Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 546,  primo
comma, del codice di procedura civile,  modificato  dall'articolo  2,
comma  3,  lettera  e),  del  decreto-legge  14  marzo  2005,  n.  35
(Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo
economico, sociale e territoriale),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 14 maggio 2005, n. 80, promosso dal Tribunale di  Napoli,
sezione distaccata di Pozzuoli, nel procedimento vertente tra R. B. e
il Comune di Pozzuoli ed altro, con ordinanza del 25 settembre  2009,
iscritta al n. 17 del registro  ordinanze  2010  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  1ª  serie   speciale,
dell'anno 2010. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.  B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi l'avvocato R. B. per se medesimo e l'avvocato  dello  Stato
Antonio Grumetto per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di  Pozzuoli,  in
composizione monocratica e in funzione  di  giudice  dell'esecuzione,
con l'ordinanza indicata  in  epigrafe,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  546,  primo  comma,  del
codice di procedura civile, come modificato dall'articolo 2, comma 3,
lettera e), del decreto-legge 14  marzo  2005,  n.  35  (Disposizioni
urgenti nell'ambito del Piano di azione per  lo  sviluppo  economico,
sociale e territoriale), convertito, con modificazioni,  nella  legge
14 maggio 2005, n. 80, in riferimento agli articoli 3, 24, 97  e  111
della Costituzione. 
    La disposizione impugnata stabilisce che «Dal giorno in  cui  gli
e' notificato l'atto previsto nell'art. 543,  il  terzo  e'  soggetto
relativamente alle cose e alle somme  da  lui  dovute  e  nei  limiti
dell'importo del  credito  precettato  aumentato  della  meta',  agli
obblighi che la legge impone al custode». 
    2. - Il rimettente ha premesso che l'avvocato R. B.  -  creditore
verso il Comune di Pozzuoli di una somma pari ad euro 798,68 in forza
di titolo esecutivo e di precetto in atti -  agendo  in  qualita'  di
procuratore  di  se  stesso,  ha  promosso  nei  confronti  dell'ente
territoriale un pignoramento presso terzi, notificato  anche  al  San
Paolo Banco di Napoli quale debitore del detto Comune in  virtu'  del
servizio di tesoreria. 
    La banca, ai sensi della norma censurata, ha  vincolato  soltanto
la complessiva somma di euro 1198,02 (cioe'  l'importo  del  precetto
piu' la meta', pari ad euro 399,34). 
    Il giudice  a  quo  ha  precisato  che  le  spese  di  esecuzione
ammontano ad euro 674,87, considerando per  l'onorario  i  minimi  di
tariffa e specificando che a tale somma si dovra'  aggiungere  quella
di  euro  171,79  a  titolo  di  tassa  fissa  di  registrazione  del
provvedimento  di  assegnazione,  per  un  totale  di  euro   846,66.
Pertanto, sottraendo il detto importo dalla somma accantonata per  il
pignoramento, residuano per il pagamento del  capitale  precettato  e
degli accessori euro 351,36. Ne  deriva  che  il  soggetto  promotore
dell'esecuzione, anche dopo l'assegnazione, restera' ancora creditore
di euro 447,32 oltre accessori, importo che  potra'  essere  posto  a
base di una nuova esecuzione, con la prospettiva  di  un'ulteriore  e
piu' gravosa incapienza, in quanto  la  diminuzione  del  credito  fa
diminuire anche la somma oggetto  del  pignoramento  con  conseguente
aumento delle probabilita' che essa risulti inidonea a soddisfare  il
capitale e le spese di esecuzione. 
    In questo quadro, il creditore  procedente  ha  chiesto  che  sia
sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  546,
primo  comma,  cod.  proc.  civ.,  il  cui  meccanismo  impedisce  il
soddisfacimento  della  pretesa  creditoria   oppure   costringe   ad
ulteriori  azioni  esecutive  che,  da  un  lato,  non   garantiscono
l'adempimento del credito (come si  evince  dal  caso  in  esame)  e,
dall'altro, ne producono una sorta di frazionamento imposto  ex  lege
in contrasto con l'art. 111 Cost., come ritenuto dal diritto  vivente
(e' citata la sentenza  della  Corte  di  cassazione,  Sezioni  unite
civili, del 15 novembre 2007, n. 23726). 
