LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da:
1) Novella Alessio nato il 22 maggio 1955;
2) Mandalari Nunziato nato il 12 ottobre 1956;
3) Aloi Francesco nato il 25 novembre 1967 avverso la
sentenza n. 4633/2006 Corte appello di Milano, del 12 febbraio 2010.
Vsti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita in pubblica udienza dei 17 febbraio 2011 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. Domenico Gentile;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha
concluso per
Udito il Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Riello che ha
concluso per il rigetto del ricorso per Novella e per l'annullamento
con rinvio per Aloi e Mandalari;
Udito il Difensore, Avv. Lojacono Francesco per Aloi e Novella ed
anche in sostituzione dell'Avv. Staiano Salvatore per Novella che ha
concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso;
Considerato in fatto
I ricorrenti:
Mandalari Nunziato;
Aloi Francesco;
Novella Alessio;
venivano giudicati dal Tribunale di Milano e condannati con
sentenza del 26 novembre 2004 perche' ritenuti responsabili,
unitamente a: Palara Carmine, Bava Angelo, Fortuna Pietro ed altri
quattro soggetti, di una serie considerevole di imputazioni per
ricettazione di autovetture di provenienza furtiva, ex artt. 648, 61
n. 7 cp nonche' per una corrispondente serie di reati di falso nelle
dichiarazioni di conformita' delle medesime autovetture, ex art. 478
cp in relazione agli artt. 47-48 c.p.; fatti commessi sino
all'ottobre del 1990;
La Corte di appello di Milano, investita del gravame, con
sentenza del 12 febbraio 2010, in parziale riforma, dichiarava non
doversi procedere, quanto a Mistrettini Salvatore per morte
dell'imputato; - quanto ai reati di falso perche' estinti per tutti
gli imputati per intervenuta prescrizione; - quanto a Palamara
Carmine per intervenuta prescrizione del reato di ricettazione non
aggravata a lui contestato;
riteneva, in sintesi, la responsabilita' dei soli Novella,
Mandalari, Gullo ed Aloi peri residui reati di ricettazione aggravata
ex art. 61 n. 7 cp, e, tenuto conto delle prescrizioni intervenute,
rideterminava le pene loro inflitte, come indicato in sentenza.
I predetti Mandalari, Aloi e Novella, propongono ricorso per
cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo:
Mandalari:
Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p.
1) il ricorrente censura la decisione impugnata per avere
ritenuto la responsabilita' in ordine al reato di ricettazione
omettendo una idonea motivazione sull'elemento soggettivo del reato,
non essendo sufficiente valorizzare la circostanza dei vincolo di
amicizia con il Novella;
la motivazione era da censurare anche per avere dato risalto ad
elementi di sospetto quali: - mero possesso dell'autovettura ovvero:
rapporto di amicizia con il Novella, trascurando illogicamente di
considerare che mancava ogni prova del coinvolgimento del Mandalari
in ordine alla ricettazione, atteso che egli non aveva fornito il
certificato di residenza, non era intestatario dell'autovettura e non
aveva preso contatti con agenzie;
2) la sentenza era anche da censurare per avere ritenuto
l'aggravante dei danno patrimoniale di rilevante gravita' sena
adeguata motivazione e, soprattutto, senza considerare gli specifici
motivi di gravame sollevati nell'appello;
in particolare, la motivazione non aveva indicato gli elementi da
cui desumere il valore rilevante dell'autovettura, ignorando la
documentazione offerta dalla difesa, allegava all'uopo copia dello
stato giuridico dell'autovettura;
3) la sentenza era infine da censurare per omessa motivazione
in ordine al diniego delle attenuanti generiche; risultava illogico
il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, atteso la loro
risalenza nel tempo;
Novella:
Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p.
