IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1114 del  2009,  proposto  da:  Giuseppe  Landolfo,
Massimo Savina, Lorenzo  Vetrano,  Walter  Mazzotta,  Roberto  Magli,
rappresentati e difesi dagli  avv.  Marito  Esposito,  Luigi  Melica,
Adriano Tolomeo, Pietro Vetrugno, con domicilio eletto presso Adriano
Tolomeo in Lecce, via Braccio Martello, 19; 
    Contro Ufficio elettorale centrale c/o Corte  appello  di  Lecce,
Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura  dello
Stato, domiciliata per legge in  Lecce,  via  Rubichi;  Provincia  di
Lecce, non costituita in giudizio; 
    Nei confronti  di  Coordinamento  provinciale  del  Popolo  della
Liberta', rappresentato e difeso dagli avv. Luciano  Ancora,  Roberto
Gualtiero Marra, con domicilio eletto presso Roberto Gualtiero  Marra
in Lecce, piazza Mazzini 72;  Paolo  Cairo,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Giuseppe Rizzo, con domicilio eletto presso Giuseppe  Rizzo
in Lecce, piazza  Mazzini  7;  Fabio  Campobasso,  Giovanni  Pasquale
Siciliano, Ernesto Toma,  Alessandro  Coricciati,  Valerio  Armonico,
Silvano Macculi, Roberto Marti, Giovanni  Marra,  Francesco  Pacella,
Pasquale Luigi Gaetani, Giorgio Antonio Primiceri,  Giovanni  Ippazio
Stefano, Salvatore Marcello Di Mattina, Francesco Cimino, Livio Nisi,
Antonio Maria  Gabellone,  Cosimo  Miccoli,  Perluigi  Pando,  Sandro
Quintana, Pompilio Massimo Como,  Antonio  Ermenegildo  Renna,  Bruno
Ciccarese, Antonio Rosato,  Stefano  Minutello,  Salvatore  Polimeno,
Mario Pendinelli, Carlo  Giuseppe  Merenda,  Cosimo  Durante,  Sergio
Blasi,  Alfonso  Rosario  Rampino,  Gabriele  Umberto  Mario  Caputo,
Loredana Capone, Giovanni  Siciliano,  Gianfranco  Coppola,  Vittorio
Poti, Aurelio  Antonio  Gianfreda,  Cosimo  Frasca,  Giovanni  Tundo,
Severo Martini, Adriana Poli Bortone, non costituiti in giudizio; 
    Per l'annullamento nei limiti  che  si  diranno  degli  atti  del
procedimento elettorale per l'elezione del presidente della Provincia
e del Consiglio provinciale di Lecce indetta per i giorni 6-7  giugno
e 21-22 giugno 2009. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  di  Ufficio  elettorale
centrale c/o Corte appello di Lecce; 
    Visto  l'atto  di   costituzione   in   giudizio   di   Ministero
dell'interno; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  di  Cosimo   Gallo
Coordinamento provinciale del Popolo della Liberta'; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Paolo Cairo; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  21  ottobre  2009  il
dott. Luigi Viola e uditi altresi', l'Avv. Tolomeo per i  ricorrenti,
l'avv. Capozza in sostituzione  dell'avv.  Luciano  Ancora  e  l'avv.
Roberto Marra per  il  Coordinamento  provinciale  del  Popolo  della
Liberta' e il dott. Ernesto Toma; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                              F a t t o 
 
    Il ricorrente sig. Giuseppe Landolfo e' coordinatore  provinciale
dell'«Unione Liberale di Centro», affiliata alla formazione  politica
«Popolo della Liberta'» e  presidente  delle  «Case  del  Cittadino»,
associazione sempre aderente  al  detto  raggruppamento  politico;  i
ricorrenti sig. Massimo Savina, Lorenzo Vetrano,  Walter  Mazzotta  e
Roberto Magli sono  affiliati  all'«Unione  Liberale  di  Centro»  e,
quindi, al «Popolo della Liberta'». 