    3. - Tanto premesso, e rilevando che le spese di esecuzione vanno
pagate con precedenza rispetto al credito azionato, il rimettente  ha
sostenuto che la norma censurata: 
    a) sarebbe manifestamente  irragionevole  ai  sensi  dell'art.  3
Cost., in quanto l'impossibilita' per il  creditore  di  ottenere  la
realizzazione della propria pretesa non deriva da  una  dichiarazione
negativa del terzo, bensi' dalla norma stessa; 
    b) sarebbe in contrasto con l'art. 24  Cost.,  in  quanto  toglie
significato alla possibilita' di accedere alla tutela giurisdizionale
per il creditore di  somme  di  non  rilevante  entita',  qualora  il
pignoramento d'importo pari al credito precettato, aumentato  del  50
per cento, sia tale da non coprire affatto o  da  coprire  appena  le
spese di esecuzione; 
    c) ancora, sarebbe in contrasto con  gli  artt.  3  e  24  Cost.,
perche' «nel suo complesso il  procedimento  esecutivo  si  manifesta
fatalmente inidoneo a soddisfare la pretesa  creditoria  e  quindi  a
raggiungere lo scopo per cui il processo esecutivo e' concepito»; 
    d) sarebbe in ulteriore contrasto con l'art. 3 Cost., sia per  il
suo carattere irragionevole, perche' l'impossibilita'  di  soddisfare
il creditore procedente potrebbe concretarsi - anche in  presenza  di
norme  precettate  di  maggiore  entita'  -  qualora  siano  spiegati
interventi di altri creditori (e cio' accentuerebbe «la  probabilita'
di apertura di procedure esecutive tendenzialmente ad libitum»),  sia
perche' il meccanismo previsto dall'art. 546 cod. proc. civ.  sarebbe
«potenzialmente  idoneo  a   determinare   una   sorta   di   spirale
"inflattiva" delle procedure esecutive», sia perche' «la,  per  cosi'
dire, "autoalimentazione" del processo esecutivo comporta  costi  non
necessari anche a carico del debitore»; 
    e) sarebbe in contrasto con l'art. 97 Cost., perche' rischierebbe
di appesantire in modo irragionevole il processo esecutivo presso  il
terzo, provocando in ipotesi vere e proprie disfunzioni organizzative
con la prospettiva di scenari processuali idonei a  creare  procedure
di esecuzione coattiva virtualmente infinite; 
    f) sarebbe in ulteriore contrasto con l'art. 97 Cost., perche'  i
prospettati  sviluppi  processuali  «sono  potenzialmente  pericolosi
proprio per gli enti pubblici debitori, che  -  per  una  tendenziale
costante solvibilita' - potrebbero trovarsi esposti ad una pluralita'
di pignoramenti presso terzi posti in essere al solo fine di  lucrare
sulle spese legali, il tutto in spregio alle  esigenze  di  razionale
utilizzo delle finanze pubbliche»; 
    g)  sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  111  Cost.,  in   quanto
determinerebbe ex lege la parcellizzazione  del  credito  di  modesta
entita', frazionamento considerato non  conforme  alla  legge  ed  ai
principi costituzionali dal citato orientamento giurisprudenziale; 
    h) infine, sarebbe in contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  «perche'
irragionevolmente  impone  tale  limite  al  pignoramento   solo   ed
esclusivamente per le procedure esecutive mobiliari e presso terzi  e
non gia' anche per le procedure esecutive immobiliari». 
    Tutto cio' ritenuto,  il  rimettente  osserva,  sul  piano  della
rilevanza, che nella fattispecie l'impossibilita'  di  soddisfare  il
creditore deriva soltanto dalla norma censurata,  perche'  non  opera
l'opponibilita'  del  vincolo  di  cui  all'art.  159   del   decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali), in quanto dagli atti emerge  per
tabulas che l'ente debitore  non  ha  rispettato  la  cronologia  dei
pagamenti. 
    Inoltre, ad avviso del giudice a  quo,  non  vi  sono  spazi  per
un'interpretazione costituzionalmente orientata  dell'art.  546  cod.
proc. civ., perche' tale norma si riferisce  con  chiarezza  soltanto
alle somme precettate, aumentate della meta', e, per altro verso, non
puo' essere estesa anche alle spese di  esecuzione  perche',  essendo
tali spese ovviamente successive a quelle di precetto, il legislatore
avrebbe almeno dovuto prevedere delle somme ulteriori da accantonare,
tali da contenere anche le spese di esecuzione necessarie per il caso
di mancato pagamento dell'importo precettato. 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio di legittimita' costituzionale  con  atto  depositato  il  2
marzo 2010, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata. 
