte,  a  titolo  di
incentivo o di compenso, a talune particolari categorie di dipendenti
pubblici, per lo svolgimento di specifiche attivita'. 
    In  particolare,  il  comma   8   dell'art.   61   si   riferisce
all'incentivo, «non superiore al due per cento dell'importo  posto  a
base di gara di un'opera o di un lavoro», che, ai sensi dell'art. 92,
comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture   in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), «e' ripartit[o],
per ogni singola opera  o  lavoro,  con  le  modalita'  e  i  criteri
previsti in  sede  di  contrattazione  decentrata  e  assunti  in  un
regolamento adottato dall'amministrazione, tra  il  responsabile  del
procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano
della sicurezza, della direzione dei lavori,  del  collaudo,  nonche'
tra i loro collaboratori». Il  censurato  comma  8  dell'art.  61,  a
decorrere  dal  1°  gennaio  2009,  ha  ridotto   tale   percentuale,
disponendo che essa possa essere destinata solo  nella  misura  dello
0,5 per cento alla finalita' di incentivo  prevista  dal  codice  dei
contratti pubblici, dovendo invece, nella misura dell'1,5 per  cento,
essere «versata ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio  dello
Stato».  Il  legislatore  ha  in  seguito  abrogato  la  disposizione
impugnata  (con  l'art.  1,  comma   10-quater,   lettera   b),   del
decreto-legge n. 162 del 2008), salvo  reintrodurre,  in  un  momento
ancora successivo (con l'art. 18, comma 4-sexies,  del  decreto-legge
n. 185 del 2008), una disposizione identica a quella abrogata, che e'
attualmente contenuta nel vigente comma 7-bis dell'art. 61. 
    Il comma 9 dell'art. 61 riguarda, invece, i compensi spettanti ai
dipendenti pubblici per arbitrati o collaudi. La  norma  dispone  che
sia versato direttamente ad  apposito  capitolo  del  bilancio  dello
Stato il 50 per cento dei compensi spettanti ai  dipendenti  pubblici
per l'attivita' di componente o di segretario del collegio  arbitrale
e per i collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di  lavori,
servizi e forniture. La disposizione precisa che il predetto  importo
e' riassegnato al fondo di amministrazione per il  finanziamento  del
trattamento  economico  accessorio  dei  dirigenti  ovvero  ai  fondi
perequativi istituiti dagli organi di autogoverno  del  personale  di
magistratura e dell'Avvocatura generale dello Stato ove esistenti. 
    3.2. - Deve essere innanzitutto dichiarata cessata la materia del
contendere con riguardo alle censure proposte, in relazione al  comma
8 dell'art. 61, dalle Regioni  Piemonte  ed  Emilia-Romagna,  nonche'
dalle  Regioni  Veneto  e   Toscana.   La   disposizione   censurata,
applicabile «a decorrere dal  1°  gennaio  2009»,  e'  stata  infatti
abrogata prima che essa potesse esplicare  alcun  effetto.  Ne'  puo'
disporsi,  in  ragione  dell'intervallo  di   tempo   trascorso   fra
l'abrogazione della norma impugnata  (comma  8  dell'art.  61)  e  la
successiva  introduzione  di  diversa  disposizione   dal   contenuto
identico (comma 7-bis dell'art. 61), il trasferimento  sulla  seconda
delle censure proposte dalle ricorrenti con riferimento alla prima. 
    3.3. - Le  Regioni  Toscana  e  Veneto  hanno  proposto  autonome
questioni di legittimita'  costituzionale  riferite  al  comma  7-bis
dell'art. 61. 
    Entrambe le  ricorrenti  deducono,  innanzitutto,  la  violazione
dell'art. 117 Cost. Esse ritengono che le disposizioni censurate, ove
dovessero ritenersi  applicabili  anche  agli  incentivi  corrisposti
dalle regioni ai propri  dipendenti,  interverrebbero  in  un  ambito
materiale riservato alle regioni, perche' relativo all'organizzazione
amministrativa regionale (Regione Toscana), o perche', comunque,  non
riconducibile ad alcuna delle materie di cui  all'art.  117,  secondo
comma, Cost.,  senza,  peraltro,  che  la  disciplina  impugnata,  in
ragione del suo carattere dettagliato,  possa  ritenersi  espressione
della potesta' legislativa statale di dettare  principi  fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica (Regione Veneto). 
    La Regione Veneto, sempre nell'ipotesi in cui le norme  impugnate
si  ritenessero  applicabili  alle  regioni,  lamenta,  inoltre,   la
violazione dell'art.  119  Cost.  L'autonomia  finanziaria  regionale
risulterebbe lesa perche'  il  legislatore  statale  avrebbe  imposto
«vincoli puntuali e significativi alle  voci  di  spesa  dei  bilanci
regionali» e, soprattutto, avrebbe disposto «unilateralmente  che  le
risorse intercettate dalle norme confluiscano nel bilancio statale». 
