Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  12,  comma  2
[recte: 6, comma 3], del decreto legislativo 19 giugno 1997,  n.  218
(Disposizioni  in  materia  di  accertamento  con   adesione   e   di
conciliazione giudiziale), promosso con ordinanza del 24 maggio  2010
dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nei cinque giudizi
riuniti vertenti tra Diana Mortara, Stefania e  Daniele  Zevi,  quali
eredi di Giorgio Zevi, e l'Agenzia delle entrate, ufficio  di  Milano
3, iscritta al n. 381 del registro ordinanze 2010 e pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  50, 1ª  serie   speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2011  il  Giudice
relatore Franco Gallo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 24 maggio  2010,  la  Commissione
tributaria provinciale di  Milano  -  nel  corso  di  cinque  giudizi
riuniti  promossi  dagli  eredi  di  un  contribuente  e  riguardanti
l'impugnazione di altrettanti avvisi di accertamento con i  quali  il
competente ufficio dell'Agenzia delle entrate aveva  rettificato,  ai
fini dell'IRPEF, le dichiarazioni dei redditi rese  dal  dante  causa
per  gli  anni  d'imposta  dal  2001  al  2005  -  ha  sollevato,  in
riferimento al principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 12, comma 2 [recte:
6,  comma  3],  del  decreto  legislativo  19  giugno  1997,  n.  218
(Disposizioni  in  materia  di  accertamento  con   adesione   e   di
conciliazione giudiziale), il quale stabilisce che  la  presentazione
dell'istanza di accertamento con adesione «anche da parte di un  solo
obbligato comporta la  sospensione,  per  tutti  i  coobbligati,  dei
termini  per  l'impugnazione»  dell'atto  innanzi  alla   commissione
tributaria provinciale «e di quelli per la riscossione delle  imposte
in  pendenza  di  giudizio,  per  un  periodo  di   novanta   giorni.
L'impugnazione dell'atto da parte del soggetto  che  abbia  richiesto
l'accertamento con adesione comporta la rinuncia all'istanza»; 
        che la suddetta disposizione e' denunciata  «nella  parte  in
cui non prevede che la  formalizzazione  del  mancato  raggiungimento
dell'accordo comporti la rinuncia  all'istanza  di  accertamento  con
adesione»; 
        che il giudice rimettente premette, in punto di  fatto,  che:
a)  i  suddetti  avvisi  di  accertamento  erano   stati   notificati
(impersonalmente e collettivamente) agli eredi del dichiarante il  1°
dicembre  2008;  b)  gli  eredi   avevano   presentato   istanza   di
accertamento per adesione in data 28 gennaio 2009, cioe'  due  giorni
prima della scadenza del termine di  impugnazione;  c)  con  processo
verbale del 7 aprile 2009 le parti avevano concordato di  «concludere
con  esito  negativo  il  [...]  procedimento  di  accertamento   con
adesione»;  d)  i  cinque  avvisi   di   accertamento   erano   stati
giudizialmente impugnati, successivamente, in data 28 aprile 2009  e,
dunque, entro sessanta giorni dalla  loro  notificazione,  una  volta
detratto il periodo di 90 giorni  di  sospensione  dei  termini  (con
scadenza,  nella  specie,  il  30  aprile   2009),   previsto   dalla
disposizione denunciata.; e) i cinque giudizi di  impugnazione  degli
avvisi erano stati riuniti; 
        che il medesimo rimettente premette, in punto di diritto, che
il denunciato comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 218  del  1997  deve
essere necessariamente interpretato, dato il  suo  tenore  letterale,
nel senso che  la  presentazione  dell'istanza  di  accertamento  con
adesione sospende i termini per l'impugnazione degli atti  impositivi
anche   quando:   1)   «non   sussiste    piu'    alcuna    razionale
giustificazione»; 2) «il contribuente, dopo aver ricevuto l'invito  a
comparire dall'Ufficio, non si  presenta  senza  peraltro  comunicare
alcun impedimento»;  3)  il  mancato  accordo  sull'accertamento  con
adesione ed il correlativo  abbandono  del  procedimento  sono  stati
formalizzati prima del decorso dei novanta giorni; 
        che in base alle indicate premesse, per il giudice a quo,  la
denunciata disposizione - interpretata nel  senso  di  consentire  la
fruizione della «sospensione dei termini pur dopo la  formalizzazione
