Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 449,  comma
4, del codice di procedura  penale,  promosso  con  ordinanza  del  3
febbraio 2010 dal Tribunale di Taranto,  nel  procedimento  penale  a
carico di C. B. ed altri, iscritta al n. 152 del  registro  ordinanze
2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, 1ª
serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che il Tribunale di Taranto, con ordinanza depositata il
3 febbraio 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e  111
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 449, comma 4, del codice  di  procedura  penale,  nella
parte in cui non  prevede  che  il  giudice  investito  del  giudizio
direttissimo possa restituire gli atti al pubblico  ministero  quando
abbia constatato la non flagranza del reato; 
        che, come il rimettente riferisce, gli imputati C. B., R.  V.
e R. G. sono stati tratti a giudizio direttissimo, ai sensi dell'art.
449, comma 4, cod. proc. pen., insieme  con  l'imputato  C.  C.,  nei
confronti del quale il processo e' stato definito  mediante  sentenza
emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.; 
        che il giudicante, dopo aver pronunciato  la  detta  sentenza
nei confronti dell'imputato C. C.,  si  e'  dichiarato  incompatibile
alla trattazione del giudizio direttissimo per  gli  altri  imputati,
sicche' il rito speciale relativamente a costoro e'  stato  assegnato
al giudice a quo; 
        che,  in  relazione  ai  motivi  dell'arresto,   quest'ultimo
riferisce che alle ore 12,15 del 24  dicembre  2009  gli  agenti  del
commissariato di pubblica sicurezza di Grottaglie (Taranto) si  erano
recati in via Lazio, in quanto era stato segnalato  un  tentativo  di
accoltellamento; sul luogo era stato rinvenuto personale sanitario il
quale prestava assistenza a  R.  V.,  mentre  poco  distante  vi  era
un'altra persona ferita, successivamente identificata in R.  G.  Tale
individuo,  trasportato  con  autoambulanza  all'ospedale  civile  di
Taranto, era risultato affetto da varie ferite da taglio,  mentre  R.
V. era ricoverato presso l'ospedale  di  Grottaglie  nel  reparto  di
chirurgia, a sua volta con ferite da taglio; 
        che  personale  del  commissariato  si  era   recato   presso
l'ospedale di Grottaglie e qui da R. V. aveva appreso, oralmente, che
a procedere all'aggressione era stato tale O.; 
        che le indagini successivamente espletate avevano  consentito
di identificare gli imputati C. B.  e  C.  C.,  i  quali,  oralmente,
rilasciavano dichiarazioni in ordine alla propria versione dei fatti; 
        che alle ore 13,30 la polizia aveva proceduto all'arresto  in
flagranza per il reato di rissa aggravata, nei confronti di R. V., R.
G., C. B. e di C. C.; gli ultimi due erano stati  tratti  in  arresto
anche per il delitto di tentato omicidio; 
        che il pubblico ministero aveva formulato al giudice  per  le
indagini preliminari  richiesta  di  convalida  dell'arresto  per  il
delitto di rissa e lesioni aggravate dall'uso di un coltello, nonche'
richiesta di emissione di  misure  cautelari  coercitive,  stante  la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza desumibili dall'avvenuto
arresto in flagranza; 
        che il giudice per le indagini preliminari aveva  convalidato
gli arresti con la motivazione «perche' eseguiti  in  flagranza»,  ed
aveva emesso misure cautelari coercitive; 
        che il rimettente, cosi' riassunte le emergenze  del  verbale
di  arresto,  rileva  come  il  reato  di  rissa  e   quelli   contro
l'incolumita' personale non si siano compiuti in un contesto spaziale
e temporale caduto sotto la diretta percezione  della  polizia,  onde
non si comprende perche' sia stato effettuato l'arresto in flagranza; 
        che  il  rimettente   richiama   la   normativa   processuale