    In  veste  di  aderenti  al  detto  raggruppamento  politico,   i
ricorrenti chiedevano, nelle date dell'11 marzo 2009 (per Landolfo) e
del 5 maggio 2009 (per tutti  gli  altri),  di  essere  candidati  in
qualita' di consiglieri nella tornata elettorale per  l'elezione  del
presidente e del Consiglio provinciale di Lecce indetta per i  giorni
6-7 giugno 2009 nei collegi di  Veglie-Salice  Salentino  (Landolfo),
Martano (Savina),  Presicce  (Vetrano),  Maglie  (Mazzotta)  e  Lecce
(Magli), nelle liste del «Popolo della Liberta'». 
    Ritenendo  che  le  designazioni  dei  candidati   non   stessero
avvenendo nel rispetto dell'art. 25 dello  Statuto  della  formazione
politica «Popolo della  Liberta'»,  il  ricorrente  Landolfo,  prima,
diffidava il coordinatore provinciale a vagliare la sua  proposta  di
candidatura per le suddette elezioni provinciali e,  successivamente,
proponeva ricorso al collegio dei probiviri  ai  sensi  dell'art.  41
dello Statuto della formazione  politica  (ricorso  che  non  risulta
essere stato ancora deciso). 
    Successivamente,  i  ricorrenti  apprendevano  che  il  movimento
politico «Popolo della  Liberta'»  aveva  deciso  di  candidare,  nei
collegi sopra richiamati, altri aderenti alla formazione  politica  e
decidevano di proporre ricorso all'Ufficio elettorale centrale presso
la Corte d'appello di Lecce (in realta', non si tratta di un  vero  e
proprio   ricorso,   ma   della   possibilita'   di   rivedere,   nel
contraddittorio  degli   interessati,   le   decisioni   gia'   prese
dall'Ufficio elettorale centrale prevista dall'art. 33, ultimo  comma
del  d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570),  lamentando  la  violazione
dell'art.  25  dello  Statuto  del  «Popolo   della   liberta'»   che
regolamenta la presentazione delle candidature anche con  riferimento
alle elezioni provinciali,  prevedendo  una  proposta  congiunta  del
coordinatore regionale e del coordinatore provinciale  (e  di  grande
citta')  e  dei  relativi  vice  vicari,  ratificata,  a  maggioranza
semplice,  dal  Coordinamento  provinciale   e   di   Grande   Citta'
(maggioranza che e' sostituita dalla maggioranza qualificata dei  due
terzi, nell'ipotesi di mancata intesa tra i coordinatori regionali  e
provinciali). 
    Con provvedimento 11 maggio 2009, l'Ufficio  elettorale  centrale
presso la Corte d'appello di Lecce dichiarava l'inammissibilita'  del
ricorso e il non  luogo  a  provvedere,  sulla  base  della  seguente
motivazione:  «l'Ufficio,  considerato  che  le  sue  competenze   si
esauriscono nel  controllo  della  regolarita'  del  procedimento  di
presentazione delle candidature e che non  ha  alcuna  competenza  ad
interferire in tutto cio' che e' a monte dello stesso, in particolare
nella scelta da parte del gruppo delle candidature; ritenuto, quindi,
di non poter adottare alcun provvedimento, dovendo il  contrasto  fra
gli appartenenti allo  stesso  gruppo  circa  le  candidature  essere
proposto in altra sede». 
    Il provvedimento dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte
d'appello di Lecce era impugnato dai ricorrenti, anche in qualita' di
cittadini elettori (oltre che di aderenti alla formazione politica in
questione, interessati alla candidatura),  con  il  ricorso  R.G.  n.
717/2009, per violazione dell'art. 48 (in  realta'  si  tratta  pero'
dell'art. 49) e 51 della Costituzione, eccesso di potere per  carenza
istruttoria e falsita' del presupposto; in particolare, i  ricorrenti
lamentavano la violazione dell'art. 25 dello Statuto della formazione
politica «Popolo della Liberta'» che regolamenta le candidature ed in
generale, del principio che impone che «la volonta' elettorale  venga
a formarsi in  maniera  errata  per  effetto  del  falso  presupposto
costituito dalla candidatura di soggetti non individuati  secondo  le
regole  proprie  del  partito  sotto  il  cui   simbolo   vengono   a
candidarsi». 
