Sentenza 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2,
della legge 20 giugno 2003, n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso dal Tribunale
di Roma - Collegio per i reati ministeriali nel procedimento penale a
carico di A.P.S.  ed  altri  con  ordinanza  del  27  febbraio  2009,
iscritta al n. 152 del registro ordinanze  2009  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  A.P.S.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  15  dicembre  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Uditi l'avvocato Paola Balducci per  A.P.S.  e  l'avvocato  dello
Stato Massimo  Salvatorelli  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 27 febbraio 2009, il Collegio per i  reati
ministeriali presso il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge 20 giugno  2003,  n.
140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art.  68  della  Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato), «nella parte in cui prevede  l'obbligo  per  il
giudice per le indagini preliminari  di  richiedere  alla  Camera  di
appartenenza l'autorizzazione all'utilizzo delle  intercettazioni  di
conversazioni o di comunicazioni cui ha preso  parte  un  membro  del
Parlamento». 
    Il Collegio rimettente riferisce,  in  punto  di  fatto,  che,  a
seguito delle  intercettazioni  telefoniche  ed  ambientali  disposte
nell'ambito di una «complessa attivita' investigativa»  svolta  dalla
Procura  della  Repubblica  di   Potenza   nei   confronti   di   due
imprenditori, sarebbero emersi plurimi episodi di corruzione da parte
di uno degli indagati nei confronti di un  membro  della  Camera  dei
deputati, all'epoca Ministro dell'ambiente, con il  coinvolgimento  -
«sia pure in misura minore» - anche di un senatore. 
    Ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio  1989,
n. 1 (Modifiche agli articoli 96, 134  e  135  della  Costituzione  e
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e norme in materia  di
procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della  Costituzione),
gli atti erano stati quindi  trasmessi  al  Collegio  rimettente,  il
quale - espletati alcuni atti di indagine -  aveva  tenuto  l'udienza
camerale prevista dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del  2003,
con riferimento alle disposizioni dell'art. 268, comma 6, cod.  proc.
pen. (cosiddetta udienza  stralcio,  per  la  selezione,  secondo  le
indicazioni fornite dalle parti, delle conversazioni intercettate  da
utilizzare, previa loro formale trascrizione in contraddittorio). 
    In base al citato art. 6, comma 2, della legge n. 140  del  2003,
ove  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  ritenga  necessario
utilizzare le intercettazioni di conversazioni o  comunicazioni  alle
quali hanno preso parte membri del Parlamento, effettuate «nel  corso
di procedimenti riguardanti terzi», «decide con ordinanza e richiede,
entro i dieci giorni successivi, l'autorizzazione della  Camera  alla
quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in
cui le conversazioni o le  comunicazioni  sono  state  intercettate».
Avendo ritenuta necessaria l'utilizzazione della maggior parte  delle
intercettazioni  eseguite  -  tra  cui   quelle   relative   ai   due
parlamentari - il Collegio rimettente  dovrebbe,  dunque,  richiedere
alle Camere di appartenenza la relativa autorizzazione. 
    Il Collegio dubita, tuttavia, della  legittimita'  costituzionale
della previsione di tale obbligo sotto plurimi profili. 
    Quanto alla propria legittimazione a sollevare la  questione,  il
rimettente rileva che - come riconosciuto dalla giurisprudenza  tanto
costituzionale  che  di  legittimita'  -  il  collegio  per  i  reati
ministeriali cumula, nei procedimenti di sua competenza, le  funzioni
di pubblico ministero e  di  giudice  per  le  indagini  preliminari;
mentre e' la stessa norma censurata a prevedere che  l'autorizzazione
in discorso debba  essere  richiesta  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari, confermando cosi' che, in tale veste, il collegio per  i
reati ministeriali opera nell'esercizio di funzioni giurisdizionali. 
    Cio'   premesso,   il   rimettente   ricorda   come   la    Corte
costituzionale, con la sentenza n. 390  del  2007,  abbia  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5  e  6,  della
legge n. 140 del 2003, nella parte in cui stabiliva che, in  caso  di
diniego dell'autorizzazione da parte della Camera, la  documentazione
delle intercettazioni «casuali» di conversazioni o  comunicazioni  di
membri del Parlamento dovesse essere immediatamente distrutta e fosse
comunque inutilizzabile anche nei confronti di soggetti  diversi  dal
parlamentare. 
