Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 53, comma 2,
secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546,
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre  1991,  n.
413),  periodo  introdotto  dal   comma   7   dell'art.   3-bis   del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di   contrasto
all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia  tributaria  e
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 2 dicembre  2005,  n.  248,  promossi  dalla  Commissione
tributaria regionale dell'Umbria con ordinanze del 2 aprile e del  13
luglio 2009 e dalla Commissione tributaria regionale della Toscana  -
Sezione distaccata di Livorno - con ordinanza  del  6  ottobre  2009,
rispettivamente iscritte ai nn. 311, 312 e 350 del registro ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42  e
46, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2011  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 2 aprile 2009 (r.o.  n.
311 del 2010), la Commissione  tributaria  regionale  dell'Umbria  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3 e  24  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma  2,  del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'articolo  30  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  413),  come
modificato  dall'articolo  3-bis,  comma  7,  del  decreto-legge   30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della  legge
2  dicembre  2005,  n.  248,   limitatamente   all'inciso   «a   pena
d'inammissibilita'»; 
        che, come la rimettente riferisce, una societa' cooperativa a
responsabilita' limitata, con ricorso depositato il 5 marzo 2008,  ha
adito la Commissione tributaria provinciale  di  Terni,  al  fine  di
vedersi riconosciuto un  credito  d'imposta  dichiarato  nel  modello
unico 2005 per l'anno 2004, portato in compensazione; 
        che  l'Agenzia  delle  entrate,  ufficio  di  Terni,  si   e'
costituita per resistere al ricorso, respinto dalla Commissione adita
con sentenza del 19 giugno 2008; 
        che  la  societa'  ha  proposto  appello  avverso  la   detta
sentenza, provvedendo direttamente  alla  notificazione  del  ricorso
alla Agenzia delle entrate, la quale si e'  costituita  chiedendo  la
conferma della sentenza impugnata; 
        che, in udienza, la  Commissione  ha  invitato  il  difensore
della ricorrente a produrre la prova dell'avvenuto deposito di  copia
dell'appello presso la segreteria della  Commissione  provinciale  di
Terni, ma il detto difensore non e' stato in grado di ottemperare; 
        che, ai sensi della norma censurata, «Ove il ricorso non  sia
notificato a mezzo di ufficiale  giudiziario,  l'appellante  deve,  a
pena  d'inammissibilita',  depositare   copia   dell'appello   presso
l'ufficio  di  segreteria  della  commissione   tributaria   che   ha
pronunciato la sentenza impugnata»; 
        che il dettato  della  norma  («a  pena  d'inammissibilita'»)
impone di dichiarare l'appello inammissibile, anche d'ufficio, se  al
momento della decisione non risulta  provato  il  deposito  di  copia
dell'atto  di  gravame  presso  la   segreteria   della   Commissione
tributaria   provinciale,   qualora   la   parte   abbia   provveduto
direttamente alla notificazione del  ricorso,  non  anche  quando  vi
abbia provveduto a mezzo di ufficiale giudiziario; 
        che la tesi secondo cui, ad onta del tenore  letterale  della
norma, si tratterebbe  di  mera  improcedibilita',  non  puo'  essere
condivisa, sia per il chiaro dato  letterale,  sia  in  quanto  nella
grande maggioranza dei casi non varrebbe  a  risolvere  il  problema,
perche' in genere l'omissione dell'adempimento e'  rilevata  soltanto
al momento della decisione, quando ormai sono scaduti i  termini  per
produrre documenti; 
        che, pertanto, nel caso  in  esame,  mancando  la  prova  del
deposito  dell'atto  di  appello  presso  la  Commissione  tributaria
provinciale  ed  avendo  la  contribuente  provveduto  alla  notifica
diretta del gravame, questo andrebbe dichiarato inammissibile; 
        che, tuttavia, ad  avviso  della  Commissione  regionale,  la
norma  censurata,  nella  parte  in  cui  prevede  l'inammissibilita'
dell'appello, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; 
        che,  infatti,  quanto  all'art.  3   Cost.,   la   censurata