1) il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa
motivazione riguardo al motivo di appello con il quale era stata
dedotta la nullita' per difetto di notifica dell'avviso di fissazione
dell'udienza preliminare; al riguardo si' lamenta che la notifica non
sarebbe avvenuta nel domicilio eletto dall'imputato presso il suo
difensore ma sarebbe stata effettuata nella sua abitazione in
Bollate, trovata chiusa;
2) il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere
illogicamente quanto superficialmente motivato sui motivi di appello
relativi alla identificazione dell'imputato, effettuata in maniera
inattendibile dalla teste Cannone su un supporto non adeguato come
l'immagine di una fototessera; la Corte aveva ignorato l'elemento di
equivocita' costituito dalla somiglianza del Novella Alessio con il
fratello Vincenzo e dal fatto che l'odierno ricorrente era stato
identificato come «Enzo»;
gli indizi raccolti a carico del'imputato non erano percio'
univoci ne' gravi ne' precisi;
Aloi:
Motivi ex art. 606,1° comma, lett. b) c) e) c.p.p.
1) il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione
del'art. 192 cpp avendo ricavato la responsabilita' dell'imputato,
per il reato di ricettazione, dalla circostanza del possesso di una
Lancia Thema di provenienza furtiva;
tale circostanza pero', di per se', non era sufficiente per la
dimostrazione del reato perche' l'autovettura non era stata oggetto
di denuncia di furto e non era stata mai ritrovata; non era percio'
sufficiente il rinvenimento di una sua falsa immatricolazione, ne' la
circostanza che l'Aloi era stato trovato a bordo della predetta auto
in occasione di un controllo di polizia;
la motivazione aveva illogicamente ignorato la circostanza che i
militari operanti avevano accertato che quella vettura era in
possesso anche di altre persone, quali i fratelli Vitale ed i
fratelli Cimmino;
erroneamente la sentenza si era fondata sulle dichiarazioni dei
fratelli Vitale, da ritenersi inutilizzabili, - sia perche' recepite
in un'annotazione di servizio e non in un verbale e - sia perche' i
predetti Vitale avrebbero dovuto essere sentiti come indiziati di
reato, in ossequio al disposto dell'art. 63,comma II° cpp;
2) la sentenza era illogica nella parte in cui aveva ritenuto
l'aggravante ex art. 61 n. 7 cp che,invece, era esclusa dalla
circostanza che la mancata presentazione della denuncia di furto
rendeva manifesto lo scarso valore della vettura;
Con motivi nuovi veniva eccepita l'estinzione dei reati per
intervenuta prescrizione alla luce della normativa piu' favorevole ex
legge n. 251/2005;
in subordine al motivo che precede si solleva eccezione di
legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. comma 3
per contrasto con l'art. 117 Cost., questione che trae spunto dalle
sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22-24 ottobre
2007. Con la sentenza n. 393/2005 (recte 06) la Corte costituzionale
aveva gia' affrontato incidenter la forza giuridica che deve essere
riconosciuta all'art. 15 del Patto sui diritti civili e politici di
New York del 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge
25 ottobre 1077, n. 881, patto di natura convenzionale che non
rappresenta fonte del diritto internazionale generalmente
riconosciuto (diritto internazionale consuetudinario), al quale
(solo) deve invece essere attribuita una dignita' pari alle norme
costituzionali, ai sensi dell'art. 10 Cost. La citata sentenza n.
393/2005 (recte 06) ha richiamato anche il comma 2 dell'art. 6 dei
Trattato dell'Unione Europea (sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre
1997 e ratificato con legge 18 giugno 1998, n. 209) e sentenze della
Corte di Giustizia delle Comunita' europee nonche' la Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000. Ma la questione viene ora posta con riferimento
all'art. 117 cost. che nel testo vigente dispone che «la potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto
della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». Poiche' la stessa Corte
costituzionale ha stabilito l'equiparazione della pena piu' mite con
quella della prescrizione piu' favorevole dalle richiamate norme
pattizie di carattere internazionale risulta evidente il contrasto
tra la legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 con l'art. 117 Cost.,
comma 1 in quanto in violazione dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali sopra
richiamati;
Motivi della decisione
Il ricorrente Aloi Francesco, a mezzo dei Difensore di fiducia,
ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale della legge n.
251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto con l'art. 117 Cost.
richiamando l'ordinanza di questa sezione 2° n. 22357 emessa in data
27 maggio 2010 depositata l'11 giugno 2010, Reg. Ordinanze n. 344 del
2010;
Questo Collegio condivide pienamente l'ordinanza in oggetto che
qui espressamente richiama, osservando:
«1. Con la sentenza n. 393 del 2006 la Corte costituzionale ha
premesso che l'art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato, ed e'
stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice
delle leggi che di quello di legittimita', nei senso che la locuzione
"disposizioni piu' favorevole al reato'' si riferisce a tutte quelle
norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una
fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla
prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura sostanziale e
con l'effetto che produce, perche' "il decorso del tempo non si'
limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in
se' e per se', in quanto costituisce una causa di rinuncia totale
dello Stato alla potesta' punitiva'' (Cass. sez. 1, 8 maggio 1998 n.