    Con sentenza 2  giugno  2009,  n.  1296,  la  sezione  dichiarava
rilevante e non manifestamente Antonio Maria Gabellone  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli  artt.
49 e 51 della Costituzione, degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16  maggio
1960, n. 570 (t.u. delle leggi per la composizione e l'elezione degli
organi delle Amministrazioni  comunali),  «nella  parte  in  cui  non
prevedono il sindacato, da parte dell'Ufficio elettorale centrale, in
ordine al rispetto, da parte  dei  presentatori  delle  liste,  delle
disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle
candidature ed  alla  partecipazione  del  partito  politico  ad  una
competizione elettorale»  e  sospendeva  il  giudizio,  ordinando  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per  la  decisione
della questione di costituzionalita'. 
    Dopo  le  elezioni  del  6-7  e  21-22  giugno  2009,   l'ufficio
elettorale centrale presso la Corte d'appello di  Lecce  (verbali  25
giugno  2009  e  2  luglio  2009)  dichiarava  eletto  il   candidato
presidente  Antonio  Maria  Gabellone  e  proclamava  l'elezione  dei
consiglieri provinciali. 
    Con ricorso elettorale depositato  in  data  23  luglio  2009,  i
ricorrenti provvedevano ad impugnare i verbali di proclamazione degli
eletti sulla base dei seguenti motivi: 1) violazione  art.  49  e  51
Cost. eccesso di  potere  per  carenza  istruttoria  e  falsita'  del
presupposto,  illegittimita'  derivata;  2)  illegittimita'  derivata
dalla illegittimita' costituzionale degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16
maggio 1960 n. 570; in sostanza,  si  trattava  della  riproposizione
delle censure gia' proposte con il ricorso R.G. n. 717/2009  e  delle
argomentazioni gia' contenute nella sentenza 2 giugno 2009,  n.  1296
della sezione. 
    Si costituivano in giudizio l'Ufficio elettorale centrale  presso
la  Corte  d'appello  di  Lecce  e  il  Ministero  dell'interno,   il
Coordinamento provinciale  del  «Popolo  della  Liberta'»,  il  dott.
Ernesto Toma e il sig. Paolo Cairo, controdeducendo  sul  merito  del
ricorso e formulando eccezioni preliminari  di  inammissibilita'  del
ricorso. 
    All'udienza del 21 ottobre 2009, il  ricorso  passava  quindi  in
decisione e si procedeva alla lettura del dispositivo. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. - In  via  preliminare,  la  sezione  deve  rilevare  come  la
decisione del  ricorso  non  possa  prescindere  dalla  questione  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 49 e 51 della
Costituzione, degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960,  n.  570
(t.u. delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle
Amministrazioni   comunali),   applicabili   anche   alle    elezioni
provinciali, per effetto del  rinvio  operato  dall'art.  14,  ultimo
comma della legge 8 marzo 1951, n.  122  (norme  per  l'elezione  dei
Consigli provinciali). 
    In  particolare,  per  quello  che  riguarda  il  profilo   della
rilevanza  della  questione  di  costituzionalita',  e'   sufficiente
rilevare come il T.A.R. sia chiamato a pronunciarsi sui provvedimenti
dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello  di  Lecce
(verbali 25 giugno 2009 e 2 luglio 2009) che, dopo  le  elezioni  del
6-7 e  21-22  giugno  2009,  hanno  dichiarato  eletto  il  candidato
presidente  Antonio  Maria  Gabellone  e  proclamato  l'elezione  dei
consiglieri provinciali, sulla base di  una  competizione  elettorale
che e' stata  preliminarmente  caratterizzata  dal  provvedimento  11
maggio  2009  dell'Ufficio  elettorale  centrale  presso   la   Corte
d'appello di Lecce (impugnato dai ricorrenti con il ricorso  R.G.  n.