del mancato accordo e dell'abbandono del [...] procedimento» -  viola
il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, primo comma, Cost.,
in quanto da essa  consegue  che  «le  istanze  di  accertamento  con
adesione diventeranno la regola  ed  il  termine  per  ricorrere,  di
fatto, passera' da sessanta a centocinquanta giorni»; 
        che, quanto alla  rilevanza  della  sollevata  questione,  il
rimettente osserva che, in caso di  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  denunciata,  i  cinque   ricorsi
sarebbero intempestivi, perche' proposti il 28 aprile 2009 e, quindi,
oltre 60 giorni dalla data della loro notificazione, tenuto conto che
la sospensione dei termini dovrebbe considerarsi cessata il 7  aprile
2009, al momento, cioe', della  redazione  del  processo  verbale  di
conclusione con esito negativo del procedimento di  accertamento  con
adesione; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la   sollevata   questione   sia   dichiarata
inammissibile o manifestamente infondata; 
        che l'inammissibilita' di detta questione e'  eccepita  dalla
difesa dello Stato sotto il duplice profilo del difetto di  rilevanza
e della genericita' del petitum; 
        che, sotto il primo profilo,  l'Avvocatura  generale  osserva
che, anche nel caso di accoglimento della questione,  i  ricorsi  non
potrebbero essere considerati  tardivi,  ostandovi  il  principio  di
affidamento  nella  certezza  dell'ordinamento  giuridico  (principio
sulla cui importanza anche in materia processuale si e'  espressa  la
Corte costituzionale nella sentenza n. 525 del 2000), con conseguente
impossibilita' che la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
operi retroattivamente «in peius rispetto  ai  ricorrenti  che  hanno
legittimamente usufruito di un termine previsto da una norma  vigente
alla data di presentazione del  ricorso»,  tanto  piu'  che  in  tale
evenienza sarebbe comunque applicabile  alla  fattispecie  l'istituto
della «rimessione in termini per errore scusabile» (previsto  per  il
processo civile e - in forza  del  richiamo  contenuto  nell'art.  1,
comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,  recante  «Disposizioni
sul  processo  tributario  in  attuazione  della  delega  al  Governo
contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1990,  n.  413»  -
per quello tributario); 
        che, sotto il profilo della inammissibilita' per  genericita'
del petitum, la difesa dello Stato eccepisce che il rimettente non ha
precisato quale dovrebbe essere  la  normativa  "ragionevole"  e,  in
particolare, non  ha  chiarito  se  la  formalizzazione  del  mancato
raggiungimento dell'accordo sull'accertamento con  adesione  dovrebbe
comportare il decorso di un nuovo termine  d'impugnazione  oppure  il
venir meno della sospensione del termine con effetto ex tunc -  «come
sembra emergere dall'ordinanza», - ovvero ex nunc; 
        che del resto, ad avviso  della  stessa  Avvocatura  generale
dello  Stato:  a)  il  decorso  di  un  nuovo  termine  non  potrebbe
conseguire dalla pronuncia della Corte  costituzionale,  perche'  una
siffatta  disciplina  resta  riservata  alla   discrezionalita'   del
legislatore;  b)  il  venir  meno  della  sospensione   dei   termini
altererebbe l'equilibrio tra le parti, «in quanto il contribuente  si
troverebbe nell'alternativa di accettare le  condizioni  dell'ufficio
oppure di trovarsi decaduto dal termine per impugnare»; 
        che detta Avvocatura deduce, in via subordinata, la manifesta
infondatezza della questione  sul  rilievo  che  la  sospensione  dei
termini d'impugnazione prevista dalla norma denunciata e' «del  tutto
ragionevole»,  perche'  «riesce   a   conciliare   l'esigenza   della
speditezza dei procedimenti con l'esigenza di consentire  un  accordo
che eviti una controversia»; 
        che infatti,  secondo  la  difesa  dello  Stato,  l'eventuale
dilatazione dei termini d'impugnazione da 60 a 150 giorni non si pone
in  contrasto  con  la  Costituzione,  ma  costituisce   un   effetto
necessario  per  la  corretta  operativita'   del   procedimento   di
accertamento con adesione. 