concernente i procedimenti a carico di persone private della liberta'
personale e rileva che un soggetto «puo'  essere  tratto  in  arresto
dall'autorita'  di  pubblica  sicurezza  soltanto  nello   stato   di
flagranza (art.  382  c.p.p.)  allorche'  viene  colto  nell'atto  di
commettere il reato, ovvero, se subito dopo  il  reato  e'  inseguito
dalla polizia giudiziaria, ovvero e' sorpreso con cose e tracce dalle
quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima»; 
        che,  inoltre,  «la  nozione  di  flagranza  e  della   quasi
flagranza e' semplice e non ammette opinabili interpretazioni, atteso
che in entrambi i casi il presupposto della privazione della liberta'
da parte del soggetto da parte della polizia fonda sul fatto  che  la
commissione del reato sia caduta sotto la  diretta  percezione  della
polizia operante»; 
        che  il  giudice  a  quo  da'  conto  dell'iter   processuale
contemplato  per  le  diverse  situazioni,  soffermandosi  sul   rito
direttissimo con  persone  in  stato  di  detenzione,  in  base  alla
normativa dettata dall'art. 449 cod. proc. pen.; 
        che, a suo  avviso,  la  procedura  prevista  da  tale  norma
presenta una «evidente anomalia» in ordine alla differente disciplina
stabilita con riferimento alla  fattispecie  processuale  di  cui  ai
commi 1 e 2, ed a quella di cui al comma 4 della medesima; 
        che, in particolare, sussisterebbe «una contraddizione logica
non sostenibile» nel  dato  che,  se  la  convalida  dell'arresto  e'
demandata allo stesso giudice del dibattimento (art.  449,  comma  1,
cod. proc. pen.), la mancata convalida comporta la restituzione degli
atti al pubblico ministero (art. 449,  comma  2,  cod.  proc.  pen.),
«perche' proceda nelle forme ordinarie»; invece, se il giudice per le
indagini preliminari ha convalidato l'arresto e il pubblico ministero
presenta  l'imputato  al   giudice   perche'   proceda   a   giudizio
direttissimo (art. 449, comma 4, cod. proc. pen.), la  dizione  della
norma parrebbe imporre la celebrazione, comunque, di detto giudizio; 
        che, ad avviso del giudice a quo, la  disposizione  censurata
viola l'art. 24 Cost. perche' essa, se la flagranza  e'  inesistente,
non prevedendo la restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,
priva  l'imputato  del  diritto  di  vedere  accertata   la   propria
responsabilita'  con  regolari  indagini  preliminari  e   la'   dove
previsto, con il vaglio dell'udienza preliminare  «che,  quindi,  gli
sarebbe arbitrariamente sottratta»; 
        che, per altro verso, la  giurisdizione  dibattimentale  «per
effetto di apparente e fallace rappresentazione  della  flagranza  di
reato, risulta  incomprensibilmente  espropriata  della  funzione  di
accertare con la rapidita', connaturata al rito  direttissimo,  fatti
che,  in   realta',   possono   comportare   defatiganti   istruzioni
dibattimentali»; 
        che, a tal proposito, il rimettente pone in evidenza come  il
rito   direttissimo    sia    caratterizzato    dalla    rapida    ed
incontrovertibile delibazione  di  fatti  nella  sede  dibattimentale
mentre  la  recente  innovazione  legislativa,  introdotta   con   il
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 2  (Misure  urgenti  in  materia  di
sicurezza pubblica),  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha reso obbligatoria
tale forma di giudizio, «con le ricadute che cio' comporta in termini
di  carico  di  lavoro,  non  pare  possa  relegare  il  tribunale  a
spettatore inerte di flagranze inesistenti»; 
        che il Tribunale, pur non ignorando che  il  controllo  della
convalida dell'arresto e' demandato  alla  Corte  di  cassazione,  ai
sensi dell'art. 391, comma  4,  cod.  proc.  pen.,  osserva  come  il