    Chiarendo i rapporti tra le ipotesi regolate dagli artt.  4  e  6
della legge n. 140 del 2003, la citata sentenza ha  rilevato  che  la
prima  delle  due  disposizioni,  nel   richiedere   l'autorizzazione
preventiva della Camera per l'esecuzione  delle  intercettazioni  nei
confronti di membri del Parlamento, si riferisce alle intercettazioni
sia «dirette» che «indirette»:  tanto,  cioe',  alle  intercettazioni
effettuate su utenze o  in  luoghi  riferibili  ad  un  parlamentare,
quanto a quelle  che,  pur  operate  su  utenze  o  in  luoghi  nella
disponibilita' di terzi, mirano comunque a captare  le  comunicazioni
del soggetto politico. Di contro, come si desume  dalla  clausola  di
riserva iniziale («fuori delle ipotesi previste dall'art. 4»), l'art.
6, nel prevedere  un'autorizzazione  successiva  per  l'utilizzazione
delle intercettazioni, ha di  mira  le  intercettazioni  «casuali»  o
«fortuite»: ossia le captazioni avvenute occasionalmente nel corso di
intercettazioni che hanno come destinataria una terza persona. 
    Sempre in base alla  sentenza  n.  390  del  2007,  tale  seconda
disposizione, a differenza della prima, non trova copertura nell'art.
68, terzo comma, Cost., il quale - richiedendo l'autorizzazione della
Camera per «sottoporre» i membri del Parlamento ad intercettazioni  -
ha riguardo al solo assenso preventivo, e non anche ad un controllo a
posteriori sull'utilizzazione di  un'intercettazione  gia'  eseguita.
Nel sistema costituzionale, inoltre, le norme che prevedono immunita'
o prerogative a tutela della  funzione  parlamentare,  in  deroga  al
principio di parita' di trattamento davanti alla giurisdizione, vanno
interpretate  nel  senso  piu'  aderente  al  testo  normativo,   non
essendone consentita, per il loro carattere eccezionale, l'estensione
a casi non espressamente regolati. 
    Escluso, dunque, che la norma  impugnata  sia  costituzionalmente
imposta, essa non potrebbe considerarsi neppure - secondo il Collegio
rimettente - costituzionalmente consentita. 
    Come  emergerebbe  anche  dal  riferimento  alla  «tutela   della
riservatezza», presente nel  comma  1  dello  stesso  art.  6,  detta
disposizione sarebbe infatti volta a  salvaguardare  la  riservatezza
del parlamentare, ponendolo al riparo dalla  «disinvolta  diffusione,
anche a mezzo della stampa, dei contenuti dei colloqui intercettati». 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  tuttavia,  la  riservatezza  del
parlamentare non potrebbe ricevere una tutela rafforzata  rispetto  a
quella di  cui  gode  la  generalita'  dei  cittadini:  giacche',  al
contrario, il rappresentante del  popolo  dovrebbe  ritenersi  semmai
maggiormente esposto a limitazioni della propria sfera  privata,  per
consentire  un  piu'  penetrante  controllo  da  parte  dell'opinione
pubblica. Ma anche a non voler aderire a  tale  tesi,  la  protezione
della riservatezza dell'uomo politico non potrebbe comunque  eccedere
quella degli altri consociati, posto che,  per  un  verso  -  secondo
quanto affermato anche dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
(sentenza 17 luglio 2003, nella causa Craxi contro Italia)  -  l'uomo
politico ha i medesimi diritti connessi alla privacy  di  ogni  altro
soggetto, quanto ai fatti estranei all'esercizio delle sue  funzioni;
e, per altro verso - come rimarcato dalla Corte costituzionale  nella
citata sentenza n. 390  del  2007  -  il  fenomeno  patologico  della
diffusione sulla stampa del contenuto delle  intercettazioni  incide,
di per se', sulla generalita' dei cittadini. 
    In conclusione, quindi,  la  norma  censurata  introdurrebbe  una
garanzia non solo non prevista dall'art. 68, terzo comma,  Cost.,  ma
anche  ingiustificata  rispetto   al   trattamento   riservato   alla
generalita' dei consociati e, come  tale,  lesiva  del  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.). 
