LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da: 
        1) Novella Alessio nato il 22 maggio 1955; 
        2) Mandalari Nunziato nato il 12 ottobre 1956; 
        3) Aloi  Francesco  nato  il  25  novembre  1967  avverso  la
sentenza n. 4633/2006 Corte appello di Milano, del 12 febbraio 2010. 
    Vsti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    Udita in pubblica udienza dei 17 febbraio 2011 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. Domenico Gentile; 
    Udito il  Procuratore  Generale  in  persona  del  Dott.  che  ha
concluso per 
    Udito il Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Riello che ha
concluso per il rigetto del ricorso per Novella e per  l'annullamento
con rinvio per Aloi e Mandalari; 
    Udito il Difensore, Avv. Lojacono Francesco per Aloi e Novella ed
anche in sostituzione dell'Avv. Staiano Salvatore per Novella che  ha
concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso; 
 
                        Considerato in fatto 
 
    I ricorrenti: 
        Mandalari Nunziato; 
        Aloi Francesco; 
        Novella Alessio; 
    venivano giudicati dal  Tribunale  di  Milano  e  condannati  con
sentenza  del  26  novembre  2004  perche'   ritenuti   responsabili,
unitamente a: Palara Carmine, Bava Angelo, Fortuna  Pietro  ed  altri
quattro soggetti, di  una  serie  considerevole  di  imputazioni  per
ricettazione di autovetture di provenienza furtiva, ex artt. 648,  61
n. 7 cp nonche' per una corrispondente serie di reati di falso  nelle
dichiarazioni di conformita' delle medesime autovetture, ex art.  478
cp  in  relazione  agli  artt.  47-48  c.p.;  fatti   commessi   sino
all'ottobre del 1990; 
    La Corte  di  appello  di  Milano,  investita  del  gravame,  con
sentenza del 12 febbraio 2010, in parziale  riforma,  dichiarava  non
doversi  procedere,  quanto  a  Mistrettini   Salvatore   per   morte
dell'imputato; -  quanto ai reati di falso perche' estinti per  tutti
gli imputati  per  intervenuta  prescrizione;  -  quanto  a  Palamara
Carmine per intervenuta prescrizione del reato  di  ricettazione  non
aggravata a lui contestato; 
    riteneva,  in  sintesi,  la  responsabilita'  dei  soli  Novella,
Mandalari, Gullo ed Aloi peri residui reati di ricettazione aggravata
ex art. 61 n. 7 cp, e, tenuto conto delle  prescrizioni  intervenute,
rideterminava le pene loro inflitte, come indicato in sentenza. 
    I predetti Mandalari, Aloi  e  Novella,  propongono  ricorso  per
cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo: 
    Mandalari: 
        Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p. 
        1) il ricorrente censura la  decisione  impugnata  per  avere
ritenuto la  responsabilita'  in  ordine  al  reato  di  ricettazione
omettendo una idonea motivazione sull'elemento soggettivo del  reato,
non essendo sufficiente valorizzare la  circostanza  dei  vincolo  di
amicizia con il Novella; 
    la motivazione era da censurare anche per avere dato  risalto  ad
elementi di sospetto quali: - mero possesso dell'autovettura  ovvero:
rapporto di amicizia con il  Novella,  trascurando  illogicamente  di
considerare che mancava ogni prova del coinvolgimento  del  Mandalari
in ordine alla ricettazione, atteso che egli  non  aveva  fornito  il
certificato di residenza, non era intestatario dell'autovettura e non
aveva preso contatti con agenzie; 
        2) la sentenza era anche  da  censurare  per  avere  ritenuto
l'aggravante  dei  danno  patrimoniale  di  rilevante  gravita'  sena
adeguata motivazione e, soprattutto, senza considerare gli  specifici
motivi di gravame sollevati nell'appello; 
    in particolare, la motivazione non aveva indicato gli elementi da
cui desumere  il  valore  rilevante  dell'autovettura,  ignorando  la
documentazione offerta dalla difesa, allegava  all'uopo  copia  dello
stato giuridico dell'autovettura; 
        3) la sentenza era infine da censurare per omessa motivazione
in ordine al diniego delle attenuanti generiche;  risultava  illogico
il riferimento ai precedenti penali  dell'imputato,  atteso  la  loro
risalenza nel tempo; 
    Novella: 
        Motivi ex art. 606, primo comma, lett. b) e) c.p.p. 
        1) il ricorrente censura la  sentenza  impugnata  per  omessa
motivazione riguardo al motivo di appello  con  il  quale  era  stata
dedotta la nullita' per difetto di notifica dell'avviso di fissazione
dell'udienza preliminare; al riguardo si' lamenta che la notifica non
sarebbe avvenuta nel domicilio eletto  dall'imputato  presso  il  suo
difensore  ma  sarebbe  stata  effettuata  nella  sua  abitazione  in
Bollate, trovata chiusa; 
        2) il ricorrente censura  la  sentenza  impugnata  per  avere
illogicamente quanto superficialmente motivato sui motivi di  appello
relativi alla identificazione dell'imputato,  effettuata  in  maniera
inattendibile dalla teste Cannone su un supporto  non  adeguato  come
l'immagine di una fototessera; la Corte aveva ignorato l'elemento  di
equivocita' costituito dalla somiglianza del Novella Alessio  con  il
fratello Vincenzo e dal fatto  che  l'odierno  ricorrente  era  stato
identificato come «Enzo»; 
    gli indizi raccolti  a  carico  del'imputato  non  erano  percio'
univoci ne' gravi ne' precisi; 
    Aloi: 
        Motivi ex art. 606,1° comma, lett. b) c) e) c.p.p. 
        1) il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione
del'art. 192 cpp avendo ricavato  la  responsabilita'  dell'imputato,
per il reato di ricettazione, dalla circostanza del possesso  di  una
Lancia Thema di provenienza furtiva; 
    tale circostanza pero', di per se', non era  sufficiente  per  la
dimostrazione del reato perche' l'autovettura non era  stata  oggetto
di denuncia di furto e non era stata mai ritrovata; non  era  percio'
sufficiente il rinvenimento di una sua falsa immatricolazione, ne' la
circostanza che l'Aloi era stato trovato a bordo della predetta  auto
in occasione di un controllo di polizia; 
    la motivazione aveva illogicamente ignorato la circostanza che  i
militari  operanti  avevano  accertato  che  quella  vettura  era  in
possesso anche di  altre  persone,  quali  i  fratelli  Vitale  ed  i
fratelli Cimmino; 
    erroneamente la sentenza si era fondata sulle  dichiarazioni  dei
fratelli Vitale, da ritenersi inutilizzabili, - sia perche'  recepite
in un'annotazione di servizio e non in un verbale e - sia  perche'  i
predetti Vitale avrebbero dovuto essere  sentiti  come  indiziati  di
reato, in ossequio al disposto dell'art. 63,comma II° cpp; 
        2) la sentenza era illogica nella parte in cui aveva ritenuto
l'aggravante ex art.  61  n.  7  cp  che,invece,  era  esclusa  dalla
circostanza che la mancata  presentazione  della  denuncia  di  furto
rendeva manifesto lo scarso valore della vettura; 
    Con motivi nuovi  veniva  eccepita  l'estinzione  dei  reati  per
intervenuta prescrizione alla luce della normativa piu' favorevole ex
legge n. 251/2005; 
    in subordine al  motivo  che  precede  si  solleva  eccezione  di
legittimita' costituzionale della legge n. 251 del 2005, art. comma 3
per contrasto con l'art. 117 Cost., questione che trae  spunto  dalle
sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del  22-24  ottobre
2007. Con la sentenza n. 393/2005 (recte 06) la Corte  costituzionale
aveva gia' affrontato incidenter la forza giuridica che  deve  essere
riconosciuta all'art. 15 del Patto sui diritti civili e  politici  di
New York del 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con  legge
25 ottobre 1077, n.  881,  patto  di  natura  convenzionale  che  non
rappresenta   fonte   del   diritto    internazionale    generalmente
riconosciuto  (diritto  internazionale  consuetudinario),  al   quale
(solo) deve invece essere attribuita una  dignita'  pari  alle  norme
costituzionali, ai sensi dell'art. 10 Cost.  La  citata  sentenza  n.
393/2005 (recte 06) ha richiamato anche il comma 2  dell'art.  6  dei
Trattato dell'Unione Europea (sottoscritto ad Amsterdam il 2  ottobre
1997 e ratificato con legge 18 giugno 1998, n. 209) e sentenze  della
Corte di Giustizia delle  Comunita'  europee  nonche'  la  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea  proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000. Ma  la  questione  viene  ora  posta  con  riferimento
all'art. 117 cost. che nel testo vigente  dispone  che  «la  potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto
della Costituzione, nonche' dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». Poiche' la stessa Corte
costituzionale ha stabilito l'equiparazione della pena piu' mite  con
quella della prescrizione  piu'  favorevole  dalle  richiamate  norme
pattizie di carattere internazionale risulta  evidente  il  contrasto
tra la legge n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 con l'art. 117  Cost.,
comma   1   in   quanto   in   violazione   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli  obblighi  internazionali  sopra
richiamati; 
 
