Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma  9,
lettera a), del codice di procedura penale, come modificato dall'art.
2, comma 1, lettera m), del  decreto-legge  23  maggio  2008,  n.  92
(Misure urgenti in materia di sicurezza  pubblica),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio  2008,  n.
125, promosso dal  Tribunale  di  Bergamo,  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione penale, con ordinanza del 9 giugno 2009, iscritta  al
n. 179 del  registro  ordinanze  2010  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 9 giugno 2009,  il  Tribunale  di
Bergamo, in funzione di giudice dell'esecuzione penale, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 27  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui   preclude   la
sospensione dell'esecuzione delle pene detentive  infratriennali  nei
confronti  di  persone  condannate  per   delitti   aggravati   dalla
circostanza prevista dall'art. 61, primo  comma,  numero  11-bis  del
codice penale; 
    che il rimettente e'  chiamato  a  decidere  sulla  richiesta  di
sospensione del  provvedimento  di  cumulo  di  pene  concorrenti,  e
contestuale ordine di esecuzione, emesso dalla locale  Procura  della
Repubblica  nei  confronti  di  una  persona  che  ha  riportato  due
condanne, una della quali inflitta per i reati previsti  dagli  artt.
62-bis, 61, numero 11-bis, 337 cod.  pen.  e  14,  comma  5-ter,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero); 
    che,  secondo  quanto  riferito  dal  giudice  a  quo,  la   pena
complessiva che il condannato deve espiare e' stata rideterminata  in
anni uno, mesi uno e giorni sedici di reclusione,  e  tuttavia  -  in
applicazione dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  cod.  proc.  pen.,
quale risulta dopo  l'intervento  attuato  con  l'art.  2,  comma  1,
lettera m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92  (Misure  urgenti
in materia di sicurezza  pubblica),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n.  125  -  non  e'
stata disposta la sospensione dell'esecuzione, ostandovi la  condanna
per delitto aggravato ex art. 61, numero 11-bis, del cod. pen.; 
    che il rimettente da'  atto  che  la  difesa  del  condannato  ha
eccepito l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a), cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.,
e procede quindi a sollevare la relativa questione,  evidenziando  in
primo luogo come la norma censurata risulti  eccentrica  nel  sistema
dell'esecuzione penale; 
    che, infatti, l'ingresso in carcere  dei  soggetti  condannati  a
pene detentive brevi, potenzialmente in condizione di usufruire delle
misure alternative alla detenzione, e'  sospeso  in  ragione  di  una
«presunzione di scarsa pericolosita'  sociale  basata  sulla  entita'
della pena irrogata»; 
    che, simmetricamente, i divieti alla sospensione  dell'esecuzione
previsti dall'art. 656, comma 9, cod. proc. pen., sono fondati  sulla
«presunzione di pericolosita' in relazione al titolo del reato,  alla
gravita' della sanzione edittale o  al  particolare  allarme  sociale
destato da talune condotte criminose, cui  si  affiancano  condizioni
d'accertata pericolosita'»; 
    che pertanto, prosegue il rimettente, il divieto  di  sospensione
dell'esecuzione, collegato alla condizione di  soggiorno  irregolare,
costituisce una  «deviazione  del  tutto  irragionevole»,  in  quanto
introduce una «presunzione di maggiore pericolosita'» sulla  base  di
una condizione soggettiva di  mera  irregolarita'  sotto  il  profilo
amministrativo; 
    che  l'effetto  distorsivo  introdotto  dalla   norma   censurata
condurrebbe  al  risultato  paradossale  per   cui   e'   considerato
pericoloso - e dunque meritevole della carcerazione  -  lo  straniero
che, mentre si trovava irregolarmente nel territorio dello Stato,  ha
commesso un reato di modesta gravita' ed ha riportato condanna ad una
pena  detentiva  breve,  a  differenza  del  soggetto,   regolarmente
presente nel territorio nazionale, il quale si sia reso  responsabile
di un reato  grave  e  percio'  sia  stato  condannato  ad  una  pena
detentiva elevata, tenuto conto che il limite previsto dall'art. 656,
comma 5, cod. proc. pen. ai fini  della  sospensione  dell'esecuzione
trova applicazione anche con riguardo alle pene residue; 
    che  la   norma   censurata   avrebbe   quindi   introdotto   una
«aprioristica presunzione di pericolosita'», per effetto della  quale
«molti stranieri sono costretti ad espiare in regime  di  detenzione»
anche pene detentive brevi, «in relazione  ad  uno  stato  soggettivo
come la clandestinita', che, oltretutto, nel lasso temporale  tra  la
pronuncia e  l'esecuzione  della  condanna,  potrebbe  essere  venuto
meno»; 
    che, pertanto, pur dovendosi riconoscere al legislatore  un'ampia
discrezionalita' nella regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno
dello  straniero  nel  territorio  nazionale,  sarebbe  nella  specie
oltrepassato il limite della  non  manifesta  irragionevolezza  delle
scelte  legislative  (sono  richiamate  le   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 148 del 2008 e n. 206 del 2006); 
    che il rimettente esamina l'ulteriore profilo, a suo  dire  ancor
piu'  consistente,  di  illegittimita'  costituzionale  della   norma
censurata, vale a dire il ritenuto contrasto con l'art. 27 Cost.; 
    che, infatti, il  meccanismo  della  sospensione  dell'esecuzione
delle  pene  detentive  brevi  trova  giustificazione  proprio  nella
finalita' rieducativa della pena, essendo volto ad evitare  l'impatto
con  la  struttura  carceraria,  e  a  favorire,  in  tal  modo,   la
riabilitazione del condannato che venga poi  ammesso  ad  espiare  la
stessa pena in regime alternativo alla detenzione; 
    che, d'altra parte, osserva  ancora  il  rimettente,  il  divieto
previsto dalla norma censurata non preclude al  condannato  ristretto
in carcere  di  formulare  l'istanza  di  ammissione  ad  una  misura
alternativa alla detenzione, essendo tali  misure  applicabili  anche
agli stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato (e'
richiamata, tra le altre, la sentenza della Corte  di  cassazione  n.