    La  protezione  accordata  alla  riservatezza  del   parlamentare
sarebbe, inoltre, di  tale  ampiezza  da  travolgere  ogni  interesse
contrario, giungendo ad eliminare dal panorama  processuale,  tramite
la sanzione di inutilizzabilita', una prova legittimamente formata  e
spesso decisiva: donde una concorrente lesione tanto del  diritto  di
difesa della persona offesa (art. 24 Cost.), quanto del principio  di
obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale (art.  112  Cost.),
stante    il    possibile    pregiudizio    all'interesse    pubblico
all'accertamento di gravi delitti. 
    La  questione  risulterebbe,  altresi',  rilevante,  trattandosi,
nella specie, di intercettazioni «casuali», e non  gia'  «indirette».
Il procedimento a quo era stato, infatti, originariamente  instaurato
nei confronti di un imprenditore lucano e solo all'esito delle  prime
indagini esteso ad altro imprenditore;  indi,  dalle  intercettazioni
disposte sulle utenze in uso al secondo era  emerso  -  in  modo  del
tutto fortuito - il coinvolgimento dei due parlamentari. 
    2.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. 
    Ad  avviso  della   difesa   erariale,   la   questione   sarebbe
inammissibile - almeno per quanto attiene alle censure relative  agli
artt. 3 e 112 Cost. - in quanto formulata in modo  contraddittorio  e
in  termini  ipotetici,   dando,   cioe',   per   scontato   che   le
intercettazioni in esame forniscano contributi probatori  decisivi  e
che l'autorizzazione  alla  loro  utilizzazione  venga  negata  dalla
Camera: il che, al contrario, non sarebbe affatto certo. 
    In ogni caso, la sentenza n. 390 del  2007  non  avrebbe  affatto
indirizzato la risoluzione  del  dubbio  di  costituzionalita'  nella
direzione indicata  dal  rimettente.  Con  essa,  infatti,  la  Corte
costituzionale ha evidenziato che solo «di regola»  l'intercettazione
fortuita non incide sul bene  tutelato  dall'art.  68,  terzo  comma,
Cost. (l'indipendenza del potere legislativo da quello  giudiziario),
lasciando  cosi'  intendere  che  detta  incidenza  non  puo'  essere
pregiudizialmente esclusa. Ne', d'altra parte,  potrebbe  trascurarsi
la circostanza che la distinzione - pure teoricamente  chiarissima  -
tra intercettazioni «indirette» e «fortuite», tracciata dalla  citata
pronuncia, abbia, in concreto, confini estremamente labili. 
    Alla stregua di cio', anche a ritenere che il  vaglio  successivo
delle   Camere   sulle   intercettazioni   «occasionali»   non    sia
costituzionalmente imposto, esso sarebbe comunque  costituzionalmente
consentito, ed anzi perfettamente coerente con il dettato ed  i  fini
della norma costituzionale.  Nessuna  lesione  risulterebbe  pertanto
ravvisabile, ne' in rapporto all'art. 3 Cost. - essendo la diversita'
di regime rispetto al comune cittadino giustificata dalle particolari
esigenze di tutela, non tanto del  parlamentare,  quanto  del  potere
legislativo - ne' in riferimento agli artt. 24 e 112 Cost. 
    3. - Si e' costituito, altresi', A.  P.  S.,  persona  sottoposta
alle indagini nel procedimento a  quo,  eccependo  l'inammissibilita'
della questione per difetto di rilevanza,  in  quanto  sollevata  dal
rimettente prima  di  aver  richiesto  alle  Camere  l'autorizzazione
all'utilizzazione delle intercettazioni, e dunque  quando  e'  ancora
incerto il relativo  diniego,  dal  quale  soltanto  scaturirebbe  la
preclusione all'impiego delle intercettazioni stesse. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale  di
Roma  dubita,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24   e   112   della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2,
della legge 20 giugno 2003, n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato),  nella  parte  in  cui
richiede  l'autorizzazione  della  Camera  di  appartenenza  ai  fini
dell'utilizzazione delle intercettazioni «casuali» di conversazioni o
comunicazioni di un membro del Parlamento, anche quando si tratti  di
utilizzazione nei confronti  dello  stesso  parlamentare  interessato
(l'incostituzionalita' con riguardo all'utilizzazione  nei  confronti
di terzi essendo gia' stata dichiarata con la  sentenza  n.  390  del
2007). 
