LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da: 1) Novella Alessio nato il 22 maggio 1955; 2) Mandalari Nunziato nato il 12 ottobre 1956; 3) Aloi Francesco nato il 25 novembre 1967 avverso la sentenza n. 4633/2006 Corte appello di Milano, del 12 febbraio 2010. Vsti gli atti, la sentenza e il ricorso; Udita in pubblica udienza dei 17 febbraio 2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Domenico Gentile; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso per Udito il Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Riello che ha concluso per il rigetto del ricorso per Novella e per l'annullamento con rinvio per Aloi e Mandalari; Udito il Difensore, Avv. Lojacono Francesco per Aloi e Novella ed anche in sostituzione dell'Avv. Staiano Salvatore per Novella che ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso; Considerato in fatto I ricorrenti: Mandalari Nunziato; Aloi Francesco; Novella Alessio; venivano giudicati dal Tribunale di Milano e condannati con sentenza del 26 novembre 2004 perche' ritenuti responsabili, unitamente a: Palara Carmine, Bava Angelo, Fortuna Pietro ed altri quattro soggetti, di una serie considerevole di imputazioni per ricettazione di autovetture di provenienza furtiva, ex artt. 648, 61 n. 7 cp nonche' per una corrispondente serie di reati di falso nelle dichiarazioni di conformita' delle medesime autovetture, ex art. 478 cp in relazione agli artt. 47-48 c.p.; fatti commessi sino all'ottobre del 1990; La Corte di appello di Milano, investita del gravame, con sentenza del 12 febbraio 2010, in parziale riforma, dichiarava non doversi procedere, quanto a Mistrettini Salvatore per morte dell'imputato; - quanto ai reati di falso perche' estinti per tutti gli imputati per intervenuta prescrizione; - quanto a Palamara Carmine per intervenuta prescrizione del reato di ricettazione non aggravata a lui contestato; riteneva, in sintesi, la responsabilita' dei soli Novella, Mandalari, Gullo ed Aloi peri residui reati di ricettazione aggravata ex art. 61 n. 7 cp, e, tenuto conto delle prescrizioni intervenute, rideterminava le pene loro inflitte, come indicato in sentenza. I predetti Mandalari, Aloi e Novella, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo: Mandalari: Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p. 1) il ricorrente censura la decisione impugnata per avere ritenuto la responsabilita' in ordine al reato di ricettazione omettendo una idonea motivazione sull'elemento soggettivo del reato, non essendo sufficiente valorizzare la circostanza dei vincolo di amicizia con il Novella; la motivazione era da censurare anche per avere dato risalto ad elementi di sospetto quali: - mero possesso dell'autovettura ovvero: rapporto di amicizia con il Novella, trascurando illogicamente di considerare che mancava ogni prova del coinvolgimento del Mandalari in ordine alla ricettazione, atteso che egli non aveva fornito il certificato di residenza, non era intestatario dell'autovettura e non aveva preso contatti con agenzie; 2) la sentenza era anche da censurare per avere ritenuto l'aggravante dei danno patrimoniale di rilevante gravita' sena adeguata motivazione e, soprattutto, senza considerare gli specifici motivi di gravame sollevati nell'appello; in particolare, la motivazione non aveva indicato gli elementi da cui desumere il valore rilevante dell'autovettura, ignorando la documentazione offerta dalla difesa, allegava all'uopo copia dello stato giuridico dell'autovettura; 3) la sentenza era infine da censurare per omessa motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche; risultava illogico il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, atteso la loro risalenza nel tempo; Novella: Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p. 1) il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione riguardo al motivo di appello con il quale era stata dedotta la nullita' per difetto di notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare; al riguardo si' lamenta che la notifica non sarebbe avvenuta nel domicilio eletto dall'imputato presso il suo difensore ma sarebbe stata effettuata nella sua abitazione in Bollate, trovata chiusa; 2) il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere illogicamente quanto superficialmente motivato sui motivi di appello relativi alla identificazione dell'imputato, effettuata in maniera inattendibile dalla teste Cannone su un supporto non adeguato come l'immagine di una fototessera; la Corte aveva ignorato l'elemento di equivocita' costituito dalla somiglianza del Novella Alessio con il fratello Vincenzo e dal fatto che l'odierno ricorrente era stato identificato come «Enzo»; gli indizi raccolti a carico del'imputato non erano percio' univoci ne' gravi ne' precisi; Aloi: Motivi ex art. 606,1° comma, lett. b) c) e) c.p.p. 1) il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del'art. 192 cpp avendo ricavato la responsabilita' dell'imputato, per il reato di ricettazione, dalla circostanza del possesso di una Lancia Thema di provenienza furtiva; tale circostanza pero', di per se', non era sufficiente per la dimostrazione del reato