717/2009 e destinato ad assumere  rilevanza  nella  presente  vicenda
attraverso il meccanismo dell'invalidita' derivata) che ha dichiarato
inammissibile  il  ricorso  presentato  dagli   attuali   ricorrenti,
sostanzialmente sulla base  di  un'interpretazione  delle  previsioni
degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570  che,  come  si
dira', e' da ritenersi corretta, anche se, ad avviso  della  Sezione,
presenta indubbi punti di contrasto con le previsioni degli artt.  49
e 51 della Costituzione. 
    2. - Del tutto irrilevanti  ai  fini  che  della  verifica  della
rilevanza della questione di costituzionalita' sono poi le  eccezioni
preliminari di inammissibilita' del ricorso  sollevate  dalle  difese
dei controinteressati costituiti. 
    Del tutto irrilevante nella presente fattispecie e', infatti,  il
riferimento a Cass. s.u. 13 aprile 1992, n.  4483  o  al  difetto  di
giurisdizione derivante dalla previsione dell'art. 41  dello  Statuto
del  «Popolo  della  Liberta'»  (per   univoca   giurisprudenza,   la
previsione del ricorso  al  Collegio  dei  probiviri  o  agli  organi
interni del partito politico viene, infatti, ad integrare  una  forma
di arbitrato irrituale che preclude il ricorso diretto  all'Autorita'
giudiziaria ordinaria; Cass.  s.u.  17  novembre  1984,  n.  5837;  4
dicembre 1984, n.  6344;  Pretura  Taranto,  25  settembre  1986);  i
principi  sopra  richiamati  attengono,   infatti,   univocamente   a
controversie instaurate tra  affiliati  ed  il  partito  politico  di
riferimento (quindi, la fase «associativa» del rapporto) e non  hanno
alcuna attinenza alla presente fattispecie che investe, al contrario,
la  legittimita'  del  sindacato  operato   dall'Ufficio   elettorale
centrale (quindi da un organo pubblico) in sede di  ammissione  delle
liste  elettorali  e,  quindi,   gli   interessi   pubblicistici   di
particolare pregnanza che sono alla base della stessa  previsione  di
una fase pubblicistica di valutazione in  ordine  alla  presentazione
delle liste e delle candidature. 
    Il ricorso elettorale oggi in decisione risulta poi essere  stato
regolarmente notificato anche al presidente  della  provincia  eletto
Antonio Maria Gabellone ed e' quindi del  tutto  infondata  in  fatto
l'eccezione,   al   proposito,    sollevata    dalla    difesa    dei
controinteressati costituiti. 
    La  documentazione   depositata   in   giudizio   evidenzia   poi
adeguatamente la  qualificazione  dei  ricorrenti  come  aderenti  al
movimento  politico  «Popolo  della  Liberta'»,  con   conseguenziale
impossibilita' di  aderire  all'eccezione  di  difetto  di  interesse
sollevata dalla difesa di alcuni dei controinteressati; del resto, la
stessa eccezione presenta aspetti evidenti di contraddittorieta',  in
quanto inserita in un contesto generale che vede anche la rilevazione
dell'ulteriore eccezione di difetto di giurisdizione a seguito  della
presenza della clausola compromissoria prevista  dall'art.  41  dello
Statuto  (clausola  compromissoria  che  puo'  ovviamente   esplicare
effetti nei confronti dei soggetti aderenti al movimento  politico  e
non di soggetti esterni  che  non  siano  associati  alla  formazione
politica). 
    3. - Per quello che riguarda la questione  di  costituzionalita',
la Sezione  non  puo'  non  richiamare  quanto  gia'  rilevato  nella
precedente rimessione operata con la sentenza 2 giugno 2009, n. 1296. 
    In particolare, si deve innanzitutto rilevare come la fattispecie
dedotta  in  giudizio  imponga  la  risoluzione  di   una   difficile
problematica giuridica che ruota intorno all'esatta ricostruzione dei
limiti del sindacato dell'Ufficio  elettorale  centrale  in  sede  di
presentazione delle  liste  destinate  a  partecipare  alle  elezioni
provinciali. 
