SENTENZA 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  61,  numero
11-bis, del codice penale, come introdotto dall'art. 1,  lettera  f),
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di
sicurezza  pubblica),  o  nel  testo   risultante   dalle   modifiche
apportate, in sede di conversione, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio
2008,  n.  92,  recante  misure  urgenti  in  materia  di   sicurezza
pubblica), promossi dal Tribunale di  Livorno  con  ordinanza  del  4
febbraio 2009 e dal Tribunale di Ferrara con ordinanza del 26 gennaio
2010, rispettivamente iscritte ai nn. 16 e 121 del registro ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.  6  e
17, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del  9  giugno  2010  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Livorno  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza del 4 febbraio 2009 (r.o. n. 16 del 2010), ha  sollevato  -
in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione  -  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  61,  comma  (recte:  numero)
11-bis, del codice penale. 
    Il rimettente procede, nei confronti di un  cittadino  straniero,
per il reato di cui all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero),  contestato  con   l'aggravante   dell'avere   l'imputato
commesso il fatto «trovandosi illegalmente sul territorio nazionale».
Nell'ordinanza di rimessione  vi  sono  riferimenti  alla  previsione
circostanziale come introdotta dall'art. 1, comma 1, lettera f),  del
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure  urgenti  in  materia  di
sicurezza pubblica). La questione  di  legittimita',  per  altro,  e'
stata  deliberata  molti  mesi  dopo  che  il  citato   provvedimento
governativo e' stato convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della
legge 24 luglio 2008, n. 125. 
    Nel merito, il Tribunale non ritiene che la previsione aggravante
possa giustificarsi in  base  ad  una  presunzione  di  pericolosita'
connessa alla  condizione  di  «clandestinita'»  del  reo.  Una  tale
giustificazione,  a  prescindere   dal   suo   fondamento,   non   si
attaglierebbe infatti a tutti i casi disciplinati dalla nuova  figura
circostanziale, che si  riferisce  ad  ogni  situazione  di  presenza
irregolare (ad esempio quella dello straniero munito di  permesso  di
soggiorno scaduto), e dunque eccede i limiti della  nozione  corrente
di «clandestinita'». D'altra parte la disposizione censurata, secondo
il rimettente, trova  applicazione  anche  quando  l'interessato  non
abbia tenuto,  in  epoca  antecedente  al  reato,  comportamenti  che
possano  in  seguito  denotare   una   particolare   inclinazione   a
delinquere. 
    1.1. - Una  prima  violazione  dell'art.  3  Cost.  consisterebbe
proprio  -  secondo  il  giudice  a   quo   -   nella   parificazione
indiscriminata tra situazioni  fortemente  eterogenee.  Lo  straniero
puo'  trovarsi  in  circostanze  che  ne  determinano  una  specifica
pericolosita' criminale, ma tra queste non potrebbe annoverarsi,  per
se stessa, la carenza di un valido titolo di soggiorno. 
    Non sarebbe proponibile una comparazione tra la norma censurata e
le previsioni di cui ai numeri 9 e 11 dell'art.  61  cod.  pen.  (ove
trova sanzione l'abuso di una posizione di comando, di  protezione  o
di rapporto fiduciario). Neppure sussisterebbero effettive  analogie,
a parere del rimettente, con le aggravanti fondate sulla latitanza  o
sulla recidiva. Tali circostanze, infatti, riguardano  persone  delle
quali e' gia' stata accertata una responsabilita' penale,  o  la  cui
condizione  di  personale  pericolosita'  e'  attestata  mediante  un
provvedimento cautelare del giudice: soggetti, dunque, il cui (nuovo)
comportamento criminoso esprimerebbe una  particolare  determinazione
nella devianza. La stessa  logica  non  potrebbe  essere  riferita  a
persone che, magari per il solo effetto di circostanze contingenti  o
di difficolta' burocratiche, si trovano a violare una prescrizione  a
carattere  amministrativo:  sarebbe  irragionevole,  di  conseguenza,
l'identita' del trattamento loro riservato rispetto a quello previsto
per soggetti di accertata pericolosita'. 
    Anche la quantificazione della  pena  nella  cornice  edittale  -
prosegue il Tribunale - puo'  essere  fondata,  in  applicazione  del
secondo comma dell'art. 133 cod. pen., sulle  condizioni  o  qualita'
personali del reo. Tuttavia la norma appena citata opererebbe  su  un
piano diverso da quello proprio della disposizione censurata, perche'
quest'ultima, pur nell'ambito eventuale di un bilanciamento con altre
circostanze, impone al giudice di valorizzare la condizione del  reo,
a prescindere dalla sua rilevanza. 
    1.2. - L'art. 61, numero 11-bis, cod. pen.  violerebbe  anche  il
principio di personalita' della responsabilita' penale, in quanto,  a
parere del rimettente, connette un aumento di pena al «tipo d'autore»
e   non   gia'   alla   pericolosita'    concretamente    manifestata
dall'interessato. 
    Il difetto  di  proporzione  nel  trattamento  punitivo,  d'altra
parte, priverebbe la pena della sua funzione rieducativa, non potendo
il condannato percepirla come strumento utile  al  suo  reinserimento
nella societa', ma solo ed appunto come una  punizione  eccedente  il
grado della propria responsabilita'. 
    1.3. - Osserva infine il Tribunale, in punto  di  rilevanza,  che
non rileva  l'astratta  possibilita'  di  neutralizzare  gli  effetti
dell'aggravante  attraverso  il  giudizio  di  comparazione  regolato
dall'art. 69 cod.  pen.  Proprio  la  ricorrenza  della  fattispecie,
infatti, impone il bilanciamento con eventuali attenuanti, e  produce
quindi  effetti  nel  procedimento   di   computo   della   sanzione,
indipendentemente dall'esito del procedimento stesso. 
    2. - Il Tribunale di Ferrara  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza del 26 gennaio 2010 (r.o. n. 121 del 2010), ha sollevato  -
in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  27,  primo  e  terzo
comma, Cost. - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61,
numero 11-bis, cod. pen., introdotto dall'art. 1,  comma  1,  lettera
f), del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1 della legge n. 125 del 2008. 
    Il rimettente procede, con rito direttissimo, nei confronti di un
cittadino straniero imputato del  reato  di  illecita  detenzione  di
stupefacenti, previsto dal comma 1-bis  dell'art.  73  del  d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza).
L'imputazione comprende la  circostanza  «dello  status  di  soggetto
illegalmente presente nello Stato», contestata in applicazione  della
norma oggetto di censura. 
    Il giudice a quo riferisce  che,  in  esito  all'udienza  del  15
luglio 2008, sentite le conclusioni delle parti, aveva gia' sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  nuova  previsione
aggravante, nella versione allora vigente,  cioe'  quella  introdotta
dal decreto-legge n. 92  del  2008  e  non  ancora  modificata  dalla
relativa legge di conversione.  Il  giudizio  incidentale  era  stato
definito dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 277 del  2009,
di restituzione degli atti al rimettente, affinche' procedesse ad una
nuova valutazione in punto di rilevanza e non manifesta  infondatezza
della questione sollevata. 