    La Regione Veneto deduce, ancora, la  violazione  degli  artt.  3
(sotto il profilo della ragionevolezza), 97 e 118  Cost.,  in  quanto
l'eccessiva  riduzione   dell'importo   corrisposto   al   dipendente
finirebbe  per  negare  la  stessa   finalita'   incentivante   dello
strumento,          comprimendo          anche           «l'autonomia
organizzativo-amministrativa»  delle  regioni  e  «turbando  il  buon
andamento della pubblica amministrazione». 
    Infine, secondo  la  Regione  Veneto  sarebbe  altresi'  leso  il
principio di leale collaborazione,  in  quanto,  «in  un  ambito  non
esclusivamente devoluto alla competenza esclusiva statale,  [sarebbe]
mancato il coinvolgimento delle Regioni sia al momento di  introdurre
l'innovazione legislativa, sia in ordine  alla  programmazione  della
determinazione  della  destinazione  delle   risorse   sottratte   ai
corrispettivi e agli incentivi di programmazione». 
    3.3.1. - Le questioni di legittimita'  costituzionale  del  comma
7-bis dell'art. 61, proposte dalla Regione Veneto in  relazione  agli
artt. 3, 97 e 118 Cost., sono inammissibili. 
    Quanto  alla  violazione  dell'art.  118  Cost.,  la  censura  e'
motivata in modo del tutto  generico,  non  indicando  la  ricorrente
quali competenze amministrative  regionali  risulterebbero  lese  per
effetto della disposizione censurata. 
    Quanto alle  censure  riferite  agli  artt.  3  e  97  Cost.,  la
ricorrente non adduce una sufficiente motivazione circa  il  modo  in
cui l'asserita violazione di tali parametri costituzionali ridondi in
una lesione delle proprie competenze  legislative,  amministrative  o
finanziarie (sentenze nn. 233, 234, 249 e 254 del 2009). 
    3.3.2. - La questione di legittimita'  costituzionale  del  comma
7-bis dell'art.  61,  proposta  dalla  Regione  Veneto  in  relazione
all'art. 119 Cost., non e' fondata. 
    Va preliminarmente ricordato che la Regione Veneto ha prospettato
la censura in esame a titolo cautelativo, per  l'ipotesi  in  cui  la
disposizione  dovesse  ritenersi  applicabile  anche  agli  incentivi
corrisposti  dalle  regioni  ai  propri  dipendenti,   specificamente
lamentando, in tal caso, che  le  risorse  regionali  alle  quali  fa
riferimento la norma impugnata confluiscano nel bilancio statale.  In
realta', il comma 7-bis dell'art. 61 deve  essere  interpretato  alla
luce  del  successivo  comma  17  del  medesimo  articolo.  La  prima
disposizione stabilisce, infatti, che la somma pari all'1,5 per cento
della  percentuale  prevista  dall'art.  92,  comma  5,  del  decreto
legislativo n. 163 del 2006, deve essere versata ad apposito capitolo
del bilancio statale «per essere destinata al fondo di cui  al  comma
17» dello stesso articolo, il quale, tuttavia, precisa che  l'obbligo
del versamento ad apposito capitolo del bilancio dello Stato «non  si
applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o
delle  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  del  Servizio
sanitario nazionale». Alla  luce  di  tale  disciplina,  deve  quindi
ritenersi che la disposizione censurata sia  applicabile  anche  agli
enti territoriali nella parte in cui prevede la riduzione dal  2  per
cento allo 0,5 per cento dell'incentivo che puo'  essere  corrisposto
ai dipendenti ai sensi dell'art. 92, comma 5, del decreto legislativo
n. 163 del 2006, ma deve escludersi che  essa  sia  applicabile  agli
enti territoriali nella parte in cui impone l'obbligo di  versare  ad
apposito capitolo del bilancio dello  Stato  le  riduzioni  di  spesa
derivanti da tale misura  (cioe'  l'1,5  per  cento).  Pertanto,  non
risultando applicabile alle Regioni l'obbligo di versare  allo  Stato
le somme non piu' dovute ai  dipendenti  regionali,  non  si  produce
l'effetto lesivo dell'autonomia finanziaria regionale paventato dalle
ricorrenti, consistente nella acquisizione al bilancio dello Stato di
risorse regionali dirette a compensare attivita' svolte da dipendenti
regionali. 
    3.3.3. - Le questioni di legittimita'  costituzionale  del  comma
7-bis dell'art. 61,  proposte  dalle  Regioni  Toscana  e  Veneto  in
relazione all'art. 117 Cost., non sono fondate. 
    Va preliminarmente osservato  che  l'interpretazione  piu'  sopra
prospettata,  secondo  la  quale  non  e'  applicabile  alle  regioni
l'obbligo di versare al bilancio  statale  le  somme  risparmiate  in
virtu' della disposizione  censurata,  esclude  l'effetto  lesivo  di
quest'ultima con riferimento all'autonomia finanziaria delle Regioni,
ma non con riferimento alla loro autonomia legislativa,  dal  momento
che la riduzione dell'incentivo, disposta dalla norma  impugnata,  si
applica indubbiamente anche ai dipendenti regionali. 
