Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto  a  seguito  dell'approvazione,  da  parte  del  Senato   della
Repubblica, in data 20 aprile 2011  (in  sede  di  discussione  sulla
conversione in  legge  del  decreto-legge  31  marzo  2011,  n.  34),
dell'emendamento  governativo  n.  5800  (testo  corretto)  e   della
delibera della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 4 maggio 2011, promosso  da
Antonio Di Pietro ed altri nella qualita' di promotori e presentatori
della richiesta di referendum abrogativo di alcune norme  in  materia
di nuove centrali per la produzione di energia nucleare, con  ricorso
depositato in cancelleria l'11 maggio 2011 ed iscritto al  n.  6  del
registro  conflitti  tra   poteri   dello   Stato   2011,   fase   di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del  7  giugno  2011  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Ritenuto che, con ricorso depositato l'11 maggio 2011, Antonio Di
Pietro, Vincenzo Maruccio, Benedetta Parenti  e  Gianluca  De  Filio,
nella  qualita'  di  promotori  e  presentatori  della  richiesta  di
referendum abrogativo delle «Norme in materia di nuove  centrali  per
la produzione di energia  nucleare»,  hanno  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti:  a)  del  Senato
della   Repubblica,   in   riferimento   alla    approvazione,    con
modificazioni, in data 20 aprile 2011, del disegno di legge  n.  2665
di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n.  34  (Disposizioni
urgenti in favore della cultura, in materia di  incroci  tra  settori
della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello  spettro
radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazione della  Cassa
depositi e prestiti, nonche' per  gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale della regione Abruzzo), limitatamente alla menomazione, che
si asserisce esser stata arrecata ai promotori e sottoscrittori della
richiesta  referendaria,  dal  voto  con  il  quale  l'assemblea   ha
approvato l'emendamento governativo n. 5800 («testo corretto») che ha
radicalmente modificato l'art. 5 del citato decreto-legge n.  34  del
2011; b), «per quanto possa occorrere», del Governo, in  persona  del
Presidente del Consiglio dei ministri  pro  tempore,  in  riferimento
alla  presentazione  del  menzionato  emendamento  n.  5800   («testo
corretto»);  c)  della  Commissione  parlamentare   per   l'indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, con  riferimento
alla delibera approvata dalla medesima Commissione nella seduta del 4
maggio 2011, contenente «Disposizioni  in  materia  di  comunicazione
politica, messaggi autogestiti e  informazione  della  concessionaria
pubblica nonche' tribune relative  alle  campagne  per  i  referendum
popolari indetti per i giorni 12 e 13 giugno 2011», pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio 2011; 
    che, data per pacifica la sussistenza dei presupposti  soggettivi
del  conflitto,  con  riguardo  alla  contestata  approvazione,   con
modificazioni, in data 20 aprile 2011, del disegno di legge  n.  2665
di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34,  i  ricorrenti
deducono che - sulla base di quanto enunciato nella  sentenza  n.  68
del 1978, in ordine al fatto che il legislatore non  puo'  «bloccare»
il procedimento referendario se i  principi  ispiratori  della  nuova
disciplina non divergono  da  quelli  della  normativa  sottoposta  a
referendum -, ove la  disciplina  modificativa  si  presenti,  ad  un
tempo, ispirata agli stessi principi della norma oggetto  di  quesito
referendario, e risulti, inoltre, manifestamente incostituzionale per
carenza dei requisiti di straordinaria necessita' ed urgenza, si deve
riconoscere in capo ai promotori il potere di sollevare conflitto  di
attribuzione, non soltanto contro le leggi, ma anche contro gli  atti
endoprocedimentali manifestamente viziati e volti a determinare, come
nella specie, la sopravvenuta inutilita' del referendum; 
    che l'emendamento contestato reca, ai commi 1 ed 8, un testo  che
ricalca nella sostanza la  richiesta  di  abrogazione  enunciata  nei
quesiti referendari, mentre la ratio  che  permea  l'intera  proposta
emendativa  e'  quella  di  configurare  solo  una  moratoria,   come
attestato dalle dichiarazioni  rese  dal  Ministro  per  lo  Sviluppo
economico nel corso del dibattito al Senato,  e  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    che, dunque, risulterebbe evidente, da un lato, che  la  proposta
abrogazione legislativa mira soltanto  ad  evitare  che  sulle  norme
