Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.  133
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza  pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  promossi  dalle
Regioni Toscana  ed  Emilia-Romagna  con  ricorsi  notificati  il  20
ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ed il 24  ottobre  2008
ed iscritti ai nn. 69 e 74 del registro ricorsi 2008. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2009  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi gli avvocati Luigi Manzi  per  la  Regione  Emilia-Romagna,
Lucia Bora per la Regione Toscana  e  l'avvocato  dello  Stato  Paola
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il  22
ottobre successivo e iscritto al n. 69 del registro ricorsi del 2008,
la Regione  Emilia-Romagna  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale relative a numerose disposizioni del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale  n.  195  del  21  agosto  2008,  e,  tra  queste,
dell'art. 2, comma 14. 
    2. - Premette la ricorrente che nell'art. 2 del decreto-legge  n.
112 del 2008  sono  previste  diverse  disposizioni  volte  nel  loro
complesso  a  favorire  la  diffusione  della  c.d.  «banda   larga»,
attraverso l'installazione di reti ed impianti in fibra  ottica;  fra
queste il comma 14 dell'art. 2 prevede che «i soggetti  pubblici  non
possono opporsi alla installazione nella loro proprieta'  di  reti  e
impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra  ottica,  ad
eccezione del caso che si tratti di beni facenti parte del patrimonio
indisponibile dello Stato, delle province e dei  comuni  e  che  tale
attivita' possa arrecare concreta  turbativa  al  pubblico  servizio.
L'occupazione e l'utilizzo del suolo pubblico per i fini di cui  alla
presente norma non necessitano di autonomo titolo abilitativo». 
    La Regione ricorrente lamenta, anzitutto, la  mancata  inclusione
delle Regioni  tra  gli  enti  il  cui  patrimonio  indisponibile  e'
presidiato dalla citata clausola di salvaguardia. Pur ipotizzando che
la denunciata omissione potrebbe essere il frutto di una «svista  del
legislatore», la ricorrente contesta  la  violazione  dell'art.  119,
ultimo comma, della Costituzione:  il  rinvio,  contenuto  in  questa
disposizione,  ad  una  legge  dello  Stato  per  la  disciplina  del
patrimonio delle autonomie territoriali, non puo' essere interpretato
nel senso di abilitare la fonte statale a prevedere  compressioni  di
tali patrimoni senza il necessario bilanciamento degli  interessi  in
gioco. Inoltre, la legge statale  non  e'  legittimata  a  consentire
sacrifici degli  interessi  regionali  che  non  siano  proporzionati
rispetto alle finalita'  perseguite  o  a  precludere  l'adozione  di
soluzioni che consentano di  ugualmente  garantire  la  finalita'  di
sviluppo delle comunicazioni elettroniche. 
    La Regione  Emilia-Romagna  denuncia,  per  le  medesime  ragioni
suesposte, la violazione dell'art. 118 della Costituzione. 
    Per la ricorrente, poi,  la  mancata  inclusione  del  patrimonio
indisponibile delle Regioni nella clausola di salvaguardia in oggetto
determinerebbe   a   carico    delle    medesime    un    trattamento
irragionevolmente deteriore rispetto a quello  riservato  alle  altre
autonomie territoriali, con conseguente violazione dell'art. 3  della
Costituzione. 
    Per la ricorrente l'inosservanza degli  artt.  118  e  119  della
Costituzione  sussisterebbe  anche   in   relazione   ad   interventi
infrastrutturali  su  aree  del  patrimonio  disponibile.  Anche  con
riferimento a quest'ultima ipotesi non sarebbe legittima «la astratta
precostituzione per legge di una generica ed apodittica  affermazione
di prevalenza - sempre e comunque  -  dell'interesse  dello  sviluppo
della banda larga  rispetto  alle  legittime  pretese  delle  Regioni
titolari di beni interessati da tale sviluppo». 
    Infine,  la  Regione   Emilia-Romagna   lamenta   la   violazione
dell'autonomia patrimoniale e finanziaria  della  Regione,  garantita
dall'art.  119  della  Costituzione,  «oltre  che  del  principio  di
ragionevolezza di cui all'art. 3» della Costituzione, giacche' l'art.