7442). Ha quindi precisato che "il regime giuridico riservato alla
lex mitior, e segnatamente la sua retroattivita', ne riceve
nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost.,
comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata
disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione
retroattiva della norma incriminatrice, nonche' quella altrimenti
piu' sfavorevole per il reo.'' Ne ha tratto la conclusione che
"eventuali deroghe al principio di retroattivita' della lex mitior,
ai sensi dell'art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge
ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa'' ed
in questa ottica ha rammentato che il principio di retroattivita'
della lex mitior e' stato sancito sia a livello internazionale sia a
livello comunitario. In primo luogo l'art. 15, comma 1, dei Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New
York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25
ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che "se, posteriormente
alla commissione di un reato, la legge prevede l'applicazione di una
pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne'', "disposizione alla
quale si collega la riserva dell'Italia nel senso dell'applicazione
limitata ai procedimenti in corsa e non anche a quelli nei quali sia
intervenuta una decisione definitiva''.
Il ricorrente ha correttamente osservato che gia' questa norma di
caratteri internazionale, se parametrata non all'art. 3 Cost. ma
all'art. 117 Cost. comma 1, rende non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria
in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente
in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza alla regola cogente,
imposta dalla norma pattizia («deve beneficiarne») per la quale la
lex mitior deve essere di immediata applicazione, senza che le
deroghe disposte dalla legge ordinaria possano essere giustificate
per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo. Tale
bilanciamento e' stata operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perche'
come parametro e' stata assunto quello dell'art. 3 Cost.
Osserva il Collegio che successive pronunce della Corte
costituzionale, da ultimo la sentenza n. 93 dell'8-12 marzo 2010,
hanno affermato in maniera costante che "le norme della CEDU - nel
significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione
ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) -
integrano, quali "norme interposte'', il parametro costituzionale
espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli
"obblighi internazionali'' (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39
del 2008)''. Ne consegue che "nel caso in cui si profili un eventuale
contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice
nazionale comune, deve, quindi, preventivamente verificare la
praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma
convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica
giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti
impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna
contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilita'
proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al
parametro dianzi indicato''. La Grande Camera della Corte Europea dei
diritti dell'uomo, in seguito al ricorso n. 10249/2003 presentato da
S.F., con sentenza del 17 settembre 2009 ha imposto alla Stato
italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7 della
Convenzione e di assicurare che la pena dell'ergastolo inflitta al
ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a quella della
reclusione di anni trenta.
La CEDU e' pervenuta alla citata decisione avendo affermato che
l'art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto
di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il
corollario dei diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve. In
particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver
rammentato le proprie precedenti pronunce sull'interpretazione
dell'art. 7 della Convenzione (par 103), la Corte europea ha
stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere internazionale
e di pronunce applicative e interpretative di esse imponeva un
"approccio dinamico ed evolutivo nell'interpretazione dell'art. 7''.
Allo scopo richiamava (par. 104) l'art. 491 della Carta dei
diritti fondamentali della Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), la
sentenza 3 maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunita'
europee (sentenza Berlusconi) e lo stesso art. 2 c.p. italiano.
Affermava in conseguenza il principio (par. 109) secondo il quale
"... l'art. 71 della Convenzione non sancisce solo il principio della
irretroattivita' della legge penale piu' severa, ma anche,
implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale
meno severa'' per cui "...se la legge penale in vigore al momento
della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate
prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il
giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono piu'
favorevoli all'imputato''.
Risulta evidente il "nuovo'' significato attribuito all'art. 7
della Convenzione, integrante "norma interposta'', in relazione al
parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost.
Il Giudice delle leggi con la citata sentenza n. 93 del 2010,
richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n.