vigenti  si  pronuncino  i  cittadini;  e,   dall'altro   lato,   che
l'adeguamento degli impianti ai  nuovi  parametri  di  sicurezza  non
giustifica la necessita' e l'urgenza di abrogare le  norme  contenute
nel decreto legislativo 15 febbraio 2010,  n.  31  (Disciplina  della
localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio  nel  territorio
nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di
impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei  sistemi  di
stoccaggio del combustibile irraggiato  e  dei  rifiuti  radioattivi,
nonche' benefici economici e  campagne  informative  al  pubblico,  a
norma dell'articolo 25 della  legge  23  luglio  2009,  n.  99),  con
conseguente   violazione   dell'art.   77,   secondo   comma,   della
Costituzione, nonche' dell'art. 97 del Regolamento del  Senato  della
Repubblica, in quanto l'emendamento in contestazione sarebbe estraneo
«all'oggetto della discussione» e sarebbe come tale improponibile; 
    che, d'altra parte, i promotori osservano che  la  illegittimita'
puo'  derivare  anche  dagli  emendamenti   inseriti   in   sede   di
conversione, come sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale  e
come rammentato dal Capo dello Stato  in  messaggi  motivati  tesi  a
richiamare l'osservanza da parte delle Camere  dei  principi  sanciti
dalla  Costituzione  in  tema  di  decretazione  di  urgenza  e  come
attestato dagli impegni  assunti  in  proposito  dal  Governo  e  dai
Presidenti dei gruppi parlamentari; 
    che, con riferimento alla delibera  approvata  dalla  Commissione
parlamentare per l'indirizzo generale  e  la  vigilanza  dei  servizi
radiotelevisivi, contenente «Disposizioni in materia di comunicazione
politica, messaggi autogestiti e  informazione  della  concessionaria
pubblica nonche' tribune relative  alle  campagne  per  i  referendum
popolari indetti per i giorni 12 e  13  giugno  2011»,  i  ricorrenti
osservano come la detta Commissione parlamentare, adottando  soltanto
in data 4 maggio 2011 la delibera in oggetto, pubblicata, poi,  nella
G.U. il 6 maggio, nonche' introducendo in  essa  alcune  disposizioni
(di seguito indicate) ulteriormente limitative degli spazi  temporali
a disposizione dei promotori e dei sottoscrittori,  abbia  gravemente
ristretto la facolta' di partecipazione ai dibattiti  televisivi  dei
sostenitori del referendum, con  conseguente  grave  menomazione  del
potere referendario, quale  espressione  della  sovranita'  popolare,
riducendo a  poco  piu'  di  due  settimane  il  tempo  previsto  dal
legislatore  per  le  campagne  referendarie  sul  servizio  pubblico
radiotelevisivo; 
    che,  in  tal  modo,  secondo   i   ricorrenti   la   Commissione
parlamentare avrebbe violato gli articoli 1,  3,  21,  48,  75  della
Costituzione, gli artt. 2, 3, 4, 5 e 9 della legge 22 febbraio  2000,
n.  28  (Disposizioni  per  la  parita'  di  accesso  ai   mezzi   di
informazione durante le campagne elettorali e referendarie e  per  la
comunicazione politica); l'art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352
(Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla  iniziativa
legislativa del popolo); gli articoli 1 e 4  della  legge  14  aprile
1975, n. 103 (Nuove norme in  materia  di  diffusione  radiofonica  e
televisiva); l'art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 1993, n.  515
(Disciplina della campagne elettorali per l'elezione alla Camera  dei
deputati e al  Senato  della  Repubblica)  e  l'art.  3  del  decreto
legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di  media
audiovisivi e radiofonici); 
    che, in particolare,  i  ricorrenti,  dopo  avere  richiamato  le
disposizioni a loro avviso rilevanti della legge n. 28 del 2000 e  la
delibera del 29 ottobre 2003 della stessa Commissione parlamentare di
vigilanza, in ordine alla delimitazione dei periodi interessati dalle
campagne elettorali o referendarie, osservano  che  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 23 marzo 2011 (Indizione  del  referendum
popolare per l'abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51,
in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio  dei
Ministri  e  dei  Ministri  a  comparire  in  udienza  penale,  quale
risultante a seguito della  sentenza  n.  23  del  2011  della  Corte
costituzionale), pubblicato nella G.U. n. 77 del 4  aprile  2011,  e'
stato indetto il referendum popolare per l'abrogazione  della  citata
legge n. 51 del 2010 e sono stati convocati i relativi comizi  per  i
giorni 12 e 13 giugno 2011. 