    Occorre, pertanto, verificare se il  comma  7-bis  dell'art.  61,
nella parte in cui si applica  ai  dipendenti  regionali,  intervenga
effettivamente in materia di organizzazione amministrativa  regionale
o, comunque, in un ambito materiale rimesso alla potesta' legislativa
esclusiva o concorrente delle regioni. 
    Questa  tesi,  sostenuta  dalle  ricorrenti,  non   puo'   essere
condivisa. 
    I trattamenti economici  incentivanti  oggetto  della  disciplina
censurata si riferiscono,  infatti,  allo  svolgimento  di  attivita'
disciplinate dal codice dei contratti pubblici,  alcune  delle  quali
(in  particolare,  direzione  dei  lavori  e  collaudo)  sono   state
ricondotte da questa Corte  alla  fase  di  esecuzione  del  rapporto
contrattuale e, quindi, alla materia «ordinamento  civile»  (sentenza
n. 401 del 2007, in particolare nn. 6.8. e 23.2. del  Considerato  in
diritto). Ne' pare convincente l'argomento sviluppato  nella  memoria
della Regione Toscana, la quale,  per  un  verso,  riconosce  che  la
percentuale dell'incentivo in questione debba  essere  fissata  dallo
Stato, ma, per altro verso, contesta il fatto che, sulla  percentuale
del  2  per  cento,  la  norma  impugnata  imponga  «un   limite   di
utilizzabilita', perche' l'1,5 per cento deve necessariamente restare
nel capitolo di bilancio» regionale. In realta', per le  regioni,  le
quali non sono tenute a  versare  la  quota  dell'1,5  per  cento  al
bilancio statale, l'effetto prodotto dalla disposizione censurata  e'
sostanzialmente identico a quello che si sarebbe determinato  qualora
lo Stato, esercitando un potere che la stessa Regione Toscana ad esso
riconosce, avesse semplicemente  ridefinito  la  percentuale  massima
dell'incentivo in questione, fissandola nella misura  dello  0,5  per
cento. Per tali ragioni, devono ritenersi non fondate le questioni di
legittimita' costituzionale del comma 7-bis dell'art. 61 proposte, in
relazione all'art. 117 Cost., dalle Regioni Toscana e Veneto. 
    3.3.4. - Da cio' deriva anche la non fondatezza  della  questione
di legittimita' costituzionale del comma 7-bis dell'art. 61, proposta
dalla  Regione  Veneto   in   relazione   al   principio   di   leale
collaborazione.  Tale  principio  non  puo'   trovare   applicazione,
infatti, in un ambito che risulta rimesso alla  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. 
    3.4.  -  Le  Regioni  Piemonte,  Emilia-Romagna  e  Veneto  hanno
proposto  questioni  di  legittimita'  costituzionale  del  comma   9
dell'art. 61, deducendo la violazione degli artt.  117  (Piemonte)  e
119  Cost.  (Piemonte,   Emilia-Romagna   e   Veneto).   Quanto,   in
particolare,   all'asserita   lesione   dell'autonomia    finanziaria
regionale, secondo le ricorrenti la  disposizione  censurata,  sempre
ove ritenuta applicabile alle somme spettanti ai dipendenti  pubblici
regionali per attivita' da questi svolte nell'ambito di un  arbitrato
o di un collaudo, avrebbe imposto «vincoli puntuali  e  significativi
alle voci di spesa dei bilanci  regionali»  e,  soprattutto,  avrebbe
disposto «unilateralmente che le  risorse  intercettate  dalle  norme
confluiscano nel bilancio  statale»  (Regione  Veneto),  «consentendo
allo Stato di acquisire al proprio bilancio  risorse  che  provengono
dalla regione e che sono dirette a  compensare  attivita'  svolte  da
dipendenti regionali per conto della regione e in sostituzione  della
loro normale attivita' lavorativa» (Regione Emilia-Romagna). 
    3.4.1. - Le questioni di legittimita' costituzionale del comma  9
dell'art. 61, proposte dalla Regione Piemonte  con  riferimento  agli
artt. 117 e 119  Cost.  sono  inammissibili,  perche'  generiche.  La
ricorrente si limita infatti a riportare il testo della  disposizione
denunciata e  ad  indicare  i  parametri  asseritamente  lesi,  senza
esplicitare  alcuna   argomentazione   a   sostegno   dell'ipotizzata
illegittimita' costituzionale. 
    3.4.2. - Le questioni di legittimita' costituzionale del comma  9
dell'art. 61, proposte dalle  Regioni  Emilia-Romagna  e  Veneto  con
riferimento all'art. 119 Cost., non sono fondate. 