disposizione sarebbe irragionevole,  perche'  una  sanzione  grave  e
definitiva come l'inammissibilita' dell'impugnazione potrebbe trovare
ragione nella tutela d'interessi pubblici di particolare rilevanza, e
soprattutto nell'esigenza di certezza  delle  situazioni  giuridiche,
non anche nello  scopo  di  mera  agevolazione  dell'attivita'  degli
uffici giudiziari; 
        che, nel processo civile, spetta all'ufficiale giudiziario  e
non alla parte dare avviso del gravame alla cancelleria  del  giudice
che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 123  disposizioni  per
l'attuazione del  codice  di  procedura  civile),  ma  dall'eventuale
omissione  di  tale   adempimento   non   deriva   l'inammissibilita'
dell'impugnazione; 
        che, anche nell'ambito del processo tributario,  il  deposito
di copia dell'atto di appello presso la segreteria della  Commissione
tributaria provinciale e'  diretto  esclusivamente  ad  agevolare  la
conoscenza, da parte di detta segreteria, della pendenza del gravame,
al solo fine di non  rilasciare  copie  esecutive  del  provvedimento
impugnato; 
    che si tratta, per l'appunto, di mera  agevolazione,  perche'  la
pendenza del giudizio puo' essere conosciuta anche in altro modo, per
esempio tramite informazione diretta o comunque nel momento in cui la
segreteria della  Commissione  tributaria  regionale,  essendo  stato
depositato  l'atto  di  appello,  richiede  alla   segreteria   della
Commissione tributaria provinciale la trasmissione del fascicolo  del
processo (art. 53, ultimo comma, d.lgs. n. 546 del 1992); 
    che sembra, dunque, irragionevole, per agevolare  una  conoscenza
acquisibile anche in  modo  diverso,  imporre  alla  parte  un  onere
ulteriore   e,   soprattutto,    sanzionarne    l'inosservanza    con
l'inammissibilita' dell'impugnazione; 
    che il carattere irragionevole sarebbe ancor piu'  manifesto  ove
si consideri che, nell'ambito del medesimo processo  tributario,  non
e' comminata l'inammissibilita' qualora, essendo stata  richiesta  la
notificazione per mezzo dell'ufficiale giudiziario, quest'ultimo  non
abbia dato avviso  della  presentazione  dell'atto  di  appello  alla
segreteria della Commissione tributaria provinciale, benche' anche in
tal  caso  sia  leso  in  egual  misura   l'interesse   all'immediata
conoscenza della presentazione dell'atto di appello  da  parte  della
segreteria della Commissione tributaria provinciale; 
    che  non  varrebbe  richiamare  la  responsabilita'  disciplinare
dell'ufficiale giudiziario in caso di omissione dell'adempimento  che
gli  compete,  e  neppure  l'eventuale   obbligazione   risarcitoria,
trattandosi di sanzioni operanti su piani diversi  e,  comunque,  non
rilevanti per la parte interessata; 
    che anche tale  disparita'  di  conseguenze  sarebbe  sintomatica
dell'irragionevolezza della disposizione; 
    che la norma censurata si porrebbe anche in contrasto con  l'art.
24 Cost., perche' in un processo nel  quale,  al  fine  di  agevolare
l'accesso alla giustizia tributaria, specialmente nelle  controversie
di valore inferiore  a  cinque  milioni,  e'  prevista  una  notevole
agilita' di forme, mal si inserirebbe l'onere ulteriore di depositare
una copia dell'atto di appello presso la segreteria della Commissione
tributaria    provinciale    e     soprattutto     l'inammissibilita'
dell'impugnazione per l'inosservanza di tale onere,  con  conseguente
maggiore onerosita' del ricorso alla giustizia tributaria; 
    che  la  Commissione  tributaria   regionale   dell'Umbria,   con
ordinanza depositata il 13 luglio 2009 (r.o. n. 312 del 2010), emessa
in  controversia  relativa  a  fattispecie  analoga  a  quella  sopra
esposta, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  del
medesimo art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546 del  1992,  come  modificato
dall'art. 3-bis, comma 7, d.l.  n.  203  del  2005,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  n.  248  del  2005,
limitatamente all'inciso «a pena d'inammissibilita'», in  riferimento
agli artt. 3 e 24 Cost., adducendo argomentazioni identiche a  quelle
esposte nella prima ordinanza; 
    che la Commissione tributaria regionale della Toscana  -  Sezione
staccata di Livorno - con ordinanza  depositata  il  6  ottobre  2009