    che, sebbene l'art. 5, comma  1,  della  legge  n.  28  del  2000
preveda che la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi debba definire,  non  oltre  il
quinto giorno  successivo  all'indizione  dei  comizi  elettorali,  i
criteri specifici ai quali, fino alla chiusura  delle  operazioni  di
voto, la  concessionaria  pubblica  e  le  emittenti  radiotelevisive
private devono conformarsi nei programmi di informazione, al fine  di
garantire la parita' di trattamento, l'obiettivita', la completezza e
l'imparzialita' dell'informazione, la detta Commissione  parlamentare
solo il 4 maggio 2011 ha approvato la delibera, poi pubblicata  nella
G.U. n. 104 del 6 maggio 2011; 
    che, con riferimento alla delimitazione dei  periodi  interessati
dalle campagne elettorali o referendarie, i  ricorrenti  indicano  la
delibera del 29 ottobre 2003 con cui la Commissione  parlamentare  ha
affermato  che  «i  periodi  interessati  da  campagne  elettorali  o
referendarie sono quelli compresi tra le ore ventiquattro del  giorno
di pubblicazione del provvedimento che convoca i comizi elettorali  o
che indice la  consultazione  referendaria,  e  le  ore  ventiquattro
dell'ultimo  giorno  nel  quale  e'  previsto  che  si   tengono   le
votazioni»; 
    che, dunque, ad avviso dei ricorrenti,  la  tardiva  approvazione
della delibera e la conseguente tardiva pubblicazione nella G.U.  del
6 maggio 2011, avrebbe comportato la menomazione  delle  attribuzioni
dei promotori e dei sottoscrittori della richiesta referendaria,  sia
perche' essi non avrebbero  potuto  esporre  le  ragioni  a  sostegno
dell'abrogazione delle norme sul legittimo impedimento,  sia  perche'
l'informazione radiotelevisiva, pubblica e privata,  avrebbe  taciuto
sui temi referendari, con conseguente  pregiudizio  del  diritto  dei
cittadini di informarsi e di maturare una propria opinione; 
    che, inoltre, i ricorrenti osservano come anche  le  disposizioni
della delibera, di seguito  indicate,  sarebbero  lesive  delle  loro
attribuzioni  costituzionali,  in   quanto   «tali   da   restringere
notevolmente i tempi della campagna referendaria»,  introducendo  una
serie di intralci burocratici non conciliabili con l'esigenza di dare
una compiuta e approfondita informazione, perche' la  detta  campagna
avrebbe, nella migliore delle ipotesi, una durata effettiva  di  poco
superiore alle due settimane; 
    che, in particolare, cio' si riscontrerebbe:  a)  per  l'art.  3,
comma  2,  nella  parte  in  cui  prevede  che  le  forze   politiche
costituenti gruppo in almeno un ramo del Parlamento nazionale, ovvero
che abbiano  eletto  con  proprio  simbolo  almeno  due  deputati  al
Parlamento europeo, chiedano alla Commissione entro i  5  giorni  non
festivi successivi alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale  della
delibera, di partecipare alle trasmissioni, indicando preventivamente
per ciascun quesito in relazione al quale intendono  intervenire,  se
il loro rappresentante sosterra' la  posizione  favorevole  o  quella
contraria, ovvero se sono disponibili a farsi rappresentare di  volta
in volta da sostenitori di entrambe le opzioni di voto; b) per l'art.