    In buona sostanza, siamo, infatti, in presenza di  un  gruppo  di
aderenti ad un  partito  politico  che  ha  chiesto  (con  l'atecnico
«ricorso» previsto dall'art. 33, ultimo comma del d.P.R. n.  570  del
1960) all'Ufficio elettorale centrale presso la  Corte  d'appello  di
Lecce  un  controllo  di  legalita'  in  ordine  al  rispetto   delle
previsioni dello Statuto del «Popolo della Liberta'»  e,  quindi,  in
buona sostanza, in ordine alla legittimazione dei soggetti che  hanno
presentato la lista  in  questione  a  rappresentare  all'esterno  un
determinato   movimento   politico;   controllo    che    e'    stato
sostanzialmente negato dall'Ufficio elettorale  centrale  che  si  e'
limitato a rilevare la propria incompetenza «ad interferire in  tutto
cio' che e' a  monte...  (del  procedimento  di  presentazione  delle
candidature), in particolare nella scelta da parte del  gruppo  delle
candidature». 
    A questo proposito, la sezione ritiene necessario precisare  come
non abbia sostanziale  importanza  se  la  fattispecie  debba  essere
decisa dando applicazione alla previsione dell'art. 25 dello  Statuto
del «Popolo della Liberta'» (che,  ai  sensi  della  VI  disposizione
transitoria dell'atto statutario, e' destinata ad operare  solo  dopo
il secondo Congresso nazionale della formazione politica),  dell'art.
2 del d.P.R. 28 aprile 1993, n. 132 (che prevede, con riferimento  ai
gruppi politici presenti in Parlamento, la possibilita'  di  allegare
alla presentazione delle candidature «una dichiarazione  sottoscritta
dal presidente o dal segretario del partito o gruppo politico  o  dai
presidenti o segretari regionali o  provinciali  di  essi,  che  tali
risultino per attestazione  dei  rispettivi  presidenti  o  segretari
nazionali ovvero da rappresentanti all'uopo da  loro  incaricati  con
mandato  autenticato  da  notaio,  attestante  che  le  liste  o   le
candidature sono presentate in nome e per conto del partito o  gruppo
politico stesso») o di altra norma; con tutta  evidenza,  si  tratta,
infatti, di problematica  attinente  al  merito  della  contestazione
mossa da parte ricorrente che  non  puo'  esplicare  effetti  in  una
fattispecie  in  cui  la  sezione  deve  innanzitutto  affrontare  la
problematica    della    legittimita'    della    declaratoria     di
inammissibilita' e di non luogo  a  provvedere  assunta  dall'Ufficio
elettorale  centrale  e  quindi  deve  preliminarmente  risolvere  la
problematica  preliminare  dell'ambito  di   sindacato   riconosciuto
dall'ordinamento a detto organo. 
    Con riferimento a questa problematica, le norme di riferimento  .
sono, indubbiamente, costituite dagli artt. 30 e  33  del  d.P.R.  16
maggio 1960, n. 570 (applicabili anche alle elezioni provinciali, per
effetto del rinvio operato dall'art. 14, ultimo comma della  legge  8
marzo 1951, n. 122) che attribuiscono all'Ufficio elettorale centrale
il compito di: 
        a) verificare  che  le  candidature  siano  sottoscritte  dal
numero prescritto di elettori, eliminando quelle che non lo sono; 
        b) ricusare i contrassegni di lista che siano identici o  che
si possano facilmente confondere con quelli presentati in  precedenza
o con quelli notoriamente usati da  altri  partiti  o  raggruppamenti
politici, ovvero riproducenti simboli o elementi  caratterizzanti  di
simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in
Parlamento, possono trarre in errore  l'elettore.  In  tali  casi  la
Commissione  assegna  un  termine  di  non  oltre  48  ore   per   la
presentazione  di  un   nuovo   contrassegno.   Ricusa   altresi'   i
contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa; 
        c) eliminare i nomi dei candidati a carico  dei  quali  viene
accertata la sussistenza di  alcuna  delle  condizioni  previste  dal
comma 1 dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, o per i  quali
manca ovvero e' incompleta la dichiarazione di accettazione di cui al
sesto comma dell'art. 28, o manca il certificato di iscrizione  nelle
liste elettorali; 
        d) cancellare i nomi dei candidati  gia'  compresi  in  altre
liste presentate in precedenza; 
        d-bis) verificare che nelle liste dei candidati  nessuno  dei
due sessi sia rappresentato in misura superiore  ai  tre  quarti  dei
consiglieri assegnati. In caso contrario invita i delegati di lista a
ripristinare detto rapporto percentuale entro il termine di cui  alla
lettera b). Scaduti i termini, la commissione ricusa le liste per  le
quali non si sia provveduto; 
        e) ricusare le liste che contengono un  numero  di  candidati
inferiore al minimo prescritto e ridurre  quelle  che  contengono  un
numero di candidati superiore al massimo consentito, cancellando  gli
ultimi nomi; 
        e-bis) assegnare  un  numero  progressivo  a  ciascuna  lista
ammessa, mediante sorteggio da effettuarsi alla presenza dei delegati
di lista appositamente convocati; 
        e-ter) comunicare  ai  delegati  di  lista  le  decisioni  di
ricusazione di lista o di esclusione di candidato. 