perche' l'autovettura non era stata oggetto di denuncia di furto e non era stata mai ritrovata; non era percio' sufficiente il rinvenimento di una sua falsa immatricolazione, ne' la circostanza che l'Aloi era stato trovato a bordo della predetta auto in occasione di un controllo di polizia; la motivazione aveva illogicamente ignorato la circostanza che i militari operanti avevano accertato che quella vettura era in possesso anche di altre persone, quali i fratelli Vitale ed i fratelli Cimmino; erroneamente la sentenza si era fondata sulle dichiarazioni dei fratelli Vitale, da ritenersi inutilizzabili, - sia perche' recepite in un'annotazione di servizio e non in un verbale e - sia perche' i predetti Vitale avrebbero dovuto essere sentiti come indiziati di reato, in ossequio al disposto dell'art. 63,comma II° cpp; 2) la sentenza era illogica nella parte in cui aveva ritenuto l'aggravante ex art. 61 n. 7 cp che,invece, era esclusa dalla circostanza che la mancata presentazione della denuncia di furto rendeva manifesto lo scarso valore della vettura; Con motivi nuovi veniva eccepita l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione alla luce della normativa piu' favorevole ex legge n. 251/2005; in subordine al motivo che precede si solleva eccezione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. comma 3 per contrasto con l'art. 117 Cost., questione che trae spunto dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22-24 ottobre 2007. Con la sentenza n. 393/2005 (recte 06) la Corte costituzionale aveva gia' affrontato incidenter la forza giuridica che deve essere riconosciuta all'art. 15 del Patto sui diritti civili e politici di New York del 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1077, n. 881, patto di natura convenzionale che non rappresenta fonte del diritto internazionale generalmente riconosciuto (diritto internazionale consuetudinario), al quale (solo) deve invece essere attribuita una dignita' pari alle norme costituzionali, ai sensi dell'art. 10 Cost. La citata sentenza n. 393/2005 (recte 06) ha richiamato anche il comma 2 dell'art. 6 dei Trattato dell'Unione Europea (sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 e ratificato con legge 18 giugno 1998, n. 209) e sentenze della Corte di Giustizia delle Comunita' europee nonche' la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Ma la questione viene ora posta con riferimento all'art. 117 cost. che nel testo vigente dispone che «la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Poiche' la stessa Corte costituzionale ha stabilito l'equiparazione della pena piu' mite con quella della prescrizione piu' favorevole dalle richiamate norme pattizie di carattere internazionale risulta evidente il contrasto tra la legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 con l'art. 117 Cost., comma 1 in quanto in violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali sopra richiamati; Motivi della decisione Il ricorrente Aloi Francesco, a mezzo dei Difensore di fiducia, ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto con l'art. 117 Cost. richiamando l'ordinanza di questa sezione 2° n. 22357 emessa in data 27 maggio 2010 depositata l'11 giugno 2010, Reg. Ordinanze n. 344 del 2010; Questo Collegio condivide pienamente l'ordinanza in oggetto che qui espressamente richiama, osservando: «1. Con la sentenza n. 393 del 2006 la Corte costituzionale ha premesso che l'art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato, ed e' stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice delle leggi che di quello di legittimita', nei senso che la locuzione "disposizioni piu' favorevole al reato'' si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura sostanziale e con l'effetto che produce, perche' "il decorso del tempo non si' limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se' e per se', in quanto costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva'' (Cass. sez. 1, 8 maggio 1998 n. 7442). Ha quindi precisato che "il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattivita', ne riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost., comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonche' quella altrimenti piu' sfavorevole per il reo.'' Ne ha tratto la conclusione che "eventuali deroghe al principio di retroattivita' della lex mitior, ai sensi dell'art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa'' ed in questa ottica ha rammentato che il principio di retroattivita' della lex mitior e' stato sancito sia a livello internazionale sia a livello comunitario. In primo luogo l'art. 15, comma 1, dei Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che "se, posteriormente alla commissione di un reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne'', "disposizione alla quale si collega la riserva dell'Italia nel senso dell'applicazione limitata ai procedimenti in corsa e non anche a quelli nei quali sia intervenuta una decisione definitiva''. Il ricorrente ha correttamente osservato che gia' questa norma di caratteri internazionale, se parametrata non all'art. 3 Cost. ma all'art. 117 Cost. comma 1, rende