2, comma 14, non contempla alcun compenso o canone per l'utilizzo  di
suolo   pubblico.    L'impugnata    disposizione    irragionevolmente
assoggetterebbe  gli  enti  pubblici  ad  un  trattamento   deteriore
rispetto a quello garantito ai soggetti privati, a favore  dei  quali
e' comunque assicurata almeno  un'indennita',  nel  caso  in  cui  le
installazioni siano tali  da  «impedire  il  libero  uso  della  cosa
secondo  la  sua  destinazione»,  come  si  ricaverebbe  a  contrario
dall'art. 91, commi 3 e 5, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n.
259  (Codice   delle   comunicazioni   elettroniche),   espressamente
richiamato dall'impugnata disposizione. 
    3. - Con atto depositato il 10 novembre 2008, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Il resistente richiama, in via preliminare, la  sentenza  n.  336
del 2005 con la quale questa Corte ha  dichiarato  inammissibili,  in
relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione,  e  infondate,  in
relazione  all'art.  119  della   Costituzione,   le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  degli  artt.  90  e  91   del   decreto
legislativo n. 259 del 2003. 
    Inoltre, per la parte resistente  la  questione  sollevata  dalla
Regione Emilia-Romagna sarebbe «generica ed astratta», in quanto  non
specificherebbe gli interessi ed i «servizi  concreti»  da  tutelare,
atteso che «la regione e' organismo di programmazione  e  gestisce  i
propri servizi attraverso le province e gli enti locali». 
    Infine - sostiene  la  difesa  erariale -  la  questione  sarebbe
semmai superabile «in via interpretativa». 
    4. - Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il  24
ottobre successivo e iscritto al n. 74 del registro ricorsi del 2008,
la  Regione   Toscana   ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale  n.  195  del  21  agosto  2008,  e,  tra  queste,
dell'art. 2, comma 14. 
    5. - Per la ricorrente, non  avrebbe  alcuna  giustificazione  la
mancata  inclusione  anche  dei  beni  del  patrimonio  indisponibile
regionale tra quelli che possono legittimare, in quanto funzionali  a
scopi e utilizzi pubblici, l'opposizione alla installazione  di  reti
ed impianti interrati, ove tale attivita' possa recare  turbativa  al
pubblico servizio. 
    La contestata omissione - precisa la  difesa  regionale -  appare
idonea ad ostacolare  l'esercizio  delle  funzioni  regionali  cui  i
suddetti beni sono strumentali e a ledere  il  corretto  utilizzo  di
tali beni, con conseguente violazione degli artt. 117 e  119,  ultimo
comma, della Costituzione. 
    6. - Con atto depositato il 10 novembre 2008, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La difesa erariale ripropone le medesime argomentazioni  addotte,
al riguardo, nell'atto di costituzione nel  giudizio  promosso  dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso iscritto al n. 69 del  registro
ricorsi del 2008. 
    7. - Con memoria  depositata  il  9  novembre  2009,  la  Regione
Toscana  ha  ulteriormente  argomentato  in  ordine   alla   asserita
incostituzionalita' dell'impugnato art. 2, comma 14. 
    All'obiezione del resistente secondo cui la  sollevata  questione
sarebbe generica ed astratta, non avendo il ricorso  specificato  gli
interessi ed i  servizi  che  la  Regione  avrebbe  inteso  tutelare,
malgrado la sua natura di  ente  di  programmazione  che  gestisce  i
servizi attraverso gli enti locali, la difesa regionale  replica  che
la  denunciata  disposizione  si  riferisce  alla  titolarita'  della
proprieta' del bene e non  gia'  alla  competenza  all'esercizio  del
servizio.  Ne  consegue  l'irrilevanza  dell'attribuzione  agli  enti
locali della gestione di servizi  che  implicano  l'utilizzazione  di
beni appartenenti al patrimonio indisponibile regionale. 
    Pertanto sarebbe violato l'art. 117 della Costituzione, in quanto
i predetti beni sono strumentali all'esercizio delle funzioni che  la
Regione ha  disciplinato  con  proprie  leggi,  nell'esercizio  delle
proprie attribuzioni costituzionali. 
    La difesa regionale ribadisce, inoltre, la  violazione  dell'art.
119,  ultimo  comma,  della  Costituzione,  in   quanto   l'impugnata
disposizione non terrebbe conto della disponibilita' patrimoniale che
l'evocata norma costituzionale garantisce alle Regioni. 
