Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  Pace  di
Orvieto con ordinanze del  27  ottobre  (nn.  2  ordinanze),  del  10
novembre (nn. 2 ordinanze) e del 29 dicembre 2009 e  dal  Giudice  di
Pace di Vigevano con ordinanze del 23 novembre (nn. 3 ordinanze), del
30 novembre e del 14 dicembre 2009 (nn. 3 ordinanze), del 18  gennaio
(nn. 3 ordinanze) e del 25 gennaio  2010,  ordinanze  rispettivamente
iscritte ai nn. da 6 a 9, 80, da 101 a 106, da 153 a 157 del registro
ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 5, 12, 15 e 22, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con cinque ordinanze di analogo tenore,  emesse  il
27 ottobre 2009 (r.o. n. 6 e n. 9 del  2010),  il  10  novembre  2009
(r.o. n. 7 e n. 8 del 2010) e il 29 dicembre 2009  (r.o.  n.  80  del
2010), il Giudice di  pace  di  Orvieto  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), denunciando la  violazione  degli  artt.  2,  3,  10,  25,
secondo e terzo comma,  «in  relazione  agli  artt.  13  e  27  della
Costituzione», nonche' dell'art. 111 Cost.; 
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  incriminatrice
censurata - che punisce l'ingresso  e  il  soggiorno  illegale  dello
straniero nel territorio dello Stato - si porrebbe in  contrasto  con
il  principio  di  ragionevolezza,   in   quanto   priva   di   ratio
giustificatrice: da un lato, perche' il fine con  essa  perseguito  -
allontanare lo straniero «clandestino»  dal  territorio  nazionale  -
sarebbe  gia'   conseguibile   tramite   l'istituto   dell'espulsione
amministrativa; dall'altro, perche' la pena pecuniaria comminata  per
la violazione rimarrebbe solo «teorica», dovendo essere  applicata  a
persone nullatenenti e prive di «sicura domiciliazione», di modo  che
anche la sua conversione in lavoro sostitutivo «non otterrebbe  alcun
risultato utile»; 
        che  risulterebbero   violati,   inoltre,   i   principi   di
offensivita' e proporzionalita', giacche', come  chiarito  da  questa
Corte costituzionale con la sentenza  n.  78  del  2007,  il  mancato
possesso di un titolo valido per il soggiorno nello Stato non e',  di
per  se',  sintomo  di   una   particolare   pericolosita'   sociale:
pericolosita' sociale che, per contro -  alla  luce  dell'espressione
«fatto commesso»,  contenuta  nell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,
nonche' del principio di personalita'  della  responsabilita'  penale
(art. 27 Cost.) e del criterio  dell'extrema  ratio  -  costituirebbe
condizione imprescindibile affinche' possano  irrogarsi  sanzioni  di
natura penale; 
        che la norma censurata violerebbe, ancora, gli artt. 2  e  10
Cost., per contrasto con il principio di solidarieta' - posto tra  «i
valori fondamentali dell'uomo» da plurime convenzioni  internazionali
- assumendo un «connotato discriminatorio» nei confronti  di  persone
che versano in condizioni di bisogno, considerate «possibili fonti di
atti delinquenziali»; 
        che un ulteriore e conclusivo profilo di irrazionalita' della
norma  si  connetterebbe  alla  circostanza  che,  in  rapporto  alla
fattispecie dell'illegale trattenimento nel territorio  dello  Stato,
non sia stata introdotta una disciplina  transitoria,  «quale  quella
prevista per le colf e badanti»: con la conseguenza che  il  migrante
clandestino, gia' presente in Italia alla data di entrata  in  vigore
della novella legislativa, non avrebbe alcuna possibilita' di evitare
i rigori della legge penale; 
        che, con undici ordinanze, di analogo tenore,  emesse  il  23
novembre 2009 (r.o. n. 101, n. 102 e n. 103 del 2010), il 30 novembre
2009 (r.o. n. 154 del 2010) il 14 dicembre 2009 (r.o. n. 104, n.  105
e n. 106 del 2010), il 18 gennaio 2010 (r.o. n. 153, n. 155 e n.  156
del 2010) e il 25 gennaio 2010 (r.o. n. 157 del 2010), nel  corso  di
processi  penali  nei  confronti  di  stranieri  imputati  del  reato
previsto dalla norma censurata, il Giudice di  pace  di  Vigevano  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale del medesimo  art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, in riferimento agli  artt.  2,  3,
25, secondo comma, e 97 Cost.; 
        che, secondo il rimettente, la nuova fattispecie si  porrebbe
in contrasto con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti
inviolabili  dell'uomo  e  richiede  l'adempimento  dei   doveri   di
solidarieta' politica, economica e sociale; 
        che  essa  violerebbe,  inoltre,  l'art.  3  Cost.,  per   la
irragionevolezza  della  scelta   legislativa   di   «criminalizzare»
l'ingresso e la permanenza illegali nel territorio dello Stato; 
        che l'obiettivo perseguito  con  l'introduzione  della  nuova
fattispecie di reato e', infatti, quello di allontanare lo  straniero
"irregolare"  dal  territorio  dello  Stato,  come   si   desumerebbe
