Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  2  del
decreto-legge 5 marzo  2010,  n.  29  (Interpretazione  autentica  di
disposizioni del procedimento elettorale  e  relativa  disciplina  di
attuazione), promossi con ricorsi delle  Regioni  Lazio,  Piemonte  e
Toscana notificati l'11-13, il 12-13 ed il 29 marzo 2010,  depositati
in  cancelleria  l'11,  il  12  ed  il  30  marzo  2010  ed  iscritti
rispettivamente ai nn. 43, 45 e 52 del registro ricorsi 2010. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25  maggio  2010  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi gli  avvocati  Alberto  Romano  per  la  Regione  Piemonte,
Pasquale Mosca per  la  Regione  Toscana  e  l'avvocato  dello  Stato
Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato l'11 marzo 2010 (iscritto al
r.r. n. 43 del 2010), la Regione Lazio ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24, 25, 48, 72, quarto comma, 77, 102, 104, 111 e  122,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5  marzo  2010,
n. 29 (Interpretazione autentica  di  disposizioni  del  procedimento
elettorale e relativa disciplina  di  attuazione),  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 54 del 6 marzo 2010; 
        che la stessa Regione Lazio ha presentato, con il ricorso  in
epigrafe,  istanza  cautelare  di  sospensione  dell'efficacia  delle
impugnate disposizioni, ai sensi dell'art.  35,  primo  comma,  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento della Corte costituzionale); 
        che,  secondo  la  ricorrente,  le   impugnate   disposizioni
contrasterebbero, innanzitutto, con l'art. 122, primo  comma,  Cost.,
avendo il legislatore statale illegittimamente  violato  la  potesta'
legislativa concorrente della Regione nella materia del  «sistema  di
elezione»  del  Presidente  della  Regione  stessa  e  del  Consiglio
regionale, introdotta dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n.
1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del  Presidente  della
Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni),  attraverso
l'adozione di norme di dettaglio,  asseritamente  di  interpretazione
autentica, ma in realta' dotate di portata innovativa; 
        che,   in   secondo   luogo,   le   denunciate   disposizioni
violerebbero gli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 Cost., avendo il
legislatore statale  posto  in  essere  un  esercizio  abnorme  della
potesta' di interpretazione autentica, al solo  fine  di  interferire
con giudizi pendenti in vista della  riammissione  di  liste  escluse
dalla  competizione  elettorale,  contravvenendo  al   principio   di
ragionevolezza, vulnerando la funzione giurisdizionale e le  garanzie
del giusto processo, e ledendo l'eguaglianza del voto; 
        che,   inoltre,   le   previsioni   oggetto   di    doglianza
confliggerebbero con gli artt. 72, quarto comma, e 77, secondo comma,
Cost.,  dal  momento  che,  per  un  verso,  in  materia   elettorale
sussisterebbe una riserva  di  assemblea  tale  da  legittimare  solo
l'intervento di leggi ordinarie e che, d'altro canto, a fronte  della
vigenza protratta da piu' di quarant'anni della  legge  asseritamente
interpretata,   difetterebbero   i   presupposti   di   straordinaria
necessita'  e  urgenza  che  soli   legittimano   il   ricorso   alla
decretazione d'urgenza; 
        che, con atto depositato il 16 marzo 2010, si  e'  costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, «previo  rigetto
della   domanda   di   sospensiva»,   il   ricorso   sia   dichiarato
«inammissibile o comunque infondato»; 
        che hanno spiegato intervento  in  questo  giudizio  il  sig.