(r.o. n. 350 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e
24 Cost., questione di legittimita' costituzionale della  norma  gia'
censurata dalle ordinanze precedenti; 
    che, come la rimettente riferisce, una societa' ha  impugnato  un
avviso  di  accertamento  della  dogana  di  Livorno,   relativo   ad
un'importazione dalla Tunisia  di  capi  di  abbigliamento,  ad  essa
notificato in quanto il certificato EUR 1, che accompagnava la merce,
era privo della sottoscrizione dell'esportatore, attestante l'origine
dei prodotti; 
    che la Commissione provinciale di Livorno ha respinto il ricorso; 
    che la societa' ha proposto appello,  ma  l'ufficio  ha  eccepito
l'inammissibilita' del gravame per il mancato  deposito  della  copia
dell'atto  di  appello  presso  la   segreteria   della   Commissione
tributaria provinciale, ai sensi dell'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546
del 1992, in  quanto  la  notifica  dell'impugnazione  non  e'  stata
effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario; 
    che, ad avviso della Commissione tributaria regionale,  la  norma
da   ultimo   citata   farebbe   sorgere   dubbi   di    legittimita'
costituzionale, meritevoli di essere sottoposti all'esame  di  questa
Corte; 
    che la rilevanza della questione sarebbe evidente, perche', se la
norma censurata  fosse  legittima,  il  gravame  andrebbe  dichiarato
inammissibile; 
    che il contrasto di detta norma con il diritto di difesa, di  cui
all'art. 24 Cost., sussisterebbe, in quanto l'esigenza d'informare il
giudice di primo grado dell'appello proposto, al fine di evitare  che
possa essere dichiarato erroneamente il passaggio in giudicato  della
sentenza impugnata, sarebbe soddisfatta dall'obbligo della segreteria
del giudice del gravame di richiedere la trasmissione  del  fascicolo
processuale con la copia autentica della sentenza di primo grado; 
    che, inoltre, l'effetto preclusivo dell'impugnazione, fissato con
l'inammissibilita', sarebbe irragionevole per  un'attivita'  estranea
al giudizio di appello; 
    che, ancora, qualora la notifica avvenga a mezzo posta,  verrebbe
ad essere sanzionato con l'inammissibilita' un adempimento  che  deve
essere posto in essere dall'agente postale, onde sarebbe  punita  una
inadempienza da parte di un soggetto diverso dall'appellante; 
    che,  infine,  sussisterebbe  disparita'   di   trattamento,   in
riferimento all'art. 3 Cost.,  perche'  l'analogo  obbligo,  posto  a
carico dell'ufficiale giudiziario dall'art. 123 disp. att. cod. proc.
civ., non sarebbe sanzionato in alcun modo; 
    che del pari irragionevole, e quindi in contrasto con gli artt. 3
e 24 Cost., sarebbe la mancanza di un termine  perentorio  entro  cui
effettuare un'attivita' dalla  cui  mancanza  scaturisce  un  effetto
paralizzante come l'inammissibilita'; 
    che la tesi,  sostenuta  in  altra  controversia  dall'Avvocatura
dello Stato, secondo cui  una  lettura  costituzionalmente  orientata
condurrebbe a leggere la sanzione come improcedibilita',  consentendo
quindi il deposito dell'atto di appello fino all'esito del  giudizio,
non potrebbe essere condivisa; 
    che, infatti, la tesi suddetta verrebbe a porsi in contrasto  con
il dettato letterale della norma e, peraltro, resterebbe inspiegabile
la necessita' d'introdurre un motivo d'improcedibilita' sanabile fino
al termine  del  giudizio,  mentre  lo  scopo  di  simile  previsione
(rendere edotto il giudice di primo grado del  mancato  passaggio  in
giudicato della  sua  sentenza)  sarebbe  gia'  stato  raggiunto  con
l'acquisizione degli atti del giudizio di primo grado; 
    che, alla stregua delle considerazioni esposte, non  si  potrebbe
prescindere da una valutazione di non  manifesta  infondatezza  della
questione; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  spiegato  intervento
nel  giudizio   di   legittimita'   costituzionale   promosso   dalla
Commissione tributaria regionale della Toscana (Sezione  staccata  di
Livorno), chiedendo che la questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata; 
    che, al riguardo, la difesa dello Stato richiama una pronuncia di
questa Corte (ordinanza n.  43  del  2010),  relativa  a  fattispecie
analoga e recante  declaratoria  di  manifesta  infondatezza,  i  cui
argomenti richiama e trascrive. 
