Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34  del  codice
di procedura penale, promosso dal  Giudice  dell'udienza  preliminare
del Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di C.  G.  con
ordinanza  dell'8  marzo  2000,  iscritta  al  n.  119  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza dell'8 marzo  2000,  trasmessa  dalla
cancelleria, dopo quasi dieci anni, il 16 dicembre 2009  e  pervenuta
alla Corte il 10 febbraio 2010 (r.o. n. 119  del  2010),  il  Giudice
dell'udienza preliminare del  Tribunale  di  Roma  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  34  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in  cui  «non  prevede  l'incompatibilita'   a
celebrare l'udienza preliminare del giudice che abbia  definito,  con
sentenza in giudizio abbreviato, la posizione d'imputato  concorrente
nel medesimo reato»; 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale nei confronti di due persone, imputate, in concorso tra  loro,
del reato di illecita detenzione di sostanze  stupefacenti  (art.  73
del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,  recante  il  «Testo  unico  delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza»); 
    che nei confronti di uno degli imputati si era proceduto,  previa
separazione dei processi, nelle forme  del  giudizio  abbreviato,  in
esito  al  quale  l'imputato  stesso  era  stato  assolto,  ai  sensi
dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., per  non  aver  commesso  il
fatto; 
    che nel corso dell'udienza preliminare nei  confronti  dell'altro
imputato,  il  difensore  di  quest'ultimo  aveva  eccepito   -   con
l'adesione del pubblico ministero -  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 34 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 25 e 101
Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a  celebrare
l'udienza preliminare del giudice che abbia  definito,  con  sentenza
emessa a seguito di giudizio abbreviato, la posizione di un  imputato
concorrente nel medesimo reato; 
    che, ad avviso del giudice a quo, la questione sarebbe rilevante:
vertendosi in una ipotesi di concorso nel reato, il rimettente -  nel
giudicare, con rito abbreviato,  uno  degli  asseriti  concorrenti  -
sarebbe, infatti, «entrato nel  merito  della  regiudicanda»,  avendo
dovuto verificare, prima di stabilire  se  il  coimputato  vi  avesse
concorso,  la  sussistenza  del  fatto-reato   contestato;   con   la
conseguenza che egli si troverebbe, in sede di udienza preliminare, a
dovere reiterare il medesimo giudizio; 
    che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza,  il  rimettente
rileva come la Corte costituzionale  -  nell'integrare,  con  plurime
pronunce, le ipotesi di incompatibilita' determinata da atti compiuti
nel procedimento, previste dall'art.  34  cod.  proc.  pen.  -  abbia
tracciato, gia' all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo  codice
di rito, una «linea ideale di demarcazione» tra attivita' svolte  dal
giudice durante  le  indagini  preliminari  atte  a  condizionare  il
successivo accertamento del dovere di  punire  e  attivita'  che  non
implicano tale condizionamento: ritenendo, quindi,  che  le  prime  -
consistenti  «in  valutazioni  non  formali,  ma  di  contenuto,  dei
risultati delle indagini» - dovessero costituire altrettante  ipotesi
di incompatibilita'; 
    che la stessa Corte costituzionale ha  peraltro  negato,  in  via
generale, l'incompatibilita' tra le funzioni di giudice  dell'udienza
preliminare e quelle di giudice per le indagini preliminari,  facendo
leva, in specie, sulla considerazione che il legislatore aveva inteso
evitare che al provvedimento di rinvio a giudizio fosse attribuito un
«peso» eccessivo, e quindi una portata condizionante  sui  successivi
esiti del processo, come sarebbe avvenuto se detta decisione si fosse
tradotta in una «predelibazione» della responsabilita'  dell'imputato
(ordinanza n. 24 del 1996); 
    che,  con  le  riforme   piu'   recenti   (rispetto   alla   data
dell'ordinanza di  rimessione),  il  legislatore  si  sarebbe  mosso,
tuttavia,  in  una  diversa  direzione:  l'art.   171   del   decreto
legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di  istituzione
del  giudice  unico  di  primo  grado)  ha   infatti   specificamente
stabilito, tramite l'aggiunta di un nuovo  comma  2-bis  all'art.  34
cod. proc. pen.,  che  non  possa  tenere  l'udienza  preliminare  il
giudice che abbia esercitato funzioni  di  giudice  per  le  indagini
preliminari; 
    che - fatti salvi i temperamenti previsti dal comma  2-ter  dello
stesso art. 34, successivamente inserito dall'art. 11 della legge  16
dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni  sul  procedimento
davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al
codice  di  procedura  penale.   Modifiche   al   codice   penale   e
all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia  di  contenzioso
pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e  di  esercizio
della professione forense) - la nuova causa di incompatibilita' opera
a prescindere dalla natura e dal contenuto dei provvedimenti adottati
in veste di giudice per le indagini preliminari, a dimostrazione  del
fatto che  la  funzione  di  giudice  dell'udienza  preliminare  «non
tollera piu', in via assoluta, pregressi interventi»; 
    che, in simile situazione, risulterebbe  dunque  irragionevole  e