    Come in precedenza chiarito (al paragrafo  3.3.2),  il  comma  17
dell'art. 61 stabilisce che l'obbligo di versare  al  bilancio  dello
Stato le somme provenienti dalle riduzioni di  spesa  previste  dalle
disposizioni del medesimo articolo, fra le quali e'  da  comprendersi
anche quella di cui al censurato comma 9, non si  applica  agli  enti
territoriali. Conseguentemente, deve anche in questo  caso,  come  in
quello relativo al comma 7-bis dell'art. 61, escludersi che la  norma
impugnata  abbia  effetto  lesivo  dell'autonomia  finanziaria  delle
ricorrenti. 
    4. - La Regione Valle d'Aosta ha impugnato il comma 17  dell'art.
61, per l'ipotesi in cui esso  dovesse  interpretarsi  nel  senso  di
imporre  anche  all'Universita'  della  Valle  d'Aosta  l'obbligo  di
versare   al   bilancio   dello   Stato    le    somme    provenienti
dall'applicazione delle misure di contenimento della  spesa  previste
dal medesimo art. 61. 
    Secondo la ricorrente,  cio'  rappresenterebbe  innanzitutto  una
violazione delle competenze legislative e amministrative  in  materia
di finanziamento dell'Ateneo valdostano,  che  sono  attribuite  alla
Regione  Valle  d'Aosta  dall'art.  1  del  decreto  legislativo   21
settembre 2000, n. 282 (Norme di attuazione  dello  statuto  speciale
della Regione  Valle  d'Aosta  in  materia  di  potesta'  legislativa
regionale inerente il  finanziamento  dell'universita'  e  l'edilizia
universitaria), il quale e' stato adottato, in applicazione dell'art.
17, comma 121, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per
lo snellimento dell'attivita' amministrativa e  dei  procedimenti  di
decisione e di controllo)  in  base  al  procedimento  previsto,  per
l'emanazione delle  norme  di  attuazione  dello  statuto,  dall'art.
48-bis della legge costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  4  (Statuto
speciale  per  la  Valle  d'Aosta).  La  norma  censurata,  pertanto,
intervenendo  in  un  ambito  materiale   (finanziamento   all'ateneo
valdostano) che spetta alla Regione Valle d'Aosta in  virtu'  di  una
disposizione attuativa dello statuto, violerebbe, per il  tramite  di
tale norma interposta, l'art. 48-bis dello  statuto  stesso.  Sarebbe
poi  leso,  ad  avviso  della  ricorrente,  il  principio  di   leale
collaborazione,  in  quanto  la  disposizione  censurata  inciderebbe
«negativamente sul finanziamento dell'Ateneo valdostano, senza  alcun
coinvolgimento della Regione Valle d'Aosta».  La  ricorrente  deduce,
infine,  la  lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  e   del
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., dal momento  che
l'applicazione della  norma  censurata  all'Universita'  della  Valle
d'Aosta,  che  e'  prevalentemente  finanziata  dalla   regione,   si
tradurrebbe «in  un  irragionevole  e  illegittimo  trasferimento  di
risorse economiche dalla regione allo Stato». 
    Le questioni sono fondate. 
    Le censure prospettate dalla ricorrente devono  essere  esaminate
alla luce del peculiare regime giuridico dell'Universita' della Valle
d'Aosta, la cui intera disciplina e' connotata da forme di  intesa  e
collaborazione fra Stato e Regione  Valle  d'Aosta,  con  particolare
riguardo al finanziamento dell'ateneo. L'art. 17, commi  120  e  121,
della legge n. 127 del 1997, nel consentire nel territorio valdostano
l'istituzione di una universita' non statale promossa  o  gestita  da
enti e da privati, ha infatti dettato una  disciplina  in  base  alla
quale:  a)  l'autorizzazione  al  rilascio  di   titoli   di   studio
universitari aventi valore legale e' concessa  all'Universita'  della
Valle d'Aosta con  decreto  del  Ministro  dell'universita'  e  della
ricerca scientifica e  tecnologica,  previa  intesa  con  la  Regione
autonoma della Valle  d'Aosta;  b)  i  contributi  dello  Stato  sono
determinati annualmente con decreto del Ministro  dell'universita'  e
della ricerca scientifica e tecnologica, previa intesa con la Regione
autonoma della Valle d'Aosta; c) la potesta' legislativa  in  materia
di finanziamento all'ateneo valdostano  e'  attribuita  alla  Regione
Valle d'Aosta «ai sensi dell'articolo 48-bis dello  statuto  speciale
per la Valle d'Aosta»,  cioe'  mediante  un  decreto  legislativo  di
attuazione dello Statuto stesso, il cui schema e' «elaborat[o] da una
commissione   paritetica   composta   da   sei    membri    nominati,
rispettivamente, tre dal Governo e tre dal Consiglio regionale  della
Valle d'Aosta e [e'] sottopost[o] al parere  del  consiglio  stesso».
Secondo tale procedimento e' stato approvato il  d.lgs.  n.  282  del
2000, in base all'art. 1 del quale «la Regione autonoma Valle d'Aosta
emana norme legislative in materia di finanziamento» dell'Universita'
della Valle d'Aosta. 