    Secondo il Tribunale, la Corte aveva indicato essenzialmente  tre
elementi  di  novita'  sopravvenuti  all'ordinanza  introduttiva:  le
modifiche apportate dalla legge di conversione al tenore della  nuova
previsione circostanziale; la  norma  di  interpretazione  autentica,
concernente i cittadini comunitari, introdotta con l'art. 1, comma 1,
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica); l'inserimento nel sistema  penale  della  figura
criminosa dell'ingresso o soggiorno  illegale  nel  territorio  dello
Stato, mediante il nuovo art. 10-bis del decreto legislativo  n.  286
del 1998, introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a), della  stessa
legge n. 94 del 2009. 
    In particolare, sempre  a  parere  del  rimettente,  la  Consulta
avrebbe ritenuto necessaria una valutazione di impatto delle  novita'
normative nella prospettiva della successione  di  leggi  penali  nel
tempo. Per altro verso, il giudice a quo sarebbe stato  richiesto  di
valutare l'attualita' delle proprie censure alla luce del  fatto  che
le  condotte  poste  a  fondamento   della   fattispecie   aggravante
costituiscono, ormai, l'oggetto di un'autonoma incriminazione, e  non
di un mero illecito amministrativo. 
    Dopo la  restituzione  degli  atti,  il  giudizio  principale  e'
ripreso. Nel corso della relativa udienza,  anche  su  sollecitazione
del difensore dell'imputato, il Tribunale ha  ritenuto  di  sollevare
nuovamente questione in merito alla  legittimita'  della  fattispecie
aggravante contestata. 
    2.1. - La questione sarebbe rilevante, anzitutto, pur dopo che la
previsione aggravante ha subito le modifiche recate  dalla  legge  di
conversione:  trattandosi  di  variazioni  prive  di  incidenza   sul
contenuto  precettivo  della   disposizione   gia'   introdotta   dal
decreto-legge, dovrebbe riconoscersi efficacia  ex  tunc  alla  norma
attualmente  vigente,  la  quale  dunque  sarebbe   applicabile   nei
confronti dell'imputato, gia' dichiaratosi «clandestino» e  privo  di
documenti utili per la sua identificazione. 
    La rilevanza della questione non sarebbe intaccata, nella specie,
neppure   dalla   seconda   delle   novita'   normative    sottoposte
all'attenzione del rimettente, posto che nel giudizio  principale  si
procede nei confronti di persona con cittadinanza nigeriana, e dunque
extracomunitaria. 
    Sarebbe ininfluente sul piano della rilevanza, infine, la  stessa
introduzione del reato cosiddetto di «immigrazione  clandestina».  E'
vero, secondo il rimettente, che la previsione circostanziale non  si
applica al reato previsto dal nuovo art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998, cosi' come  ad  ogni  altro  reato  che  sanzioni  direttamente
l'illegale presenza o permanenza nel territorio nazionale.  La  prima
parte dell'art. 61 cod. pen. stabilisce, infatti, che le  circostanze
comuni  aggravano  il  reato  solo  «quando  non  ne  sono   elementi
costitutivi  o  circostanze  aggravanti  speciali».   Tuttavia,   nel
giudizio a quo, il reato in contestazione non attiene alla disciplina
dell'immigrazione,   riguardando   piuttosto   la    materia    degli
stupefacenti. Dunque la novella non  avrebbe  determinato,  nel  caso
concreto,  alcun  effetto   di   «assorbimento»   della   fattispecie
circostanziale. 
    2.2. - Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il
rimettente  ritiene  che   la   nuova   circostanza   sia   collegata
esclusivamente allo status del reo, ispirandosi ai canoni propri  del
«diritto penale d'autore». Non sarebbe in particolare richiesta,  per
la sua applicazione, alcuna verifica di connessione tra la condizione
soggettiva dell'interessato  e  la  condotta  penalmente  sanzionata.
L'aumento  di  pena  non  dipenderebbe,  quindi,  ne'  dalla  maggior
gravita' del reato ne' dalla maggior pericolosita' dell'autore, cioe'
dai fattori che segnano altre circostanze riguardanti la persona  del
colpevole, come la recidiva o la condizione di latitanza. 
    Dunque, ed anzitutto, la norma censurata violerebbe il  principio
costituzionale del  «fatto  materiale»  colpevole  quale  presupposto
della responsabilita' penale, principio che  sarebbe  desumibile  dal
secondo comma dell'art. 25 e dal primo comma dell'art. 27 Cost. 
    Il vulnus non potrebbe essere  evitato  attraverso  lo  strumento
dell'interpretazione adeguatrice, che pure sarebbe stata proposta nel
dibattito  dottrinario  sulla  previsione  censurata.  Non   potrebbe
accedersi, in particolare, alla tesi che l'aggravante sia applicabile
solo nei confronti degli stranieri gia' raggiunti da un provvedimento
di espulsione o comunque emesso al fine di  indurne  l'allontanamento
dal territorio nazionale. Tale tesi, secondo il Tribunale,  contrasta
con l'intenzione del legislatore e  comunque  con  la  lettera  della
legge,  la  quale  segna  il  confine  oltre  il   quale   l'esigenza
dell'adeguamento va perseguita con il sindacato di costituzionalita',
e non attraverso l'interpretazione. 
    2.3. - In secondo luogo - osserva il rimettente -  la  previsione
censurata implicherebbe un  difforme  trattamento  sanzionatorio  per
condotte materiali tra loro identiche,  che  assumerebbe  significato
addirittura paradossale nel caso  in  cui  soggetti  «clandestini»  e
soggetti  legittimati  alla  presenza  nel  territorio  nazionale  si
rendano responsabili, in concorso tra loro,  del  medesimo  fatto  di
reato. 
    La violazione del principio di uguaglianza  sarebbe  ancora  piu'
evidente dopo l'intervento  di  interpretazione  «autentica»  che  ha
escluso i cittadini comunitari dall'ambito  applicativo  della  norma
censurata,  anche  quando  si  trovino  in  posizione  di   soggiorno
irregolare nel territorio dello Stato. L'identica condotta materiale,
tenuta da soggetti tutti irregolarmente immigrati,  sarebbe  trattata
diversamente sul solo presupposto della cittadinanza degli  stranieri
interessati. 
    2.4. - La  norma  censurata,  implicando  l'applicazione  di  una
(maggior) pena senza corrispondenza ad un condotta materiale del reo,
violerebbe anche l'art. 27, comma 3, Cost.,  cioe'  il  principio  di
necessaria finalizzazione rieducativa della pena. Non rileverebbe, al
proposito, la sopravvenuta rilevanza penale del soggiorno irregolare:
«l'eccedenza della sanzione continua a dipendere da uno  status  che,
rilevante  per  tutti  gli  stranieri   quando   integra   l'autonoma
fattispecie di reato ex art. 10-bis T.u. sull'immigrazione,  comporta
invece un aggravio di pena  esclusivamente  per  alcuni  (apolidi  ed
extracomunitari)». 