    La difesa dello Stato  ha  sostenuto  che,  nel  procedimento  di
espropriazione presso terzi,  il  diritto  del  creditore  pignorante
sarebbe pienamente tutelato dall'art.  553  cod.  proc.  civ.,  nella
parte in cui detta  norma  dispone  che  il  giudice  dell'esecuzione
assegna in pagamento le somme  di  cui  il  terzo  si  e'  dichiarato
debitore, ovvero  quelle  di  cui  e'  risultato  debitore  all'esito
dell'accertamento giudiziale del  suo  obbligo.  Il  credito  sarebbe
assegnato in pagamento nella misura e nei  limiti  in  cui  cio'  sia
necessario per soddisfare  integralmente  le  ragioni  del  creditore
procedente, che ha diritto a recuperare la  somma  per  la  quale  e'
stato intimato il precetto e le spese di esecuzione. 
    Sotto questo profilo, il disposto dell'art. 546 cod. proc. civ. -
nella parte in cui vieta al terzo pignorato di disporre  delle  somme
da  lui  dovute  «nei  limiti  dell'importo  del  credito  precettato
aumentato della meta'» non comprimerebbe il  diritto  di  difesa  del
creditore pignorante, ma si limiterebbe ad introdurre  un  limite  di
valore entro il quale il terzo pignorato e' tenuto ad adempiere  agli
obblighi che la legge pone a carico del custode. 
    Contrariamente a quanto affermato dal giudice  a  quo,  lo  scopo
della norma censurata sarebbe  proprio  quello  di  evitare  che  uno
strumento previsto a cautela del credito (il  divieto  per  il  terzo
pignorato  di  disporre  delle  somme  da  lui  dovute  al   debitore
esecutato)  si  traduca  in  un  abuso  del  diritto  del   creditore
procedente, come accadrebbe  se  il  divieto  operasse  per  l'intero
importo del credito vantato nei confronti del terzo, anche quando  la
somma azionata in via esecutiva sia di gran lunga inferiore  rispetto
al primo. 
    Inoltre, andrebbe escluso che l'art. 546 cod. proc. civ.  sia  in
contrasto  con  gli  artt.  97  e  111  Cost.,  perche'  le   vicende
prospettate  dal  giudice  a  quo  riguarderebbero  casi   ipotetici,
suscettibili di verificarsi qualora l'importo del  credito  pignorato
sia insufficiente a soddisfare le ragioni del  creditore  procedente,
ma non dipendenti dal fatto che gli obblighi  imposti  a  carico  del
terzo incontrino i limiti stabiliti dall'art. 546 cod. proc. civ. 
    5. - L'avvocato R. B. si e' costituito in questa sede,  chiedendo
che sia dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  546,
primo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che il terzo
e' soggetto agli obblighi ivi previsti «nei limiti  dell'importo  del
credito precettato aumentato della  meta'»,  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 24, 97 e 111 Cost. 
    Il  deducente,  nel  condividere  gli   argomenti   addotti   dal
Tribunale, sottolinea  come  proprio  il  caso  di  specie  ponga  in
evidenza l'inidoneita' della norma censurata rispetto  alla  funzione
generale della tutela esecutiva. A  tal  riguardo,  ad  avviso  della
parte privata e' sufficiente osservare che, dovendo essere  liquidate
al creditore assegnatario le spese di esecuzione e quelle  successive
indispensabili, lo stesso creditore, stante la  presenza  del  limite
quantitativo stabilito dal citato art. 546, rischierebbe di  trovarsi
sistematicamente di fronte ad una pronuncia d'incapienza, e,  quindi,
di vedere  soltanto  parzialmente  soddisfatto,  se  non  addirittura
insoddisfatto, il credito azionato. 
    Di qui il contrasto della norma con l'art. 24 Cost. 
    Sarebbero, poi, violati gli artt.  2  e  111  Cost.,  perche'  il
debitore   esecutato   rischierebbe   di   vedersi   sottoposto    ad
un'esecuzione  infruttuosa  con  un  sensibile  aggravio  di   spese,
attraverso un meccanismo in grado di riprodursi all'infinito, percio'
privo di giustificazione (e' richiamata la sentenza  della  Corte  di
cassazione, Sezioni unite civili, n. 23726 del 2007, gia' citata  dal
rimettente). 