chiaramente dal fatto che il giudice di pace puo' applicare la misura
dell'espulsione come sanzione sostitutiva (art. 16 del d.lgs. n.  286
del 1998) e che l'esecuzione dell'espulsione  in  via  amministrativa
costituisce causa di improcedibilita' dell'azione penale; prospettiva
nella quale, peraltro, la nuova  incriminazione  si  rivelerebbe  del
tutto inutile, giacche' il suo ambito di  applicazione  coinciderebbe
perfettamente con quello  della  preesistente  misura  amministrativa
dell'espulsione; 
        che il rimettente denuncia, altresi', l'irragionevolezza  del
trattamento  sanzionatorio   della   nuova   fattispecie   criminosa,
complessivamente considerato: non soltanto, cioe', della comminatoria
della pena dell'ammenda - pena che, se pur elevata  e  insuscettibile
di oblazione, risulterebbe priva di  ogni  efficacia  deterrente  nei
confronti di soggetti di regola totalmente  impossidenti,  quali  gli
stranieri clandestini - ma anche del divieto  di  applicazione  della
sospensione condizionale della pena e  della  facolta',  concessa  al
giudice, di sostituire la  pena  pecuniaria  con  una  sanzione  piu'
grave, quale l'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni; 
        che l'art. 3 Cost. sarebbe violato  anche  sotto  l'ulteriore
profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto  alla
fattispecie criminosa, pure piu'  grave,  contemplata  dall'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che  punisce  la  permanenza
dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine
di allontanamento impartito dal questore,  solo  quando  abbia  luogo
«senza giustificato  motivo»:  «scriminante»,  questa,  non  prevista
dalla norma impugnata; 
        che il giudice a quo reputa lesi, inoltre, gli artt. 3 e  25,
secondo comma, Cost.,  in  quanto  la  nuova  figura  di  reato  solo
apparentemente sanzionerebbe una condotta (l'ingresso  o  il  mancato
allontanamento dal  territorio  dello  Stato),  mentre,  in  realta',
sarebbe diretta a colpire una condizione personale  e  sociale  dello
straniero, legata  al  mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo
all'ingresso o al  soggiorno  in  detto  territorio:  condizione  che
verrebbe   arbitrariamente   considerata    come    sintomatica    di
pericolosita' sociale; 
        che risulterebbe vulnerato, ancora, l'art. 97,  primo  comma,
Cost.,  giacche'  la  previsione  di  due  distinti  procedimenti   -
amministrativo e  penale  -  diretti  allo  stesso  fine  influirebbe
negativamente sulla ragionevole durata del processo penale,  oltre  a
provocare un incremento dei costi e degli «incombenti»; 
        che la questione sarebbe, altresi', rilevante,  giacche'  nel
caso di declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
censurata gli imputati non andrebbero incontro a nessuna  conseguenza
penale; 
        che nei giudizi di  costituzionalita'  relativi  alle  cinque
ordinanze  di  rimessione  del  Giudice  di   pace   di   Orvieto   e
all'ordinanza r.o. n. 101 del 2010 del Giudice di pace di Vigevano e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili per difetto  di  motivazione
sulla rilevanza, o comunque infondate. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
        che i giudici a quibus dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
        che le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di
descrizione  della  fattispecie  concreta  e  di  motivazione   sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
        che, in rapporto alle ordinanze di rimessione del Giudice  di
pace di Orvieto, l'indicato difetto di descrizione e  di  motivazione
e' totale; 
        che, dal canto suo, il Giudice di pace di Vigevano si  limita
- quanto alla descrizione della fattispecie concreta - a  riprodurre,
nell'epigrafe delle ordinanze di rimessione, i capi di imputazione, i
quali si risolvono, peraltro, nella sostanza, in una mera e  generica
parafrasi della norma incriminatrice - persino quanto al  riferimento
in via alternativa alle condotte di ingresso e di permanenza illegale
nello Stato - senza che, di nuovo,  venga  riferito  alcunche'  sulle
vicende che hanno dato origine al giudizio principale  e  sulla  loro
effettiva riconducibilita' al paradigma punitivo censurato; mentre la
motivazione sulla rilevanza si esaurisce nella  altrettanto  generica
affermazione che, «in caso di declaratoria  di  illegittimita'  della
norma denunciata, l'imputato  finirebbe  per  non  avere  conseguenza
alcuna sotto il profilo penale»; 
        che, pertanto - conformemente a quanto gia' deciso da  questa
Corte in rapporto ad analoghe ordinanze di  rimessione  dei  medesimi
giudici rimettenti (ordinanza n. 253 del 2010; per ipotesi  similari,
altresi', ordinanze n. 343, n. 329, n. 320 del 2010) -  le  questioni
vanno dichiarate manifestamente inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.