    La violazione della finalita' rieducativa della pena  emergerebbe
anche in via mediata, attraverso il nuovo testo dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, ove e'  stabilito  che
non possa essere sospesa, in caso di applicazione dell'aggravante  in
esame,  l'esecuzione  delle   pene   detentive   brevi.   La   regola
contrasterebbe con espresse indicazioni  della  Corte  costituzionale
(e' citata la sentenza n. 78 del 2007),  secondo  le  quali  la  mera
condizione di soggiornante irregolare non legittima, in  danno  dello
straniero, presunzioni tali da escluderlo  dall'accesso  ai  benefici
penitenziari. 
    2.5. - Secondo  il  rimettente,  la  legittimita'  costituzionale
della norma censurata sarebbe compromessa da «ulteriori»  profili  di
intrinseca irragionevolezza. Irrazionale  sarebbe,  in  sostanza,  la
presunzione di  maggior  pericolosita'  che  la  norma  collega  alla
«illegalita'» della presenza del reo nel territorio nazionale,  posto
che non vi sarebbe alcuna «relazione  automatica»  tra  l'adempimento
degli obblighi concernenti l'immigrazione ed il compimento o  non  di
un determinato reato. 
    Inoltre, la legge non distingue tra le varie possibili situazioni
di «illegalita'» del soggiorno, parificando coloro per  i  quali  sia
semplicemente scaduto il  termine  del  permesso  e  coloro  che  non
abbiano ottemperato ad un decreto  di  espulsione,  ed  omettendo  di
assegnare rilievo ad un «giustificato motivo» della  violazione,  che
addirittura puo'  scriminare  comportamenti  di  rilevanza  criminosa
diretta (come il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.
286 del 1998). 
    L'applicabilita' dell'aggravante anche nel caso di  comportamenti
«inesigibili»  varrebbe,  tra  l'altro,  a  segnarne  la   differenza
rispetto alla fattispecie che concerne la  latitanza,  fondata  sulla
sottrazione   volontaria   all'esecuzione   di    un    provvedimento
restrittivo, ed a documentare ulteriormente l'asserita violazione del
canone di ragionevolezza. 
    2.6. - Le censure fin qui richiamate,  a  parere  del  Tribunale,
risultano  indifferenti   alla   natura   amministrativa   o   penale
dell'illecito compiuto dal cittadino extracomunitario nell'entrare  o
nel trattenersi irregolarmente sul territorio nazionale. 
    Anzitutto, lo stesso reato di nuova introduzione  colpirebbe  uno
status  e  non  una  condotta  materiale,  di  talche'  non  potrebbe
derivarne un connotato di «materialita'» per l'aggravante riferita ad
un ulteriore reato. Per altro verso, la commissione  di  un  illecito
penale antecedente alla realizzazione del reato aggravato (e cioe' la
violazione delle norme sull'immigrazione) non varrebbe ad  assimilare
la posizione dell'interessato a quella del recidivo. 
    Il rimettente evidenzia, in proposito, che  l'applicazione  della
norma   censurata   non   presuppone   un   accertamento   definitivo
dell'illecito concernente l'immigrazione, come  invece  e'  richiesto
dall'art. 99 cod. pen. La  recidiva,  inoltre,  si  applica  solo  ai
delitti e presuppone la commissione di un delitto non colposo, mentre
la  circostanza  in  esame  riguarda  anche  le  contravvenzioni,   e
presuppone un reato contravvenzionale,  eventualmente  solo  colposo.
L'efficacia della recidiva, infine, sarebbe  stata  mitigata  da  una
forte  compressione  degli  automatismi  applicativi  (e'  citata  la
sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  192  del  2007),   mentre
l'aggravante censurata, come detto, si applicherebbe finanche  quando
ricorra un  «giustificato  motivo»  per  la  violazione  delle  norme
sull'immigrazione. 
    Tornando poi al novum rappresentato dall'art. 10-bis  del  d.lgs.
n. 286 del 1998, il giudice a quo  nega  ogni  possibile  effetto  di
legittimazione in  ordine  alla  previsione  censurata.  La  sanzione
penale per l'irregolarita' del soggiorno e' comunque collegata ad una
violazione delle regole pertinenti, mentre la quota di pena  inflitta
per la stessa irregolarita', rispetto ad un qualunque diverso  reato,
non corrisponde ad una porzione del  reato  medesimo.  Ne'  una  tale
corrispondenza potrebbe  fondarsi  su  una  presunzione  assoluta  di
pericolosita' del reo,  illegittima  perche'  inattendibile,  e  gia'
disconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale. 
    2.7. -  Il  Tribunale  -  specificando  l'oggetto  della  domanda
rivolta alla Corte costituzionale,  che  consiste  nella  caducazione
della norma censurata -  osserva  che  proprio  la  natura  ablatoria
dell'intervento richiesto escluderebbe la  rilevanza,  nella  specie,
della  giurisprudenza  contraria  all'ammissibilita'  di   interventi
manipolatori sulle scelte sanzionatorie in  materia  di  immigrazione
(sono citate le sentenze n. 22 del 2007, n. 236 del 2008 e n. 156 del
2009).   Per   altro   verso,   e'   richiamata   la   giurisprudenza
costituzionale che  individua  nella  manifesta  irragionevolezza  il
limite posto all'insindacabilita' delle scelte legislative in materia
di configurazione dei  reati  e  di  determinazione  del  trattamento
punitivo (sono citate le sentenze n. 26 del 1979, n. 102 del 1985, n.
341 del 1994, n. 313 del 1995, n. 217 del 1996, n. 287 del 2001 e  le
ordinanze n. 163 del 1996, n. 110 del 2002, n. 323 del 2002,  n.  172
del 2003, n. 158 del 2004). 
    Secondo il rimettente, «in considerazione dell'inscindibile nesso
strutturale   tra   disposizione    interpretata    e    disposizione
interpretativa,   va    chiesta    anche    la    dichiarazione    di
incostituzionalita' dell'art. 1, comma  1,  della  legge  n.  94  del
2009». 
    Inoltre, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.  87,
la  Corte  costituzionale  dovrebbe  estendere  la  dichiarazione  di
illegittimita' al gia' citato art. 656, comma  9,  lettera  a),  cod.
proc. pen., limitatamente all'inciso «e per i delitti in cui  ricorre
l'aggravante di cui all'art. 61,  primo  comma,  11-bis»,  posto  che
detta norma, in  caso  di  ablazione  della  fattispecie  richiamata,
rimarrebbe priva di autonomia  applicativa  (e'  citata  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 24 del 2004). 
    2.8. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 18  maggio  2010,  chiedendo  che  la
questione  sollevata  sia  dichiarata  inammissibile   e   «comunque»
infondata. 
    Non potrebbe essere condivisa la tesi, attribuita al  rimettente,
che la previsione censurata valga ad aggravare la pena  non  per  una
«condotta colpevole», ma in relazione ad un  mero  status  giuridico.
Dovrebbe   infatti   ritenersi,   anche   in   base    al    criterio
dell'interpretazione costituzionalmente orientata, che la circostanza
in questione riguardi solo gli stranieri che violino le  disposizioni
sull'immigrazione con una «condotta  cosciente  e  volontaria».  Tale
soluzione  ermeneutica  sarebbe   avvalorata   dalla   piu'   recente
introduzione, nel  nostro  ordinamento,  del  reato  di  «ingresso  e
soggiorno illegale nel territorio dello  Stato»,  previsto  dall'art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall'art. 1, comma  16,
lettera a), della legge n. 94 del 2009. 