    Una decisione del giudice amministrativo (T.A.R. Sicilia Catania,
sez. I, 28 novembre 2006, n. 2380) ha ritenuto di poter  interpretare
estensivamente le analoghe previsioni vigenti nella Regione  Sicilia,
ricomprendendo  nell'ambito  di  sindacato  dell'Ufficio   elettorale
centrale anche la verifica in ordine ai  poteri  rappresentativi  dei
soggetti che presentino la lista, cosi' estendendo sostanzialmente il
proprio sindacato anche al rispetto delle previsioni  statutarie  che
attribuiscono   tale   potesta'   decisionale   e    rappresentativa;
l'interpretazione estensiva e', in  buona  sostanza,  radicata  sulla
necessita'  di  garantire  al   cittadino   elettore   una   corretta
informazione  e  una  potesta'  decisionale  effettiva  in  sede   di
espressione  del  voto:  «l'Ordinamento  ha  apprestato  un   preciso
meccanismo di filtro che presiede  alla  presentazione  delle  liste,
avendo di mira lo  scopo  di  assicurare  che  a  detta  competizione
prendano parte  solamente  soggetti  dotati  di  effettiva  capacita'
rappresentativa e quindi in possesso di  una  precisa  legittimazione
(derivante cioe': dall'essere  appartenenti  a  formazioni  politiche
gia' ''riconosciute'' in quanto presenti in altri organismi elettivi,
come in Parlamento, o, in Sicilia, nell'Assemblea  regionale;  oppure
derivante  dalla  sottoscrizione  di  un  numero   predeterminato   e
rilevante di  cittadini  elettori),  altrimenti  si  rischierebbe  di
chiamare i cittadini ad esprimere le proprie preferenze in  ordine  a
candidati di cui non e'  certa  la  collocazione,  l'appartenenza  ed
addirittura l'identita' politica, con ovvie conseguenze di  sviamento
delle preferenze e di alterazione dei risultati elettorali. 
    Pertanto,  quando  tale  legittimazione   ''d'ingresso''   appare
dubbia, o meglio, e' contestata per ragioni afferenti la  titolarita'
del  nome  e  del  simbolo  del  partito,  l'esigenza   di   tutelare
l'affidamento degli elettori deve essere tutelata al massimo grado  e
quindi deve impedirsi l'accesso alle competizioni elettorali da parte
di quelle  formazioni  politiche  ''in  forse'',  fino  a  quando  il
conflitto interno non sia risolto con gli ordinari  strumenti,  anche
qui,   chiaramente   previsti    dall'Ordinamento    (ossia    tutele
endoassociative oppure una pronuncia del giudice civile, che, come si
vedra', e' pure soggetta a precisi limiti)». 