Mario Caravale e altri cittadini i quali hanno chiesto l'accoglimento
del ricorso proposto  dalla  Regione  Lazio,  previa  adozione  della
misura cautelare sospensiva; 
        che sono, altresi', intervenuti, con separati atti, i signori
Perugia Maria Cristina e Mastrorillo Riccardo, nonche'  il  Movimento
difesa del cittadino (MDC) e il sig. Antonio Longo, a  propria  volta
aderendo alle censure della Regione ricorrente; 
        che con ordinanza, di cui si e'  data  lettura  in  occasione
della camera di consiglio del 18 marzo 2010,  fissata  per  discutere
l'istanza di sospensione, tutti i surriferiti interventi  sono  stati
dichiarati inammissibili; 
        che le parti hanno discusso  l'istanza  di  sospensiva  nella
camera di consiglio sopra indicata; 
        che questa Corte, con ordinanza n. 107 del 2010, ha rigettato
la   domanda    di    sospensione    dell'efficacia    dell'impugnato
decreto-legge; 
        che, con ricorso depositato il 12  marzo  2010  (iscritto  al
r.r.  n.  45  del  2010),  la  Regione  Piemonte  ha  sollevato,   in
riferimento agli 3, 5, 70, 72, 76, 77, 114, 120,  122,  primo  comma,
della Costituzione, nonche' all'art.  5,  primo  comma,  della  legge
costituzionale   n.   1   del   1999,   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 29 del 2010; 
        che,  secondo  il  ricorrente,  le   impugnate   disposizioni
violerebbero gli artt. 122, primo comma, Cost.,  e  5,  primo  comma,
della legge costituzionale n.  1  del  1999,  avendo  il  legislatore
statale dettato, in materia elettorale e con effetto sul procedimento
elettorale  in  corso,  nuove  disposizioni  di  dettaglio  in  forma
d'interpretazione autentica sebbene la potesta'  legislativa  spetti,
in questo ambito, ai legislatori regionali; 
        che, inoltre, le  contestate  disposizioni  violerebbero  gli
artt. 3, 5, 70, 72, 76, 77, 114, 117 e 120 Cost., in  quanto:  a)  il
legislatore  statale,  in  sede  di  adozione  del  decreto-legge  in
oggetto, non avrebbe cercato alcuna forma  di  coordinamento  con  le
regioni, in antitesi con il principio di leale collaborazione; b)  il
Governo avrebbe illegittimamente esercitato il potere di decretazione
legislativa d'urgenza  laddove  la  Costituzione  contemplerebbe,  in
materia elettorale, una riserva di legge formale, il cui procedimento
appare  d'altro  canto  consono  «all'indicato  principio  di   leale
collaborazione una volta attratta alla sfera dell'autonomia regionale
la  disciplina  elettorale»;  c)  in  relazione   al   principio   di
ragionevolezza,  la  Costituzione  qualifica  il  decreto-legge  come
«provvedimento provvisorio» e, come tale, il  decreto  qui  impugnato
non garantirebbe,  in  considerazione  della  sua  aleatorieta',  uno
svolgimento della competizione elettorale in grado di assicurare  «il
normale funzionamento di organi ed enti che sono ritenuti costitutivi
della Repubblica italiana» ai sensi dell'art. 114 Cost.; d) lo stesso
principio  di  ragionevolezza   precluderebbe   l'adozione   di   una
disciplina retroattiva a procedimento elettorale gia' iniziato; 
        che, con atto depositato il 21 aprile 2010, si e'  costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato; 
        che il  resistente  sollecita  l'adita  Corte  a  pronunciare
l'inammissibilita' del ricorso essendo venuto  meno  l'oggetto  delle
doglianze  di  parte  regionale,  dal  momento  che  nella   Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana n. 86 del 14 aprile 2010 e' stata
data comunicazione che la Camera dei Deputati ha respinto il  disegno
di legge di conversione dell'impugnato decreto-legge n. 29 del  2010,
e considerata, altresi', la  pendenza  di  un  disegno  di  legge  di
sanatoria degli effetti prodotti dal decreto-legge decaduto; 
        che, con ricorso depositato il 30  marzo  2010  (iscritto  al
r.r. n. 52 del 2010), la Regione Toscana ha sollevato, in riferimento
all'art.  122,  primo  comma,  della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge n. 29
del 2010; 
        che, a detta della ricorrente, il legislatore statale avrebbe
illegittimamente violato la potesta'  legislativa  concorrente  della
Regione nella materia del «sistema di elezione» del Presidente  della
Regione stessa e del Consiglio regionale, per il tramite di norme  di
dettaglio, asseritamente di interpretazione autentica, ma in  realta'
provviste di portata innovativa; 
        che, con atto depositato il 3 maggio 2010, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, si e' costituito nel  giudizio  promosso  dalla
Regione Toscana chiedendo, alla luce della sopravvenuta decadenza del
denunciato decreto-legge, che sia pronunciata l'inammissibilita'  del
ricorso, essendo venuto  meno  l'oggetto  delle  doglianze  di  parte
regionale; 
        che con memoria depositata il 3 maggio  2010,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri ha sollecitato questa Corte  a  dichiarare
l'inammissibilita' del ricorso presentato dalla Regione Lazio per  le
suesposte ragioni; 
        che, in data 6 maggio 2010, la Regione Piemonte ha depositato
una  istanza  di  declaratoria  di  cessazione  della   materia   del
contendere, giacche', sopravvenuta la decadenza del decreto-legge  n.
