Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 428 del  codice
di procedura penale, come  sostituito  dall'art.  4  della  legge  20
febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice  di  procedura  penale,  in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
promosso dalla Corte militare d'appello  nel  procedimento  penale  a
carico di C.L. con ordinanza del 13 novembre 2008, iscritta al n.  84
del registro ordinanze 2009 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 13  novembre  2008,  la
Corte militare di appello ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,
primo comma, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione,  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 428 del codice di  procedura
penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 20 febbraio 2006,  n.
46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale,  in   materia   di
inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella  parte  in
cui ha soppresso la  facolta'  del  pubblico  ministero  di  proporre
appello avverso la sentenza di non luogo a procedere; 
        che  la  Corte  rimettente  riferisce  di  essere   investita
dell'appello proposto dal Procuratore generale  militare  avverso  la
sentenza del 17 gennaio 2008, con la quale  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale militare di Torino aveva dichiarato il  non
luogo a procedere nei confronti di un maresciallo  della  Guardia  di
finanza, imputato del reato di cui all'art. 3 della legge 9  dicembre
1941, n. 1383 (Militarizzazione del personale civile e  salariato  in
servizio presso la Regia guardia di finanza e disposizioni penali per
i militari del suddetto Corpo), perche' il fatto non sussiste; 
        che, ad avviso della Corte  rimettente,  la  rilevanza  della
questione risulterebbe evidente, giacche', ove la  stessa  non  fosse
accolta,  il  gravame  andrebbe  dichiarato   inammissibile,   ovvero
convertito in ricorso per cassazione; 
        che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il  giudice
a quo assume che la norma censurata violi, anzitutto, il principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.),  sottraendo  ingiustificatamente  alla
pubblica accusa, nella «fondamentale fase» in cui viene formulata  la
domanda di giudizio, quel potere di richiedere un completo riesame di
merito di cui essa invece dispone - per effetto delle sentenze  della
Corte costituzionale n. 26 e n. 320 del 2007 - nelle  ulteriori  fasi
del giudizio, in rapporto alle sentenze assolutorie  pronunciate  sia
in esito al dibattimento che al giudizio abbreviato; 
        che il nuovo testo dell'art. 428 cod. proc. pen. risulterebbe
inoltre incoerente, in quanto  accorderebbe  al  pubblico  ministero,
onde far valere i vizi della  sentenza  di  non  luogo  a  procedere,
esclusivamente un mezzo di impugnazione - il ricorso per cassazione -
inadeguato, per i suoi caratteri, rispetto al tipo di valutazione che
sovrintende  a  detta  sentenza  (l'insostenibilita'  dell'accusa  in
giudizio), trasformando, di fatto, quest'ultima «in  una  sostanziale
pietra tombale»; 
        che ne deriverebbe anche una irrazionale discriminazione  tra
i procedimenti che richiedono l'udienza preliminare (quali sono tutti
quelli davanti ai tribunali militari) ed i procedimenti  a  citazione
diretta: in questi  ultimi,  difatti,  la  domanda  di  giudizio  del
pubblico  ministero  determina  l'immediata  fissazione  dell'udienza
dibattimentale,  senza  poter  essere  «prematuramente  bloccata»,  e
permette altresi' alla parte pubblica - dopo le citate sentenze n. 26
e n. 320 del 2007 - di appellare la decisione  assolutoria  di  primo
grado; 
        che sarebbe leso, altresi', il  principio  di  parita'  delle
parti  (art.  111,  secondo  comma,  Cost.):  giacche',  mentre   per
l'imputato il piu' sfavorevole degli esiti  dell'udienza  preliminare
e'  il  rinvio  a  giudizio,  ossia   un   provvedimento   «meramente
interlocutorio», che non  preclude  la  possibilita'  di  far  valere
doglianze di merito avverso la decisione conclusiva del  processo  di
primo grado; per l'accusa, la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere
comporterebbe, viceversa, la pressoche'  definitiva  negazione  delle
ragioni pubblicistiche sottese all'esercizio dell'azione penale; 
        che  l'inappellabilita'  delle  sentenze  di  non   luogo   a
procedere tornerebbe a danno dello stesso imputato,  non  potendo  il