mancato esperimento del relativo  ricorso  non  equivalga  a  rendere
legale l'arresto stesso; 
        che, ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma censurata
viola anche l'art. 111 Cost., in quanto, non consentendo  al  giudice
del dibattimento di sindacare incidenter  tantum  la  convalida  gia'
effettuata dal giudice per le indagini preliminari, al solo  fine  di
stabilire se il giudizio direttissimo sia da ritenere  ritualmente  e
correttamente instaurato, impedirebbe la celebrazione di un  processo
equo; 
        che, in punto di rilevanza, il rimettente sottolinea  che  il
giudizio in corso deve  proseguire,  benche'  sussista  l'evidenziato
vulnus difensivo nei confronti degli imputati, in quanto, secondo  il
consolidato orientamento della  Corte  di  cassazione,  nel  caso  di
specie «non e' possibile dichiarare la nullita' della  citazione  per
direttissima,  blindata  da  una   formale   intervenuta   convalida,
ancorche' non motivata, dell'arresto in flagranza  per  i  reati  dei
quali sono chiamati a rispondere»; 
        che nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,  con  atto
depositato il 23  giugno  2010,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o manifestamente infondata; 
        che, ad avviso della difesa dello Stato,  la  questione  deve
essere dichiarata non fondata in virtu' dell'orientamento della Corte
secondo cui il legislatore, nel definire la disciplina del processo e
la   conformazione   dei   relativi   istituti,   gode    di    ampia
discrezionalita', il cui esercizio e'  censurabile  sul  piano  della
legittimita' costituzionale, solo ove le  scelte  operate  trasmodino
nella  manifesta  irragionevolezza  e  nell'arbitrio   (al   riguardo
l'Avvocatura richiama l'ordinanza n. 67 del 2007, nonche' le sentenze
n. 379 del 2005, n. 180 del 2004 e le ordinanze n. 389,  n.  215  del
2005 e n. 265 del 2004); 
        che, con specifico riferimento agli argomenti utilizzati  dal
rimettente, la difesa dello Stato osserva come nel caso  disciplinato
dall'art. 449, comma 1, cod. proc. pen., il giudizio di convalida sia
riservato al controllo dello stesso giudice del dibattimento,  mentre
nel caso previsto dal 4° comma della disposizione, il controllo sulla
legittimita' dell'arresto e della convalida sia compito esclusivo del
gip, e al giudice del dibattimento spetta  solo  «di  verificare  che
l'arresto in flagranza sia stato convalidato e che  la  presentazione
dell'imputato all'udienza sia  avvenuta  non  oltre  il  quindicesimo
giorno dall'arresto»; 
        che,  in  particolare,  l'Avvocatura  generale  dello   Stato
sostiene che l'assetto delle competenze del giudice per  le  indagini
preliminari e del giudice del dibattimento non comporta alcun  vulnus
ai  diritti  di  difesa,  potendo  la  eventuale  insussistenza   del
requisito della flagranza essere  fatta  valere  tramite  ricorso  in
cassazione avverso la convalida dell'arresto ad  opera  dello  stesso
gip e  rimanendo,  comunque,  ferma  la  possibilita'  di  difendersi
dall'accusa davanti al giudice del dibattimento; 
        che, infine, la restituzione degli atti  al  giudice  per  le
indagini  preliminari  determinerebbe  una  dilatazione   dei   tempi
processuali in contrasto con il principio  della  ragionevole  durata
del processo. 
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Taranto  ha  sollevato,   in
riferimento agli articoli 24 e 111 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 449, comma  4,  del  codice  di
procedura penale, nella parte in  cui  non  prevede  che  il  giudice
investito del giudizio direttissimo  possa  restituire  gli  atti  al
pubblico ministero quando  abbia  constatato  la  non  flagranza  del
reato; 
        che, come il giudice a quo riferisce, gli imputati C. B.,  R.