    Considerato che  le  tre  ordinanze  di  rimessione  indicate  in
epigrafe sollevano questioni identiche o analoghe,  onde  i  relativi
giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione; 
        che i giudici a quibus dubitano, in riferimento agli artt.  3
e  24   della   Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 53, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30  dicembre
1991, n. 413), come modificato  dall'articolo  3-bis,  comma  7,  del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di   contrasto
all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia  tributaria  e
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 2 dicembre 2005, n. 248, limitatamente all'inciso «a pena
d'inammissibilita'»; 
    che,   ad   avviso   della   Commissione   tributaria   regionale
dell'Umbria, la disposizione censurata: a) sarebbe in  contrasto  con
l'art. 3 Cost., essendo irragionevole applicare una  sanzione  grave,
come l'inammissibilita' dell'impugnazione (la quale potrebbe  trovare
ragione nella tutela d'interessi pubblici di particolare rilevanza  e
nell'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche), per uno scopo
di  mera  agevolazione   dell'attivita'   degli   uffici   giudiziari
(peraltro, l'adempimento previsto  per  il  processo  tributario  non
sarebbe contemplato nel processo civile, nel cui  ambito  spetterebbe
all'ufficiale giudiziario, e non alla parte,  dare  alla  cancelleria
l'avviso di cui all'art. 123 disposizioni per l'attuazione del codice
di procedura civile dalla cui omissione non deriva l'inammissibilita'
dell'impugnazione);  b)  la  conoscenza  dell'avvenuta   proposizione
dell'appello  potrebbe  essere  acquisita  nel  momento  in  cui   la
Commissione tributaria  regionale,  dopo  il  deposito  dell'atto  di
impugnazione, richiede alla segreteria della  Commissione  tributaria
provinciale  la  trasmissione  del  fascicolo  del  processo;  c)  il
carattere irragionevole della previsione  d'inammissibilita'  sarebbe
ancora piu' manifesto ove si consideri che, qualora la  notificazione
dell'atto di appello  sia  stata  effettuata  a  mezzo  di  ufficiale
giudiziario,  e  quest'ultimo  abbia  omesso  di  dare  avviso   alla
segreteria della Commissione tributaria provinciale, non sia prevista
l'inammissibilita' del gravame, ancorche' anche in tal caso sia stato
leso  l'interesse   all'immediata   conoscenza   della   proposizione
dell'appello da parte della segreteria della  Commissione  tributaria
provinciale; 
    che le sollevate questioni sono manifestamente infondate; 
    che questa Corte ha gia' trattato questioni analoghe (sentenze n.
17 del 2011 e n. 321 del 2009; ordinanza n. 43 del 2010) pervenendo a
dichiararne la non fondatezza; 
    che, come questa Corte  ha  piu'  volte  affermato,  in  tema  di
disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali
il legislatore dispone di  un'ampia  discrezionalita',  con  il  solo
limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' delle  scelte
compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e  n.  50  del
2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009,  n.