348 del 2007, ha spiegato che la Corte Costituzionale, nel procedere
allo scrutinio di sua competenza, "resta legittimata a verificare se
la norma della Convenzione ... - norma che si colloca pur sempre ad
un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto
con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale
dovra' essere esclusa la idoneita' della norma convenzionale a
integrare il parametro considerato''.
Lo scrutinio relativo e' sottratto al giudice ordinario.
Ne' esso risulta effettuato con la gia' citata sentenza n. 393
del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha Osservato che «Il livello
di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di
retroattivita' della lex mitior - impone di ritenere che il valore da
esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in
favore di interessi di analogo rilievo (quali - a titolo
esemplificativo - quelli dell'efficienza del processo, della
salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono
destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono
interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale connessi a
valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del
1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)''.
Cio' non tanto perche' il parametro di riferimento e' stato
l'art. 3 Cost., quanto piuttosto perche' gli elementi assunti come
tertium comparationis sono costituiti da "interessi di analogo
valore'', senza indicazione specifica di "conflitto'' con altre norme
della Costituzione (ipotesi che la Corte costituzionale nelle
ricordate sentenze definisce "eccezionale'' e riserva alla sua
competenza, di guisa che non sembra corretta una valutazione
interpretativa, da parte del giudice ordinario, di motivazione non
esplicita di altra sentenza della Corte costituzionale). ».
2. La questione, oltre che non manifestamente infondata, e'
rilevante, perche' il reato per cui si procede (art. 648 c.p.
aggravato ex art. 61 b.7 c.p.) e' punito nel massimo con la pena
detentiva di anni 10 mesi 8 di reclusione (pena base art. 648 cp :
anni 8, aumentata di 1/3 ex art. 61 n. 7 cp: anni 10 mesi 8),
sicche', mentre secondo la "vecchia'' disciplina dell'art. 157 cp il
termine massimo di prescrizione era di anni 22 ed andava a scadere al
21 agosto 2012 risalendo la consumazione del reato alla data del 21
agosto 1990, per converso, con la regola dettata dal "nuovo'' art.
157 c.p., la prescrizione massima, con l'aumento di un quarto per il
novellalo art. 160 c.p., terzo comma cp, e' di anni 10, gia' decorsi.
Esaminando gli altri motivi proposti:
3. Novella:
il primo motivo sulla nullita' conseguente all'irregolare
notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e' del
tutto generico e pertanto inammissibile;
E' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni gia' discussee ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici:
la mancanza di specificita' del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericita', intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificita' conducente, a norma dell'art. 591 comma l lett. c),
c.p.p., all'inammissibilita'. cassazione penale,sez. III, 19 ottobre
2006 n. 41287).
Il ricorrente deduce che l'avviso sarebbe stato notificato presso
la sua abitazione in Bollate anziche' presso il domicilio eletto
presso il difensore, ma omette di specificare quando e come sia stato
eletto tale domicilio; va comunque considerato che, essendosi
proceduto alla notifica ex art. 157 cpp si verte in tema di nullita'
a regime intermedio che andava eccepita alla stessa udienza
preliminare;
il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione al riguardo e
neppure ha precisato se era presente all'udienza, sanando cosi
l'eventuale nullita'.
E' noto il principio per il quale mentre l'omissione della
citazione determina una nullita' assoluta ed insanabile, rilevabile e
deducibile in ogni stato e grado del procedimento, la violazione
delle norme di legge stabilite per le notificazioni configura,
invece, una nullita' a regime intermedio ai sensi dell'art. 180
stesso codice, non piu' deducibile o rilevabile per la prima volta
dopo la conclusione del giudizio di primo grado. (Cassazione penale
sez. IV 1° aprile 2004, n. 36724).