    Ancora, sussisterebbe contrasto con gli artt. 3  e  24  Cost.  Al
riguardo,  la  parte  privata   pone   in   rilievo   l'irragionevole
discriminazione  in  danno  dei  creditori  per  importi   di   minor
consistenza  ed  osserva  che  la  norma  censurata,   senza   alcuna
giustificazione, consentirebbe al debitore di  disporre  delle  altre
somme in suo possesso, eccedenti il «pignorato».  Sono  richiamati  i
principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (in
particolare, le sentenze sez. terza civile, del 4 gennaio 2000, n. 16
e sent. sez. terza civile del 29 gennaio 1999, n. 798), con le  quali
la Corte avrebbe ritenuto fondata la tesi secondo cui  l'oggetto  del
pignoramento non deve essere limitato. 
    La disposizione censurata, nel testo vigente prima della  riforma
attuata con la legge n. 80 del 2005, mai avrebbe  suscitato  sospetti
di illegittimita' costituzionale ed anzi  sarebbe  stata  considerata
funzionale a garantire l'effettivita' della  tutela  giurisdizionale.
Infatti, essa avrebbe consentito una maggior possibilita'  di  tutela
del creditore, ancorche' il pignoramento fosse sottoposto  al  limite
della correlazione alla  domanda  di  quest'ultimo.  La  formulazione
attuale, invece, finirebbe per mortificare le ragioni  del  creditore
e, nel contempo,  consentirebbe  l'irrazionale  proliferazione  delle
azioni esecutive in danno del debitore, cosi'  violando  i  principii
del giusto processo e della buona amministrazione. 
    Alla  stregua  di  tali   considerazioni,   ulteriore   contrasto
sussisterebbe con gli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., anche  perche'  la
norma  censurata,   nella   sua   precedente   e   piu'   ragionevole
formulazione,  avrebbe  consentito  una  interpretazione  adeguatrice
diversa da quella  espressa  dalla  Corte  di  cassazione,  essendosi
sostenuto che in realta' vi era un  limite  all'azione  esecutiva  la
quale doveva ritenersi collegata alla domanda del creditore. 
    Tale  argomento  sarebbe  stato  condiviso  da  una  parte  della
giurisprudenza di  merito,  sull'assunto  che  la  contraria  e  piu'
radicale opinione del «pignoramento senza limiti» rischiava di essere
qualificata «eversiva dell'intero sistema, specie laddove il  vincolo
esecutivo fosse stato considerato esteso a tutte le cose o a tutte le
somme dovute dal terzo». 
    Invece proprio l'attuale formulazione  della  norma  porrebbe  in
luce potenzialita' eversive ben maggiori rispetto al passato. 
    Inoltre,  essa  creerebbe  una   ingiustificata   disparita'   di
trattamento, non essendo dato comprendere perche' il  limite  dettato
dall'art. 546, primo comma, cod. proc. civ.  (e  dall'art.  517  cod.
proc. civ.) debba trovare applicazione in materia  di  espropriazione
presso terzi e mobiliare, e non anche in  materia  di  espropriazione
immobiliare. 
    La norma, poi, darebbe luogo a gravi inconvenienti  nel  caso  di
intervento di altri creditori, inconvenienti non  superabili  con  la
possibilita' di estensione del pignoramento. 
    Da ultimo, il carattere illogico della disposizione sarebbe ancor
piu' marcato nel caso di specie, trattandosi  di  esecuzione  forzata
presso la tesoreria di un ente locale, sicche' andrebbe verificata la
sua utilita' alla luce dell'art. 159 del d.lgs. n. 267 del 2000. 
    6. - In prossimita' dell'udienza di discussione la  difesa  dello
Stato ha depositato una memoria nella quale riprende e  sviluppa  gli
argomenti  addotti  con  l'atto  d'intervento,  insistendo   per   la
declaratoria   d'infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di  Pozzuoli,  in
funzione di giudice  dell'esecuzione,  dubita,  in  riferimento  agli
articoli 3,  24,  97,  111  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  546,  primo  comma,  del   codice   di
procedura civile, come modificato dall'articolo 2, comma  3,  lettera
e), del decreto-legge 14 marzo  2005,  n.  35  (Disposizioni  urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale  e
territoriale), convertito, con modificazioni, nella legge  14  maggio
2005, n. 80. 
    Tale norma dispone che «Dal  giorno  in  cui  gli  e'  notificato
l'atto previsto nell'art. 543, il terzo  e'  soggetto,  relativamente
alle cose e alle somme da lui dovute e nei  limiti  dell'importo  del
credito precettato aumentato della meta', agli obblighi che la  legge
impone al custode». 