    Secondo la difesa erariale, ove interpretata nel senso anzidetto,
la norma censurata sarebbe immune dai vizi denunciati dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  I  Tribunali  di  Livorno  e  di  Ferrara,   entrambi   in
composizione  monocratica,  sollevano   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 61, numero 11-bis, del  codice  penale,  che
prevede una circostanza aggravante comune per i  fatti  commessi  dal
colpevole «mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale». La
disposizione censurata e' stata  introdotta  dall'art.  1,  comma  1,
lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92  (Misure  urgenti
in materia di sicurezza  pubblica),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125. 
    1.1. - I  rimettenti  prospettano  anzitutto,  e  per  molteplici
aspetti, una violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Secondo il Tribunale di Livorno, la nuova  previsione  aggravante
istituirebbe  una  indebita  assimilazione  fra  il  trattamento   di
soggetti responsabili  d'una  mera  infrazione  amministrativa  (tale
essendo ancora considerata la violazione delle norme  in  materia  di
immigrazione  all'epoca   dell'ordinanza   di   rimessione)   ed   il
trattamento di soggetti che abbiano abusato della propria funzione  o
qualita' personale (art. 61, numeri 9 e 11,  cod.  pen.),  o  abbiano
gia' commesso reati in precedenza (art. 99 cod. pen.), o  siano  gia'
stati  individuati  come   pericolosi   mediante   un   provvedimento
giudiziale (art. 61, numero 6, cod. pen.). 
    Anche secondo il Tribunale di Ferrara la condotta prevista  dalla
norma  censurata  sarebbe  parificata,   senza   giustificazione,   a
fattispecie  del  tutto  differenti,  come  quella  della   latitanza
(fondata   sulla   sottrazione   volontaria   ad   un   provvedimento
restrittivo) e quella della recidiva, ove l'aggravamento di  pena  e'
generalmente non automatico,  si  connette  alla  commissione  di  un
delitto non colposo, e consegue solo ad una sentenza irrevocabile  di
condanna per l'episodio criminoso antecedente. 
    Entrambi  i  rimettenti,  inoltre,  prospettano   la   intrinseca
irragionevolezza  di  una  presunzione   di   maggior   pericolosita'
collegata alla mera  carenza  di  un  titolo  per  il  soggiorno  nel
territorio  dello  Stato,  senza  alcuna  distinzione  tra  le  varie
possibili violazioni della legge sull'immigrazione,  e  senza  alcuna
rilevanza per il  caso  che  ricorra  un  «giustificato  motivo».  Il
Tribunale  di  Ferrara  osserva,  in  particolare,  che  non  sarebbe
giustificabile l'applicazione di  una  maggior  pena  in  assenza  di
qualsiasi necessaria correlazione tra la  condizione  del  reo  e  la
gravita' del reato commesso. 
    Neppure troverebbe giustificazione, sempre secondo  il  Tribunale
di Ferrara, la differenza di trattamento istituita, riguardo a  fatti
di identica natura, tra persone che si trovino o non regolarmente nel
territorio dello Stato, e finanche tra  persone  che  vi  si  trovino
tutte irregolarmente, a seconda che si tratti di cittadini comunitari
o   di   persone   prive   di   cittadinanza   o   con   cittadinanza
extracomunitaria. 
    1.2. - Il solo  rimettente  ferrarese  prospetta  una  violazione
congiunta degli artt. 25, secondo comma, e 27,  primo  comma,  Cost.,
per il difetto di pertinenza  del  maggior  trattamento  punitivo  al
fatto di reato, e per  la  sua  esclusiva  inerenza  ad  uno  «status
personale del reo», cosi'  da  conformarsi  ai  canoni  del  «diritto
penale d'autore». 
    1.3. - Il Tribunale di Livorno, dal canto  proprio,  evoca  quale
parametro di legittimita' l'art. 27, primo comma, Cost., posto che la
disposizione censurata minerebbe il rapporto di proporzionalita'  tra
la pena inflitta ed  il  grado  della  responsabilita'  personalmente
riferibile al  reo,  ed  opererebbe  un  trasferimento  della  logica
punitiva dal piano della colpevolezza al «tipo d'autore». 
    1.4. -  Entrambi  i  rimettenti,  infine,  denunciano  l'asserita
violazione  dell'art.  27,  terzo  comma,   Cost.,   in   quanto   la
sproporzione per eccesso della sanzione rispetto al fatto, sul  piano
obiettivo  e  nella  stessa  percezione  soggettiva  da   parte   del
condannato, priverebbe la corrispondente porzione  della  pena  della
necessaria finalizzazione rieducativa. 
    1.5. -  Quale  portato  della  richiesta  pronuncia  a  carattere
ablatorio, in ordine alla  previsione  di  cui  all'art.  61,  numero
11-bis,  cod.  pen.,  il   Tribunale   di   Ferrara   prospetta   una
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   consequenziale
relativamente a due norme la cui efficacia regolatrice si  riferisce,
per l'intero, alla  norma  censurata.  Si  tratta,  in  primo  luogo,
dell'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza  pubblica),  che  contiene  una  disposizione
interpretativa della  nuova  previsione  circostanziale.  Illegittimo
dovrebbe dichiararsi, inoltre, l'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice  di  procedura  penale,  che  preclude  la  sospensione  degli
adempimenti esecutivi concernenti le pene  detentive  (relativamente)
brevi, limitatamente all'inciso «e  per  i  delitti  in  cui  ricorre
l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11-bis». 
    2. - L'identita' di oggetto dei due  giudizi  introdotti  con  le
ordinanze  indicate  in  epigrafe  rende  opportuna,  ai  fini  d'una
valutazione  unitaria  delle  questioni,  la  riunione  dei  relativi
procedimenti. 
    3. - La questione sollevata dal Tribunale di Livorno deve  essere
dichiarata inammissibile. 
    Come questa Corte ha gia' avuto modo di osservare  (ordinanze  n.
277 del 2009 e n. 66 del 2010), condizione  essenziale  di  rilevanza
delle questioni concernenti la nuova previsione circostanziale e' che
quest'ultima risulti concretamente applicabile nel giudizio a quo. 
    Nel caso di specie, come in altri precedenti, nessun  rilievo  e'
stato svolto al fine di illustrare per quale ragione una  circostanza
aggravante  fondata  sulla  «illegalita'»  del   soggiorno   dovrebbe
applicarsi anche per reati che, al  pari  di  quello  contestato  nel
giudizio  principale,  consistono   proprio   in   violazioni   della
disciplina in materia di immigrazione. Va considerato, in  proposito,
quanto stabilito nella prima parte dell'art. 61 cod.  pen.,  e  cioe'
che le circostanze comuni aggravano il reato solo «quando non ne sono
elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali». 