V. e R. G. sono  stati  tratti  a  giudizio  direttissimo,  ai  sensi
dell'art. 449, comma 4, cod. proc. pen., insieme  con  l'imputato  C.
C., il quale ha definito il  processo  mediante  sentenza  emessa  ai
sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.; 
        che il giudicante, dopo  aver  pronunciato  la  sentenza  nei
confronti dell'imputato C. C., ai  sensi  dell'art.  444  cod.  proc.
pen., si e' dichiarato incompatibile alla  trattazione  del  giudizio
direttissimo per gli altri imputati, sicche'  il  rito  speciale  nei
loro confronti e' stato assegnato al medesimo rimettente; 
        che quest'ultimo, esposte le circostanze in cui  gli  arresti
furono eseguiti, riassunte nella narrativa che precede, osserva che a
seguito delle richieste del pubblico ministero,  il  giudice  per  le
indagini preliminari  li  convalidava  con  la  motivazione  «perche'
eseguiti in flagranza»,  emettendo  misure  cautelari  coercitive,  e
ritiene  che  certamente  il  reato  di   rissa   e   quelli   contro
l'incolumita' personale non  avvennero  in  un  contesto  spaziale  e
temporale caduto sotto la diretta percezione della polizia  onde  non
si comprende perche' fu effettuato l'arresto in flagranza; 
        che, ad avviso del giudice a quo, la procedura prevista dalla
disposizione censurata presenta una  «evidente  anomalia»  in  ordine
alla differente disciplina stabilita con riferimento alla fattispecie
processuale di cui ai commi 1 e 2, ed a quella di cui al comma 4; 
        che   il   rimettente,   in   particolare,   individua   «una
contraddizione logica non sostenibile» nel dato che, se la  convalida
dell'arresto e' demandata allo stesso giudice del dibattimento  (art.
449, comma 1, cod. proc. pen.),  la  mancata  convalida  comporta  la
restituzione degli atti al pubblico ministero  (art.  449,  comma  2,
cod. proc. pen.), «perche' proceda nelle forme ordinarie»; invece, se
il giudice per le indagini preliminari ha convalidato l'arresto ed il
pubblico ministero presenta l'imputato al giudice perche'  proceda  a
giudizio direttissimo (art.  449,  comma  4,  cod.  proc.  pen.),  la
dizione della norma parrebbe imporre la  celebrazione,  comunque,  di
detto giudizio; 
        che, ad avviso del giudice a quo, la  disposizione  censurata
viola l'art. 24 Cost. perche' essa, se la flagranza  e'  inesistente,
non prevedendo la restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,
priva  l'imputato  del  diritto  di  vedere  accertata   la   propria
responsabilita' con regolari indagini preliminari e, se previsto, con
il vaglio dell'udienza preliminare; 
        che il rimettente, inoltre, reputa che la fase dibattimentale
«per effetto di apparente e fallace rappresentazione della  flagranza
di reato, risulta incomprensibilmente espropriata della  funzione  di
accertare con la rapidita', connaturata al rito  direttissimo,  fatti
che,  in   realta',   possono   comportare   defatiganti   istruzioni
dibattimentali»; 
        che egli, pur non ignorando che il controllo della  convalida
dell'arresto  e'  demandato  alla  Corte  di  cassazione,  ai   sensi
dell'art. 391, comma 4, cod. proc.  pen.,  osserva  come  il  mancato
esperimento del relativo ricorso, che puo' verificarsi per molteplici
motivi, non equivalga a dare all'arresto  stesso  il  suggello  della
legalita'; 
        che, ad avviso del giudice a quo, inoltre, la norma censurata
viola anche l'art. 111 Cost., in quanto, non consentendo  al  giudice
del dibattimento di sindacare incidenter  tantum  la  convalida  gia'
effettuata dal giudice  per  le  indagini  preliminari,  al  fine  di