pubblico ministero attualmente appellare le suddette sentenze neanche
nell'interesse del soggetto sottoposto  a  processo  penale:  il  che
determinerebbe  una  ulteriore  incongruenza,  alla  luce  di  quanto
statuito dalla sentenza n. 85 del 2008  della  Corte  costituzionale,
che ha restituito all'imputato la  facolta'  di  appello  avverso  le
sentenze di proscioglimento dibattimentali che,  pur  non  applicando
una pena,  presuppongano  un  riconoscimento  di  responsabilita'  o,
comunque, l'attribuzione del  fatto  all'imputato  medesimo  (ipotesi
configurabile  anche  in  rapporto  alle  sentenze  di  non  luogo  a
procedere); 
        che la norma censurata violerebbe, ancora,  il  principio  di
ragionevole durata del processo (art.  111,  secondo  comma,  Cost.),
provocando una dilatazione dei tempi processuali priva di logica: ove
ritenesse fondata l'impugnazione del pubblico ministero,  il  giudice
di legittimita'  non  potrebbe,  infatti,  emettere  il  decreto  che
dispone il giudizio, ma dovrebbe annullare la sentenza impugnata  con
rinvio al giudice dell'udienza preliminare, il  quale  -  pur  mutato
nella persona - potrebbe adottare una diversa decisione  liberatoria,
a sua volta ricorribile per cassazione, in una sequenza  suscettibile
di protrarsi «quasi all'infinito»; 
        che sarebbe leso, infine,  il  principio  di  obbligatorieta'
dell'azione penale (art. 112 Cost.):  principio  che  troverebbe  nel
potere  di  impugnazione  del  pubblico  ministero  una   delle   sue
espressioni, specialmente quando l'impugnazione abbia ad oggetto  una
sentenza direttamente incidente sull'atto  di  esercizio  dell'azione
penale, quale quella considerata; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata manifestamente infondata. 
    Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 242 del 2009, ha
gia'   dichiarato   infondata   una   questione    di    legittimita'
costituzionale identica a quella in esame; 
        che la Corte ha rilevato, in  specie,  che  l'art.  428  cod.
proc. pen., nel nuovo testo introdotto dall'art. 4 della legge n.  46
del 2006, non determina un vulnus al principio di parita' delle parti
nel processo analogo a quello riscontrato dalle sentenze n. 26  e  n.
320 del 2007, in rapporto alla soppressione dell'appello del pubblico
ministero avverso le sentenze di proscioglimento emesse in  esito  al
giudizio ordinario e al giudizio abbreviato: vulnus legato  al  fatto
che le disposizioni allora impugnate (i novellati artt.  593  e  443,
comma 1, cod. proc. pen.) determinavano una «dissimmetria  radicale»,
facendo si' che una sola delle parti, e non l'altra, potesse chiedere
la  revisione  nel  merito  della  pronuncia  a   se'   completamente
sfavorevole; 
        che,  diversamente  dalla  sentenza  di  proscioglimento,  la
sentenza  di  non  luogo  a  procedere  non   rappresenta,   infatti,
l'alternativa alla condanna, ma al rinvio a giudizio:  e  se,  da  un
lato, con la novella del 2006,  il  potere  di  appello  contro  tale
sentenza e' stato sottratto ad entrambe le  parti;  dall'altro  lato,
l'epilogo   alternativo   dell'udienza    preliminare,    sfavorevole
all'imputato - il decreto di rinvio a giudizio - non  e'  impugnabile
da parte di alcuno; 
        che non giova obiettare che i  due  provvedimenti  hanno  una
diversa valenza, giacche' mentre la sentenza di non luogo a procedere
paralizza la pretesa punitiva avanzata  dal  pubblico  ministero,  il
decreto di rinvio a giudizio determina  soltanto  il  passaggio  alla
fase dibattimentale, contro il cui epilogo - ove a se' sfavorevole  -
l'imputato potra' comunque proporre appello; 
        che a prescindere, infatti, dall'impossibilita'  di  porre  a
raffronto  esiti  alternativi  di  fasi  processuali  successive   ed
eterogenee (quali udienza preliminare e dibattimento),  va  osservato
che  la  «paralisi»  della  domanda  di  giudizio,  conseguente  alla
sentenza di non  luogo  a  procedere,  non  e'  comunque  definitiva,
essendo il pubblico ministero abilitato a chiedere in ogni  tempo  la
revoca di detta pronuncia, quando sopravvengano o si  scoprano  nuove
prove (art. 434 cod. proc. pen.): prospettiva nella  quale  la  norma
denunciata   rappresenta   frutto   di   scelta   discrezionale   del
legislatore, non esorbitante dai  limiti  di  compatibilita'  con  il
parametro costituzionale evocato; 
        che questa Corte ha escluso, altresi', che il novellato  art.