    La Sezione ritiene pero' che  l'interpretazione  estensiva  delle
previsioni   che   determinano   l'ambito   valutativo   dell'Ufficio
elettorale centrale sia preclusa, nella materia che ci occupa,  dalla
stessa incidenza su due  ambiti  di  particolare  rilevanza  come  il
diritto di voto e la liberta' di associazione; da cui  la  necessita'
(gia' rilevata da Corte  cost.  29  ottobre  1999,  n.  407)  che  la
valutazione  dell'Ufficio  elettorale  centrale  si  svolga   secondo
parametri obiettivi che non determinino «incertezza incrementando  il
contenzioso, stante l'ampio margine di apprezzamento che verrebbe, in
ipotesi,  riconosciuto  alla  commissione  elettorale»  (esigenza  di
certezza che ha trovato espressione  in  un  contesto  normativo  che
enumera  espressamente  le  possibilita'  di  sindacato  riconosciute
all'Ufficio elettorale centrale e che non puo' certo essere integrato
attraverso lo strumento dell'interpretazione estensiva). 
    In  buona  sostanza,  quindi  la   decisione   11   maggio   2009
dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello  di  Lecce
(che ha indubbiamente  esplicato  efficacia  nella  fase  preliminare
della presentazione delle candidature di una competizione  elettorale
il cui risultato finale  e'  stato  contestato  da  parte  ricorrente
attraverso  la  proposizione  del  presente  ricorso  elettorale)  si
presenta sostanzialmente corretta ed aderente alla sistematica  degli
artt. 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960, n.  570  che  non  prevedono
attualmente la possibilita', per l'Ufficio  elettorale  centrale,  di
sindacare la legittimazione del soggetto che presenti la  lista,  con
riferimento, soprattutto, alle norme  di  legge  o  di'  Statuto  che
regolamentano la stessa formazione della volonta' di una  determinata
associazione politica e, quindi, in definitiva, garantiscono che  una
determinata lista di candidati costituisca genuina espressione di una
formazione  politica  e  non  di  iniziative  «esterne»  al  contesto
politico di riferimento. 
    Ad avviso della Sezione, l'attuale e ristretta  formulazione  nel
senso sopra rilevato degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16  maggio  1960,
n. 570 non e' pero' conforme a Costituzione e contrasta, soprattutto,
con la previsione dell'art. 49 della Costituzione  che  garantisce  a
tutti i cittadini il «diritto di associarsi  liberamente  in  partiti
per concorrere con  metodo  democratico  a  determinare  la  politica
nazionale»; in particolare, ai  fini  che  ci  occupano,  particolare
importanza deve essere attribuita all'espresso riferimento,  presente
nella disposizione citata, al principio di  democraticita'  che  deve
trovare  esplicitazione  anche  con  riferimento   all'organizzazione
interna dell'associazione ed in particolare, al rispetto delle  norme
che   regolamentano   la   formazione    interna    della    volonta'
dell'associazione politica. 
    A  questo  proposito,  e'  di  tutta  evidenza  come  l'effettiva
possibilita', per i cittadini, di concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale abbia necessita' di  una  serie  di
garanzie che investono anche vicende interne ai partiti  politici  ed
in questa linea interpretativa,  e'  quasi  superfluo  richiamare  la
giurisprudenza dell'A.G.O. che ha ammesso l'impugnazione da parte del
singolo aderente  anche  delle  determinazioni  assunte  dai  partiti
politici, per violazione di disposizioni di legge o di  statuto  (tra
le tante, si vedano, Trib. Roma, 18  agosto  2001;  3  giugno  1995),
anche con riferimento alla possibile esclusione dell'associato o alla
stessa utilizzazione del nome o del simbolo del partito (Trib.  Roma,
21 marzo 1995). 
    Secondo l'attuale formulazione degli artt. 30 e 33 del d.P.R.  16
maggio 1960,  n.  570,  la  verifica  in  ordine  al  rispetto  delle
previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste
elettorali e' pero' del tutto preclusa, proprio nel delicato  momento
della presentazione delle liste elettorali; si giunge,  pertanto,  al
sostanziale  paradosso  per  cui  una  decisione   in   ordine   alla
presentazione di una lista assunta  in  violazione  delle  previsioni
statutarie  (come  nella  vicenda  che  ci  occupa)  potrebbe  essere
sindacata  dal  giudice  ordinario  in  sede  di  impugnazione  della
delibera dell'associazione irregolarmente adottata, ma  non  potrebbe
costituire oggetto di alcuna valutazione  in  sede  di  presentazione
delle liste, dando cosi' vita ad una sistematica che, in  assenza  di
un filtro adeguato da parte dell'Ufficio  elettorale  centrale,  puo'
dare vita ad una competizione elettorale viziata dalla  presentazione
di una lista che non costituisce corretta espressione della  volonta'
degli aderenti alla stessa formazione  politica  (per  effetto  della
violazione delle norme statutarie in materia). 