    Ove la mancata  inclusione  del  patrimonio  indisponibile  nella
clausola di salvaguardia in questione fosse ascrivibile ad una  «mera
dimenticanza del legislatore», secondo la  parte  ricorrente  sarebbe
sufficiente la pronuncia di una sentenza interpretativa. 
    8. - Con memoria depositata  il  18  novembre  2009,  la  Regione
Emilia-Romagna  contesta   l'eccezione,   prospettata   dalla   parte
resistente, circa la natura generica ed astratta della  questione  di
costituzionalita' relativa  alla  mancata  considerazione,  da  parte
dell'impugnata  disposizione,  del  patrimonio  indisponibile   delle
Regioni. La Regione ha, invero,  argomentato  la  pretesa  violazione
degli articoli 3, 118 e 119 della Costituzione, «e pare chiaro che la
liberta' di installazione di reti di comunicazione  nelle  proprieta'
regionali produce una lesione concreta dell'autonomia regionale». 
    Nel  merito,  la  difesa  regionale  sostiene   che   l'impugnata
disposizione avrebbe inteso  soltanto  richiamare  la  formula  usata
nell'art. 826,  secondo  comma,  codice  civile,  la  quale  mira  ad
includere nel patrimonio indisponibile tutti i beni destinati  ad  un
fine pubblico, e non solo quelli utilizzati ai fini della  erogazione
di un servizio pubblico. A questo proposito, e' richiamato l'art.  11
della legge 16 maggio 1970,  n.  281  (Provvedimenti  finanziari  per
l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario), che contempla  anche
beni non destinati alla erogazione di un pubblico servizio. 
    La ricorrente contesta, altresi', la tesi  basata  sulla  pretesa
qualificazione della Regione quale ente di programmazione, in  quanto
incompatibile  con  l'assetto   delle   attribuzioni   amministrative
configurato dall'attuale art. 118 della Costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, nell'ambito dei ricorsi
n. 69 del 2008 e n. 74 del 2008,  che  impugnano  una  pluralita'  di
disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133, censurano, tra queste, l'art. 2, comma 14. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n.  112
del  2008,  vengono  in  esame  in  questa  sede  le   questioni   di
costituzionalita' relative all'art. 2, comma 14. 
    Tre sono le censure avanzate dalla Regione Emilia-Romagna. 
    In primo luogo, l'impugnata disposizione, non includendo anche le
Regioni tra gli enti che possono opporsi alla installazione di reti e
impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica,  ove
tale istallazione coinvolga beni facenti parte  del  loro  patrimonio
indisponibile, violerebbe gli artt. 118 e 119 Cost., dal momento  che
impedirebbe  l'esercizio  delle  funzioni  di   spettanza   regionale
relative a tali beni, compromettendo  anche  l'autonomia  finanziaria
della ricorrente, e l'art. 3 Cost., dal momento che riserverebbe alle
Regioni un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a  quello
garantito alle altre autonomie territoriali. 
    In secondo luogo, la disposizione censurata, non includendo nella
clausola  di  salvaguardia  anche  il  patrimonio  disponibile  delle
Regioni, violerebbe gli artt. 118 e 119 Cost.,  perche'  non  sarebbe
accettabile «la astratta precostituzione per legge di una generica ed
apodittica  affermazione  di   prevalenza -   sempre   e   comunque -
dell'interesse  dello  sviluppo  della  banda  larga  rispetto   alle
legittime pretese delle Regioni titolari di beni interessati da  tale
sviluppo». 
    In  terzo  luogo,  la  medesima   disposizione,   denunciata   in
riferimento agli  artt.  3  e  119  Cost.,  assoggetterebbe  in  modo
irragionevole gli enti pubblici ad un trattamento deteriore  rispetto
a quello garantito ai soggetti privati, a favore  dei  quali  sarebbe
comunque assicurata un'indennita', nel caso in cui  le  installazioni
siano tali da «impedire il libero  uso  della  cosa  secondo  la  sua
destinazione», come si ricaverebbe a contrario dall'art. 91, commi  3
e  5,  del  decreto  legislativo  n.  259  del  2003,   espressamente
richiamato dalla stessa disposizione impugnata. 