428 cod. proc. pen. possa reputarsi lesivo dell'art. 3  Cost.,  sotto
il profilo dell'ingiustificata disparita' di  trattamento,  quanto  a
regime di impugnazione, tra sentenza  di  non  luogo  a  procedere  e
sentenze di proscioglimento pronunciate a seguito del dibattimento  e
del giudizio abbreviato: e cio' in quanto la sentenza di non luogo  a
procedere   e'   eterogenea   sotto   plurimi   aspetti   -   oggetto
dell'accertamento, base decisionale, regime di stabilita'  e  carenza
di efficacia extrapenale - rispetto ai tertia comparationis; 
        che inconferente risulta, poi, il richiamo alla  sentenza  n.
85 del 2008, che ha ripristinato il potere di  appello  dell'imputato
contro le sentenze di proscioglimento dibattimentali con formula  non
ampiamente liberatoria,  nell'ottica  di  rimuovere  una  riscontrata
posizione di svantaggio dell'imputato rispetto al pubblico  ministero
e alla parte civile: posizione di svantaggio  non  ravvisabile  nella
specie e che,  in  ogni  caso,  resterebbe  irrilevante  rispetto  al
petitum del giudice a quo, che e' di ripristino del potere di appello
della parte contrapposta (il pubblico ministero); 
        che  quanto,  poi,  all'asserita   inadeguatezza   dell'unico
rimedio accordato al pubblico ministero - il ricorso per cassazione -
rispetto al tipo di valutazione sotteso alla sentenza di non luogo  a
procedere, in quanto apprezzamento di  ordine  prettamente  fattuale,
detta censura resta - a tacer d'altro - sul piano della mera  critica
di opportunita': critica che, nella  sua  perentorieta',  non  appare
neppure confortata dall'esperienza giurisprudenziale (sentenza n. 242
del 2009); 
        che si e' esclusa  anche  l'ulteriore,  ventilata  violazione
dell'art.  3  Cost.,  legata  alla  disparita'  di  trattamento   tra
procedimenti con  udienza  preliminare  e  procedimenti  a  citazione
diretta, nei quali la domanda  di  giudizio  del  pubblico  ministero
sfocia nell'immediata fissazione  dell'udienza  dibattimentale  e  la
parte pubblica - dopo le sentenze n. 26 e n. 320  del  2007  -  resta
abilitata ad appellare la sentenza assolutoria di primo grado; 
        che tale disparita' di regime non  puo'  essere  considerata,
infatti, come una irrazionale limitazione della tutela della pubblica
accusa nei procedimenti per i reati piu' gravi e di maggiore  allarme
sociale, ma rappresenta  solo  una  conseguenza  del  diverso  modulo
processuale: modulo che, per  i  procedimenti  a  citazione  diretta,
disegnati con maggior snellezza di forme in  considerazione  sia  del
numero che della natura dei reati,  consente  l'apertura  della  fase
dibattimentale senza  passare  attraverso  il  «filtro»  dell'udienza
preliminare; 
        che, quanto alla  censura  di  violazione  del  principio  di
ragionevole durata del processo, e'  dirimente  il  rilievo  che  una
lesione  di  tale  principio  non  e'  comunque   configurabile   ove
l'allungamento dei  tempi  del  procedimento,  eventualmente  indotto
dalla norma denunciata, risulti compensato dal possibile risparmio di
attivita' processuale su altri versanti; 
        che, nella specie, l'effetto negativo indotto  dall'eventuale
regressione del procedimento - conseguente al fatto che, in  caso  di
accoglimento  del  gravame  del  pubblico  ministero,  la  Corte   di
cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata  -  appare
comunque compensato dalla eliminazione del secondo grado di giudizio,
la quale vale a comprimere i tempi processuali,  specie  in  caso  di
infondatezza delle doglianze della parte pubblica; 
        che   inconferente   e',   da   ultimo,   il   principio   di
obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione   penale,   essendo   la
giurisprudenza della Corte da tempo  consolidata  nel  senso  che  il
potere  di  impugnazione  del  pubblico  ministero  non   costituisce
estrinsecazione  necessaria   dei   poteri   inerenti   all'esercizio
dell'azione penale: e cio' anche quando si discuta delle sentenze  di
non luogo a procedere (sentenza n. 242 del 2009); 
        che, con l'odierna ordinanza di rimessione, il giudice a  quo
non  adduce  argomenti  nuovi  e  diversi,  rispetto  a  quelli  gia'
precedentemente esaminati dalla Corte; 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.