Il secondo motivo attiene al merito e, contrariamente a quanto
sostenuto dal ricorrente, la Corte di appello ha adeguatamente
motivato riguardo all'identificazione del Novella ed alla sua
responsabilita' osservando: che li Novella si era recato piu' volte
presso l'Agenzia Trieste di Bollate, producendo false dichiarazioni
conformita' nonche' falsi atti di vendita al fine di precostituirsi
gli elementi per la nuova immatricolazione di ben. 13 autovetture, di
accertata provenienza furtiva;
che tale circostanza emergeva dalla testimonianza di Cannone
Antonietta che aveva riconosciuto l'imputato su una fotografia
sequestrata al coimputato Gullo;
che tale riconoscimento eliminava ogni dubbio sulla sicura
identificazione dell'imputato, nonostante la somiglianza con il
fratello Vincenzo e nonostante che il medesimo si faceva chiamare
«Enzo»;
che l'attendibilita' della Cannone era riscontrata dalla
circostanza che Novella Alessio era stato anche individuato a bordo
di un'autovettura Fiat Uno come gia' indicato dalla medesima teste.
Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perche' aderente
ai fatti di causa e perche' immune da illogicita' evidenti;
per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni
alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di
sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimita' non
e' chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta
dai giudici di merito in ordine alla affidabilita' delle fonti di
prova, essendo piuttosto suo compito stabilire - nell'ambito di un
controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento
impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a
loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta
interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle
deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione
razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di
altre. Cassazione_penale sez. IV 29 gennaio 2007, n. 12255.
4. Mandalari:
I motivi sono del tutto infondati.
Quanto al primo motivo si deduce la mancanza di motivazione sulla
prova dell'elemento soggettivo del reato, senza considerare che, al
contrario, la sentenza impugnata motiva in maniera congrua,
sottolineando che, a parte il ruolo preminente del Novella, il ruolo
degli altri imputati era consistito:
nel fornire il proprio certificato di residenza;
nel farsi intestare l'autovettura da riciclare;
nel possesso del veicolo di provenienza illecita;
in specie, quanto al Mandalari, la sentenza ricorda che egli,
amico del Novella, aveva l'uso ed il possesso dell'autovettura di cui
al capo di imputazione al capo 5-A) e che la prova della
consapevolezza dell'origine delittuosa emergeva dalle circostanze che
il veicolo aveva: - la targa falsa - un telaio alterato - era
fittiziamente intestata a Di Terlizzi ;
a questo ultimo riguardo la sentenza evidenzia che il pieno
coinvolgimento del Mandalari nell'operazione dl riciclaggio (reato
all'epoca non sussistente - il che giustifica l'imputazione di
ricettazione) emergeva altresi' dalla circostanza che il Di Terlizzi
aveva rilasciato procura a vendere al Mandalari che, a sua volta, per
affermazione del fratellastro Pasquino, l'aveva prestata a
quest'ultimo;
si tratta di motivazione congrua ed immune da illogicita' perche'
la Giurisprudenza ha affermato i principio per il quale la prova
dell'elemento soggettivo del reato puo' essere ricavata da qualunque
elemento di fatto giuridicamente apprezzabile che, in base alle
regole della comune esperienza, costituisca il segno di una
precedente sottrazione illecita del bene. Cassazione penale, sez. II,
13 marzo 2008, n. 13502.
Quanto ai motivi sulla mancata concessione delle attenuanti
generiche, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza
motiva adeguatamente, richiamando - ai sensi dell'art. 133 cp - la
gravita' della condotta ed i precedenti penali riportati,
Quanto all'aggravante ex art. 61 n. 7 c.p., il motivo di omessa
motivazione e' infondato atteso che la corte, stante la ripetitivita'
delle imputazioni di ricettazione delle autovetture, sottolinea - in
relazione alle condotte ascritte al Novella - ma con evidente
riferimento a tutte le ipotesi di ricettazione aggravata contestate
anche agli altri coimputati - che il danno patrimoniale di rilevante
gravita' derivava dal dato oggettivo che le vetture avevano valore
elevato quantificato in «svariate decine di milioni di liredegli anni
90»;
Si tratta di una motivazione congrua, per un verso, perche' dai
capi di imputazione emergeva che si trattava sempre di auto di grossa
cilindrata e, per altro verso, perche' dagli stessi capi di
imputazione emergeva che il Novella era coinvolto, a titolo di
concorso, in tutti gli episodi di ricettazione, sicche' la
motivazione a lui relativa era chiaramente estensibile anche agli
altri coimputati nelle rispettive con testazioni, rendendo inutile la
ripetizione stilla valutazione del valore delle auto.