non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza alla regola cogente, imposta dalla norma pattizia («deve beneficiarne») per la quale la lex mitior deve essere di immediata applicazione, senza che le deroghe disposte dalla legge ordinaria possano essere giustificate per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo. Tale bilanciamento e' stata operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perche' come parametro e' stata assunto quello dell'art. 3 Cost. Osserva il Collegio che successive pronunce della Corte costituzionale, da ultimo la sentenza n. 93 dell'8-12 marzo 2010, hanno affermato in maniera costante che "le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) - integrano, quali "norme interposte'', il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali'' (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008)''. Ne consegue che "nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice nazionale comune, deve, quindi, preventivamente verificare la praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al parametro dianzi indicato''. La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in seguito al ricorso n. 10249/2003 presentato da S.F., con sentenza del 17 settembre 2009 ha imposto alla Stato italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione e di assicurare che la pena dell'ergastolo inflitta al ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a quella della reclusione di anni trenta. La CEDU e' pervenuta alla citata decisione avendo affermato che l'art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario dei diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve. In particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver rammentato le proprie precedenti pronunce sull'interpretazione dell'art. 7 della Convenzione (par 103), la Corte europea ha stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere internazionale e di pronunce applicative e interpretative di esse imponeva un "approccio dinamico ed evolutivo nell'interpretazione dell'art. 7''. Allo scopo richiamava (par. 104) l'art. 491 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), la sentenza 3 maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunita' europee (sentenza Berlusconi) e lo stesso art. 2 c.p. italiano. Affermava in conseguenza il principio (par. 109) secondo il quale "... l'art. 71 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattivita' della legge penale piu' severa, ma anche, implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale meno severa'' per cui "...se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli all'imputato''. Risulta evidente il "nuovo'' significato attribuito all'art. 7 della Convenzione, integrante "norma interposta'', in relazione al parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost. Il Giudice delle leggi con la citata sentenza n. 93 del 2010, richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007, ha spiegato che la Corte Costituzionale, nel procedere allo scrutinio di sua competenza, "resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione ... - norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale dovra' essere esclusa la idoneita' della norma convenzionale a integrare il parametro considerato''. Lo scrutinio relativo e' sottratto al giudice ordinario. Ne' esso risulta effettuato con la gia' citata sentenza n. 393 del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha Osservato che «Il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di retroattivita' della lex mitior - impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo (quali - a titolo esemplificativo - quelli dell'efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale connessi a valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)''. Cio' non tanto perche' il parametro di riferimento e' stato l'art. 3 Cost., quanto piuttosto perche' gli elementi assunti come tertium comparationis sono costituiti da "interessi di analogo valore'', senza indicazione specifica di "conflitto'' con altre norme della Costituzione (ipotesi che la Corte costituzionale nelle ricordate sentenze definisce "eccezionale'' e riserva alla sua competenza, di guisa che non sembra corretta una valutazione interpretativa, da parte del giudice ordinario, di motivazione non esplicita di altra sentenza della Corte costituzionale). ». 2. La questione, oltre che non manifestamente infondata, e' rilevante, perche' il reato per cui si procede (art. 648 c.p. aggravato ex art. 61 b.7 c.p.) e' punito nel massimo con la pena detentiva di anni 10 mesi 8 di reclusione (pena base art. 648 cp : anni 8, aumentata di 1/3 ex art. 61 n. 7 cp: anni 10 mesi 8), sicche', mentre secondo la "vecchia'' disciplina dell'art. 157 cp il termine massimo di prescrizione era di anni 22 ed andava a scadere al 21 agosto 2012 risalendo la consumazione del reato alla data del 21 agosto 1990, per converso, con la regola dettata dal "nuovo'' art. 157 c.p., la prescrizione massima, con l'aumento di un quarto per il novellalo art. 160 c.p., terzo comma cp, e' di anni 10, gia' decorsi. Esaminando gli altri motivi proposti: 3. Novella: il primo