    1.1. - Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciare in
una procedura di pignoramento presso terzi, promossa da un avvocato -
creditore verso il Comune di Pozzuoli  di  una  somma  pari  ad  euro
798,68 - nei confronti del detto ente territoriale e  del  San  Paolo
Banco di Napoli in quanto debitore del Comune, per il quale svolge il
servizio di tesoreria. 
    La banca, ai sensi della norma censurata, ha  vincolato  soltanto
la complessiva somma di euro 1.198,02 (cioe' l'importo  del  precetto
piu' la meta' di esso, pari ad euro 399,34). 
    Il giudice a quo, dopo aver rilevato che le spese  di  esecuzione
ammontano in totale ad euro 846,66  (pur  considerando  i  minimi  di
tariffa),  osserva  che,  sottraendo  il  detto  importo  da   quello
accantonato per il  pignoramento,  residuano  per  il  pagamento  del
capitale precettato e degli accessori euro 351,36. 
    Pertanto,  il  soggetto  promotore  dell'esecuzione,  anche  dopo
l'assegnazione,  restera'  ancora  creditore  di  euro  447,32  oltre
accessori, e tale somma potra' essere  posta  a  base  di  una  nuova
esecuzione  con  la  prospettiva  di  un'ulteriore  e  piu'   gravosa
incapienza, in quanto la diminuzione del credito fa  diminuire  anche
la somma oggetto  del  pignoramento  con  conseguente  aumento  delle
possibilita' che essa risulti inidonea a soddisfare il capitale e  le
spese di esecuzione. 
    In questo quadro il giudicante ritiene  che  la  norma  censurata
sarebbe manifestamente irragionevole,  e  percio'  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost., dando altresi' vita ad una disparita' di  trattamento
rispetto alle procedure esecutive immobiliari (cui il limite  imposto
dall'art. 546, primo comma,  cod.  proc.  civ.  non  si  applica),  e
violerebbe anche gli  artt.  24,  97  e  111  Cost.  per  le  ragioni
riassunte in narrativa. 
    Il  rimettente  non  ravvisa  opzioni  ermeneutiche  alternative,
idonee a superare i dubbi di illegittimita' costituzionale, e  motiva
in modo non  implausibile  sulla  rilevanza  e  sulla  non  manifesta
infondatezza. 
    2. - Il creditore procedente, nell'atto di  costituzione,  allega
anche l'asserito contrasto della norma censurata con l'art.  2  Cost.
Tuttavia, per costante giurisprudenza di questa Corte  le  parti  nel
giudizio di legittimita' costituzionale non possono evocare parametri
diversi da quelli individuati dal giudice  a  quo  nell'ordinanza  di
rimessione. Nel caso di specie, il  detto  giudice  ha  sollevato  la
questione con riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost. Ne  deriva
che il richiamo all'art. 2 Cost., formulato dalla parte privata,  non
puo' trovare ingresso in questa sede. 
    3. -  Ancora  in  via  preliminare,  si  deve  osservare  che  il
creditore  procedente,  nell'atto  di   costituzione,   denunzia   il
«contrasto dell'art. 546, I comma, c. p. c. con  gli  artt.  3  e  24
Cost., alla luce dell'art. 159 del d. lgs. n. 267/2000,  degli  artt.
826, 828 e 830, ult. co., cod. civ.,  nonche'  dell'art.  4 legge  20
marzo 1865, n. 2248 All. E». 
    A suo avviso, le carenze logiche della norma impugnata  sarebbero
ancor  piu'  evidenti  quando  essa  e'  destinata  ad  una  concreta
applicazione in caso (come nella  specie)  di  un'esecuzione  forzata
presso il tesoriere di un ente locale, «dovendosi verificare  la  sua
utilita' alla luce dell'art. 159 d. lgs. n. 267/2000». Tale  norma  -
inserita nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo  unico
delle  leggi  sull'ordinamento  degli   enti   locali)   -   contiene
disposizioni sulle esecuzioni nei confronti di  detti  enti  e,  dopo
avere stabilito nel primo comma che non  sono  ammesse  procedure  di
esecuzione e di espropriazione forzata in  danno  degli  enti  stessi
presso soggetti  diversi  dai  rispettivi  tesorieri,  esclude  dalla
soggezione al vincolo esecutivo le somme aventi le destinazioni nella
norma medesima contemplate. 
    Secondo la suddetta parte privata,  «nel  caso  di  dichiarazione
quantitativamente   limitata,   le   somme   enunciate   dal    terzo
risulterebbero sistematicamente ricomprese  in  quelle  destinate  al
pagamento   dei   servizi   indispensabili   e,    percio',    sempre
impignorabili». 