    In   questo   quadro,   la   disposizione    censurata    dispone
unilateralmente, e senza alcuna forma di coinvolgimento della Regione
Valle  d'Aosta,  l'acquisizione  al   bilancio   statale   di   somme
provenienti  dall'applicazione  di  misure  di  contenimento  che  si
riferiscono a voci di spesa che sono  finanziate  anche  con  risorse
poste a  carico  del  bilancio  regionale.  In  tal  modo,  la  norma
impugnata, da un lato, viola il principio di leale collaborazione, e,
dall'altro  lato,  lede  la  potesta'  legislativa  in   materia   di
finanziamento  dell'ateneo  che  e'  attribuita  alla  Regione  Valle
d'Aosta da un decreto di attuazione dello statuto,  cui  la  costante
giurisprudenza di questa Corte riconosce forza prevalente  su  quella
delle leggi ordinarie (sentenze nn. 159 e 132 del 2009,  n.  341  del
2001, n. 212 del 1994 e n. 20 del 1956).  Deve  pertanto  dichiararsi
l'illegittimita' costituzionale del  comma  17  dell'art.  61,  nella
parte in cui si applica all'Universita' della Valle d'Aosta. 
    5. - Le Regioni Emilia-Romagna, Veneto e Calabria hanno impugnato
i commi 14, 16, 19, 20, lettera b), e 21 dell'art. 61,  deducendo  la
violazione degli artt. 117 e 119  Cost.,  nonche'  del  principio  di
leale collaborazione. In particolare, la  Regione  Emilia-Romagna  ha
impugnato i commi  14  e  16  dell'art.  61,  per  ciascuno  di  essi
prospettando la violazione degli artt. 117 e 119  Cost.;  ha  inoltre
censurato il comma 20,  lettera  b),  dell'art.  61,  per  violazione
dell'art. 119 Cost.; ha infine impugnato il comma  21  dell'art.  61,
per  violazione  dell'art.  119  Cost.  e  del  principio  di   leale
collaborazione. La Regione Veneto ha censurato i commi  14,  19,  20,
lettera b), e 21, per ciascuno di essi deducendo la violazione  degli
artt. 117 e 119 Cost. La Regione Calabria ha impugnato  i  commi  14,
16, 19, 20, lettera b), e 21 dell'art. 61, in ordine  a  ciascuno  di
essi lamentando la lesione degli artt. 117 e 119 Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    5.1. - L'analisi delle censure prospettate dalle ricorrenti  deve
essere preceduta da una sintetica ricostruzione del quadro normativo. 
    Le disposizioni impugnate  sono  infatti  strettamente  collegate
l'una all'altra e, nel loro complesso, sono dirette a  realizzare  un
unico risultato. Esse  mirano  a  consentire  alle  regioni,  con  il
concorso finanziario dello  Stato,  di  abolire,  a  beneficio  degli
utenti  dei  rispettivi  servizi  sanitari  regionali,  la  quota  di
partecipazione  al   costo   per   le   prestazioni   di   assistenza
specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esentati (d'ora  in
avanti «ticket»), prevista dall'art. 1, comma 796, lettera p),  primo
periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2007). Ai fini  della  copertura  degli  oneri  derivanti
dall'abolizione del ticket (disposta, per  gli  anni  2009-2011,  dal
comma 19 dell'art. 61), il legislatore, per un verso,  incrementa  di
una quota pari a 400 milioni di euro su base  annua  il  livello  del
finanziamento del Servizio sanitario  nazionale  al  quale  lo  Stato
concorre ordinariamente (art. 61, comma 20, lettera a),  mentre,  per
altro  verso,  dispone  che  la  parte  residuale   della   copertura
dell'abolizione del ticket debba essere assicurata dalle Regioni,  le
quali possono, a tal fine, ricorrere a diversi strumenti. 
    In primo luogo, in base al comma 20, lettera b),  numero  1),  le
regioni «destinano, ciascuna al proprio servizio sanitario regionale,
le risorse provenienti dalle disposizioni di cui ai commi  14  e  16»
dell'art. 61: in particolare, il comma 14 prevede una  riduzione  del
20 per cento dei trattamenti economici  di  dirigenti  e  sindaci  di
strutture sanitarie, mentre il comma 16 prevede l'adozione di  misure
normative o amministrative «finalizzate ad  assicurare  la  riduzione
degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi»
(«con particolare riferimento  alla  diminuzione  dell'ammontare  dei
compensi   e   delle   indennita'   dei   componenti   degli   organi
rappresentativi e del numero  di  questi  ultimi,  alla  soppressione
degli enti inutili,  alla  fusione  delle  societa'  partecipate,  al
ridimensionamento delle strutture organizzative  ed  all'adozione  di
misure analoghe a quelle previste nel presente articolo»). In secondo
luogo, in base al  comma  20,  lettera  b),  numero  2),  le  regioni
«adottano  ulteriori  misure  di  incremento  dell'efficienza  e   di
razionalizzazione  della  spesa».  Infine,  la  disciplina  censurata
prevede anche che le Regioni, ai sensi del comma 21 dell'art. 61,  in
luogo della «completa adozione» delle  misure  piu'  sopra  indicate,
possano «decidere di applicare, in misura integrale  o  ridotta»,  il
ticket, «ovvero altre forme  di  partecipazione  dei  cittadini  alla
spesa sanitaria di effetto finanziario equivalente». 
