Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.  413),  promosso  dalla
Commissione tributaria  regionale  della  Liguria,  nel  procedimento
vertente tra Trattoria Bar Nuova Centrale  s.n.c.  (recte:  Trattoria
Bar Nuovo Centrale s.n.c.) e  Agenzia  delle  entrate  -  Ufficio  di
Chiavari, con ordinanza del 4 giugno  2009,  iscritta  al  n.  3  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22  giugno  2011  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Ritenuto che - nel corso di un giudizio,  avente  ad  oggetto  la
richiesta  di  annullamento  dell'atto  di  irrogazione  di  sanzioni
amministrative  emesso  dall'Agenzia  delle   entrate,   Ufficio   di
Chiavari,  a  seguito  dell'accertamento  di  impiego  di  lavoratori
irregolari, non risultanti dalle  scritture  o  altra  documentazione
obbligatorie - la Commissione tributaria regionale della Liguria, con
ordinanza del 4 giugno 2009 (pervenuta alla Corte il 3 gennaio 2011),
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  24   e   113   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,
comma  1,  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413); 
    che la rimettente - rilevato che la Corte costituzionale, con  la
sentenza  n.   130   del   2008,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, del predetto d.lgs. n.  546  del
1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le
controversie relative  alle  sanzioni  comunque  irrogate  da  uffici
finanziari,  anche  la'  dove  esse  conseguano  alla  violazione  di
disposizioni non aventi natura  tributaria  -  deduce  che  la  norma
censurata, mentre impone al giudice  tributario  di  rilevare,  anche
d'ufficio, il proprio difetto di giurisdizione in qualunque  stato  e
grado del processo, nulla  statuisce  in  ordine  alla  conservazione
degli effetti della domanda  nel  nuovo  processo  che  la  parte  e'
onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione, con
la conseguenza che, qualora nel corso del  giudizio  si  consumino  i
termini di legge per agire davanti alla autorita' giudiziaria  avente
giurisdizione, si determina una lesione  del  diritto  costituzionale
alla tutela giurisdizionale; 
    che, pertanto, secondo la Commissione tributaria, la questione di
legittimita' costituzionale - rilevante nel giudizio  a  quo  essendo
decorsi i termini di legge affinche' la  parte  possa  rivolgersi  al
Giudice ordinario - appare non manifestamente infondata in  relazione
ai principi gia' espressi sulla medesima questione  da  questa  Corte
(con la sentenza n. 77 del 2007), seppure  rispetto  ad  una  diversa
norma di legge (e precisamente all'art. 30  della  legge  6  dicembre
1971, n. 1034,  recante  «Istituzione  dei  tribunali  amministrativi
regionali»); 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
eccependo  l'inammissibilita'  della  sollevata  questione:  a)   per
mancanza di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, in mancanza
di specificazione dell'iter  del  giudizio  principale,  nonche'  del
contenuto della sentenza di primo grado e dei motivi di  appello;  b)
per mancanza di  rilevanza,  dal  momento  che  i  paventati  effetti
negativi per la ricorrente si verificherebbero (e rileverebbero) solo
in sede di (eventuale) riassunzione del giudizio davanti  al  giudice
ordinario; c) per omessa considerazione del diritto  vivente,  che  -
indipendentemente dalla mancanza previsione espressa -  riconosce  la
possibilita' di proseguire la causa  davanti  al  giudice  dotato  di
giurisdizione con salvezza dei diritti acquisiti;  d)  per  non  aver
tentato  una  interpretazione  costituzionalmente  compatibile  della
norma censurata; 
    che, ad ogni modo - rilevato che  l'art.  59  della  sopravvenuta
legge 18 giugno 2009, n. 69, (Disposizioni per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di  processo
civile), ha dettato una espressa disciplina della translatio  iudicii
- l'Avvocatura dello Stato chiede che  gli  atti  vengano  restituiti
alla rimettente per  una  nuova  valutazione  della  rilevanza  della
questione. 
    Considerato che la Commissione tributaria regionale della Liguria
censura l'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,
n. 546 (Disposizioni sul  processo  tributario  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'art.  30  della  legge  30  dicembre
1991, n. 413), che impone al giudice tributario  di  rilevare,  anche
d'ufficio, il proprio difetto di giurisdizione in qualunque  stato  e
grado del processo, senza nulla statuire in ordine alla conservazione
degli effetti della domanda, nel  nuovo  processo  che  la  parte  e'
onerata di promuovere davanti al giudice munito di giurisdizione; 
    che la rimettente denuncia la violazione degli articoli 24 e  113
della Costituzione,  poiche',  qualora  nel  corso  del  giudizio  si
consumino i termini di legge per  agire  davanti  alla  giurisdizione
competente, si determinerebbe una lesione del diritto  costituzionale
alla tutela giurisdizionale; 
    che  la   questione   deve   essere   dichiarata   manifestamente
inammissibile; 
    che questa Corte, con la sentenza n. 77 del 2007,  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 30 della legge  6  dicembre
1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali  amministrativi  regionali),
nella parte in  cui  non  prevede  che  gli  effetti,  sostanziali  e
processuali, prodotti dalla  domanda  proposta  a  giudice  privo  di
giurisdizione,  si  conservino,  a   seguito   di   declinatoria   di
giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice  di  questa
munito; 
    che, a fondamento di tale pronuncia, questa Corte ha  posto  (tra