    La carenza assoluta di motivazione sui presupposti interpretativi
che condizionano l'applicazione della norma censurata  da  parte  del
giudice rimettente rende inammissibile, nel giudizio  incidentale  di
costituzionalita', la questione sollevata (ex  multis,  ordinanze  n.
346 del 2006 e n. 61 del 2007). 
    4. - La questione sollevata dal Tribunale di Ferrara e' fondata. 
    4.1.  -  Questa  Corte,  in  tema  di  diritti  inviolabili,   ha
dichiarato, in via generale, che essi spettano  «ai  singoli  non  in
quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in  quanto
esseri umani» (sentenza n. 105 del  2001).  La  condizione  giuridica
dello straniero non deve essere pertanto  considerata  -  per  quanto
riguarda la tutela di  tali  diritti  -  come  causa  ammissibile  di
trattamenti diversificati  e  peggiorativi,  specie  nell'ambito  del
diritto penale, che  piu'  direttamente  e'  connesso  alle  liberta'
fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione  con  le
garanzie contenute  negli  artt.  24  e  seguenti,  che  regolano  la
posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato. 
    Il   rigoroso   rispetto   dei   diritti   inviolabili    implica
l'illegittimita'  di  trattamenti  penali  piu'  severi  fondati   su
qualita'  personali  dei  soggetti  che   derivino   dal   precedente
compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato»,  introducendo
cosi' una responsabilita' penale d'autore «in aperta  violazione  del
principio di offensivita' [...]» (sentenza n. 354 del 2002).  D'altra
parte «il principio costituzionale di  eguaglianza  in  generale  non
tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello
straniero» (sentenza n. 62 del 1994).  Ogni  limitazione  di  diritti
fondamentali deve partire dall'assunto che, in presenza di un diritto
inviolabile, «il suo contenuto di valore non puo' subire  restrizioni
o limitazioni da alcuno dei  poteri  costituiti  se  non  in  ragione
dell'inderogabile soddisfacimento di un interesse  pubblico  primario
costituzionalmente rilevante» (sentenze n. 366 del 1991 e n.  63  del
1994). 
    La   necessita'   di   individuare   il   rango    costituzionale
dell'interesse   in   comparazione,   e   di   constatare    altresi'
l'ineluttabilita' della limitazione di un diritto fondamentale, porta
alla conseguenza che la norma  limitativa  deve  superare  un  vaglio
positivo di ragionevolezza, non  essendo  sufficiente,  ai  fini  del
controllo sul rispetto dell'art. 3 Cost.,  l'accertamento  della  sua
non manifesta irragionevolezza (sentenza n. 393 del 2006). 
    4.2. - Con riferimento al caso specifico, si deve  ricordare  che
le «condizioni personali e sociali» fanno parte dei  sette  parametri
esplicitamente menzionati dal primo comma dell'art.  3  Cost.,  quali
divieti direttamente espressi dalla Carta costituzionale, che rendono
indispensabile uno scrutinio stretto delle fattispecie sospettate  di
violare o derogare all'assoluta irrilevanza delle «qualita'» elencate
dalla norma  costituzionale  ai  fini  della  diversificazione  delle
discipline. 
    Questa Corte ha piu' volte applicato tale metodo  nel  campo  del
diritto penale, dichiarando costituzionalmente illegittime norme  che
avevano  costruito  una  fattispecie  incriminatrice  su  presunzioni
assolute di pericolosita', con l'effetto di istituire discriminazioni
irragionevoli.  Si  e'  gia'  fatto   cenno,   in   proposito,   alla
riconosciuta illegittimita' della previsione che puniva l'ubriachezza
(art. 688 cod. pen.) solo per coloro che avessero gia' riportato  una
condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumita' delle
persone (sentenza n. 354 del 2002). In analoga prospettiva  e'  stato
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  708  cod.   pen.
(Possesso ingiustificato di valori),  posto  che  la  suddetta  norma
sanciva una  «discriminazione  nei  confronti  di  una  categoria  di
soggetti composta da pregiudicati per reati di varia natura o entita'
contro il patrimonio», senza una corrispondenza effettiva ed  attuale
tra  la  condizione   in   discorso   e   la   funzione   di   tutela
dell'incriminazione (sentenza n. 370 del 1996). 
    Comportamenti pregressi dei  soggetti  non  possono  giustificare
normative penali  che  attribuiscano  rilevanza  -  indipendentemente
dalla  necessita'  di  salvaguardare  altri  interessi   di   rilievo
costituzionale - ad una qualita' personale e la trasformino,  con  la
norma considerata discriminatoria,  in  un  vero  «segno  distintivo»
delle persone rientranti in una data categoria, da trattare  in  modo
speciale e differenziato rispetto a tutti gli altri cittadini. 
    5.  -  Sulla  scorta  dei  principi  sinora  ricordati,  si  deve
riconoscere che l'aggravante di cui alla disposizione  censurata  non
rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per  il
bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e  puniscono
i singoli reati. 
    Non potrebbe essere ritenuta ragionevole e  sufficiente,  d'altra
parte, la finalita' di contrastare l'immigrazione illegale,  giacche'
questo scopo  non  potrebbe  essere  perseguito  in  modo  indiretto,
ritenendo piu'  gravi  i  comportamenti  degli  stranieri  irregolari
rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini  italiani
o comunitari. Si  finirebbe  infatti  per  distaccare  totalmente  la
previsione punitiva dall'azione  criminosa  contemplata  nella  norma
penale  e  dalla  natura  dei  beni  cui  la  stessa  si   riferisce,
specificamente  ritenuti  dal  legislatore  meritevoli  della  tutela
rafforzata costituita dalla sanzione penale. 
    La contraddizione appena  rilevata  assume  particolare  evidenza
dopo la recente modifica introdotta dall'art. 1, comma 1, della legge
n. 94 del 2009, che ha escluso  l'applicabilita'  dell'aggravante  de
qua ai cittadini di Paesi appartenenti all'Unione  europea.  E'  noto
infatti che esistono ipotesi di soggiorno  irregolare  del  cittadino
comunitario, come, ad esempio,  nel  caso  di  inottemperanza  ad  un
provvedimento di allontanamento, punita dall'art. 21,  comma  4,  del
decreto  legislativo  6  febbraio  2007,  n.  30  (Attuazione   della
direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e
dei loro familiari di circolare  e  di  soggiornare  liberamente  nel
territorio degli Stati membri), con l'arresto da uno a sei mesi e con
l'ammenda da 200 a 2.000 euro. Anche sotto tale profilo, risulta  che
la particolare  disciplina  dell'aggravante  censurata  nel  presente
giudizio fa leva prevalentemente sullo  status  soggettivo  del  reo,
giacche'  la  circostanza  non  si  applica  ai  cittadini  di  Stati
dell'Unione   europea    neppure    nella    piu'    grave    ipotesi
dell'inottemperanza ad un provvedimento  di  allontanamento,  vale  a
dire quando l'irregolarita' del soggiorno e' stata riscontrata ed  ha
formato oggetto di valutazione da parte della competente autorita' di
sicurezza,  che  ha  emesso  un  ordine  trasgredito   dal   soggetto
interessato, il quale ha assunto, per tale  condotta,  una  specifica
responsabilita'  penale.  E'  evidente,  in  altre  parole,  che   la
giustificazione della fattispecie censurata non puo' fondarsi su  una
presunzione correlata alla violazione  delle  norme  sull'ingresso  e
sulla permanenza nello Stato di  soggetti  privi  della  cittadinanza
italiana. E cio' si nota a prescindere dalla relazione tra lo  status
dell'immigrato in condizione irregolare e l'offesa tipica  del  reato
che di volta in volta venga in considerazione. 