    5.2. - Con riferimento alla disciplina piu' sopra illustrata,  le
regioni ricorrenti lamentano, innanzitutto, la  violazione  dell'art.
117 Cost. Tutte le disposizioni impugnate, infatti, detterebbero  una
disciplina puntuale e di dettaglio in ambiti  materiali  di  potesta'
legislativa concorrente (tutela della salute  e  coordinamento  della
finanza pubblica), nei quali lo Stato  puo'  adottare  esclusivamente
norme di principio. 
    Viene dedotta, in secondo luogo, la lesione dell'art. 119  Cost.,
in quanto ciascuna delle norme  impugnate  introdurrebbe,  ad  avviso
delle ricorrenti, limiti puntuali a  singole  voci  di  spesa.  Esse,
inoltre, condizionerebbero l'uso delle risorse  regionali,  imponendo
la destinazione dei risparmi conseguiti a  copertura  dell'abolizione
del ticket e, scaricando sulle regioni le conseguenze finanziarie  di
tale   abolizione,   inciderebbero    negativamente    sull'autonomia
finanziaria regionale anche  sotto  il  profilo  delle  entrate,  per
giunta violando il principio di corrispondenza fra funzioni e risorse
di cui al quarto comma dell'art. 119 Cost. 
    Le  Regioni  Emilia-Romagna  e  Calabria  deducono,  infine,   la
violazione del principio di leale  collaborazione.  Tale  violazione,
secondo la Regione Emilia-Romagna, deriverebbe dalla circostanza  che
il  legislatore  statale,  abolendo  il   ticket   senza   provvedere
all'integrale copertura finanziaria, avrebbe costretto le  regioni  a
realizzare i risparmi di spesa  indicati  puntualmente  dallo  Stato,
oppure a reintrodurre il ticket, in quest'ultimo caso dovendosi pero'
assumere la responsabilita' di togliere  ai  cittadini  un  beneficio
loro accordato dallo Stato. La Regione Calabria asserisce invece  che
questa Corte, con la sentenza n. 203 del 2008, avrebbe dichiarato non
fondata la questione di legittimita' costituzionale, allora  proposta
nei confronti della norma che aveva introdotto il ticket, sul rilievo
che  tale  disposizione  era  stata  adottata  in  attuazione  di  un
protocollo di intesa fra Stato e regioni. La ricorrente  ne  trae  la
conseguenza che anche la disciplina censurata, la  quale  incide  sul
ticket, avrebbe dovuto prevedere forme di intesa con le  regioni.  La
mancanza di tale intesa,  unita  alla  circostanza  che  l'intervento
statale  e'  suscettibile  di  determinare  una  «disomogeneita',  da
regione a regione, del regime di compartecipazione economica  per  le
prestazioni    di    assistenza     specialistica     ambulatoriale»,
rappresenterebbe, secondo la ricorrente, una violazione del principio
di leale collaborazione. 
    5.3. - Le questioni non sono fondate. 
    5.3.1. - Le censure proposte in relazione agli artt.  117  e  119
Cost. possono essere affrontate congiuntamente.  L'intera  disciplina
impugnata, infatti, in quanto complessivamente rivolta  a  permettere
l'abolizione  del  ticket,  individuando  le  relative  modalita'  di
copertura, ha palesemente una finalita' di coordinamento finanziario,
in un settore rilevante della spesa pubblica come  quello  sanitario.
Di conseguenza, per valutarne la  legittimita',  tanto  in  relazione
all'art. 117  Cost.,  quanto  con  riferimento  all'art.  119  Cost.,
risulta decisivo verificare se tale disciplina si mantenga sul  piano
delle norme di principio e della indicazione di complessivi obiettivi
di  riequilibrio  finanziario,  lasciando  alle  Regioni  sufficienti
margini di autonomia circa i mezzi  necessari  per  la  realizzazione
degli obiettivi stessi. 
    Sotto tale  profilo,  le  disposizioni  censurate  lasciano  alle
regioni sufficienti margini di scelta. Innanzitutto, le  regioni  non
sono tenute ad abolire il ticket. Esse possono decidere di continuare
ad applicarlo integralmente. Oppure possono decidere  di  ridurre  il
ticket, anziche' abolirlo. Ancora, possono decidere di sostituire  il
ticket con «altre forme di partecipazione dei  cittadini  alla  spesa
sanitaria  di  effetto  finanziario  equivalente».  In  tutte  queste
ipotesi, le regioni non sono obbligate alla «completa adozione» delle
misure   di   contenimento   della   spesa    asseritamente    lesive
dell'autonomia legislativa e finanziaria  regionale.  Cio'  significa
che esse possono applicare in modo parziale le  misure  di  riduzione
della spesa indicate dalle  disposizioni  impugnate,  oppure  possono
applicare alcune di esse e non altre, o, ancora, possono applicare in
modo parziale soltanto alcune delle misure indicate dal  legislatore.