motivo sulla nullita' conseguente all'irregolare notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e' del tutto generico e pertanto inammissibile; E' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni gia' discussee ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificita' del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita' conducente, a norma dell'art. 591 comma l lett. c), c.p.p., all'inammissibilita'. cassazione penale,sez. III, 19 ottobre 2006 n. 41287). Il ricorrente deduce che l'avviso sarebbe stato notificato presso la sua abitazione in Bollate anziche' presso il domicilio eletto presso il difensore, ma omette di specificare quando e come sia stato eletto tale domicilio; va comunque considerato che, essendosi proceduto alla notifica ex art. 157 cpp si verte in tema di nullita' a regime intermedio che andava eccepita alla stessa udienza preliminare; il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione al riguardo e neppure ha precisato se era presente all'udienza, sanando cosi l'eventuale nullita'. E' noto il principio per il quale mentre l'omissione della citazione determina una nullita' assoluta ed insanabile, rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del procedimento, la violazione delle norme di legge stabilite per le notificazioni configura, invece, una nullita' a regime intermedio ai sensi dell'art. 180 stesso codice, non piu' deducibile o rilevabile per la prima volta dopo la conclusione del giudizio di primo grado. (Cassazione penale sez. IV 1° aprile 2004, n. 36724). Il secondo motivo attiene al merito e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di appello ha adeguatamente motivato riguardo all'identificazione del Novella ed alla sua responsabilita' osservando: che li Novella si era recato piu' volte presso l'Agenzia Trieste di Bollate, producendo false dichiarazioni conformita' nonche' falsi atti di vendita al fine di precostituirsi gli elementi per la nuova immatricolazione di ben. 13 autovetture, di accertata provenienza furtiva; che tale circostanza emergeva dalla testimonianza di Cannone Antonietta che aveva riconosciuto l'imputato su una fotografia sequestrata al coimputato Gullo; che tale riconoscimento eliminava ogni dubbio sulla sicura identificazione dell'imputato, nonostante la somiglianza con il fratello Vincenzo e nonostante che il medesimo si faceva chiamare «Enzo»; che l'attendibilita' della Cannone era riscontrata dalla circostanza che Novella Alessio era stato anche individuato a bordo di un'autovettura Fiat Uno come gia' indicato dalla medesima teste. Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perche' aderente ai fatti di causa e perche' immune da illogicita' evidenti; per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimita' non e' chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilita' delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire - nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione_penale sez. IV 29 gennaio 2007, n. 12255. 4. Mandalari: I motivi sono del tutto infondati. Quanto al primo motivo si deduce la mancanza di motivazione sulla prova dell'elemento soggettivo del reato, senza considerare che, al contrario, la sentenza impugnata motiva in maniera congrua, sottolineando che, a parte il ruolo preminente del Novella, il ruolo degli altri imputati era consistito: nel fornire il proprio certificato di residenza; nel farsi intestare l'autovettura da riciclare; nel possesso del veicolo di provenienza illecita; in specie, quanto al Mandalari, la sentenza ricorda che egli, amico del Novella, aveva l'uso ed il possesso dell'autovettura di cui al capo di imputazione al capo 5-A) e che la prova della consapevolezza dell'origine delittuosa emergeva dalle circostanze che il veicolo aveva: - la targa falsa - un telaio alterato - era fittiziamente intestata a Di Terlizzi ; a questo ultimo riguardo la sentenza evidenzia che il pieno coinvolgimento del Mandalari nell'operazione dl riciclaggio (reato all'epoca non sussistente - il che giustifica l'imputazione di ricettazione) emergeva altresi' dalla circostanza che il Di Terlizzi aveva rilasciato procura a vendere al Mandalari che, a sua volta, per affermazione del fratellastro Pasquino, l'aveva prestata a quest'ultimo; si tratta di motivazione congrua ed immune da illogicita' perche' la Giurisprudenza ha affermato i principio per il quale la prova dell'elemento soggettivo del reato puo' essere ricavata da qualunque elemento di fatto giuridicamente apprezzabile che, in base alle regole della comune esperienza, costituisca il segno di una precedente sottrazione illecita del bene. Cassazione penale, sez. II, 13 marzo 2008, n. 13502. Quanto ai motivi sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza motiva adeguatamente, richiamando - ai sensi dell'art. 133 cp - la gravita' della condotta ed i precedenti penali riportati, Quanto all'aggravante ex art. 61 n. 7 c.p., il motivo di omessa motivazione e' infondato atteso che la corte, stante la ripetitivita' delle imputazioni di ricettazione delle autovetture, sottolinea - in relazione alle condotte ascritte al Novella - ma con evidente