    Dal canto suo, la Regione Toscana censura  l'art.  2,  comma  14,
poiche' ritiene che la mancata inclusione delle Regioni tra gli  enti
che possono opporsi alla installazione di reti e  impianti  interrati
di comunicazione elettronica in fibra ottica ove si  tratti  di  beni
facenti parte del loro patrimonio indisponibile, violi gli artt.  117
e 119, ultimo comma, Cost., in quanto ostacolerebbe l'esercizio delle
funzioni  regionali  cui  i  suddetti   beni   sono   strumentali   e
pregiudicherebbe il loro corretto utilizzo. 
    2. -  In   considerazione   dell'identita'   della   disposizione
censurata  e   della   analogia   dei   profili   di   illegittimita'
costituzionale fatti valere, i ricorsi  possono  essere  riuniti  per
essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3. -  In  via  preliminare  vanno  rigettate  le   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    Irrilevante e' il richiamo della sentenza n. 336  del  2005,  che
dichiaro' «inammissibili le questioni di legittimita'  costituzionale
degli artt. 90 e 91 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 in
riferimento agli articoli 117 e  118»  della  Costituzione.  In  quel
giudizio infatti questa Corte constato'  la  «mancanza  di  argomenti
minimi   idonei   ad   individuare   le   motivazioni   dell'asserita
incostituzionalita'». Nell'odierno giudizio,  invece,  le  ricorrenti
adeguatamente motivano  in  ordine  ai  diversi  profili  di  censura
prospettati nei rispettivi ricorsi, con particolare  attenzione  alla
denunciata  disparita'  di  trattamento  a   danno   del   patrimonio
indisponibile delle Regioni. 
    Parimenti deve essere rigettata l'eccezione  di  inammissibilita'
secondo cui la questione sarebbe «generica ed  astratta»  poiche'  il
ricorso non specificherebbe «quali interessi e  servizi  concreti  si
intendono tutelare (la  regione  e'  organismo  di  programmazione  e
gestisce i propri servizi attraverso le province e gli enti locali)».
Anche volendosi prescindere dal fatto  che  la  configurazione  della
Regione come ente essenzialmente di programmazione  poteva  evincersi
dal previgente art. 118 della Costituzione, ora profondamente mutato,
e che comunque detta  configurazione  era  affidata  alle  scelte  in
materia dei legislatori regionali, appare evidente che la  ricorrente
intende tutelare il fascio delle funzioni amministrative che  abbiano
per oggetto i beni del patrimonio regionale (art. 118 Cost.), e  che,
difendendo quest'ultimo,  si  ponga  con  sufficiente  chiarezza  una
questione valutabile alla luce anche dell'art. 119 Cost.. 
    4. -  La  questione  relativa  alla  mancata   inclusione   nella
disposizione censurata del patrimonio indisponibile delle Regioni  e'
fondata in riferimento al principio di uguaglianza e al principio  di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  in  danno   di   tale   patrimonio
indisponibile. 
    Infatti, la legislazione statale di trasferimento delle  funzioni
e  degli  apparati  dallo  Stato  alle  Regioni,  ad  autonomia   sia
ordinaria, sia speciale, in attuazione dell'art.  119  Cost.  (quinto
comma per il testo originario e sesto comma  per  quello  vigente)  e
delle  corrispondenti  disposizioni  degli   Statuti   speciali,   ha
provveduto - tra l'altro - a trasferire dallo Stato  alle  Regioni  i
beni demaniali e patrimoniali corrispondenti ai  trasferimenti  delle
funzioni  amministrative  ad  essi  relative,  cosi'   indirettamente
integrando  la  risalente  disciplina  sulla  titolarita'  dei   beni
demaniali e patrimoniali che e' contenuta nel Capo II  del  Titolo  I
del Libro Terzo del codice civile. 
    In particolare, quanto alle Regioni ad  autonomia  ordinaria,  il
quinto comma  dell'art.  11  della  legge  16  maggio  1970,  n.  281
(Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle  Regioni  a  statuto
ordinario)  ha  trasferito  al  patrimonio  indisponibile  di  queste
Regioni tutta una serie rilevante di beni immobili che in  precedenza
appartenevano al patrimonio indisponibile dello  Stato.  In  seguito,
dapprima il decreto del Presidente della Repubblica 24  luglio  1977,
n. 616 (Attuazione della delega di cui  all'art.  1  della  legge  22
luglio 1975, n. 382), e, successivamente, il decreto  del  Presidente
della Repubblica 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento  di  funzioni  e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti  locali,
in attuazione del Capo I della legge 15  marzo  1997,  n.  59)  hanno
previsto che si procedesse ad ulteriori trasferimenti di  beni  dallo
Stato alle Regioni. 