    A parere del rimettente, la  norma  censurata  introdurrebbe  una
garanzia a tutela della riservatezza dei parlamentati  non  solo  non
prevista dall'art. 68, terzo comma, Cost. -  conformemente  a  quanto
gia' affermato dalla Corte costituzionale con la citata  sentenza  n.
390 del 2007  -  ma  anche  ingiustificata  rispetto  al  trattamento
riservato alla generalita' dei cittadini e,  come  tale,  lesiva  del
principio di eguaglianza. Anche a non aderire alla tesi  secondo  cui
il rappresentante del  popolo  sarebbe  da  considerare  maggiormente
esposto a limitazioni  della  riservatezza,  per  garantire  un  piu'
penetrante controllo  dell'opinione  pubblica,  risulterebbe  infatti
dirimente la considerazione che il fenomeno patologico che  la  norma
mira a contrastare - ossia la «disinvolta diffusione, anche  a  mezzo
della stampa, dei contenuti dei colloqui intercettati»  -  coinvolge,
allo stesso modo, tutti i consociati. 
    La  protezione  accordata  alla  riservatezza  del   parlamentare
sarebbe, inoltre, di  tale  ampiezza  da  travolgere  ogni  interesse
contrario,  comportando  l'eliminazione  dal  panorama   processuale,
tramite la sanzione di inutilizzabilita', di una prova legittimamente
formata e spesso decisiva. Di qui una concomitante lesione tanto  del
diritto di difesa della persona offesa (art. 24  Cost.),  quanto  del
principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale  (art.
112 Cost.), a causa del possibile pregiudizio all'interesse  pubblico
all'accertamento di gravi delitti. 
    2. - Le eccezioni di inammissibilita' della  questione  formulate
dall'Avvocatura generale dello Stato e dalla parte privata  non  sono
fondate. 
    Quanto, infatti, all'eccepita  inammissibilita'  per  difetto  di
rilevanza o per carattere ipotetico del  quesito,  occorre  osservare
che - a differenza che nel  caso  esaminato  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 390 del 2007 - il Collegio rimettente non si duole  della
disciplina degli effetti del  diniego  di  autorizzazione,  ma  della
stessa previsione dell'obbligo di  richiederla.  Di  conseguenza,  il
rimettente ha correttamente sollevato la questione prima di  proporre
la richiesta di autorizzazione: iniziativa, questa, che,  comportando
l'applicazione   della   norma   censurata,    avrebbe    determinato
l'esaurimento del potere decisorio del giudice a quo sul punto. 
    L'ulteriore eccezione dell'Avvocatura dello Stato, inerente  alla
formulazione «in maniera incerta» e  «contraddittoria»  del  quesito,
risulta sostanzialmente immotivata, e comunque priva di riscontro nel
tessuto argomentativo dell'ordinanza di rimessione. 
    3. - La questione e', nondimeno, inammissibile  per  una  diversa
ragione. 
    3.1.  -  In  via  preliminare,  va  osservato  che  il   Collegio
rimettente non prende affatto in considerazione la  circostanza  che,
nei procedimenti per i reati ministeriali indicati all'art. 96  Cost.
(quale  e'  quello  devoluto  nella  specie  al  Collegio  medesimo),
l'autorizzazione  parlamentare  (preventiva)   all'esecuzione   delle
«intercettazioni telefoniche» - non solo nei confronti del Presidente
del Consiglio dei ministri e dei  ministri,  ma  anche  degli  «altri
inquisiti»  che  siano  membri  del  Parlamento  -  e'  autonomamente
prevista da una norma costituzionale  distinta  dall'art.  68,  terzo
comma, Cost. (l'art. 10,  comma  1,  della  legge  costituzionale  16
gennaio 1989, n. 1). 
    3.2. - Peraltro, anche a voler ritenere che tale circostanza  non
escluda - allorche' il Ministro  abbia  la  qualita'  di  membro  del
Parlamento e, in ogni caso, rispetto al parlamentare  coindagato  nel
reato  ministeriale  -  l'operativita'  della  distinta   guarentigia
(autorizzazione «postuma») prevista dall'art. 6 della  legge  n.  140
del 2003 con riguardo alle intercettazioni  «casuali»,  la  rilevanza
della   questione   resta   comunque   subordinata   alla   effettiva
possibilita' di qualificare come tali le captazioni foniche di cui si
discute nel procedimento a quo. 