stabilire se il giudizio direttissimo sia da ritenere  ritualmente  e
correttamente instaurato, impedirebbe la celebrazione di un  processo
equo; 
        che la questione e' manifestamente infondata; 
        che identica questione e' gia' stata dichiarata  non  fondata
da questa Corte con sentenza n. 229 del 2010; 
        che nella  pronunzia  citata  questa  Corte  ha  ribadito  il
principio secondo cui, in  tema  di  disciplina  del  processo  e  di
conformazione degli istituti processuali, il legislatore  dispone  di
un'ampia  discrezionalita'  con  il  solo  limite   della   manifesta
irragionevolezza delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze  n.  50
del 2010, n. 221 del 2008 e n. 379 del 2005;  ordinanze  n.  134  del
2009 e n. 67 del 2007); 
        che,  in  particolare,  con  riferimento  alla   disposizione
censurata, la Corte ha escluso che essa  sia  frutto  di  una  scelta
(manifestamente)  irragionevole  del  legislatore,  «in   quanto   la
differente disciplina,  predisposta  in  relazione  alle  fattispecie
indicate, si inserisce, in modo coerente, nel sistema processuale  e,
inoltre, trova adeguata tutela  nella  possibilita'  di  esperire  il
ricorso per cassazione previsto dall'art. 391, comma  4,  cod.  proc.
pen.»; 
        che questa Corte, inoltre,  ha  posto  in  evidenza  come  la
convalida  dell'arresto   in   flagranza,   operato   dalla   polizia
giudiziaria, sia oggetto di  un  autonomo  procedimento  disciplinato
dall'art. 391 cod. proc. pen., il quale,  stante  l'esplicito  rinvio
contenuto nell'art. 449, comma 1, cod. proc. pen., e' applicabile, se
compatibile, anche al giudizio di convalida innanzi  al  giudice  del
rito direttissimo; 
        che, sempre nella citata pronunzia, la Corte ha precisato che
la normativa in esame ha il fine di verificare,  nel  contraddittorio
delle parti ed alla presenza di un giudice terzo,  se  la  privazione
della liberta' personale dell'arrestato sia avvenuta nel rispetto dei
presupposti  di  legge,  sicche'  il  controllo  della   legittimita'
dell'arresto, a seconda della situazione  processuale,  e'  riservato
allo stesso giudice del dibattimento o al  giudice  per  le  indagini
preliminari; 
        che, pertanto, se si versa nell'ipotesi  in  cui  l'imputato,
arrestato in  flagranza  di  reato,  e'  presentato  direttamente  al
giudice che celebrera' il dibattimento nelle forme del rito speciale,
il controllo sulla legittimita'  dell'arresto  e'  a  lui  riservato;
mentre, se il pubblico ministero  decide  di  procedere  al  giudizio
direttissimo, presentando l'imputato non oltre il  trentesimo  giorno
dall'arresto, la  legittimita'  di  questo  deve  essere  stata  gia'
valutata da un giudice, nella specie  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari (cio' in quanto, ai sensi dell'art. 390 cod. proc.  pen.,
la richiesta di convalida  dell'arresto  deve  intervenire  entro  le
quarantotto ore dallo stesso e il giudice per le indagini preliminari
deve  fissare  l'udienza  al  piu'  presto  e,  comunque,  entro   le
quarantotto successive); 
        che, dunque, in quest'ultimo caso il  sindacato  del  giudice
del  dibattimento  e'  limitato  a  verificare  la  sussistenza   dei
presupposti di ammissibilita' del  rito  speciale,  il  rispetto  dei
termini di  presentazione  e  l'intervenuta  convalida  dell'arresto,
sicche' soltanto nell'ipotesi in cui il giudice del  dibattimento  e'
anche  quello  chiamato  alla  convalida  dell'arresto,  la   mancata
convalida determina la trasmissione degli atti al pubblico ministero,
essendo venuto meno uno dei presupposti di ammissibilita' del rito; 