    La complessiva irrazionalita' dell'attuale  ambito  di  sindacato
dell'Ufficio elettorale centrale e'  poi  ulteriormente  percepibile,
ove si abbia anche riferimento all'attuale strutturazione degli artt.
30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 che non  si  limita  ad  un
sindacato «formale» delle liste, ma che investe anche  la  tutela  di
interessi  di   particolare   pregnanza,   come   la   tutela   della
collettivita' da infiltrazioni criminose (assicurata dalla previsione
che impone di  eliminare  dalle  liste  i  soggetti  che  versino  in
particolari condizioni) che non  rivestono  certo  minore  importanza
della tutela della possibilita' di concorrere  democraticamente  alla
politica nazionale ex art. 49 Cost. o del diritto  di  accedere  agli
uffici pubblici elettivi garantito dall'art. 51 Cost. (previsione che
puo' essere lesa da decisioni  in  ordine  alla  presentazione  delle
liste che non rispettino le norme statutarie in ordine alla  corretta
formazione delle decisioni dei partiti politici). 
    Del resto, si tratterebbe di  una  forma  di  sindacato  che  non
costituirebbe certamente una forma di interferenza (come ritenuto dal
provvedimento 11 maggio 2009 dell'Ufficio elettorale centrale  presso
la Corte d'appello di Lecce e da una parte della dottrina) sulla vita
interna dei partiti  e  che  non  entrerebbe  in  collisione  con  la
liberta'  di  associazione;  come   gia'   chiarito,   il   sindacato
dell'Ufficio elettorale centrale si esaurirebbe (cosi'  come  avviene
per l'impugnazione delle  deliberazioni  dei  partiti  politici)  nel
sindacato «esterno» in ordine al rispetto delle previsioni statutarie
in ordine alla presentazione delle candidature  ed  in  generale,  in
ordine  alla  legittimazione  di  chi  presenti  la   lista   e   non
investirebbe, quindi, il «merito» di determinate scelte. 
    Per effetto della natura estremamente semplice degli  adempimenti
e del sindacato in ordine al  rispetto  delle  previsioni  statutarie
relative alla presentazione delle candidature (che si esaurirebbe nel
mero riscontro della  conformita'  delle  decisioni  in  ordine  alla
presentazione  delle  candidature  a   previsioni   statutarie),   si
tratterebbe poi di una forma di valutazione sostanzialmente in  linea
con i «requisiti essenziali di linearita', semplificazione e puntuale
scansione degli adempimenti» che,  secondo  la  giurisprudenza  della
Corte  costituzionale  (Corte  cost  29  ottobre   1999,   n.   407),
costituiscono  una  caratterizzazione  fondamentale   dell'intervento
dell'Ufficio elettorale centrale in sede di ammissione delle liste. 
    4. - In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza  e  la  non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  per  violazione  degli   artt.   49   e   51   della
Costituzione, degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960,  n.  570
(t.u. delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle
amministrazioni comunali),  nella  parte  in  cui  non  prevedono  il
sindacato, da parte dell'Ufficio elettorale centrale,  in  ordine  al
rispetto, da parte dei presentatori delle liste,  delle  disposizioni
statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle  candidature
ed alla partecipazione  del  partito  politico  ad  una  competizione
elettorale. 
    Va  pertanto  disposta  -  ai  sensi  degli   artt.   134   della
Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;  23
della legge 11 marzo 1953,  n.  87  -  la  sospensione  del  presente
giudizio e la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
oltre  agli  ulteriori  adempimenti  di  legge  meglio  indicati   in
dispositivo.