gli altri) i seguenti rilievi di carattere generale: a) il  principio
della incomunicabilita' dei giudici appartenenti ad  ordini  diversi,
comprensibile in altri momenti storici, «e' certamente incompatibile,
nel momento attuale, con fondamentali valori costituzionali»;  b)  la
Costituzione,  fin  dalle  origini,  ha  assegnato  con   l'art.   24
(ribadendolo con l'art. 111) all'intero  sistema  giurisdizionale  la
funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti
soggettivi  e  degli   interessi   legittimi;   c)   questa   essendo
l'essenziale ragion d'essere dei giudici,  ordinari  e  speciali,  la
loro pluralita' non puo' risolversi in  una  minore  effettivita',  o
addirittura in una vanificazione della tutela  giurisdizionale:  cio'
che avviene quando la disciplina dei loro rapporti e'  tale  per  cui
l'erronea individuazione  del  giudice  munito  di  giurisdizione  (o
l'errore del giudice in tema di giurisdizione)  puo'  risolversi  nel
pregiudizio irreparabile della possibilita' stessa di  un  esame  nel
merito della domanda di tutela  giurisdizionale;  d)  una  disciplina
siffatta, in quanto potenzialmente lesiva  del  diritto  alla  tutela
giurisdizionale e, comunque, tale da incidere sulla sua effettivita',
e' incompatibile con il principio fondamentale  dell'ordinamento,  il
quale riconosce bensi' l'esistenza di una pluralita' di  giudici,  ma
la riconosce affinche'  venga  assicurata,  sulla  base  di  distinte
competenze, una piu' adeguata risposta alla domanda di giustizia, non
gia' affinche' sia compromessa la  possibilita'  stessa  che  a  tale
domanda venga data risposta; e) al principio per cui le  disposizioni
processuali non sono fini a se stesse,  ma  funzionali  alla  miglior
qualita'  della   decisione   di   merito,   si   ispira   pressoche'
costantemente  il  vigente  codice  di  procedura   civile,   ed   in
particolare vi si ispira la  disciplina  che  all'individuazione  del
giudice competente non sacrifica il diritto delle parti  ad  ottenere
una risposta, affermativa o negativa, in ordine al "bene della  vita"
oggetto della loro contesa; f) al medesimo principio gli artt.  24  e
111 Cost. impongono che si ispiri  la  disciplina  dei  rapporti  tra
giudici  appartenenti  ad  ordini  diversi,  allorche'   una   causa,
instaurata presso un giudice,  debba  essere  decisa,  a  seguito  di
declinatoria della giurisdizione, da altro giudice; 
    che i principi ora riassunti sono stati ribaditi da questa  Corte
con le ordinanze n. 110 del 2010, n. 257 del 2009 e n. 363 del 2008; 
    che anche la giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione,
Sezioni unite civili, sentenze n. 24421, n. 23596, n. 15981, n. 14828
e n. 2716 del 2010; n. 2871 del 2009; n. 28044, n. 17765,  n.  14831,
n. 10454, n. 9040 e n. 5431 del 2008; n. 13048 e n. 4109 del 2007) ha
ammesso  la  translatio  iudicii  tra  giudice  ordinario  e  giudici
speciali e viceversa; 
    che, pertanto, in base a quanto affermato da questa  Corte  e  al
diritto  vivente  formatosi  nella  giurisprudenza  di  legittimita',
devono ormai ritenersi  presenti  nel  vigente  sistema  del  diritto
processuale civile, sia il principio  di  prosecuzione  del  processo
davanti al giudice munito di  giurisdizione,  in  caso  di  pronuncia
declinatoria della giurisdizione da parte  del  giudice  inizialmente
adito, sia il principio di conservazione degli effetti, sostanziali e
processuali,   della   domanda   proposta   al   giudice   privo   di
giurisdizione,  restando  affidata  al  giudice  della   controversia
l'individuazione degli strumenti processuali  per  renderli  operanti
(con  riguardo  alla   disciplina   che   regola   l'istituto   della
riassunzione della causa); 
    che, d'altro canto, i suddetti principi sono stati recepiti anche
dall'art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni  per  lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in
materia di processo civile) che,  per  quanto  non  applicabile  alla
fattispecie in  esame  ratione  temporis  (ex  art.  58),  rivela  la
volonta' del legislatore di dare ad essi continuita'; 
    che la  Commissione  tributaria  regionale  rimettente,  pur  non
ignorando la citata sentenza n. 77 del 2007  di  questa  Corte  -  ed
anche a voler ritenere rilevante la problematica  della  operativita'
della translatio iudicii nel giudizio a quo, considerato che, proprio
in tale pronuncia, viene sottolineato  che  «la  conservazione  degli
effetti prodotti dalla domanda originaria discende non  gia'  da  una
dichiarazione del giudice che declina la  propria  giurisdizione,  ma
direttamente dall'ordinamento» (ordinanza n. 31 del 2011) - non  s'e'
fatta  carico  d'individuare,  alla  luce  delle  statuizioni   della
giurisprudenza costituzionale e  di  legittimita'  sopra  richiamate,
un'interpretazione della norma censurata idonea a superare i dubbi di
costituzionalita',  in  ossequio  al  principio   secondo   cui   una
disposizione  di  legge  puo'  essere  dichiarata  costituzionalmente
illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un  significato
che la renda conforme a Costituzione; 
    che, per giurisprudenza costante  di  questa  Corte,  la  mancata
utilizzazione dei poteri interpretativi, che la  legge  riconosce  al
giudice rimettente, e la mancata esplorazione  di  diverse  soluzioni
ermeneutiche, al fine di far fronte al  dubbio  di  costituzionalita'
ipotizzato,  integrano  omissioni  tali  da  rendere   manifestamente
inammissibile la sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
(ex plurimis, ordinanze n. 101 e n. 15 del 2011; n. 322 e n. 192  del
2010); 
    che ogni altro profilo d'inammissibilita' resta assorbito; 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.