    Tuttavia, a prescindere da ogni verifica circa la consistenza  di
tale assunto, si deve osservare che il giudice a quo,  nell'ordinanza
di  rimessione,  ha  precisato  che  «nella  fattispecie   in   esame
l'impossibilita'  di  soddisfare  il   creditore   deriva   solo   ed
esclusivamente dal descritto meccanismo dell'art. 546, 1°  comma,  c.
p. c., atteso che nel caso in esame  non  opera  l'opponibilita'  del
vincolo ex art. 159 d. lgs. n. 267/2000, atteso che dagli atti emerge
per tabulas che l'ente debitore non ha rispettato la  cronologia  dei
pagamenti». 
    Pertanto, nella fattispecie, il citato art. 159 non  deve  essere
applicato, con conseguente irrilevanza delle argomentazioni svolte al
riguardo dalla parte privata. 
    4. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1. - Si deve premettere che,  per  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, al legislatore spetta un'ampia discrezionalita' in tema
di  disciplina  del  processo  e  di  conformazione  degli   istituti
processuali, con il solo limite della  manifesta  irragionevolezza  o
arbitrarieta'  delle  scelte  compiute  (ex  plurimis,  tra  le  piu'
recenti: sentenze n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e  n.  237
del 2007; ordinanze n. 43 del 2010, n. 170 del  2009  e  n.  101  del
2006). 
    Cio'  posto,  va  rilevato  che  l'attuale  testo   della   norma
censurata, con la previsione che  il  terzo  pignorato  e'  soggetto,
relativamente alle cose e alle somme da lui dovute, agli obblighi che
la legge impone al  custode  «nei  limiti  dell'importo  del  credito
precettato aumentato della meta'» (con conseguente  contenimento  del
vincolo esecutivo entro tali limiti), e' stato  introdotto  dall'art.
2, comma 3, lettera e),  del  decreto-legge  14  marzo  2005,  n.  35
(Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo
economico sociale e  territoriale),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. 
    Il tenore della disposizione vigente prima di detta modifica  era
il seguente: «Dal giorno in cui gli  e'  notificato  l'atto  previsto
nell'art. 543, il terzo e' soggetto, relativamente alle cose  e  alle
somme da lui dovute, agli obblighi che la legge impone al custode». 
    Nell'interpretazione di tale norma la giurisprudenza della  Corte
di cassazione si era consolidata, dando luogo ad un  vero  e  proprio
diritto vivente, sul principio che «Nell'espropriazione presso  terzi
di  somme  di  danaro,  l'oggetto  del  pignoramento  e'   costituito
dall'intera somma di cui il terzo e' debitore, e non dalla quota  del
credito  per  la  quale  l'esecutante  agisce  in  forza  del  titolo
esecutivo notificato, costituendo essa solo il limite  della  pretesa
fatta valere in executivis» (Corte di cassazione, sentenze sez. terza
civile del 23 gennaio 2009,n. 1688; sez. terza civile del 14 dicembre
2006, n. 26850; sez. terza civile del 4 gennaio 2000, n.  16  e  sez.
terza civile del 22 aprile 1995, n. 4584). 
    In sostanza, in  base  a  tale  indirizzo  giurisprudenziale,  il
pignoramento rendeva indisponibile tutta la somma dovuta dal terzo al
debitore e non soltanto  quella  parte  per  la  quale  il  creditore
dichiarava di agire in forza del titolo esecutivo. 
    Questa soluzione -  giustificata  sia  con  argomenti  di  ordine
testuale (il riferimento alle cose o alle somme  dovute  dal  terzo),
sia  con  la  possibilita'  d'intervento  nella  procedura  di  altri
creditori, ai sensi dell'art. 551 cod.  proc.  civ.  -  creava  pero'
difficolta'  di  indubbia  consistenza.  L'estensione   del   vincolo
esecutivo a tutta la somma di cui il terzo si dichiarava debitore  (o
alla somma accertata all'esito  del  giudizio  previsto  dagli  artt.
548-549 cod. proc. civ.) bloccava in via immediata, e  per  un  tempo
non breve, importi rilevanti, ancorche' il soggetto procedente agisse
per crediti di scarsa entita'. Il problema si  rivelava  di  spessore
anche maggiore quando nella procedura  fossero  coinvolti  imprese  o
enti pubblici, perche' il vincolo  esecutivo  poteva  avere  notevoli
riflessi negativi sul buon andamento  dell'attivita'  imprenditoriale
oppure sulla funzionalita' amministrativa degli enti stessi. 