    Considerato che la Commissione tributaria provinciale  di  Milano
dubita -  in  riferimento  al  principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione  -  della  legittimita'  dell'art.  12,
comma 2, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni
in  materia  di  accertamento  con  adesione   e   di   conciliazione
giudiziale), il quale stabilisce che la presentazione dell'istanza di
accertamento con adesione  «anche  da  parte  di  un  solo  obbligato
comporta la sospensione, per tutti i  coobbligati,  dei  termini  per
l'impugnazione»  dell'atto  innanzi   alla   commissione   tributaria
provinciale «e di quelli per la riscossione delle imposte in pendenza
di  giudizio,  per  un  periodo  di  novanta  giorni.  L'impugnazione
dell'atto da parte del soggetto che  abbia  richiesto  l'accertamento
con adesione comporta la rinuncia all'istanza»; 
        che, per il rimettente, la  disposizione  denunciata,  «nella
parte  in  cui  non  prevede  che  la  formalizzazione  del   mancato
raggiungimento  dell'accordo  comporti  la  rinuncia  all'istanza  di
accertamento con adesione», viola l'evocato  parametro  perche',  per
effetto di tale mancata previsione, «le istanze di  accertamento  con
adesione diventeranno la regola  ed  il  termine  per  ricorrere,  di
fatto, passera' da sessanta a centocinquanta giorni»; 
        che non osta all'ammissibilita' della sollevata questione  il
fatto che il rimettente, nel  denunciare  l'art.  12,  comma  2,  del
d.lgs. n. 218 del  1997,  applicabile  solo  alle  imposte  indirette
diverse dall'IVA,  sia  incorso  in  un  evidente  errore  materiale,
intendendo denunciare, in realta', l'art. 6, comma  3,  del  medesimo
decreto legislativo, il quale e'  applicabile  (oltre  all'IVA)  alle
imposte  sui  redditi  richieste  con  gli  avvisi  di   accertamento
impugnati nei giudizi principali riuniti (IRPEF) ed ha  un  contenuto
normativo  identico  a  quello  della  disposizione  denunciata  («Il
termine  per  l'impugnazione  [...]  e  quello   per   il   pagamento
dell'imposta sul valore aggiunto accertata [...] sono sospesi per  un
periodo di novanta giorni dalla data  di  presentazione  dell'istanza
del contribuente [...]. L'impugnazione  dell'atto  comporta  rinuncia
all'istanza»); 
        che, infatti, tale errore del  rimettente  non  impedisce  di
individuare nell'art. 6, comma 3, del  d.lgs.  n.  218  del  1997  la
disposizione effettivamente oggetto della questione, tenuto conto del
tenore complessivo dell'ordinanza; 
    che l'eccezione  di  inammissibilita'  sollevata  dall'Avvocatura
generale dello Stato, sul rilievo che  nell'ordinanza  di  rimessione
non sarebbe indicata la disciplina  ritenuta  "ragionevole",  non  e'
fondata, perche' il rimettente ha chiaramente dedotto  che  la  norma
denunciata e' irragionevole nella parte in  cui  non  fa  cessare  la
sospensione dei termini di impugnazione («rinuncia all'istanza»)  con
decorrenza dal momento della redazione del verbale di mancato accordo
tra il contribuente e l'ente impositore, allorche' tale  verbale  sia
redatto  prima  del  decorso  di  novanta  giorni   dalla   data   di
presentazione dell'istanza di accertamento con adesione; 
        che, in particolare, il giudice a  quo,  nel  motivare  sulla
rilevanza, ha precisato che, nel caso di accoglimento della sollevata
questione, i ricorsi  dei  contribuenti  sarebbero  tardivi,  perche'
presentati oltre sessanta giorni dalla notificazione degli  impugnati
avvisi di accertamento, computando  in  tale  periodo  sia  il  tempo
trascorso  da  tale  notificazione  al  momento  della  presentazione
dell'istanza di accertamento con adesione sia il tempo  compreso  tra
la data di redazione del verbale di mancato accordo e la proposizione
dei ricorsi; 
        che  non  e'  fondata  neppure   l'ulteriore   eccezione   di
inammissibilita' prospettata dalla difesa dello Stato, secondo cui la
sollevata  questione  non  sarebbe   rilevante   perche'   l'invocata
pronuncia   di   illegittimita'   costituzionale    non    renderebbe
inammissibili i ricorsi dei giudizi principali,  a  cio'  ostando  il
legittimo affidamento dei ricorrenti in un termine  previsto  da  una
norma vigente alla data di presentazione dei ricorsi; 
        che   infatti   -   contrariamente   a    quanto    sostenuto
dall'Avvocatura generale - il principio di affidamento nella certezza
dell'ordinamento giuridico non costituisce  di  per  se'  ostacolo  a
dichiarazioni  di  illegittimita'  costituzionale  riguardanti  norme
processuali o  sostanziali,  essendo  sufficiente  ai  fini  di  tali
dichiarazioni  (come  e',  del  resto,  nella  logica  stessa   dello
scrutinio di costituzionalita'  in  via  successiva)  la  valutazione
della sussistenza del denunciato vulnus alla Costituzione; 
        che, ovviamente, la Corte deve  rispettare  i  limiti  propri
dell'efficacia temporale retrospettiva delle suddette  dichiarazioni,
alle quali e' fatto divieto di incidere  su  rapporti  esauriti  (ivi
compreso il giudicato) o di introdurre un trattamento in malam partem