lesiva  dell'imparzialita'  del   giudice   la   mancata   previsione
dell'incompatibilita'  ad   esercitare   le   funzioni   di   giudice
dell'udienza preliminare da parte del giudice che si sia pronunciato,
con sentenza emessa nell'ambito  di  un  giudizio  abbreviato,  sulla
sussistenza del dovere di punire nei confronti  del  concorrente  nel
medesimo reato; 
    che  nel  giudizio  di  costituzionalita'   e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o infondata. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di Roma, ritenendo lesi gli artt. 3, 25  e  101  della  Costituzione,
chiede  a  questa  Corte  una  pronuncia  che  estenda  la  sfera  di
operativita'   dell'istituto   dell'incompatibilita',    disciplinato
dall'art. 34 del codice di procedura penale, all'ipotesi  in  cui  il
giudice dell'udienza preliminare abbia gia' pronunciato a seguito  di
giudizio abbreviato sentenza nei confronti di un imputato di concorso
nel medesimo reato; 
    che, in riferimento alle prospettate violazioni degli artt. 25  e
101 Cost., la questione va dichiarata  manifestamente  inammissibile,
poiche' il giudice a quo non  fornisce  una  motivazione  sufficiente
sulla  non  manifesta  infondatezza,  limitandosi  a  evocare  i  due
parametri costituzionali sopra indicati senza  argomentare  in  alcun
modo sulle ragioni  della  loro  asserita  violazione  (ex  plurimis,
ordinanze n. 202 del 2009 e n. 206 del 2008); 
    che quanto, poi,  alla  dedotta  violazione  dell'art.  3  Cost.,
questa Corte ha gia'  avuto  modo  di  pronunciarsi,  successivamente
all'ordinanza di rimessione - trasmessa,  come  gia'  accennato,  con
patologico ritardo  -  su  questioni  analoghe  a  quella  in  esame,
sollevate anche in  rapporto  a  ulteriori  parametri  costituzionali
(artt. 24 e  111  Cost.),  dichiarandone  la  manifesta  infondatezza
(ordinanze n. 490 e n. 367 del 2002); 
    che, al riguardo, si e' rilevato che e' ben vero che,  a  seguito
delle innovazioni introdotte dalla legge 16 dicembre  1999,  n.  479,
l'udienza preliminare ha subito una profonda trasformazione, a fronte
della quale essa e' ormai divenuta «un momento di "giudizio"»,  cosi'
da rientrare pienamente - anche al di la' della  limitata  previsione
del comma 2-bis dell'art. 34 cod. proc. pen. - nella sfera  operativa
dell'istituto   disciplinato   da   tale   articolo,   che    dispone
«l'incompatibilita' a giudicare del giudice che abbia gia'  giudicato
sulla medesima res iudicanda» (sentenze n. 335 del 2002 e n. 224  del
2001; nello  stesso  senso,  altresi',  sentenza  n.  400  del  2008,
ordinanze n. 20 del 2004, n. 271 e n. 269 del 2003); 
    che con riferimento, peraltro, all'ipotesi del concorso  di  piu'
persone nel reato, la giurisprudenza  della  Corte  e'  costante  nel
ritenere  che  alla  comunanza  dell'imputazione  fa  riscontro   una
pluralita' di  condotte  distintamente  ascrivibili  a  ciascuno  dei
concorrenti,  tali  da  formare  oggetto  di  autonome   valutazioni,
scindibili l'una dall'altra,  salva  l'ipotesi  estrema  -  presa  in
considerazione dalla  sentenza  n.  371  del  1996  (concernente  una
fattispecie di reato a concorso necessario) - in cui la posizione del
concorrente  nel  medesimo  reato,   gia'   oggetto   di   precedente
valutazione,  costituisca  «elemento   essenziale   per   la   stessa
configurabilita' del reato contestato agli altri concorrenti»; 
    che, fuori di  questa  ipotesi,  non  vi  e'  quindi  motivo  per
discostarsi dall'indirizzo, esso  pure  costantemente  seguito  dalla
Corte,  secondo  cui  l'istituto  dell'incompatibilita'   attiene   a
situazioni di pregiudizio per  l'imparzialita'  del  giudice  che  si
verificano all'interno  del  medesimo  procedimento;  mentre,  se  il
predetto pregiudizio deriva da attivita' compiute in un  procedimento
diverso, a carico di altri soggetti (quale, in specie,  la  pronuncia
di una sentenza nei confronti di  uno  dei  pretesi  concorrenti,  in
separato processo svolto nelle forme  del  giudizio  abbreviato),  il
principio  del  "giusto  processo"  trova  attuazione  mediante   gli
istituti dell'astensione e della ricusazione, «anch'essi  preordinati
alla salvaguardia delle  esigenze  di  imparzialita'  della  funzione
giudicante, ma  secondo  una  logica  a  posteriori  e  in  concreto»
(ordinanza n. 367 del 2002); 
    che nel caso oggi in esame - cosi' come nei  casi  oggetto  delle
citate ordinanze n. 490 e n. 367  del  2002  -  non  si  versa  nella
peculiare situazione in precedenza evidenziata, venendo  in  rilievo,
nel giudizio a quo, una fattispecie di concorso eventuale di  persone
in un reato normativamente monosoggettivo, a fronte  della  quale  le
posizioni dei pretesi concorrenti restano,  dunque,  suscettibili  di
valutazioni autonome e scindibili; 
    che, d'altro canto, l'odierno rimettente -  fondando  la  propria
denuncia   di   incostituzionalita'   unicamente    sulla    avvenuta
introduzione, ad opera dell'art. 171 del d.lgs. 19 febbraio 1998,  n.
51, della incompatibilita' fra le funzioni di giudice per le indagini
preliminari e di  giudice  per  l'udienza  preliminare  (comma  2-bis
dell'art. 34 cod. proc. pen.) - non allega alcun argomento che  possa
indurre a modificare le conclusioni dianzi ricordate; 
    che,  pertanto,  con  riferimento  alla   denunciata   violazione
dell'art.  3  Cost.,  la  questione  va   dichiarata   manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.