Va considerato, inoltre, che, anche qualora le regioni, scegliendo di
abolire il ticket, siano tenute ad  applicare  in  modo  completo  le
disposizioni censurate, tuttavia  queste  ultime,  almeno  in  alcuni
casi, prevedono comunque margini di flessibilita' e di autonomia.  Il
comma 16 dell'art. 61, ad esempio, prevede un generico obbligo  delle
regioni di  assicurare  la  riduzione  degli  oneri  degli  organismi
politici e  degli  apparati  amministrativi,  indicando  alcune  piu'
specifiche misure, ma facendo anche riferimento a  «ulteriori  misure
analoghe a quelle previste nel presente articolo».  Analogamente,  il
comma 20, lettera b), dell'art. 61, stabilisce  che,  ai  fini  della
copertura  degli  oneri  derivanti  dall'abolizione  del  ticket,  le
Regioni «adottano ulteriori misure di incremento dell'efficienza e di
razionalizzazione della spesa». 
    Da  tutto  cio'  deriva  che  le  disposizioni   impugnate,   ove
correttamente  considerate  nel  loro  insieme  e  in  relazione   al
risultato finale che  esse  si  prefiggono  di  raggiungere,  non  si
pongono in contrasto con gli artt. 117 e 119  Cost.,  in  quanto  non
prevedono «in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalita' per  il
perseguimento» di obiettivi di riequilibrio finanziario (sentenza  n.
284 del 2009), ma lasciano alle Regioni la possibilita' di  scegliere
in un ventaglio di «strumenti concreti da utilizzare per  raggiungere
quegli obiettivi» (sentenza n. 237 del 2009). 
    5.3.2. - Con riguardo all'asserita violazione  del  principio  di
leale  collaborazione,  deve   osservarsi   che   questa   Corte   ha
effettivamente riconosciuto che l'introduzione di un ticket fisso  in
tutto il territorio nazionale e' stata correttamente preceduta da una
intesa fra Stato e regioni, con cui  le  parti  hanno  convenuto  «di
omogeneizzare le forme di compartecipazione alla spesa in funzione di
una maggiore appropriatezza delle prestazioni» (si veda  la  sentenza
n. 203 del 2008). Da cio' non puo' tuttavia trarsi  come  conseguenza
che  la  disciplina  attualmente  censurata,   nel   consentire   una
differenziazione delle forme di compartecipazione alla  spesa,  senza
prevedere alcuna forma di  coinvolgimento  delle  Regioni,  violi  il
principio di leale collaborazione. In primo luogo, le norme impugnate
non contraddicono l'omogeneita' delle forme di compartecipazione alla
spesa, dal momento che esse si limitano a  consentire  una  contenuta
variabilita' dell'importo del  ticket  fra  regione  e  regione,  pur
sempre entro una soglia  massima  fissata  dallo  Stato.  In  secondo
luogo,  e  soprattutto,  non  puo'  ritenersi  in  contrasto  con  il
principio di  leale  collaborazione  una  disciplina  che,  sotto  lo
specifico profilo qui considerato, amplia e non comprime  l'autonomia
delle  regioni.  Queste  ultime,  per  effetto   delle   disposizioni
censurate, possono applicare, ridurre o abolire  un  ticket  che,  in
precedenza, erano  invece  tenute  ad  applicare.  Il  fatto  che  il
legislatore  statale,   nel   rispetto   del   principio   di   leale
collaborazione, abbia acquisito l'intesa delle Regioni per introdurre
una norma che pone un limite alla loro autonomia (il ticket fisso  su
tutto il territorio nazionale), non significa che una analoga  intesa
sia  necessariamente  richiesta  anche  per  la  rimozione,  sia  pur
condizionata, di tale limite. 
    6. - La Provincia autonoma di Trento ha  impugnato  il  combinato
disposto dei commi 14 e 15 dell'art. 61. La seconda  disposizione  e'
infatti censurata nella parte in cui dovesse intendersi nel senso  di
imporre  alle  Province  autonome  l'applicazione  della  prima.   La
ricorrente lamenta, oltre alla  violazione  degli  artt.  117  e  119
Cost.,  nell'ipotesi  in  cui  tali  disposizioni  costituzionali  si
ritenessero estendibili alla Provincia, anche  la  lesione  di  altri
parametri. In primo luogo, gli artt. 8, comma 1, numero 1), 9,  comma
1, numero 10), e 16 del decreto del Presidente  della  Repubblica  31
agosto 1972,  n.  670  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
costituzionali concernenti lo Statuto speciale per  il  Trentino-Alto
Adige), in quanto la  disciplina  censurata  violerebbe  la  potesta'
legislativa  esclusiva  della  Provincia  di  Trento   in   tema   di
«ordinamento  degli  uffici  provinciali  e  del  personale  ad  essi
addetto» e la potesta' legislativa concorrente in materia di  «igiene
e sanita', ivi compresa l'assistenza  sanitaria  e  ospedaliera».  In
secondo luogo, viene dedotta la violazione del Titolo VI  del  d.P.R.