    Al tempo stesso, la legislazione in materia di  patrimonio  degli
enti pubblici in linea  di  principio  non  ne  distingue  il  regime
giuridico a seconda dei diversi enti pubblici che ne siano  titolari,
come confermato dallo stesso art. 91 del decreto legislativo  n.  259
del 2003 (richiamato nella disposizione censurata) che considera come
spazi  di  attraversamento  dei  fili  o  dei  cavi  delle  reti   di
comunicazione elettronica, le «proprieta' pubbliche o private», senza
attribuire rilievo all'identita' del soggetto  pubblico  proprietario
(cosi' analogamente anche l'art. 88, comma 8, del medesimo Codice per
le comunicazioni elettroniche). 
    La giurisprudenza di questa Corte in piu' occasioni ha scrutinato
la legislazione sulle Regioni  e  gli  enti  locali  sulla  base  del
principio  di  eguaglianza  e  ha  riconosciuto   la   compatibilita'
costituzionale di discipline differenziate solo  sulla  base  di  uno
scrutinio   di   ragionevolezza   delle   norme    che    introducono
differenziazioni, ove queste ultime non discendano direttamente dalla
distinta posizione che Regioni ed enti autonomi assumono nel  disegno
costituzionale (per tutte, si vedano le sentenze n. 355 del 1994;  n.
276 del 1991; n. 243 del 1974). 
    Nel caso in esame, il comma 14 dell'art. 2 del  decreto-legge  n.
112 del  2008,  attraverso  una  elencazione  parziale  dei  soggetti
titolari  di  beni  riconducibili  alla  categoria   del   patrimonio
indisponibile, esclude le Regioni dai «soggetti pubblici» che possono
opporsi alla installazione  nella  loro  proprieta'  «di  reti  e  di
impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica»  ove
cio' avvenga con riguardo ai beni  appartenenti  al  loro  patrimonio
indisponibile e «tale attivita' possa arrecare concreta turbativa  al
pubblico servizio» che vi si svolge. 
    Questo trattamento differenziato si rivela in stridente contrasto
con  la  natura  stessa  del   patrimonio   indisponibile,   il   cui
trasferimento dallo Stato e'  stato  originato  dalla  necessita'  di
assicurare alle Regioni la effettiva possibilita'  di  esercitare  le
loro funzioni (sentenze n. 219 e n. 79 del 1972). 
    Dalla lettura della impugnata disposizione si evince una evidente
discrasia tra i titolari del potere di opposizione ed i titolari  dei
beni interessati dalle installazioni in oggetto. Da questa disciplina
non sono desumibili elementi testuali e sistematici per escludere che
l'espressione «soggetti pubblici»,  nella  sua  tangibile  latitudine
semantica, sia tale da ricomprendere anche le Regioni.  Tant'e'  vero
che l'altro elemento idoneo a legittimare il  predetto  rifiuto -  la
concreta turbativa al «pubblico servizio» - e'  tale  da  abbracciare
altresi'  le  attivita',  cosi'  qualificabili,   poste   in   essere
dall'amministrazione regionale. 
    Una simile differenzazione e' irragionevole dal  momento  che  la
ratio sottesa alla impugnata disposizione e' quella  di  contemperare
le esigenze di diffusione degli impianti  di  fibra  ottica  con  gli
interessi al cui soddisfacimento sono preordinati i  servizi  erogati
da tutti i  soggetti  pubblici,  ivi  comprese  le  Regioni:  servizi
rispetto ai quali i beni del patrimonio  indisponibile  assolvono  ad
una indefettibile funzione strumentale. 
    Questa irragionevole disparita' di trattamento  non  puo'  essere
sanata in via interpretativa, data la struttura linguistica del comma
14 dell'art. 2 del decreto-legge n. 112  del  2008.  Essa,  pertanto,
determina l'incostituzionalita' della  disposizione  censurata  nella
parte in cui non include il patrimonio  indisponibile  delle  Regioni
tra i beni la cui titolarita' possa legittimare i «soggetti pubblici»
ad opporsi alle installazioni ivi previste. 
    Restano assorbite le ulteriori censure. 