    Come chiarito, infatti, da questa Corte con la  sentenza  n.  390
del 2007, la  disciplina  dell'autorizzazione  preventiva,  delineata
dall'art. 4 della legge n. 140 del 2003 in attuazione  dell'art.  68,
terzo comma, Cost. (ma il discorso e' riferibile,  mutatis  mutandis,
anche all'art. 10,  comma  1,  della  legge  cost.  n.  1  del  1989,
caratterizzato da analoga formulazione),  deve  trovare  applicazione
«tutte le volte in cui il parlamentare sia  individuato  in  anticipo
quale  destinatario  dell'attivita'  di  captazione»:   dunque,   non
soltanto quando siano sottoposti ad intercettazione utenze  o  luoghi
appartenenti  al  soggetto  politico  o  nella   sua   disponibilita'
(intercettazioni «dirette»), ma anche quando lo siano utenze o luoghi
di soggetti diversi, che possono tuttavia «presumersi frequentati dal
parlamentare» (intercettazioni «indirette»). In  altre  parole,  cio'
che conta «non e' la  titolarita'  o  la  disponibilita'  dell'utenza
captata, ma la direzione dell'atto di indagine»: «se quest'ultimo  e'
volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle  comunicazioni  del
parlamentare, l'intercettazione non  autorizzata  e'  illegittima,  a
prescindere dal fatto che il procedimento riguardi  terzi  o  che  le
utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi». 
    La   disciplina    dell'autorizzazione    successiva,    prevista
dall'impugnato art. 6, si riferisce, per  converso,  unicamente  alle
intercettazioni «casuali» (o «fortuite»): rispetto alle quali,  cioe'
-  «proprio  per  il  carattere  imprevisto  dell'interlocuzione  del
parlamentare»  -  «l'autorita'  giudiziaria  non  potrebbe,   neanche
volendo,  munirsi  preventivamente  del  placet   della   Camera   di
appartenenza» (sentenza n. 390 del 2007). 
    3.3. - Il giudice a quo asserisce, in effetti, che  nel  caso  di
specie si sarebbe al cospetto di intercettazioni «casuali»: ma lo  fa
muovendo da una non condivisibile interpretazione di tale concetto. 
    Il  Collegio  rimettente   mostra,   cioe',   di   ritenere   che
l'originaria assenza dell'intento di captare le conversazioni  di  un
parlamentare,  in  sede  di  sottoposizione  a   controllo   di   una
determinata utenza nella disponibilita' di terzi, valga a qualificare
indefinitamente come «casuali» le  intercettazioni  di  comunicazioni
del  membro  del  Parlamento  operate  su  detta  utenza   (se   non,
addirittura, piu' ampiamente, nell'ambito  di  quel  procedimento  su
utenze non del parlamentare, quali  che  siano).  Il  giudice  a  quo
desume, infatti,  la  natura  «casuale»,  e  non  «indiretta»,  delle
intercettazioni in questione dalla circostanza che il procedimento  a
quo ha tratto origine da  una  «complessa  attivita'  investigativa»,
avente come originario obbiettivo un imprenditore lucano e poi estesa
ad altro imprenditore; attivita' investigativa nel cui  ambito  erano
state disposte intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle  quali
soltanto sarebbe emerso il «coinvolgimento» dei due parlamentari -  e
soprattutto dell'allora Ministro dell'ambiente - in tutta  una  serie
di episodi di corruzione a favore del secondo  imprenditore,  cui  il
Ministro risultava legato da «rapporti di amicizia e di  interessenze
illecite». 
    Da tale narrazione si desume che si tratta di  una  attivita'  di
captazione articolata e prolungata nel tempo: situazione nella  quale
la verifica dell'«occasionalita'» delle intercettazioni  deve  farsi,
di necessita', particolarmente stringente. Ove,  infatti,  nel  corso
dell'attivita' di intercettazione emergano, non soltanto rapporti  di
interlocuzione  abituale  tra   il   soggetto   intercettato   e   il
parlamentare,  ma  anche  indizi   di   reita'   nei   confronti   di
quest'ultimo, non si puo' trascurare l'eventualita'  che  intervenga,
nell'autorita' giudiziaria, un mutamento di obbiettivi: nel senso che
- in ragione anche dell'obbligo di perseguire gli autori dei reati  -
le ulteriori intercettazioni potrebbero risultare finalizzate,  nelle
strategie investigative dell'organo inquirente, a  captare  non  piu'
(soltanto)  le  comunicazioni  del  terzo  titolare  dell'utenza,  ma
(anche) quelle del suo interlocutore parlamentare, per accertarne  le
responsabilita' penali.  Quando  cio'  accadesse,  ogni  «casualita'»
verrebbe  evidentemente  meno:   le   successive   captazioni   delle
comunicazioni del membro del Parlamento, lungi dal restare  fortuite,
diventerebbero «mirate» (e, con cio', «indirette»),  esigendo  quindi
l'autorizzazione preventiva della Camera, ai sensi dell'art. 4. 