29 del 2010, nel proprio  ambito  territoriale  non  e'  destinata  a
trovare applicazione la legge "di sanatoria" 22 aprile  2010,  n.  60
(Salvaguardia degli effetti prodotti dal decreto-legge 5 marzo  2010,
n.  29,  recante  interpretazione  autentica  di   disposizioni   del
procedimento elettorale e  relativa  disciplina  di  attuazione,  non
convertito in legge), non risultando «all'odierna esponente che siano
sorti rapporti giuridici in base allo stesso decreto legge». 
    Considerato che l'identita' delle  disposizioni  impugnate  e  la
sostanziale corrispondenza di alcune delle doglianze proposte  e  dei
parametri invocati rendono opportuna la riunione dei giudizi; 
        che il decreto-legge 5 marzo  2010,  n.  29  (Interpretazione
autentica di disposizioni  del  procedimento  elettorale  e  relativa
disciplina di attuazione), non e' stato convertito in legge entro  il
termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, come risulta  dal
comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 86  del  14  aprile
2010; 
        che il Parlamento ha stabilito, con la legge 22 aprile  2010,
n. 60 (Salvaguardia degli effetti prodotti dal decreto-legge 5  marzo
2010, n. 29, recante interpretazione autentica  di  disposizioni  del
procedimento elettorale e  relativa  disciplina  di  attuazione,  non
convertito in legge), che «restano validi gli atti e i  provvedimenti
adottati e sono  fatti  salvi  gli  effetti  prodotti  e  i  rapporti
giuridici sorti sulla base del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29»; 
        che in via di principio, la sanatoria non costituisce «idoneo
equipollente» (sentenza n. 84 del 1996) della  conversione,  giacche'
il  relativo  potere  e'  «ontologicamente  diverso,  anche  per   le
conseguenze giuridiche, [...] in quanto riguarda i rapporti giuridici
sorti  nel  periodo  di  vigenza  del  decreto,  la  cui  provvisoria
efficacia e' venuta meno ex tunc» (sentenza n. 244 del 1997); 
        che il carattere impugnatorio del giudizio in via  principale
impone al ricorrente l'onere, da assolvere nel termine  decadenziale,
di  una  specifica   determinazione,   ai   fini   della   permanenza
dell'interesse a ricorrere contro  il  nuovo  atto,  in  ordine  alla
eventuale, perdurante lesione della sua sfera di competenza (sentenze
n. 37 del 2003, n. 405 del 2000 e n. 430 del 1997); 
        che quando sussiste per il  ricorrente  nei  giudizi  in  via
principale  la  possibilita'  concreta  di  effettiva  e   tempestiva
riproposizione della questione con azione di impugnazione avente  per
oggetto la nuova disposizione, deve essere precluso il  trasferimento
della questione  di  costituzionalita'  sulla  norma  di  «sanatoria»
(sentenza n. 429 del 1997); 
        che, di conseguenza, in conformita'  alla  giurisprudenza  di
questa Corte (tra le molte, le ordinanze n. 341 del 2002 e n. 174 del
1995), le questioni aventi per oggetto il  decreto-legge  n.  29  del
2010 devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.