        che nella sentenza n. 229 del 2010  la  Corte  ha  affermato,
inoltre, come «la scelta del legislatore,  di  demandare  al  rimedio
impugnatorio del ricorso  per  cassazione  il  sindacato  sul  merito
dell'ordinanza di convalida  dell'arresto,  sia  in  armonia  con  il
quadro normativo sopra tratteggiato e con l'art. 111, settimo  comma,
Cost. nella parte in cui prevede che avverso  i  provvedimenti  sulla
liberta' personale e' sempre ammesso il ricorso per cassazione»; 
        che, con riferimento  all'asserita  violazione  dell'art.  24
Cost., la Corte ha precisato che  l'assetto  processuale  predisposto
dall'art. 449 cod. proc. pen. non comporta la violazione del  diritto
di difesa dell'imputato, non potendo tale  lesione  consistere  nella
privazione del diritto  per  quest'ultimo  «di  vedere  accertata  la
propria responsabilita' con regolari indagini e, occorrendo,  con  il
vaglio   dell'udienza   preliminare,   che,   quindi,   gli   sarebbe
arbitrariamente sottratta»; 
        che, al riguardo, la Corte richiama la sentenza  n.  164  del
1983 nella quale, seppure con riferimento  al  giudizio  direttissimo
disciplinato dal  codice  di  rito  del  1930,  si  e'  affermato  il
principio  per  cui  «la  mancanza  della   fase   istruttoria,   che
caratterizza il giudizio direttissimo nel  suo  complesso,  sia  esso
tipico o atipico, facoltativo o obbligatorio, non  confligge  con  il
diritto  di  difesa,   atteso   che   non   sussiste   un   interesse
dell'imputato, costituzionalmente protetto, a che  il  riconoscimento
della sua innocenza avvenga in una fase anteriore al dibattimento»; 
        che, sempre con  riferimento  alla  violazione  dell'art.  24
Cost., nella sentenza n. 229 del 2010  la  Corte  richiama  anche  la
sentenza n. 172 del 1972, in cui si e' statuito che «il fatto che  il
diritto di difesa e' garantito dall'art.  24,  secondo  comma,  della
Costituzione ''in ogni stato" del procedimento non significa  che  la
Costituzione imponga  che  il  procedimento  conosca  necessariamente
«piu' stati»,  ma  solo  che,  quando  piu'  fasi  processuali  siano
stabilite dalla legge, non ve ne sia alcuna nella quale la difesa sia
preclusa»; 
        che, dunque, come affermato  da  questa  Corte  nella  citata
recente pronunzia, detti principi ben si attagliano anche al  vigente
sistema processuale,  sicche'  e'  possibile  trarre  una  regola  di
carattere generale, applicabile  all'attuale  giudizio  direttissimo,
caratterizzato dall'assenza delle fase delle indagini preliminari; 
        che,  poi,  la  Corte  ha  ribadito  quanto  affermato  nella
sentenza n. 164 del 1983, cioe' che «la scelta  della  struttura  del
processo si risolve comunque in un problema  di  scelta  legislativa,
come  tale  rimesso  al  legislatore   ordinario,   il   quale   puo'
razionalmente prescindere dallo schema  tradizionale  sulla  base  di
specifiche valutazioni di politica criminale, senza che  cio'  incida
affatto sul diritto di difesa che ben potra'  essere  esercitato  nel
dibattimento in tutta la sua pienezza»; 
        che, con riferimento alla violazione dell'art. 111  Cost.  la
Corte,  nella  sentenza  n.  229  del  2010,  ha  affermato  che   la
disposizione censurata, alla luce delle argomentazioni esposte e  qui
riassunte, non reca alcun vulnus al principio del giusto processo; 
        che, infine, il rimettente non adduce elementi nuovi idonei a
superare il convincimento qui richiamato, sicche' vanno  ribadite  le
argomentazioni svolte nella sentenza da ultimo citata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.