riferimento a tutte le ipotesi di ricettazione aggravata contestate anche agli altri coimputati - che il danno patrimoniale di rilevante gravita' derivava dal dato oggettivo che le vetture avevano valore elevato quantificato in «svariate decine di milioni di liredegli anni 90»; Si tratta di una motivazione congrua, per un verso, perche' dai capi di imputazione emergeva che si trattava sempre di auto di grossa cilindrata e, per altro verso, perche' dagli stessi capi di imputazione emergeva che il Novella era coinvolto, a titolo di concorso, in tutti gli episodi di ricettazione, sicche' la motivazione a lui relativa era chiaramente estensibile anche agli altri coimputati nelle rispettive con testazioni, rendendo inutile la ripetizione stilla valutazione del valore delle auto. Anche in questo caso la motivazione e' congrua, atteso che ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravita' (art. 61, n. 7, c.p.), preliminare e decisivo e' l'esame dell'oggettiva rilevanza economica del danno, desunta essenzialmente dal livello economico medio della comunita' sociale nei momento storico in cui il reato viene commesso, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato: principio che vale «a fortiori» in presenza di un valore economico di evidente oggettiva rilevanza. (Affermazione resa in una fattispecie di tentata truffa avente a oggetto la compravendita di un'autovettura dietro corresponsione di un assegno privo di copertura di importo superiore a 23 mila euro: la Corte ha ritenuto correttamente ravvisata l'aggravante in ragione dell'importo dell'operazione economica, tra l'altro riferentesi all'anno 2002, di oggettiva rilevanza). (Cassazione penale, sez. fer., 13 agosto 2009, n. 33408). 5. Aloi: Al contrario di quanto sostenuto nel motivo di ricorso, la Corte di appello ha chiaramente indicato il percorso logico-motivazionale con il quale e' giunta all'affermazione di responsabilita' dell'imputato Aloi, evidenziando: che l'imputato era stato trovato in possesso dell'autovettura Lancia Thema (capo 1-a) durante un controllo di polizia; che tale possesso era stato confermato: dalle dichiarazioni rese dai fratelli Vitale; dalle notizie trasmesse dai carabinieri del luogo di origine dell'Aloi; dalla circostanza che lo stesso Aloi era stato visto in possesso di quell'auto in occasione del matrimonio della sorella del coimputato Novella; che il Novella aveva chiesto una nuova immatricolazione proprio per quella autovettura; che l'apparente intestatario, il coimputato Ruggiero Franco, aveva dichiarato di' non averla mai acquistata, anche se egli stesso aveva fornito il certificato di residenza servito per la fittizia intestazione; si tratta di una motivazione congrua e del tutto idonea alla dimostrazione sia dell'elemento oggettivo della materiale disponibilita' dell'autovettura vettura ricettata e sia della reale esistenza della medesima, ancorche' non ritrovata in seguito; le deduzioni difensive relative alla mancata dimostrazione della provenienza delittuosa della vettura trascurano completamente le emergenze del capo dl imputazione (capo 1-a) ove viene posto in evidenza che l'origine furtiva della medesima auto rinveniva da dall'avere sia la targa che il numero di telaio falsificati; Ai fini della configurabilita' del reato di riciclaggio non si richiede l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, ne' dei suoi autori, ne' dell'esatta tipologia di esso, essendo sufficiente che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilita' oggetto delle operazioni compiute e cio' «a fortori» nell'ambito del procedimento cautelare in cui e' sufficiente la «probatio minor» scaturente dalla valutazione di gravita' degli indizi acquisiti. Cassazione penale, sez. V, 21 maggio 2008, n. 36940. Ne' possono trovare ingresso le censure relative all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni dei fratelli Vitale, dovendosi ricordare che la sanzione di inutilizzabilita' «erga omnes» delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualita' di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell'interessato siano gia' acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reita', come tali conosciuti dall'autorita' procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante. Cassazione penale, sez. un., 23 aprile 2009, n. 23868. 6. I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicche' sarebbero da ritenersi inammissibili. Tale soluzione e' pero' preclusa dalla rilevata non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. 10 che si pone come pregiudiziale essendo evidente che, ove dovesse dichiararsi l'estinzione per prescrizione dei reati ascritti, la dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi verrebbe impedita e superata dalla regola dettata dall'art. 129 c.p.p. Per l'effetto va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 nella parte in cui esclude l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi, per «i processi gia' pendenti in grado di appello o aventi alla Corte di Cassazione», in relazione all'art. 117 cost. e all'art. 7 della CEDU come interpretato dalla Commissione Europea dei diritti dell'uomo.