n.  670  del  1972,  che  disciplina  l'autonomia  finanziaria  delle
province autonome, la quale sarebbe irragionevolmente  lesa  mediante
«l'imposizione di precisi limiti di spesa da parte dello Stato in  un
ambito nel quale la provincia non dipende dalle risorse del  bilancio
statale», dal momento che al finanziamento della spesa sanitaria  nel
proprio territorio la provincia autonoma di  Trento  provvede  «senza
alcun apporto a carico  del  bilancio  dello  Stato»,  come  previsto
dall'art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica). Infine, ad avviso della
ricorrente, la disposizione censurata lederebbe anche  l'art.  2  del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la  potesta'  statale  di  indirizzo  e  coordinamento).  In  base  a
quest'ultima norma, infatti, anche qualora  la  disciplina  censurata
dovesse ritenersi idonea a vincolare  la  provincia  ai  sensi  dello
statuto, in ogni caso essa non potrebbe avere immediata applicazione,
potendo comportare soltanto un obbligo di adeguamento entro sei mesi,
restando   ferma,   nel   frattempo,   la   disciplina    provinciale
preesistente. 
    La questione avente ad  oggetto  il  comma  14  dell'art.  61  e'
fondata. 
    Le risorse provenienti dalla riduzione dei compensi di  dirigenti
e  sindaci  delle  strutture  sanitarie,  prevista  dalla  disciplina
impugnata, devono essere destinate dalle regioni al finanziamento dei
rispettivi servizi sanitari  regionali,  per  finanziare  l'eventuale
abolizione del ticket. Come  in  precedenza  chiarito  (al  paragrafo
5.3.1), il censurato comma 14 dell'art. 61 e'  strettamente  connesso
con le altre disposizioni contenute nel  medesimo  articolo,  insieme
alle quali esso e' diretto a consentire alle  regioni  di  abolire  o
ridurre il ticket, in precedenza  fissato  dal  legislatore  statale,
alla condizione che le regioni stesse concorrano con  lo  Stato  alla
copertura dei relativi oneri. Pertanto, se considerata alla luce  del
piu' complessivo sistema normativo  in  cui  risulta  inserita,  tale
disposizione costituisce legittimo esercizio del potere  dello  Stato
di dettare principi fondamentali di coordinamento finanziario. 
    Ma a simili conclusioni non puo' pervenirsi nello specifico  caso
della Provincia autonoma di Trento, la quale provvede interamente  al
finanziamento del  proprio  servizio  sanitario  provinciale,  «senza
alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (art. 34,  comma  3,
della legge n. 724 del 1994). In tale diverso e  peculiare  contesto,
l'applicazione  alla  Provincia  autonoma  di  Trento  del  comma  14
dell'art. 61  non  risponderebbe  alla  funzione  che  la  misura  in
questione assolve per le altre regioni. Dal momento che lo Stato  non
concorre al finanziamento del  servizio  sanitario  provinciale,  ne'
quindi  contribuisce  a  cofinanziare  una  eventuale  abolizione   o
riduzione del ticket  in  favore  degli  utenti  dello  stesso,  esso
neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario  che
definiscano le modalita' di contenimento di una spesa  sanitaria  che
e' interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento. Per tali
ragioni, del resto, la stessa  Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
prospettato, nella memoria, una interpretazione secondo la quale  non
deve ritenersi applicabile  alla  Provincia  autonoma  di  Trento  la
disciplina  censurata.  Peraltro,  poiche'  il  tenore  letterale  di
quest'ultima non consente di raggiungere un  tale  risultato  in  via
interpretativa, deve dichiararsi l'illegittimita' costituzionale  del
comma 14 dell'art. 61, nella parte in cui si applica  alla  Provincia
autonoma   di   Trento.   Tale   dichiarazione   di    illegittimita'
costituzionale,  essendo  basata   sulla   violazione   del   sistema
statutario del Trentino-Alto Adige, deve estendere la  sua  efficacia
anche alla Provincia autonoma di Bolzano. 
    L'accoglimento,  nei  termini  piu'  sopra   prospettati,   della
questione  di  legittimita'  costituzionale  riferita  al  comma   14
dell'art. 61, priva inoltre la ricorrente dell'interesse ad impugnare
il comma 15, primo periodo, del medesimo articolo,  la  questione  di
legittimita' costituzionale del  quale  deve,  pertanto,  dichiararsi
inammissibile. 
    7. - Avendo la Corte deciso il merito  del  ricorso,  non  vi  e'
luogo a provvedere  in  ordine  alla  istanza  di  sospensione  delle
disposizioni impugnate, formulata dalla Regione Calabria.