    Ne'   tale   anomalia   appariva   superabile   facendo   ricorso
all'istituto della riduzione del pignoramento, di  cui  all'art.  496
cod.  proc.  civ.  A  parte  il  rilievo  che  questo  istituto   era
considerato da autorevole dottrina  inapplicabile  all'espropriazione
dei  crediti,  si   deve   comunque   osservare   che   il   relativo
provvedimento, se adottato, di regola sarebbe intervenuto a  distanza
di tempo, quando ormai il  debitore  aveva  subito  gli  effetti  del
pignoramento esteso all'intera somma  dovuta  dal  terzo  (cosiddetto
pignoramento integrale). 
    In  questo  quadro  il  legislatore,  nell'esercizio  della   sua
discrezionalita',  ha  effettuato  un  bilanciamento  tra   interessi
contrastanti e meritevoli entrambi di tutela: da un lato, quello  del
creditore procedente alla piena realizzazione della propria  pretesa;
dall'altro, quello del debitore esecutato  a  non  subire  il  blocco
totale, e di regola per un tempo non breve, di somme ingenti, pure in
presenza di un credito azionato di ammontare esiguo.  E  ha  ritenuto
d'identificare il punto di equilibrio nella previsione di  un  limite
al vincolo esecutivo,  limite  costituito  dall'importo  del  credito
precettato, aumentato della meta'. 
    Tale  scelta  non  puo'  definirsi  incongrua  e,   tanto   meno,
manifestamente irragionevole o arbitraria. 
    Infatti, non e' contestabile che  essa  abbia  posto  rimedio  al
problema sopra evidenziato, le cui gravi ricadute  erano  state  piu'
volte segnalate in dottrina. 
    E' vero che il  limite  introdotto  nella  norma  censurata  puo'
produrre l'inconveniente esposto nell'ordinanza di rimessione,  e  su
questo  punto  potra'  intervenire  il   legislatore,   per   esempio
prevedendo che il vincolo esecutivo in ogni  caso  vada  esteso  alle
spese di esecuzione, qualora non  si  ritenga  di  pervenire  a  tale
risultato per via interpretativa. Comunque,  il  detto  inconveniente
puo' concretarsi  soltanto  con  riferimento  a  crediti  di  modesto
ammontare, mentre per quelli di maggiore  consistenza  l'importo  del
credito precettato aumentato della meta' e' in  grado  di  assicurare
all'esecutante la realizzazione di quanto gli e' dovuto, onde non  e'
esatto che il procedimento di espropriazione dei crediti presso terzi
sia diventato «fatalmente inidoneo a soddisfare la pretesa creditoria
e quindi a raggiungere lo scopo per  cui  il  processo  esecutivo  e'
concepito». 
    D'altro canto, il creditore  rimasto  parzialmente  insoddisfatto
non vede pregiudicato il proprio  diritto  di  accedere  alla  tutela
giurisdizionale,  sia  perche'   potra'   procedere   ad   un   nuovo
pignoramento presso  terzi  per  la  somma  rimasta  incapiente,  sia
perche' potra' avvalersi di altre procedure  esecutive,  ricorrendone
gli estremi. 
    A tal riguardo, non giova il richiamo alla  sentenza  resa  dalla
Corte di cassazione a Sezioni  unite,  n.  23726  del  2007,  che  ha
affermato il principio secondo cui non e' consentito al creditore  di
una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto
obbligatorio,  di  frazionare  il  credito   in   plurime   richieste
giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo. 
    Invero, tale principio e' stato  affermato  in  presenza  di  una
condotta volontaria del creditore (cioe' la scissione  del  contenuto
dell'obbligazione), da lui posta in essere per sua esclusiva utilita'
con  unilaterale  modificazione  aggravativa  della   posizione   del
debitore e tale da  porsi  in  contrasto  sia  con  la  normativa  di
correttezza e buona fede, sia con  il  principio  costituzionale  del
giusto processo,  «traducendosi  la  parcellizzazione  della  domanda
giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in  un
abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte,
nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale». 
    Ben  diversa  e'  la  posizione  del   creditore   che,   rimasto
parzialmente incapiente nella realizzazione della sua  pretesa  senza
alcuna  responsabilita',  adotti  una  nuova  iniziativa  giudiziaria
nell'esercizio   del   suo   diritto   costituzionale   alla   tutela
giurisdizionale. 