    Di tale  problema  -  verificare,  cioe',  se  (ed  eventualmente
quando), nel caso  di  specie,  i  parlamentari  interessati  possano
essere   divenuti   bersaglio   indiretto    delle    attivita'    di
intercettazione - il  giudice  rimettente  non  si  fa,  per  contro,
carico: profilo per il quale la  motivazione  sulla  rilevanza  della
questione e la descrizione della fattispecie concreta  si  presentano
inadeguate. 
    3.4. - Non giova, al riguardo, obiettare che - ove pure, dopo  la
«comparsa» dei parlamentari,  l'autorita'  giudiziaria  abbia  inteso
proseguire  le   intercettazioni   (anche)   al   fine   di   captare
indirettamente le loro comunicazioni - la prima o  le  prime  fra  le
intercettazioni   delle   conversazioni   dei    soggetti    politici
resterebbero comunque  «casuali»,  onde,  in  relazione  a  esse,  la
questione risulterebbe in ogni caso rilevante. 
    Da un lato, infatti, una  drastica  riduzione  del  numero  delle
intercettazioni ricadenti nel regime dell'art. 6 - per  essere  tutte
le  altre  radicalmente  inutilizzabili,  per  il  mancato   rispetto
dell'art. 4 - imporrebbe al rimettente  di  rivedere  l'apprezzamento
circa l'effettiva necessita'  di  utilizzare  le  intercettazioni  in
discorso nell'ambito del procedimento principale: necessita' che,  ai
sensi dello stesso  art.  6,  costituisce  il  presupposto  affinche'
insorga l'obbligo di richiedere l'autorizzazione  ivi  prevista.  Ne'
varrebbe osservare, in contrario, che se una tale necessita' e'  gia'
stata affermata dal rimettente per l'insieme  delle  intercettazioni,
lo e' stata anche per  le  singole  unita'  che  lo  compongono  (ivi
comprese, dunque, la prima o le prime,  sul  piano  cronologico).  Un
conto, infatti, e' che si discuta di un complesso di intercettazioni,
che  si  «cementano»  tra  loro  fornendo   un   complessivo   quadro
indiziario; altra cosa e' che  il  problema  riguardi  pochissime,  o
addirittura una singola  intercettazione  fra  le  tante,  la  quale,
isolatamente considerata, potrebbe risultare  carente  dei  connotati
che valgono a costituire la necessita' di utilizzazione, in  rapporto
allo specifico provvedimento che il giudice  a  quo  e'  chiamato  ad
adottare. 
    Al di la' di cio', peraltro, e ancora piu' a monte,  il  Collegio
rimettente non afferma neppure, in modo espresso ed  inequivoco,  che
il «coinvolgimento» dei parlamentari sia emerso, per la prima  volta,
a seguito della diretta e personale interlocuzione  dei  parlamentari
medesimi  con  uno  dei  soggetti  sottoposti  a  intercettazione   -
interlocuzione necessaria affinche' divenga operante il regime  della
legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 163 del 2005) - e non,  piuttosto,
a seguito del semplice riferimento ai parlamentari fatto dai soggetti
intercettati nel corso di colloqui, eventualmente  anche  precedenti,
con  terzi.  Di  conseguenza,  sulla  base  di  quanto  si  riferisce
nell'ordinanza di rimessione, non e' neppure certo che vi  sia  anche
una sola intercettazione  dei  parlamentari  qualificabile  realmente
come «casuale». 
    4. - Alla luce delle considerazioni che precedono,  la  questione
va  dichiarata  inammissibile  per  carenza  di   descrizione   della
fattispecie e, quindi, per difetto di motivazione sulla rilevanza.