67 del 2007); 
    che, nella specie, tale limite non puo' dirsi superato, in quanto
la scelta operata dal legislatore risponde  all'esigenza,  certamente
meritevole di tutela, diretta  ad  impedire,  o  almeno  ridurre,  il
rischio  del  rilascio  di  erronee  attestazioni  di  passaggio   in
giudicato delle sentenze  delle  Commissioni  tributarie  provinciali
(ordinanza n. 43 del 2010; sentenza n. 321 del 2009); 
    che una diversa disciplina legislativa  sul  punto,  pur  essendo
astrattamente possibile, non sarebbe necessariamente  piu'  razionale
di  quella  censurata  ne',  comunque,   sarebbe   costituzionalmente
obbligata (ordinanza n. 43 del 2010); 
    che  il  fine  della  norma,  ora  indicato,  non  e'  realizzato
dall'obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di  appello
dall'art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, di richiedere alla
segreteria presso il giudice  di  primo  grado  la  trasmissione  del
fascicolo  processuale  con  la  copia   autentica   della   sentenza
impugnata, subito dopo il ricorso in appello; 
    che, infatti, come questa Corte ha gia' chiarito (sentenze n.  17
del 2011 e n.  321  del  2009),  la  richiesta  di  trasmissione  del
fascicolo, prevista dalla disposizione ora citata, e' avanzata  dalla
segreteria del giudice di appello soltanto dopo  la  costituzione  in
giudizio dell'appellante, sicche' non consente  alla  segreteria  del
giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione
del gravame; 
    che, come questa Corte ha pure precisato  (ordinanza  n.  43  del
2010), l'applicabilita' della disposizione censurata ai soli casi  in
cui  la  notificazione  dell'appello  non  avvenga  per  il   tramite
dell'ufficiale  giudiziario  (peraltro,  in  forza  di   una   scelta
dell'appellante, non subordinata ad alcuna condizione: sentenza n. 17
del  2011  punto  4  del  Considerato  in  diritto),  trova  adeguata
giustificazione nel fatto che, qualora la  notificazione  sia  invece
eseguita mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia  della
proposizione dell'appello e' fornita alla segreteria del  giudice  di
primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario (art. 123  disp.  att.
cod. proc. civ., applicabile al processo  tributario  in  virtu'  del
generale richiamo alle norme del detto codice,  effettuato  dall'art.
1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992); 
    che non e' ravvisabile disparita' di trattamento tra chi utilizza
lo strumento della notifica  dell'appello  per  mezzo  dell'ufficiale
giudiziario e chi, anche per ragioni di convenienza (celerita'  della
procedura), adotta la notifica diretta, di cui all'art. 16, comma  3,
d.lgs. n. 546 del 1992; 
    che la facolta' di notificare l'appello "direttamente", ai  sensi
della disposizione ora citata, costituisce una caratteristica propria
del processo tributario, introdotta dal legislatore in  tale  settore
per ragioni di speditezza e di semplificazione processuale, la  quale
non ha corrispondenza nel  processo  civile  ordinario  e,  pertanto,
giustifica una  specifica  disciplina,  anche  all'indicato  fine  di
soddisfare l'esigenza di rendere la segreteria del giudice  di  primo
grado tempestivamente informata della proposizione  dell'impugnazione
notificata con tali modalita' (sentenza n. 321 del  2009,  punto  6.2
del Considerato in diritto); 
    che  l'asserita  violazione  dell'art.  24  Cost.   e'   motivata
nell'ordinanza  di  rimessione  con   l'assunto   che   l'adempimento
prescritto e la sanzione d'inammissibilita' per l'ipotesi  della  sua
inosservanza renderebbero «piu' oneroso senza ragione il ricorso alla
giustizia tributaria»; 
    che   tale   assunto   e'   manifestamente   infondato,   perche'
l'adempimento  richiesto  dalla  norma  censurata  ben  puo'   essere
eseguito dalla parte senza andare incontro a particolari  difficolta'
(sentenza n. 17 del 2011; ordinanza n. 43 del 2010); 
    che, ad  avviso  della  Commissione  tributaria  regionale  della
Toscana (Sezione staccata di Livorno), «Il contrasto con  il  diritto
di difesa in giudizio di cui  all'art.  24  Cost.  si  configura  dal
momento che  l'esigenza  di  informare  il  giudice  di  primo  grado
dell'intervenuto  appello  (al  fine  di  evitare  che  possa  essere
dichiarato erroneamente il passaggio in giudicato della sentenza)  e'
soddisfatto dall'esistenza dell'obbligo a carico della segreteria del