    4.2. - Quanto alla possibilita', pure prospettata  nell'ordinanza
di rimessione, che nella  procedura  esecutiva  spieghino  intervento
altri creditori (art. 551 cod. proc.  civ.),  a  parte  il  carattere
ipotetico  dell'evento,  alla   possibile   sopravvenuta   incapienza
dell'ammontare  pignorato  per  l'intervento   di   altri   creditori
(chirografari) si  potra'  porre  rimedio  applicando  il  meccanismo
dell'estensione del pignoramento,  ai  sensi  dell'art.  499,  quarto
comma, cod. proc. civ., meccanismo attualmente previsto come  rimedio
di carattere generale dopo la riforma attuata con l'art. 2, comma  3,
lettera e),  n.  7),  del  d.l.  n.  35  del  2005,  convertito,  con
modificazioni, nella legge n. 80 del 2005 e  modificato  dall'art.  1
della legge 28 dicembre 2005,  n.  263  (Interventi  correttivi  alle
modifiche in materia processuale civile introdotte  con  il  d.l.  14
marzo 2005, n. 35,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge  14
maggio  2005,  n.  80,  nonche'  ulteriori  modifiche  al  codice  di
procedura civile e  alle  relative  disposizioni  di  attuazione,  al
regolamento di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, al codice  civile,
alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di  diritto
alla pensione di reversibilita' del coniuge divorziato). 
    4.3. - Neppure il richiamo all'art. 111 Cost. si rivela fondato. 
    Ad avviso dell'esponente,  il  detto  parametro  sarebbe  violato
perche' la norma censurata «determina ex lege la parcellizzazione del
credito di modesta entita', frazionamento considerato non conforme  a
legge  e  ai  principi   costituzionali   dal   citato   orientamento
giurisprudenziale». 
    Orbene, richiamato quanto esposto dianzi circa la non  pertinenza
nella specie di tale orientamento, si  deve  ribadire,  alla  stregua
delle precedenti considerazioni, che il detto inconveniente  consegue
ad una scelta non irragionevole compiuta dal legislatore,  diretta  a
rimuovere gli effetti  pregiudizievoli  del  cosiddetto  pignoramento
integrale mediante una soluzione  normativa  che  non  pregiudica  il
diritto del creditore di  perseguire  la  realizzazione  del  proprio
credito. 
    4.4. - Il giudice a quo lamenta ancora una violazione dell'art. 3
Cost. sotto il profilo della disparita' di  trattamento,  perche'  la
norma  impugnata  imporrebbe  il  limite  al  pignoramento  «solo  ed
esclusivamente per le procedure esecutive mobiliari e presso terzi  e
non gia' anche per le procedure esecutive immobiliari». 
    Si deve pero' osservare che i  diversi  mezzi  di  espropriazione
forzata previsti dalla legge hanno struttura e disciplina differenti,
sicche' non e' inibito al legislatore  modulare  in  modo  diverso  i
singoli istituti che li riguardano, specialmente quando,  come  nella
specie, la modulazione consegue ad una  valutazione  comparativa  non
irragionevole. 
    4.5. - Infine, il rimettente denunzia la violazione dell'art.  97
Cost., perche' la norma  censurata  rischierebbe  di  appesantire  il
processo  esecutivo  presso  terzi,  di  provocare  «vere  e  proprie
disfunzioni organizzative», di aprire la porta a «scenari processuali
atti  a  creare  meccanismi  di  esecuzione   coattiva   virtualmente
infiniti»,  mentre  i   «perversi   potenziali   descritti   sviluppi
processuali sono  potenzialmente  pericolosi  proprio  per  gli  enti
pubblici debitori», esposti ad una pluralita' di pignoramenti  presso
terzi «posti in essere al solo fine di lucrare sulle spese legali, il
tutto in spregio alle esigenze di razionale  utilizzo  delle  finanze
pubbliche». 
    A parte il  carattere  ipotetico  della  maggior  parte  di  tali
rilievi, si deve osservare che, per costante giurisprudenza di questa
Corte, il detto parametro costituzionale non riguarda  la  disciplina
dell'attivita' giurisdizionale  ma  soltanto  l'organizzazione  degli
uffici pubblici (ex plurimis: sentenze n. 64 del  2009,  n.  272  del
2008 e n. 117 del 2007; ordinanza n. 455 del 2006). 
    Anche per questo profilo, dunque, la questione non e' fondata.