3, comma 3, la' dove dispone che i comitati, le  associazioni  e  gli
altri organismi collettivi comunque  denominati,  rappresentativi  di
forze sociali e politiche di rilevanza nazionale (diverse  da  quelle
riferibili ai soggetti di cui alle  lettere  a  e  b  della  medesima
disposizione), devono essersi costituiti come  organismi  collettivi,
entro cinque giorni non festivi successivi alla data di pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale della delibera in oggetto; 
    che l'intento della Commissione parlamentare di vigilanza,  volto
a comprimere illegittimamente il tempo di svolgimento della  campagna
referendaria, emergerebbe anche: 1) dall'art. 4 della delibera, nella
parte in cui dispone che la  RAI  cura  l'illustrazione  dei  quesiti
referendari e delle modalita' di votazione a decorrere dal 16  maggio
2011; 2) dall'art. 5, la'  dove  prevede  l'obbligo  per  la  RAI  di
predisporre e trasmettere un ciclo di tribune riservate ai  temi  del
referendum, televisive e radiofoniche,  a  partire  dal  quindicesimo
giorno successivo alla pubblicazione della delibera  nella  G.U.;  3)
dall'art. 6, nella parte in  cui  differisce  la  programmazione  dei
messaggi politici  autogestiti  a  partire  dal  quindicesimo  giorno
successivo alla pubblicazione del  provvedimento  nella  G.U.;  4)  e
dall'art. 10, nella parte in cui stabilisce che  entro  dieci  giorni
dalla pubblicazione del provvedimento  sulla  G.U.  la  RAI  comunica
all'Autorita' per le garanzie nelle Comunicazioni e alla  Commissione
il calendario di massima delle trasmissioni di comunicazione politica
ed istituzionale; 
    che i ricorrenti richiamano l'ordinanza di questa  Corte  n.  171
del 1997 (relativa ad un caso per alcuni  aspetti  analogo),  con  la
quale si  e'  affermato  che  «ogni  limitazione  della  facolta'  di
partecipare ai  dibattiti  televisivi  sui  referendum  potrebbe,  in
astratto,  ledere  l'integrita'  delle  attribuzioni   dei   comitati
promotori»; 
    che,  infine,   i   ricorrenti   formulano   una   richiesta   di
provvedimento cautelare e chiedono alla Corte costituzionale,  previa
dichiarazione di ammissibilita' del conflitto, «di voler adottare  le
piu' opportune misure cautelari compensative dell'illegittimo ritardo
col quale la delibera  e'  stata  adottata»  in  quanto  l'esecuzione
dell'atto impugnato  comporterebbe  il  rischio  di  un  irreparabile
pregiudizio  all'interesse  costituzionale  dei   promotori   e   dei
sottoscrittori  del  referendum  «e   addirittura   un   irreparabile
pregiudizio  al  corretto  funzionamento  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica»; 
    che, in particolare, a sostegno di  detta  istanza,  invocano  la
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo  cui  la'  dove  e'
previsto  un  potere  di  annullamento  e',  altresi',  implicita  la
previsione di un potere cautelare (al  riguardo  sono  richiamate  le
seguenti decisioni: sentenze n. 236 del 2010; n. 318 del 1995; n. 227
del 1975; n. 8 del 1982 e n. 284  del  1974,  ordinanza  n.  217  del
2010); 
    che, con atto depositato il 6 giugno del 2011, i  promotori  e  i
presentatori della richiesta di referendum abrogativo delle «Norme in
materia di nuove centrali per  la  produzione  di  energia  nucleare»
hanno dichiarato di rinunciare al ricorso. 
    Considerato  che  la  rinuncia,  in  questa  fase,  determina  la
necessita' di dichiarare, con assoluta precedenza,  l'estinzione  del
processo.