    6. - Le recenti modifiche legislative hanno  messo  in  luce  con
nettezza ancora maggiore la  natura  discriminatoria  dell'aggravante
oggetto della presente questione. Difatti, l'ingresso o la permanenza
illegale nel territorio nazionale erano  considerati  dalla  legge  -
all'epoca dei fatti che  hanno  dato  origine  al  processo  pendente
davanti  al  Tribunale  di  Ferrara  -  alla  stregua   di   illeciti
amministrativi, mentre attualmente, cioe' dopo l'introduzione  di  un
autonomo reato di immigrazione irregolare, gli  stessi  comportamenti
sono divenuti causa di responsabilita' penale.  L'illegittimita'  del
soggiorno  viene  dunque  in  rilievo  in  una  duplice  prospettiva,
producendo una intensificazione  del  trattamento  sanzionatorio  che
deve essere considerata in questa sede, giacche' fa parte  integrante
della valutazione  complessiva  sulla  compatibilita'  costituzionale
della norma censurata. Questa Corte non  puo'  ignorare  il  contesto
normativo esistente al momento della  sua  pronuncia  e  rispetto  ad
esso, preso nel suo insieme, deve orientare il proprio giudizio. 
    Veniva gia' prima in risalto uno squilibrio  fra  il  trattamento
giuridico dell'atto trasgressivo  precedente  (ingresso  o  soggiorno
irregolare  nel  territorio  dello  Stato),  allora  non   penalmente
rilevante, e  la  previsione  di  un  incremento  della  sanzione,  a
carattere penale, prevista  per  il  reato  «comune»  commesso  dallo
straniero. Emergeva anche, e soprattutto, l'assenza di  un  qualsiasi
legame tra la violazione delle leggi sull'immigrazione e le  condotte
singolarmente  poste  a  base  delle  piu'   diverse   norme   penali
incriminatrici. 
    L'introduzione del reato di ingresso  e  soggiorno  illegale  nel
territorio  dello  Stato  non  solo  non  ha  fatto  venir  meno   la
contraddizione  derivante  dalla  eterogeneita'  della  natura  della
condotta antecedente rispetto a quella dei comportamenti  successivi,
ma ha esasperato la contraddizione medesima, in quanto  ha  posto  le
premesse per possibili duplicazioni o moltiplicazioni  sanzionatorie,
tutte originate dalla  qualita'  acquisita  con  un'unica  violazione
delle   leggi   sull'immigrazione,   ormai   oggetto   di    autonoma
penalizzazione, e tuttavia priva di qualsivoglia collegamento  con  i
precetti penali in ipotesi violati dal soggetto interessato. 
    Lo  straniero  extracomunitario  viene  punito  una  prima  volta
all'atto della rilevazione del suo ingresso o soggiorno illegale  nel
territorio nazionale, ma  subisce  una  o  piu'  punizioni  ulteriori
determinate  dalla  perdurante  esistenza  della  sua   qualita'   di
straniero irregolare, in rapporto a violazioni, in numero indefinito,
che pregiudicano interessi e valori che nulla hanno a che fare con la
problematica del controllo dei flussi migratori. 
    L'irragionevolezza della conseguenza si coglie pienamente ove  si
consideri  che  da  una  contravvenzione  punita  con  la  sola  pena
pecuniaria puo' scaturire una  serie  di  pene  aggiuntive,  anche  a
carattere detentivo, che il criterio di computo su  base  percentuale
puo'  condurre  a  valori  elevatissimi,  dando  luogo  a  prolungate
privazioni di liberta'.  Non  solo  lo  straniero  in  condizione  di
soggiorno  irregolare,  a   parita'   di   comportamenti   penalmente
rilevanti,  e'  punito  piu'  gravemente  del  cittadino  italiano  o
dell'Unione europea, ma lo stesso rimane esposto per tutto  il  tempo
della sua successiva permanenza nel territorio nazionale, e per tutti
i reati previsti  dalle  leggi  italiane  (tranne  quelli  aventi  ad
oggetto  condotte  illecite  strettamente   legate   all'immigrazione
irregolare), ad un trattamento penale piu' severo. 
    Tutto cio' si pone in contrasto con il principio di  eguaglianza,
sancito dall'art. 3 Cost., che non tollera  irragionevoli  diversita'
di trattamento. 
    7. - E' vero che, per evitare  il  verificarsi  di  bis  in  idem
sostanziali,  il  sistema  penale  italiano   prevede   tecniche   di
considerazione unitaria delle specifiche condotte, sia nel  caso  che
una circostanza aggravante comune rappresenti un elemento  essenziale
del reato o ne costituisca una circostanza aggravante speciale  (art.
61, prima parte, cod. pen.) - su  questa  base  e'  stata  dichiarata
inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di  Livorno,  come
illustrato al par. 3 -, sia  nell'ipotesi  di  reato  complesso,  che
sussiste quando «la legge considera come elementi costitutivi, o come
circostanze aggravanti di un solo reato, fatti  che  costituirebbero,
per se stessi, reato» (art. 84, primo comma, cod. pen.). 
    Quest'ultima norma, mirata ad escludere il concorso di reati, non
e'  tuttavia  applicabile  al  caso  di  specie,  che  riguarda   una
circostanza aggravante comune. L'ingresso e il soggiorno illegale sul
territorio dello Stato non sono previsti dalla  legge  come  elementi
costitutivi della generalita'  dei  reati,  ma  solo  di  quelli  che
attengono alla violazione delle norme in materia di immigrazione,  di
talche' il  reato  comune  commesso  dallo  straniero  in  condizione
irregolare non potrebbe considerarsi complesso, e come tale capace di
«assorbire» la violazione dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del
1998. D'altra parte l'irregolarita'  del  soggiorno  non  concorre  a
delineare  un  reato  aggravato  tipico,  come  avviene  ad   esempio
nell'ipotesi - prevista dall'art. 625, primo comma,  numero  2,  cod.
pen. - di  furto  aggravato  dalla  violenza  sulle  cose,  che  puo'
integrare di per se' un fatto di danneggiamento. La figura del  reato
complesso, che preclude un  fenomeno  di  bis  in  idem  sostanziale,
consiste  invece  in  un  fatto  tipicamente  inclusivo,  sul   piano
circostanziale, della condotta altrimenti considerata quale  reato  a
se' stante. 
    La costruzione di  un  reato  complesso  deve  essere  opera  del
legislatore, e non puo' quindi risultare dalla combinazione, in  sede
di applicazione giurisprudenziale, tra le singole figure criminose  e
le circostanze aggravanti comuni. 
    Si deve, in definitiva, escludere  che  la  contraddizione  prima
evidenziata possa essere risolta in  via  interpretativa  o  mediante
l'utilizzazione   di   strumenti   sistematici    gia'    disponibili
nell'ordinamento positivo. 
    8. - La stessa impossibilita' di una interpretazione conforme  si
deve riconoscere a proposito dell'ambito di applicazione della  norma
censurata.  La  formulazione  testuale  della  disposizione  che   la
contiene esclude infatti che l'aggravante  de  qua  debba  applicarsi
soltanto nei casi in cui la condotta criminosa  sia  stata  agevolata
dalla presenza illegale del reo sul territorio nazionale o  il  reato
sia  stato  commesso  per  consentire  l'ingresso  o  la   permanenza
illegale. La previsione  legislativa  non  contiene  espressioni  che
possano  autorizzare   in   alcun   modo   siffatte   interpretazioni
restrittive,  le  quali  contrastano  con  la  portata   generale   e
indifferenziata della circostanza aggravante prevista. In  tal  senso
si e' gia' orientata la giurisprudenza di legittimita'  (Cass.,  sez.
III pen., 26 novembre 2009, n. 4406). 
    9. - Alla luce di quanto detto, si deve concludere che  la  ratio
sostanziale posta a base della norma  censurata  e'  una  presunzione
generale  ed  assoluta  di  maggiore   pericolosita'   dell'immigrato
irregolare,  che  si  riflette  sul  trattamento   sanzionatorio   di
qualunque violazione della legge penale da lui posta in essere. 
    Questa Corte ha gia'  affermato  che  la  stessa  fattispecie  di
indebito trattenimento nel territorio nazionale, che pur  implica  la
specifica    inosservanza    di    un     provvedimento     espulsivo
individualizzato, si limita a  sanzionare  una  condotta  illecita  e
«prescinde da una accertata o  presunta  pericolosita'  dei  soggetti
responsabili» (sentenza n. 22 del 2007). La  violazione  delle  norme
sul controllo dei flussi migratori puo' essere penalmente sanzionata,
per effetto di una scelta politica del legislatore non censurabile in
sede  di  controllo  di  legittimita'  costituzionale,  ma  non  puo'
introdurre  automaticamente  e   preventivamente   un   giudizio   di
pericolosita' del soggetto responsabile, che deve essere frutto di un
accertamento particolare, da effettuarsi caso per caso, con  riguardo
alle concrete circostanze oggettive ed alle personali caratteristiche
soggettive. In coerenza a tale orientamento, questa  Corte  ha  avuto
modo di affermare che «il mancato possesso di un  titolo  abilitativo
alla permanenza nel territorio dello Stato [...] non e'  univocamente
sintomatico [...] di una particolare pericolosita' sociale» (sentenza
n. 78 del 2007). 
    In definitiva, la qualita' di immigrato  «irregolare»  -  che  si
acquista con l'ingresso illegale nel territorio  italiano  o  con  il
trattenimento dopo la scadenza del titolo per  il  soggiorno,  dovuta
anche a colposa mancata rinnovazione dello  stesso  entro  i  termini
stabiliti - diventa  uno  «stigma»,  che  funge  da  premessa  ad  un
trattamento   penalistico   differenziato   del   soggetto,   i   cui
comportamenti appaiono, in generale e senza  riserve  o  distinzioni,
caratterizzati da un accentuato antagonismo verso  la  legalita'.  Le
qualita'  della  singola  persona  da  giudicare  rifluiscono   nella
qualita' generale preventivamente stabilita dalla legge, in  base  ad
una  presunzione  assoluta,  che  identifica  un  «tipo  di   autore»
assoggettato, sempre e comunque, ad un piu' severo trattamento. 
    Cio' determina un contrasto tra la disciplina censurata e  l'art.
25,  secondo  comma,  Cost.,  che  pone  il  fatto  alla  base  della
responsabilita' penale e prescrive pertanto, in modo rigoroso, che un
soggetto debba essere sanzionato per le condotte tenute e non per  le
sue qualita' personali. Un principio, quest'ultimo, che senz'altro e'
valevole anche in rapporto agli elementi accidentali del reato. 
    La previsione considerata ferisce, in definitiva, il principio di
offensivita', giacche' non vale a configurare  la  condotta  illecita
come piu' gravemente offensiva  con  specifico  riferimento  al  bene
protetto, ma serve a  connotare  una  generale  e  presunta  qualita'
negativa del suo autore. 
    Ne' si  potrebbe  obiettare  che  la  qualita'  di  immigrato  in
condizione  irregolare   deriva   pur   sempre   da   un   originario
comportamento  trasgressivo,  utile  a  legittimare  una  presunzione
legislativa a  carattere  assoluto  circa  la  dimensione  soggettiva
dell'illecito o la capacita' a delinquere del reo. Si e'  gia'  visto
infatti  come  tale  condotta  -  sanzionata  dal  legislatore  prima
soltanto sul piano amministrativo, oggi anche su quello penale -  non
possa ripercuotersi su tutti i comportamenti successivi del soggetto,
anche in assenza di ogni  legame  con  la  trasgressione  originaria,
differenziando in peius il trattamento  del  reo  rispetto  a  quello
previsto dalla legge per la generalita' dei consociati. 
    10. - Non assumono rilievo, in senso contrario  alle  conclusioni
fin qui  esposte,  le  considerazioni  relative  alla  presenza,  nel
sistema penale italiano, delle circostanze aggravanti  relative  allo
stato di latitanza del reo (art. 61, numero 6,  cod.  pen.)  ed  alla
recidiva (art. 99 cod. pen.). 
    Nel caso della latitanza - la previsione relativa alla quale  non
e' stata mai  sottoposta  alla  valutazione  di  questa  Corte  -  il
soggetto che commette il reato non e' genericamente caratterizzato da
una qualita' derivante da comportamenti pregressi, ma si trova in una
situazione originata da un provvedimento  restrittivo  dell'autorita'
giudiziaria che lo riguarda individualmente. All'esecuzione  di  tale
provvedimento il latitante si sottrae con  scelta  deliberata,  tanto
che non risponderebbe dell'aggravante  se  avesse  pur  colpevolmente
ignorato l'esistenza del provvedimento in suo danno. 
    Si discute insomma, ed  in  ogni  caso,  di  una  situazione  non
assimilabile a  quella  dell'immigrato  in  condizione  di  soggiorno
irregolare, ove  puo'  mancare  qualsiasi  «individualizzazione»  del
precetto penale trasgredito. Nella  previsione  aggravante,  infatti,
vengono in astratto ed in modo generalizzato accomunate ipotesi molto
diverse tra loro, fino a comprendere la  situazione  di  soggetti  in
condizione di mera «irregolarita'», anche per effetto di  negligenza,
e non attinti da alcun provvedimento che individualmente li riguardi. 
    V'e' da aggiungere che il latitante si sottrae all'esecuzione  di
una misura restrittiva della liberta' personale,  che  presuppone  un
reato punito con la reclusione o con l'arresto (e connotato da sicura
gravita', visto che conduce  ad  una  pena  detentiva  eseguibile,  o
implica un trattamento cautelare), mentre  l'immigrazione  irregolare
era prima soltanto  un  illecito  amministrativo  ed  attualmente  e'
punita dalla legge con una mera sanzione pecuniaria. 
    D'altra parte, nel sistema penale vigente  la  latitanza  non  e'
configurata come reato, con la conseguenza che non e' ipotizzabile, a
proposito dell'aggravante che vi si riferisce, la possibilita' di  un
bis in idem sanzionatorio. 
    Parimenti inconferente sarebbe il richiamo  all'aggravante  della
recidiva. L'art. 99 cod.  pen.  prevede  infatti  che  l'applicazione
della suddetta circostanza e' subordinata ad una sentenza  definitiva
di condanna per un delitto non colposo, intervenuta prima  del  fatto
per il quale la pena deve  essere  aumentata.  Inoltre,  la  recidiva
aggrava unicamente la pena per i delitti non colposi.  Sono  pertanto
esclusi dall'area di operativita' della citata norma codicistica  sia
i reati contravvenzionali che quelli colposi, mentre, come s'e' visto
prima, il reato di immigrazione clandestina e'  una  contravvenzione,
punita, oltretutto, con una pena pecuniaria. 
    Il recidivo e' dunque un soggetto  che  delinque  volontariamente
pur dopo aver subito un processo  ed  una  condanna  per  un  delitto
doloso,   manifestando   l'insufficienza,   in   chiave   dissuasiva,
dell'esperienza diretta e concreta del sistema sanzionatorio  penale.
Cionondimeno, con la sola eccezione dei reati  di  maggior  gravita',
l'applicazione della circostanza e' subordinata  all'accertamento  in
concreto, da parte del giudice, di una relazione  qualificata  tra  i
precedenti del reo ed il nuovo reato da  questi  commesso,  che  deve
risultare sintomatico -  in  rapporto  alla  natura  e  al  tempo  di
commissione dei fatti pregressi -  sul  piano  della  colpevolezza  e
della pericolosita' sociale (da ultimo, ordinanza n. 171 del 2009). 
    Ben diversa e' la disciplina per l'aggravante oggetto di censura,
che puo' attivarsi finanche quando lo straniero ignori (per colpa) la
propria condizione di irregolarita' nel soggiorno (art.  59,  secondo
comma, cod. pen.), che prescinde da ogni collegamento funzionale  con
il reato cui accede, e che il giudice di tale reato deve accertare in
via incidentale (senza attendere,  per  inciso,  neppure  l'esito  di
eventuali ricorsi amministrativi dell'interessato). 
    Si deve notare, a tale ultimo proposito, che  il  presupposto  di
una sentenza definitiva di condanna rende impossibile, nel caso della
recidiva, quella formazione di giudicati  ingiusti  e  contraddittori
che potrebbe invece derivare, nella materia in esame, dalla accertata
non irregolarita' della presenza del soggetto  nel  territorio  dello
Stato, quando lo stesso sia gia' stato condannato per un altro reato,
con l'applicazione dell'aggravante oggetto dell'odierna censura. Tale
eventualita' acquista speciale rilievo nell'ipotesi  dello  straniero
che chieda il riconoscimento dello status di rifugiato e, nelle  more
della relativa procedura, si veda contestata  la  circostanza  in  un
giudizio che, a differenza di quello concernente il reato di ingresso
o soggiorno irregolare, non puo' essere  sospeso  (si  veda,  a  tale
ultimo proposito, il comma 6 dell'art. 10-bis del d.lgs. n.  286  del
1998). 
    Tali paradossi sono  preclusi  dal  legislatore  nel  caso  della
recidiva, in coerenza peraltro con la presunzione di innocenza di cui
all'art. 27, secondo comma, Cost., che non consente che si produca un
effetto sanzionatorio ulteriore causato da un  comportamento  la  cui
illiceita' penale deve essere ancora accertata in via definitiva. 
    11. - In considerazione di tutte le ragioni  indicate,  la  norma
censurata deve essere dichiarata costituzionalmente  illegittima  per
violazione degli artt. 3, primo comma, e 25, secondo comma, Cost. 
    Restano assorbite le ulteriori censure proposte con  riguardo  al
primo ed al terzo comma dell'art. 27 Cost. 
    12.  -  Il  Tribunale  di   Ferrara   assume   che,   a   seguito
dell'eliminazione dall'ordinamento  della  previsione  circostanziale
censurata,  alcune  norme  ulteriori,  introdotte  contestualmente  o
successivamente,  dovrebbero  essere  oggetto   d'una   dichiarazione
consequenziale di illegittimita' costituzionale. 
    In effetti, l'odierna  pronuncia  rende  completamente  priva  di
oggetto una disposizione che e' nata al solo scopo di introdurre  una
norma  interpretativa  dell'art.  61,  numero  11-bis,   cod.   pen.,
stabilendo che la relativa  aggravante  dovesse  intendersi  riferita
unicamente agli apolidi ed ai cittadini  di  Paesi  non  appartenenti
all'Unione europea. Si tratta del gia' citato  comma  1  dell'art.  1
della legge n. 94 del 2009. 
    Si riscontra dunque, tra la norma considerata  e  quella  oggetto
della  decisione   caducatoria,   quel   rapporto   di   inscindibile
connessione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,  comporta
una dichiarazione di illegittimita' costituzionale consequenziale,  a
norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (da  ultimo,  tra
le molte, sentenza n. 186 del 2010). 
    A conclusione analoga deve pervenirsi rispetto ad  una  norma  di
diritto processuale che riguarda direttamente,  ed  in  questa  parte
esclusivamente, le sentenze di condanna per reati in ordine ai  quali
ricorra l'aggravante di cui all'art. 61, numero 11-bis, cod. pen. 
    All'art. 656 cod. proc. pen. e' disciplinata  l'esecuzione  delle
sanzioni detentive, prevedendosi tra  l'altro  la  sospensione  degli
adempimenti esecutivi nel caso  di  pene  (relativamente)  brevi,  in
vista  dell'eventuale  applicazione  di   misure   alternative   alla
detenzione.  Il  comma  9  dell'articolo  citato,  alla  lettera  a),
identifica i reati  per  i  quali  la  sospensione  non  puo'  essere
disposta. L'elenco e' stato integrato, anzitutto, con il d.l.  n.  92
del 2008. Il riferimento  ai  reati  aggravati  dalla  condizione  di
soggiorno irregolare del colpevole e' stato poi introdotto,  in  sede
di conversione, dalla legge n.  125  del  2008,  la  quale,  dopo  la
citazione di alcuni delitti previsti dal codice penale,  ha  inserito
l'inciso «e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art.
61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice». 
    La norma citata da ultimo - cioe' quella specificamente  dettata,
in un piu' ampio contesto, con l'inciso che si  e'  trascritto  -  si
trova in rapporto di inscindibile  connessione  con  la  disposizione
che,  in  questa  sede,   viene   dichiarata   illegittima:   rimossa
quest'ultima, infatti, la norma processuale resta completamente priva
di oggetto. 
    Si  deve  pertanto  dichiarare,  anche   per   tale   norma,   la
illegittimita' costituzionale in via consequenziale.