    5. - Non fondata e', invece, la  censura  relativa  alla  mancata
inclusione  nella  clausola  di  salvaguardia  di  cui  al  comma  14
dell'art.  2  del  decreto-legge  n.  112  del  2008  del  patrimonio
disponibile delle Regioni, sollevata sotto il profilo che non sarebbe
legittima, per violazione degli artt. 118 e  119  Cost.,  «l'astratta
precostituzione per legge di una generica ed apodittica  affermazione
di prevalenza - sempre e  comunque -  dell'interesse  dello  sviluppo
della banda larga  rispetto  alle  legittime  pretese  delle  Regioni
titolari di beni interessati da tale sviluppo». 
    Una volta ristabilita l'eguaglianza di trattamento  fra  tutti  i
soggetti  pubblici  titolari   di   patrimoni   indisponibili   nella
surrichiamata clausola di salvaguardia, l'individuazione circoscritta
a questa tipologia di beni e, dunque, non estesa  ad  altri,  come  i
beni del patrimonio disponibile degli enti pubblici,  in  genere  non
destinati a pubblici servizi (sentenza  n.  138  del  1981),  rientra
nell'esercizio     non     manifestamente     irragionevole     della
discrezionalita' del legislatore. E cio' tanto piu' in un settore nel
quale e' evidente l'interesse collettivo alla sollecita realizzazione
delle infrastrutture di comunicazione elettronica  (sentenza  n.  336
del 2005). 
    6. - Del pari non fondata e' la  censura  relativa  alla  mancata
previsione nell'art. 2, comma 14, del decreto-legge n. 112 del  2008,
di compensi o canoni per l'utilizzo di suolo pubblico  a  favore  dei
soggetti  pubblici,  i   quali   verserebbero   in   una   condizione
irragionevolmente deteriore rispetto ai soggetti privati. Secondo  la
Regione Emilia-Romagna, a questi ultimi sarebbe, comunque, assicurata
almeno un'indennita', nel caso in cui le installazioni siano tali  da
«impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione», come
si ricaverebbe a contrario dall'art. 91, commi 3  e  5,  del  decreto
legislativo n. 259 del 2003, espressamente richiamato  dall'impugnata
disposizione.  Da  cio'  deriverebbe  la  violazione  non  solo  «del
principio  di  ragionevolezza  di   cui   all'art.   3»,   ma   anche
dell'autonomia patrimoniale e finanziaria  della  Regione,  garantita
dall'art. 119 della Costituzione. 
    La questione muove da un erroneo presupposto interpretativo. 
    La disposizione impugnata non preclude infatti  alla  Regione  di
invocare, ove ne sussistano  i  presupposti,  la  previsione  di  cui
all'art. 92 del decreto legislativo n. 259 del 2003, che,  in  ordine
alle «servitu' occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, cavi ed
impianti connessi alle opere considerate dall'articolo 90, sul suolo,
nel sottosuolo o sull'area soprastante», ammette  l'indennizzabilita'
del sacrifico sofferto. 
    Invero, il comma 3  dell'art.  92  citato  rimette  all'autorita'
competente  la  determinazione  della  «indennita'  dovuta  ai  sensi
dell'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno
2001, n. 327». Il successivo comma 8 stabilisce che «il  proprietario
che ha ricevuto  una  indennita'  per  la  servitu'  impostagli,  nel
momento in cui ottiene di essere liberato dalla medesima,  e'  tenuto
al rimborso  della  somma  ricevuta,  detratto  l'equo  compenso  per
l'onere gia' subito». 
    Richiamando i soli artt. 90 e 91 del codice  delle  comunicazioni
elettroniche,  l'impugnata  disposizione  non  puo',  quindi,  essere
interpretata nel senso di escludere  l'applicabilita'  del  succitato
art. 92, a condizione, come e' ovvio, che  siano  integrati  tutti  i
presupposti che questa disposizione prevede a tal fine. 
    Pertanto, la posizione della Regione e dei soggetti  privati  e',
contrariamente all'avviso della ricorrente, identica sotto il profilo
che qui  viene  in  rilievo,  potendo  l'una  e  gli  altri  invocare
l'indennita' solo in caso di costituzione di una servitu', e non gia'
in presenza di una limitazione legale della proprieta'. 
    La censura, che la ricorrente ha posto sotto l'esclusivo  profilo
della irragionevole disparita' di trattamento  tra  Regione  e  parti
private, con conseguente pregiudizio  del  patrimonio  regionale,  e'
pertanto, entro tali termini, non fondata.