17334 del 2006); 
    che, di conseguenza, la condizione di «clandestinita'» al momento
del  fatto  non  sarebbe  ostativa  alla  concessione  delle   misure
alternative alla detenzione, «ma al  meccanismo  processuale  che  ne
garantisce  l'effettivita'»,   cosi'   evidenziandosi   ulteriormente
l'incoerenza della  norma  censurata  con  il  sistema  delle  misure
alternative alla detenzione; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilita' o,  comunque,  per
l'infondatezza della questione; 
    che  la   difesa   dello   Stato   richiama   la   giurisprudenza
costituzionale  secondo  cui  la  disciplina  dell'ingresso   e   del
soggiorno dello straniero nel territorio nazionale e' collegata  alla
ponderazione di svariati  interessi  pubblici  (sicurezza  e  sanita'
pubblica, ordine pubblico, vincoli internazionali), che spetta in via
preminente  al  legislatore  ordinario,  al  quale  va   riconosciuta
un'ampia discrezionalita' al riguardo (sono citate le sentenze  della
Corte costituzionale n. 148 del 2008; n. 206 del 2006  e  n.  62  del
1994); 
    che nella specie, secondo l'Avvocatura generale, il limite  della
ragionevolezza risulterebbe rispettato,  dovendosi  considerare  che,
dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge  15  luglio  2009,  n.   94
(Disposizioni in materia  di  sicurezza  pubblica),  la  condotta  di
soggiorno  illegale  nel  territorio  dello  Stato  costituisce   uno
specifico reato, seppure di natura contravvenzionale; 
    che, inoltre, la norma censurata non sarebbe in contrasto con  il
principio  della  necessaria  finalita'   rieducativa   della   pena,
considerato  che  il  divieto  di  sospensione  dell'esecuzione  gia'
sussisteva, «in relazione a numerose  altre  fattispecie  di  reato»,
prima della modifica dell'art. 656, comma 9, cod. proc. pen.; 
    che, anche in relazione ai reati commessi durante  la  permanenza
illegale nel territorio dello Stato, il legislatore ha  ritenuto  che
il condannato debba comunque fare ingresso in carcere,  potendo  poi,
nella condizione di restrizione, chiedere  l'ammissione  alle  misure
alternative alla detenzione; 
    che, ad avviso della difesa dello Stato, non  potrebbe  per  cio'
solo ritenersi compromesso il percorso  rieducativo  del  condannato,
posto che altrimenti si finirebbe per teorizzare che ad ogni  ipotesi
di detenzione in carcere consegua,  automaticamente,  una  violazione
del precetto contenuto nell'art. 27 Cost. 
    Considerato che il Tribunale di Bergamo, in funzione  di  giudice
dell'esecuzione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e
27  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di  procedura  penale,
nella parte in cui preclude la sospensione dell'esecuzione delle pene
detentive infratriennali nei  confronti  di  persone  condannate  per
delitti aggravati dalla  circostanza  prevista  dall'art.  61,  primo
comma, numero 11-bis, del codice penale; 
    che, secondo  il  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  avrebbe
introdotto  una  «aprioristica  presunzione  di  pericolosita'»   del
condannato  straniero  per  fatti  commessi  durante  la   permanenza
irregolare nel  territorio  nazionale,  che  risulterebbe  del  tutto
eccentrica nel sistema dell'esecuzione penale  delle  pene  detentive
brevi, con conseguenze  paradossali  sul  piano  della  coerenza  del
sistema, in contrasto con i principi di uguaglianza e della finalita'
necessariamente rieducativa della pena; 
    che, con la sentenza n. 249 del 2010, successiva all'ordinanza di
rimessione,   questa    Corte    ha    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 61, primo comma, numero 11-bis,  cod.  pen.,
e, in via consequenziale, dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),  cod.
proc. pen., limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre
l'aggravante di cui all'art. 61, primo  comma,  numero  11-bis),  del
medesimo codice»; 
    che, di conseguenza, la questione di legittimita' oggi  in  esame
e' divenuta priva di oggetto  e  va  dichiarata,  per  tale  ragione,
manifestamente inammissibile (ex plurimis, ordinanza n. 78 del 2010). 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.