Anche in questo caso la motivazione e' congrua, atteso che ai
fini della sussistenza della circostanza aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravita' (art. 61, n. 7, c.p.), preliminare
e decisivo e' l'esame dell'oggettiva rilevanza economica del danno,
desunta essenzialmente dal livello economico medio della comunita'
sociale nei momento storico in cui il reato viene commesso,
indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato:
principio che vale «a fortiori» in presenza di un valore economico di
evidente oggettiva rilevanza. (Affermazione resa in una fattispecie
di tentata truffa avente a oggetto la compravendita di un'autovettura
dietro corresponsione di un assegno privo di copertura di importo
superiore a 23 mila euro: la Corte ha ritenuto correttamente
ravvisata l'aggravante in ragione dell'importo dell'operazione
economica, tra l'altro riferentesi all'anno 2002, di oggettiva
rilevanza). (Cassazione penale, sez. fer., 13 agosto 2009, n. 33408).
5. Aloi:
Al contrario di quanto sostenuto nel motivo di ricorso, la Corte
di appello ha chiaramente indicato il percorso logico-motivazionale
con il quale e' giunta all'affermazione di responsabilita'
dell'imputato Aloi, evidenziando:
che l'imputato era stato trovato in possesso dell'autovettura
Lancia Thema (capo 1-a) durante un controllo di polizia;
che tale possesso era stato confermato: dalle dichiarazioni
rese dai fratelli Vitale; dalle notizie trasmesse dai carabinieri del
luogo di origine dell'Aloi; dalla circostanza che lo stesso Aloi era
stato visto in possesso di quell'auto in occasione del matrimonio
della sorella del coimputato Novella;
che il Novella aveva chiesto una nuova immatricolazione
proprio per quella autovettura;
che l'apparente intestatario, il coimputato Ruggiero Franco,
aveva dichiarato di' non averla mai acquistata, anche se egli stesso
aveva fornito il certificato di residenza servito per la fittizia
intestazione;
si tratta di una motivazione congrua e del tutto idonea alla
dimostrazione sia dell'elemento oggettivo della materiale
disponibilita' dell'autovettura vettura ricettata e sia della reale
esistenza della medesima, ancorche' non ritrovata in seguito;
le deduzioni difensive relative alla mancata dimostrazione della
provenienza delittuosa della vettura trascurano completamente le
emergenze del capo dl imputazione (capo 1-a) ove viene posto in
evidenza che l'origine furtiva della medesima auto rinveniva da
dall'avere sia la targa che il numero di telaio falsificati;
Ai fini della configurabilita' del reato di riciclaggio non si
richiede l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, ne' dei
suoi autori, ne' dell'esatta tipologia di esso, essendo sufficiente
che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle
utilita' oggetto delle operazioni compiute e cio' «a fortori»
nell'ambito del procedimento cautelare in cui e' sufficiente la
«probatio minor» scaturente dalla valutazione di gravita' degli
indizi acquisiti. Cassazione penale, sez. V, 21 maggio 2008, n.
36940.
Ne' possono trovare ingresso le censure relative
all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni dei fratelli Vitale,
dovendosi ricordare che la sanzione di inutilizzabilita' «erga omnes»
delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto
che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualita' di
imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico
dell'interessato siano gia' acquisiti, prima dell'escussione, indizi
non equivoci di reita', come tali conosciuti dall'autorita'
procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od
intuizioni personali dell'interrogante. Cassazione penale, sez. un.,
23 aprile 2009, n. 23868.
6. I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto
dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in quanto trascurano di prendere in
considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del
provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni
alternative, sicche' sarebbero da ritenersi inammissibili. Tale
soluzione e' pero' preclusa dalla rilevata non manifesta infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del
2005, art. 10 che si pone come pregiudiziale essendo evidente che,
ove dovesse dichiararsi l'estinzione per prescrizione dei reati
ascritti, la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi verrebbe
impedita e superata dalla regola dettata dall'art. 129 c.p.p.
Per l'effetto va dichiarata rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale della legge n.
251 del 2005, art. 10, comma 3 nella parte in cui esclude
l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi, per
«i processi gia' pendenti in grado di appello o aventi alla Corte di
Cassazione», in relazione all'art. 117 cost. e all'art. 7 della CEDU
come interpretato dalla Commissione Europea dei diritti dell'uomo.