Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis  e  16,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla  condizione  dello  straniero)  e  dell'art.  62-bis  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Bologna con diciotto ordinanze del 21 ottobre 2009 e dal  Giudice  di
pace di Imola con ordinanze del 10 dicembre 2009, del 14 gennaio 2010
e del 25 febbraio 2010 (n. tre ordinanze),  rispettivamente  iscritte
ai nn. da 48 a 65, 164, 165 e da 183 a  185  del  registro  ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  nn.  9,
10, 23 e 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto  che  il  Giudice  di  pace  di  Bologna,  con  diciotto
ordinanze, emesse il 21 ottobre 2009 (r.o. n. 48, n. 49,  n.  50,  n.
51, n. 52, n. 53, n. 54, n. 55, n. 56, n. 57, n. 58, n. 59, n. 60, n.
61, n. 62, n. 63, n. 64, n. 65 del 2010), e il  Giudice  di  pace  di
Imola, con cinque ordinanze, di analogo tenore, emesse il 10 dicembre
2009 (r.o. n. 164 del 2010), il 14 gennaio  2010  (r.o.  n.  165  del
2010) e il 25 febbraio 2010 (r.o. n. 183, n. 184 e n. 185 del  2010),
hanno sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,  primo  comma,  24,
secondo  comma,  27,  terzo  comma,  e   97,   primo   comma,   della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis,  «limitatamente  alla  ipotesi  di  soggiorno  illegale»,   e
dell'art. 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero),  nonche'
dell'art. 62-bis del decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
    che i giudici a quibus - premesso di essere investiti di processi
penali nei confronti  di  stranieri  imputati  della  contravvenzione
prevista dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998,  per  essersi
trattenuti  illegalmente  nel  territorio  dello  Stato  -  ritengono
rilevanti  le  questioni,  «in  quanto  la  sanzione   da   comminare
all'imputato in ipotesi di riconoscimento di  penale  responsabilita'
dovrebbe essere determinata in applicazione delle disposizioni  della
cui legittimita' costituzionale si dubita»; 
    che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  i   rimettenti
rilevano che la norma incriminatrice di cui al  citato  art.  10-bis,
introdotta dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge  15  luglio
2009, n. 94  (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza  pubblica)  ed
entrata in vigore l'8 agosto 2009, punisce con l'ammenda da  5.000  a
10.000  euro  lo  straniero  che  fa  ingresso  ovvero  si  trattiene
illegalmente nel territorio dello Stato, configurando, come  illeciti
penali,  fatti  che  in  precedenza  costituivano  semplici  illeciti
amministrativi, ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che, ad avviso dei giudici a quibus, detta  previsione  punitiva,
nella parte in cui reprime il  soggiorno  illegale,  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 3 Cost. sotto plurimi profili; 
    che essa violerebbe anzitutto il principio di ragionevolezza,  in
quanto - punendo  l'illegale  trattenimento  indipendentemente  della
data di ingresso  dello  straniero  in  Italia,  senza  prevedere  un
«termine di  allontanamento»  per  lo  straniero  gia'  presente  nel
territorio nazionale prima dell'entrata in vigore della legge  n.  94
del  2009  -  colpirebbe  una  «posizione  soggettiva»  di  per   se'
«inoffensiva» e conseguente a  condotte  pregresse,  non  costituenti
reato all'epoca in cui sono state realizzate; 
    che la disposizione impugnata lederebbe, altresi',  il  principio
di eguaglianza, accomunando nel medesimo trattamento sanzionatorio lo
straniero che soggiorni  illegalmente  dopo  essersi  introdotto  nel
territorio nazionale  con  la  consapevolezza  di  compiere  un  atto
penalmente illecito, e lo straniero che, trovandosi in  Italia  prima
dell'entrata in  vigore  della  novella,  non  poteva  avere  analoga
consapevolezza; 
    che, in tal modo, sarebbero equiparate una  condotta  illegale  e
altra divenuta tale solo per  effetto  dell'«automatismo  applicativo
della norma» censurata, la quale non contempla  termini  e  modalita'
per  rimuovere   la   nuova   situazione   di   illegalita'   tramite
l'allontanamento   volontario,   non   configurato   -   diversamente
dall'allontanamento coattivo - come causa di non luogo a procedere; 
    che il principio di eguaglianza sarebbe violato  anche  sotto  il
profilo della ingiustificata disparita' di trattamento rispetto  alle
condotte analoghe, ma piu'  gravi,  di  inosservanza  dell'ordine  di
allontanamento impartito dal questore, previste dall'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, le quali restano punibili solo ove
poste in essere in assenza di un «giustificato  motivo»:  limite  non
contemplato dalla norma censurata; 
    che una  ulteriore  «disparita'  di  trattamento  per  situazioni
omogenee» deriverebbe dal fatto che l'art. 1-ter del decreto-legge 1°
luglio 2009, n.  78  (Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di
termini e della partecipazione italiana a  missioni  internazionali),
aggiunto dalla legge di conversione 3 agosto 2009,  n.  102,  prevede
una  procedura  di  «emersione»,  nelle  cui  more  non  si   procede
penalmente per i fatti di  soggiorno  illegale,  a  favore  dei  soli
lavoratori irregolari adibiti ad attivita' di assistenza  e  sostegno
delle   famiglie:   introducendo,   con   cio',    una    irrazionale
discriminazione tra i migranti sulla base dell'attivita' svolta; 
    che la norma censurata lederebbe anche il diritto di difesa (art.
24, secondo  comma,  Cost.),  giacche'  lo  straniero  irregolarmente
presente in Italia al momento della sua entrata in vigore  -  persona
spesso priva di documenti, di mezzi finanziari e  della  possibilita'
«di rivolgersi ad un vettore irregolare per far ritorno in patria»  -
non avrebbe altra via, per conformarsi al  precetto,  che  quella  di
fare ingresso clandestino in altri  Stati:  quando,  invece,  sarebbe
stato compito  del  legislatore  prevedere  forme  di  allontanamento
spontaneo che non implicassero un'autodenuncia, in contrasto  con  il
principio nemo tenetur se detegere; 
    che risulterebbe violata, ancora, la finalita' rieducativa  della
pena (art. 27, terzo comma, Cost.): solo «formalmente»,  infatti,  la
contravvenzione in discorso sarebbe punita con la pena  dell'ammenda,
essendo previsto che, una volta accertata la commissione  del  reato,
il giudice  debba  sostituire  -  secondo  i  rimettenti  -  «in  via
automatica» detta pena con la misura dell'espulsione; 
    che la nuova  figura  di  reato  non  sarebbe,  dunque,  volta  a
procurare,  tramite  l'applicazione  di  una   pena   criminale,   la
resipiscenza  o  la  risocializzazione  del  reo,  ma  unicamente  ad
allontanare quest'ultimo  dal  territorio  nazionale,  con  improprio
ricorso al «magistero penale» per conseguire  un  risultato  di  tipo
«eminentemente amministrativo»; 
    che i rimettenti assumono, per altro verso, che gli artt.  62-bis
del d.lgs. n. 274 del 2000 e 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del  1998
- rispettivamente aggiunto e modificato dalla legge n. 94 del 2009  -
violino il principio di buon andamento dei pubblici uffici (art.  97,
primo comma, Cost.); 
    che, in forza delle citate disposizioni, il giudice di pace  deve
infatti sostituire la pena dell'ammenda, comminata per  il  reato  in
esame,  con  la  misura  dell'espulsione  quando  non  sussistano  le
situazioni ostative  all'immediato  accompagnamento  dello  straniero
alla frontiera a mezzo della forza pubblica, indicate  dall'art.  14,
comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che il sistema risulterebbe, tuttavia, congegnato in maniera tale
da frustrare l'obiettivo perseguito dal legislatore; 
    che, di fronte ad una accertata situazione di soggiorno illegale,
si   aprono,   infatti,   contestualmente   e   automaticamente   due
procedimenti  -  uno  amministrativo  e  l'altro  penale  -  entrambi
finalizzati all'espulsione dello  straniero,  il  secondo  dei  quali
resta, peraltro, subordinato  al  primo,  essendo  stabilito  che  il
giudice penale debba dichiarare il non luogo a procedere quando abbia
notizia dell'avvenuta esecuzione dell'espulsione amministrativa; 
    che, in questo modo, l'applicazione in sede penale  della  misura
sostitutiva dell'espulsione resterebbe «inevitabilmente paralizzata»:
giacche' tutte le volte in cui ricorra la  condizione  richiesta  per
operare la sostituzione -  vale  a  dire  l'assenza  delle  ricordate
situazioni di cui all'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998  -
il questore dovrebbe avere gia' provveduto all'accompagnamento  dello
straniero alla frontiera in esecuzione del provvedimento  prefettizio
di espulsione, conformemente a quanto prescritto dagli artt. 13 e  14
del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che,   di   conseguenza,   l'instaurazione,   «in    un    numero
imprevedibile», dei processi per il reato in questione - processi che
debbono svolgersi nei tempi strettissimi previsti dagli artt.  20-bis
e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000 - si risolverebbe in una fonte di
inutili ritardi nella celebrazione degli  altri  processi  penali  di
competenza  del  giudice  di  pace,  pregiudicandone  la  ragionevole
durata,  oltre  che  di  un  «assorbimento  abnorme»  delle   risorse
assegnate agli uffici giudiziari; 
    che nei giudizi di costituzionalita' relativi alle ordinanze r.o.
n. 49 e n. 53 del 2010 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o infondate. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere  definiti
con unica decisione; 
    che i Giudici di pace  di  Bologna  e  di  Imola  dubitano  della
legittimita' costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  primo
comma, 24, secondo comma, 27, terzo comma, e 97, primo  comma,  della
Costituzione,  degli  artt.  10-bis,  limitatamente  all'ipotesi  del
soggiorno illegale, e 16, comma 1, del decreto legislativo 25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) e dell'art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
    che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto
di descrizione della fattispecie  concreta  e  di  motivazione  sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
    che i giudici a quibus si limitano, infatti, a riferire di essere
investiti di processi penali nei  confronti  di  stranieri,  imputati
della contravvenzione di cui all'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998 «perche' si tratteneva[no]  illegalmente  nel  territorio  dello
Stato»; 
    che i rimettenti motivano, altresi', la rilevanza delle questioni
con  la  generica  considerazione  che  «la  sanzione  da   comminare
all'imputato in ipotesi di riconoscimento di  penale  responsabilita'
dovrebbe essere determinata in applicazione delle disposizioni  della
cui legittimita' costituzionale si dubita»; 
    che manca, peraltro,  ogni  concreta  indicazione  sulle  vicende
oggetto dei giudizi a quibus e sulla loro effettiva  riconducibilita'
al paradigma punitivo considerato,  atta  a  permettere  la  verifica
dell'asserita rilevanza delle questioni, sia nel loro  complesso  che
in rapporto alle singole doglianze prospettate; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili, conformemente a quanto gia' deciso da questa Corte  in
situazioni analoghe (ordinanze n. 343, n. 329, n. 320 e  n.  253  del
2010). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.