in materia penale; 
        che, invece, il principio  dell'affidamento  puo'  venire  in
considerazione nella valutazione della  Corte  solo  sotto  l'aspetto
della ragionevolezza ed entrare cosi' nel  complessivo  bilanciamento
di valori ed interessi costituzionali che spetta  alla  stessa  Corte
effettuare; 
        che, infine, la rilevanza della questione non sarebbe esclusa
neppure dalla possibilita' per il giudice a quo -  prospettata  dalla
difesa dello Stato - di rimettere in termini le parti ricorrenti  nei
giudizi principali riuniti, ove esse dimostrino di essere incorse  in
decadenza per causa a loro non imputabile e riferibile alla pronuncia
di illegittimita' costituzionale; 
        che detta rilevanza  sussisterebbe,  perche':  a)  l'istituto
della rimessione in termini e' previsto da norme  diverse  da  quella
denunciata, e cioe' dal combinato disposto degli artt.  153,  secondo
comma (per i giudizi instaurati  a  decorrere  dal  4  luglio  2009),
oppure 184-bis (per i giudizi instaurati anteriormente a detta  data)
del codice di procedura civile e 1, comma 2, del d.lgs.  31  dicembre
1992, n. 546 (Disposizioni  sul  processo  tributario  in  attuazione
della delega al Governo contenuta nell'articolo  30  della  legge  30
dicembre 1990, n. 413); b) il giudice a quo - rimettendo  in  termini
le parti che lo richiedano  -  non  farebbe  applicazione,  pertanto,
della  disposizione  dichiarata  incostituzionale,  ma  del  suddetto
istituto, accertando se nella specie ricorrano i presupposti previsti
dalla legge vigente ratione temporis per la rimessione in termini; c)
in ogni  caso,  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
influenzerebbe la motivazione  del  giudice  dei  giudizi  principali
riuniti, il quale non potrebbe piu' fondare la  sua  decisione  sulla
norma dichiarata illegittima; 
        che,  nel  merito,  va  rilevato  che  il  procedimento   per
l'accertamento con adesione di cui al comma 2 dell'art. 6 della legge
n. 218 del 1997 ha la finalita' di prevenire l'impugnazione dell'atto
di accertamento tributario notificato, favorendo  l'instaurazione  di
un  contraddittorio  con  il  contribuente  per   giungere   ad   una
definizione concordata e preventiva della controversia; 
        che non appare irragionevole la previsione, a tal fine, di un
periodo fisso di sospensione dei termini di  impugnazione,  idoneo  a
consentire «un proficuo esercizio  del  contraddittorio  in  sede  di
adesione» (come si esprime la risoluzione  ministeriale  11  novembre
1999, n. 159/E), durante il cui decorso il contribuente  e  l'ufficio
hanno agio  di  valutare  liberamente  la  situazione,  eventualmente
allacciando, sciogliendo e riannodando trattative; 
        che non sembra  irragionevole  neppure  che  la  disposizione
denunciata preveda che solo il  contribuente  possa  far  cessare  la
sospensione del termine di impugnazione  proponendo  ricorso  avverso
l'atto di accertamento - ipotesi questa equiparata dalla  legge  alla
rinuncia all'istanza di accertamento con adesione (ultimo periodo del
comma 3 dell'art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997) - oppure mediante una
formale ed irrevocabile rinuncia a detta istanza; 
        che, in particolare, la redazione del menzionato "verbale"  -
dal quale risulta che «le parti concordano nel concludere  con  esito
negativo il presente procedimento» - si risolve  in  una  mera  presa
d'atto del mancato raggiungimento dell'accordo tra il contribuente  e
l'ufficio  tributario  e,  pertanto,   non   puo'   ne'   equipararsi
all'impugnativa dell'atto di accertamento ne' assumere il significato
di  una  definitiva  rinuncia   del   contribuente   all'istanza   di
accertamento con adesione; 
        che, di  conseguenza,  la  mera  constatazione,  in  un  atto
atipico, che in  una  certa  data  non  sia  stato  ancora  raggiunto
l'accordo,  da  un  lato,  non  impedisce  che  esso   possa   essere
successivamente raggiunto prima dell'instaurazione del contenzioso e,
dall'altro,  non  esprime  l'univoca  volonta'  del  contribuente  di
escludere, anche per il futuro, la composizione amministrativa  della
controversia; 
        che la suddetta constatazione  del  mancato  accordo  tra  le
parti non integra, pertanto, una  situazione  omogenea  a  quella  di
definitiva rinuncia all'istanza di  accertamento  con  adesione,  sia
essa manifestata con dichiarazione espressa o  mediante  proposizione
del ricorso; 
        che,  in  conclusione,  l'evidenziata   eterogeneita'   delle
situazioni  poste  a  raffronto  e   la   rilevata   ratio,   propria
dell'istituto  dell'accertamento  con  adesione,  di   prevenire   il
contenzioso rendono non irragionevole una disciplina che  attribuisce
alla sola impugnazione e  all'anzidetta  rinuncia  l'effetto  di  far
cessare la sospensione dei termini per ricorrere previsto dalla legge
in caso di presentazione dell'istanza di cui all'art. 6, comma 2, del
d.lgs. n. 218 del 1997. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.