giudice di  appello  di  richiedere  la  trasmissione  del  fascicolo
processuale con la copia autentica della sentenza di primo grado»; 
    che sul punto e'  sufficiente  rinviare  a  quanto  osservato  in
precedenza in ordine all'analogo rilievo della Commissione tributaria
regionale dell'Umbria; 
    che, secondo la rimettente, sarebbe  eccessivo  ed  irragionevole
«l'effetto     preclusivo     dell'impugnazione      fissato      con
l'inammissibilita' per un'attivita' che appare estranea  al  giudizio
di appello»; 
    che, anche a tal proposito, si deve rinviare a quanto esposto  in
precedenza, aggiungendo che: «Nell'ipotesi, invece, in cui  la  parte
abbia scelto  di  proporre  appello  senza  avvalersi  dell'ufficiale
giudiziario, l'unico deterrente per indurre  l'appellante  a  fornire
tempestivamente  alla  segreteria  del  giudice  di  primo  grado  la
documentata  notizia  della  proposizione  dell'appello   stesso   e'
rappresentato dalla sanzione d'inammissibilita' prevista dalla  norma
denunciata. Al fine di ottenere un ordinato e spedito svolgimento del
processo, appare, percio', non irragionevole che il legislatore - con
la norma censurata - abbia posto a carico dell'appellante l'onere  di
depositare copia dell'atto d'impugnazione a pena  d'inammissibilita'»
(sentenza n. 321 del 2009, punto 6.2 del Considerato in diritto); 
    che, sempre secondo la rimettente, quando la notifica  avvenga  a
mezzo posta, «si sanziona  con  l'inammissibilita'  un'attivita'  che
deve essere posta in essere dall'agente postale  e,  pertanto,  viene
punita   un'inadempienza   da   parte   di   un   soggetto    diverso
dall'appellante»; 
    che anche al  riguardo  questa  Corte  si  e'  gia'  pronunciata,
osservando  che  «il  presupposto  interpretativo  da  cui  muove  il
rimettente  e'  errato.  Infatti,   nell'ipotesi   di   notificazione
dell'appello a  mezzo  posta,  nessuna  disposizione  pone  a  carico
dell'agente postale ne' l'obbligo di depositare presso la  segreteria
del giudice di primo grado  la  copia  dell'appello  notificato,  ne'
l'obbligo di effettuare un  avviso  analogo  a  quello  previsto  per
l'ufficiale giudiziario dall'art. 123 disp. att. cod. proc.  civ.  Al
contrario, la norma denunciata pone  a  carico  del  solo  appellante
l'onere di depositare la copia dell'appello notificato a mezzo posta»
(sentenza n. 321 del 2009, punto 6.3 del Considerato in diritto); 
    che, ad avviso del  giudice  a  quo,  sarebbe  riscontrabile  una
disparita' di trattamento, con conseguente  contrasto  con  l'art.  3
Cost., in quanto l'analogo  obbligo  posto  a  carico  dell'ufficiale
giudiziario dall'art. 123 disp. att.  cod.  proc.  civ.  non  sarebbe
sanzionato in alcun modo; 
    che, richiamate le considerazioni in precedenza svolte,  si  deve
ribadire che nessuna  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  e'
ravvisabile,  trattandosi  di  modalita'  diverse  di  notificazione,
conformate in modo diverso dal legislatore nel ragionevole  esercizio
della discrezionalita' che gli appartiene (sentenza n. 17  del  2011,
punto 4 del Considerato in diritto); 
    che, infine, «irragionevole, e quindi contrario ai  canoni  degli
artt. 3 e 24 Cost. e' la mancanza di un termine perentorio entro  cui
effettuare un'attivita' dalla  cui  mancanza  scaturisce  un  effetto
paralizzante come l'inammissibilita'»; 
    che, in realta', come questa Corte ha gia' chiarito (sentenza  n.
321 del 2009, punto 6.4 del  Considerato  in  diritto),  «un  termine
perentorio per il deposito della copia dell'appello nella  segreteria
della Commissione tributaria provinciale e'  sicuramente  ricavabile,
in via interpretativa,  dal  complesso  delle  norme  in  materia  di
impugnazione davanti alle commissioni tributarie. Tale termine  (come
si e' visto ai punti 6.1 e 6.2) non puo' che identificarsi con quello
stabilito  per   la   costituzione   in   giudizio   dell'appellante;
costituzione che avviene mediante il deposito del ricorso in  appello
presso la segreteria della  Commissione  tributaria  regionale  entro
trenta giorni dalla proposizione dell'appello (artt. 53, comma  2,  e
22, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992); 
    che,  conclusivamente,  sulla  base  delle   considerazioni   che
precedono, le questioni di legittimita' costituzionale sollevate  con
le  ordinanze  indicate  in   epigrafe   devono   essere   dichiarate
manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale.