Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
degli articoli 57,  comma  1,  lettera  a),  e  60  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602  (Disposizioni
sulla  riscossione  delle  imposte  sul  reddito),  come   sostituiti
dall'art.  16  del  decreto  legislativo  26  febbraio  1999,  n.  46
(Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a  norma
dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), promosso  dal
Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Venezia, sezione di  Mestre,
nel giudizio di  opposizione  all'esecuzione  presso  terzi  promosso
dall'esecutato nei confronti dell'agente della riscossione  Equitalia
Polis s.p.a., con ordinanza del 30 settembre 2009, iscritta al n. 118
del registro ordinanze 2010 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti l'atto di  costituzione  della  s.p.a.  Equitalia  Polis  e
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Franco Gallo; 
    Uditi l'avvocato Marco Galdi per  la  s.p.a.  Equitalia  Polis  e
l'avvocato dello Stato Maria Letizia  Guida  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza pronunciata nel corso di un  giudizio
di  opposizione  all'esecuzione  esattoriale  e  depositata   il   30
settembre 2009, il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di  Venezia,
sezione di  Mestre,  chiamato  a  decidere  in  via  cautelare  sulla
sospensione  dell'esecuzione,  ha  sollevato,  in  riferimento   agli
articoli 3 e  24,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' «del combinato disposto» degli  articoli  57,  comma  1,
lettera a), e 60 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
sul reddito), come sostituiti dall'art. 16 del decreto legislativo 26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo  1  della  legge  28  settembre
1998, n. 337), in vigore dal 1° luglio 1999, in forza dei  quali:  a)
«Il  giudice  dell'esecuzione  non  puo'   sospendere   il   processo
esecutivo, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo
di grave ed irreparabile danno» (art. 60); b) «Non sono ammesse [...]
le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile,
fatta eccezione per quelle concernenti la  pignorabilita'  dei  beni»
(art. 57, comma 1, lettera a); 
        che detto combinato disposto e' denunciato dal giudice a  quo
«nella parte in cui,  nel  dichiarare  inammissibili  le  opposizioni
all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., impedisce, pur in presenza  di  un
danno grave ed irreparabile e di gravi motivi, la  concessione  della
sospensione dell'esecuzione»; 
        che, secondo quanto il giudice rimettente premette  in  punto
di fatto: a) il pignoramento era stato eseguito presso terzi in forza
di somme iscritte a ruolo a titolo sia di «sanzioni stradali» sia  di
«tributi»; b) il debitore esecutato aveva dedotto,  quali  motivi  di
opposizione all'esecuzione, la mancata notificazione delle  «cartelle
sottese   al   pignoramento»,   l'indeterminatezza   delle    pretese
creditorie, l'intervenuto sgravio  delle  somme  relative  ad  alcuni
tributi, nonche',  infine,  la  sopravvenuta  prescrizione  decennale
della   pretesa   tributaria   concernente   l'IVA;   c)    l'istanza
dell'opponente di sospendere in via cautelare l'esecuzione era  stata
accolta solo in via provvisoria; d) l'agente della riscossione si era
successivamente costituito in giudizio  eccependo  l'inammissibilita'
dell'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 57 del  d.P.R.  n.
602 del 1973, la tardivita' dell'opposizione - da  qualificarsi  come
opposizione agli atti esecutivi, perche' riguardante  le  «formalita'
della notificazione degli avvisi di  mora»  -,  l'infondatezza  della
dedotta omessa notificazione delle  cartelle  di  pagamento  poste  a
fondamento del pignoramento, la tardivita' ed inammissibilita'  delle
domande dell'opponente, l'inesistenza  di  sgravi  tributari;  e)  il
medesimo agente della riscossione  non  aveva  adempiuto  l'ordine  -
successivamente emesso dal giudice  al  fine  di  acquisire  elementi
utili per provvedere in via definitiva  sull'istanza  di  sospensione
dell'esecuzione - di depositare in giudizio le suddette  cartelle  di
pagamento, adducendo a propria giustificazione di essere in  possesso
esclusivamente delle corrispondenti  relate  di  notificazione,  gia'
prodotte in giudizio, e di dover rispettare i tempi tecnici necessari
per la ristampa delle cartelle stesse; 
        che, secondo quanto il medesimo giudice  rimettente  premette
in punto di diritto: a) con riferimento alla richiesta di sospensione
dell'esecuzione, ricorrono entrambi i requisiti  richiesti  dall'art.
60 del d.P.R. n. 602 del 1973  per  la  concessione  di  tale  misura
cautelare, e cioe' sia il fumus boni  iuris  sostanziale  (in  quanto
l'agente della riscossione non  ha  fornito  la  prova  dell'avvenuta
notificazione delle «cartelle esattoriali» e,  quindi,  dell'avvenuta
interruzione del decorso della eccepita  prescrizione  decennale  del
credito IVA) sia il periculum in mora  («in  quanto  l'entita'  della
somma azionata in executivis - 75.470,10 di cui la maggior parte  per
IVA - puo' arrecare un grave ed irreparabile  danno  all'esecutato»);
b) tuttavia la sospensione  concessa  in  via  provvisoria  non  puo'
essere definitivamente confermata,  perche'  l'istanza  cautelare  si
inserisce in un procedimento di opposizione  all'esecuzione  che,  in
quanto non  concerne  la  pignorabilita'  dei  beni,  va  considerata
inammissibile in forza dell'art. 57 del d.P.R. n. 602  del  1973;  c)
detto art. 57 e' applicabile alla fattispecie di causa,  «atteso  che
la maggior parte della somma iscritta a ruolo e' riferibile ad IVA»; 
        che in base a tali premesse, ad avviso del giudice a quo,  le
denunciate disposizioni si  pongono  in  contrasto  con  gli  evocati
parametri costituzionali, perche' la previsione dell'inammissibilita'
delle opposizioni all'esecuzione esattoriale con le quali si contesti
non la pignorabilita' dei beni, ma  l'esistenza  (nella  specie,  per
intervenuta  prescrizione  del  credito  dell'IVA)  o  l'entita'  del
credito:  a)  introduce   un   «ingiustificabile   ed   irragionevole
privilegio a favore del concessionario per  le  entrate  tributarie»,
arrecando cosi' una lesione del principio di parita'  di  trattamento
(fissato dall'art. 3  Cost.),  lesione  che  non  trova  un  adeguato
correttivo ne' nell'eventuale esercizio del potere amministrativo  di
autotutela  da  parte  dell'amministrazione  finanziaria,  ai   sensi
dell'art.  39  del  suddetto  decreto,  ne'  nella  possibilita'  per
l'esecutato di proporre nei confronti dell'agente  della  riscossione
una  successiva  azione  risarcitoria,  ai  sensi  dell'art.  59  del
medesimo decreto; b) lede il principio dell'effettivita' della tutela
giurisdizionale dei diritti (fissato dal  primo  comma  dell'art.  24
Cost.) senza che tale vulnus trovi giustificazione  nell'esigenza  di
riscuotere con speditezza le imposte non pagate (tenuto  conto  anche
«delle nuove misure e mezzi che il legislatore, con il DL 203/2005 ha
attribuito ai concessionari»); 
        che, in ordine alla rilevanza, il giudice rimettente  afferma
che: a) non ha consumato il proprio potere  cautelare,  perche'  deve
ancora provvedere sulla conferma della sospensione dell'esecuzione, a
suo tempo disposta solo in via provvisoria ed inaudita altera  parte;
b) l'inammissibilita' delle opposizioni all'esecuzione esattoriale  -
stabilita dal denunciato comma 1, lettera a), dell'art. 57 del d.P.R.
n. 602 del 1973 -esclude, nella specie, la sussistenza del fumus boni
iuris processuale necessario (ai  sensi  dell'art.  60  dello  stesso
decreto) per concedere in via definitiva la suddetta sospensione;  c)
l'accoglimento   della   sollevata    questione    di    legittimita'
costituzionale comporterebbe il definitivo accoglimento della domanda
cautelare di sospensione dell'esecuzione; 
        che si e' costituito in giudizio l'agente  della  riscossione
Equitalia Polis  s.p.a.  eccependo  l'inammissibilita'  o,  comunque,
l'infondatezza della questione; 
        che l'inammissibilita' deriverebbe, ad avviso della parte, da
quattro diverse ragioni:  in  primo  luogo,  dall'omessa  descrizione
della  fattispecie  (non  essendo   stata   indicata   la   data   di
notificazione  delle  cartelle  di  pagamento);  in  secondo   luogo,
dall'inesistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento
cautelare di sospensione  dell'esecuzione,  in  considerazione  della
mancanza sia del fumus boni iuris circa la dedotta  prescrizione  dei
crediti tributari (dato l'avvenuto deposito nel giudizio a quo  della
copia delle relate di notificazione delle  cartelle  di  pagamento  e
data la non necessita', al fine  di  accertare  l'interruzione  della
suddetta prescrizione, del deposito delle cartelle  stesse)  sia  del
periculum in mora (in quanto l'esborso di una  somma  di  denaro  non
costituisce un  danno  irreparabile);  in  terzo  luogo,  dall'omesso
tentativo di del  rimettente  di  interpretare  in  modo  conforme  a
Costituzione le disposizioni denunciate;  in  quarto  luogo,  infine,
dalla carente motivazione del prospettato dubbio di legittimita'; 
        che  l'infondatezza  deriverebbe,  sempre  a   parere   della
medesima parte: a) dal fatto  che  gli  atti  antecedenti  all'avviso
della procedura di riscossione coattiva di  entrate  tributarie  sono
impugnabili davanti alle commissioni tributarie, con  la  conseguenza
che   ammettere   l'opposizione   all'esecuzione   esattoriale    con
riferimento  a  tali  atti  comporterebbe  l'elusione   dei   termini
decadenziali  previsti  per  la   loro   impugnazione   nonche'   una
irragionevole  sovrapposizione  tra  la  giurisdizione  tributaria  e
quella ordinaria ; b) dalla ragionevolezza della  previsione  per  la
quale «e' possibile impugnare un atto per i soli  vizi  suoi  propri,
non certo per motivi relativi ad un atto precedente,  che,  tuttavia,
e' rimasto inoppugnato»; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia  dichiarata  inammissibile  per
manifesta infondatezza o, comunque, non fondata; 
        che, per la difesa dello Stato (la  quale  richiama  numerose
pronunce della Corte costituzionale), il procedimento di  riscossione
coattiva  delle  imposte,  improntato  a  criteri  di  semplicita'  e
speditezza, risponde all'esigenza di pronta realizzazione del credito
fiscale a garanzia del regolare svolgimento  della  vita  finanziaria
dello Stato,  cosi'  da  giustificare  un  trattamento  differenziato
dell'esecuzione   esattoriale,   rispetto   all'ordinario    processo
esecutivo, e da escludere la violazione dei principi di uguaglianza e
di  ragionevolezza,  non  sussistendo,   oltretutto,   un   principio
costituzionalmente rilevante  di  necessaria  uniformita'  di  regole
procedurali; 
        che, in particolare, la  suddetta  Avvocatura  generale,  nel
richiamarsi alla relazione al d.lgs. n.  46  del  1999,  osserva  che
l'impugnabilita' innanzi alle Commissioni tributarie  delle  cartelle
di pagamento di tributi e dei relativi avvisi di mora «rende  inutile
la previsione di un'opposizione ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617»  e,
quindi, anche della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 60
del d.P.R. n. 602 del 1973, dati gli strumenti di difesa posti  dalla
legge a disposizione del contribuente, il quale  ha  la  possibilita'
non solo di chiedere la sospensione dell'efficacia delle  cartelle  e
degli avvisi di mora al giudice tributario (ai sensi dell'art. 47 del
d.lgs.  n.  546  del  1992)  ovvero   alla   stessa   amministrazione
finanziaria (ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. n. 602  del  1973),  ma
anche di proporre azione risarcitoria nei confronti dell'agente della
riscossione dopo il compimento dell'esecuzione (ai sensi dell'art. 59
del d.P.R. n. 602 del 1973); 
        che, per la difesa dello Stato, in conclusione,  «la  pretesa
del tribunale di estendere all'esecuzione esattoriale  la  disciplina
prevista dall'art.  615  cod.  proc.  civ.  non  solo  determina  una
superflua  duplicazione   dei   rimedi   processuali   gia'   offerti
dall'ordinamento tributario, ma comporta  altresi'  lo  sconfinamento
dei poteri cognitivi del giudice ordinario in materia riservata  alla
giurisdizione esclusiva di altro giudice»; 
        che, con memoria depositata  in  prossimita'  della  pubblica
udienza, la Equitalia Polis s.p.a., quale agente  della  riscossione,
ha ribadito quanto  dedotto  nell'atto  di  costituzione,  insistendo
nelle gia' formulate conclusioni. 
    Considerato che  il  Giudice  dell'esecuzione  del  Tribunale  di
Venezia, sezione di Mestre, dubita − in riferimento agli articoli 3 e
24,  primo  comma,  della  Costituzione  −  della  legittimita'  «del
combinato disposto» degli articoli 57, comma 1, lettera a), e 60  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  settembre  1973,  n.  602
(Disposizioni sulla riscossione  delle  imposte  sul  reddito),  come
sostituiti dall'art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999,  n.
46 (Riordino della disciplina della  riscossione  mediante  ruolo,  a
norma dell'articolo 1 della legge 28  settembre  1998,  n.  337),  in
vigore dal 1° luglio 1999, secondo i  quali:  a)  «Non  sono  ammesse
[...] le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice  di  procedura
civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilita'  dei
beni» (art. 57, comma 1, lettera a); b) «Il  giudice  dell'esecuzione
non puo' sospendere il processo esecutivo, salvo che ricorrano  gravi
motivi e vi sia fondato pericolo  di  grave  ed  irreparabile  danno»
(art. 60); 
        che, in particolare, il giudice a quo − chiamato  a  decidere
in via cautelare sulla sospensione  di  un'esecuzione  esattoriale  −
censura il suddetto combinato  disposto  «nella  parte  in  cui,  nel
dichiarare inammissibili le opposizioni all'esecuzione  ex  art.  615
c.p.c., impedisce, pur in presenza di un danno grave ed  irreparabile
e di gravi motivi, la concessione della sospensione dell'esecuzione»; 
        che, secondo il rimettente, tale norma, vietando nei suddetti
limiti la proponibilita' dell'opposizione all'esecuzione  esattoriale
e, quindi, impedendo la sospensione dell'esecuzione nel caso  in  cui
ricorra il divieto dell'opposizione, viola: a)  l'art.  3  Cost.,  in
quanto introduce un «ingiustificabile ed irragionevole  privilegio  a
favore del concessionario  per  le  entrate  tributarie»,  senza  che
costituiscano adeguato correttivo a tale privilegio  ne'  l'eventuale
esercizio  del  potere  amministrativo   di   autotutela   da   parte
dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'art. 39 del  suddetto
decreto,  ne'  la  possibilita'  per  l'esecutato  di  proporre   nei
confronti  dell'agente  della  riscossione  una   successiva   azione
risarcitoria, ai sensi dell'art. 59 del medesimo decreto; b) il primo
comma dell'art. 24 Cost., in  quanto  esclude  una  effettiva  tutela
giurisdizionale dei diritti del contribuente, senza  che  cio'  possa
trovare giustificazione nell'esigenza di riscuotere con speditezza le
imposte non pagate; 
        che la questione − dal rimettente espressamente ristretta  al
caso delle  opposizioni  alle  esecuzioni  esattoriali  promosse  per
crediti tributari − e' manifestamente inammissibile per insufficiente
motivazione sulla non manifesta infondatezza; 
        che il giudice a quo muove dai seguenti due presupposti,  tra
loro legati da un nesso di consequenzialita' logica: 1)  in  base  al
primo,   l'amministrazione   finanziaria   non   ha   notificato   al
contribuente gli atti impositivi che costituiscono i titoli  posti  a
fondamento dell'esecuzione esattoriale; 2) in base al  secondo,  tale
mancata notificazione non ha consentito al contribuente di  impugnare
i  suddetti  atti  impositivi,  cosi'  che  il  divieto  di  proporre
opposizione all'esecuzione, stabilito dalle  disposizioni  censurate,
si traduce in una irragionevole  violazione  del  diritto  di  difesa
dello stesso contribuente, quale debitore esecutato; 
        che il primo di tali presupposti sarebbe dimostrato,  per  il
rimettente,  dal  fatto  che   l'inottemperanza   dell'agente   della
riscossione all'ordine di  depositare  in  giudizio  la  copia  delle
cartelle poste  a  fondamento  dell'esecuzione  ha  impedito  sia  di
individuare il contenuto delle cartelle  stesse  sia  di  riferire  a
queste le «relate di notificazione» prodotte dall'agente  e,  quindi,
non ha consentito al giudice di valutare  se  il  contribuente  abbia
avuto l'effettiva possibilita' di impugnare davanti alle  commissioni
tributarie le cartelle per le quali si procede esecutivamente; 
        che tale assunto del  giudice  a  quo  non  e'  adeguatamente
motivato, perche':  a)  una  volta  riconosciuta  dal  rimettente  la
regolarita' del procedimento notificatorio a mezzo posta, il deposito
della  copia  della  cartelle  da  lui  ordinato   puo'   contribuire
all'individuazione della pretesa tributaria,  ma  certamente  non  e'
idoneo a dimostrare la correlazione tra dette cartelle e  le  «relate
di notificazione» prodotte in giudizio;  b)  comunque,  il  contenuto
delle cartelle e' pienamente individuabile, in base agli estratti del
ruolo (articoli 12 e 25 del d.P.R. n. 602 del 1973) gia' prodotti nel
giudizio principale, come  risulta  dagli  atti;  c)  il  rimettente,
inoltre, non ha preso in considerazione le intimazioni  di  pagamento
prodotte nel giudizio principale - denominate anche «avvisi di  mora»
nelle  difese  dell'agente  della  riscossione  prospettate  in  quel
giudizio -, le quali fanno esplicito riferimento al mancato pagamento
delle sopra menzionate cartelle, sono state  regolarmente  notificate
al contribuente a mezzo della posta e,  al  pari  delle  cartelle  di
pagamento,  erano  autonomamente  impugnabili  davanti   al   giudice
tributario; 
        che, percio', il rimettente non  indica  le  ragioni  per  le
quali ritiene che - nonostante quanto sopra evidenziato -  non  siano
state notificate al contribuente ne' le cartelle  ne'  le  successive
intimazioni di pagamento; 
        che  la  possibilita'  di  impugnare   davanti   al   giudice
tributario tali atti impositivi farebbe venir meno il presupposto  da
cui muove il rimettente nel prospettare le sue censure, e  cioe'  che
il  contribuente  non  ha  avuto  in  concreto  la  possibilita'   di
richiedere  a  detto  giudice  di  sospendere,  in   via   cautelare,
l'efficacia degli atti e che,  quindi,  l'opposizione  all'esecuzione
esattoriale e' l'unico strumento  a  disposizione  del  debitore  per
contestare il diritto dell'amministrazione  finanziaria  a  procedere
esecutivamente; 
        che, dunque,  le  sopra  indicate  carenze  argomentative  in
ordine alla mancata notificazione degli atti impositivi si  risolvono
in una evidente insufficienza  di  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza della questione. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.