                       Motivi della decisione 
 
    Il ricorrente Aloi Francesco, a mezzo dei Difensore  di  fiducia,
ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale della legge  n.
251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto  con  l'art.  117  Cost.
richiamando l'ordinanza di questa sezione 2° n. 22357 emessa in  data
27 maggio 2010 depositata l'11 giugno 2010, Reg. Ordinanze n. 344 del
2010; 
    Questo Collegio condivide pienamente l'ordinanza in  oggetto  che
qui espressamente richiama, osservando: 
    «1. Con la sentenza n. 393 del 2006 la  Corte  costituzionale  ha
premesso che l'art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato,  ed  e'
stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice
delle leggi che di quello di legittimita', nei senso che la locuzione
"disposizioni piu' favorevole al reato'' si riferisce a tutte  quelle
norme che apportino  modifiche  in  melius  alla  disciplina  di  una
fattispecie  criminosa,  ivi  comprese  quelle  che  incidono   sulla
prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura  sostanziale  e
con l'effetto che produce, perche' "il  decorso  del  tempo  non  si'
limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina  la  punibilita'  in
se' e per se', in quanto costituisce una  causa  di  rinuncia  totale
dello Stato alla potesta' punitiva'' (Cass. sez. 1, 8 maggio 1998  n.
7442). Ha quindi precisato che "il regime  giuridico  riservato  alla
lex  mitior,  e  segnatamente  la  sua  retroattivita',   ne   riceve
nell'ordinamento la tutela privilegiata di  cui  all'art.  25  Cost.,
comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla  citata
disposizione,  concerne   soltanto   il   divieto   di   applicazione
retroattiva della norma  incriminatrice,  nonche'  quella  altrimenti
piu' sfavorevole per il  reo.''  Ne  ha  tratto  la  conclusione  che
"eventuali deroghe al principio di retroattivita' della  lex  mitior,
ai sensi dell'art. 3  Cost.,  possono  essere  disposte  dalla  legge
ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa''  ed
in questa ottica ha rammentato che  il  principio  di  retroattivita'
della lex mitior e' stato sancito sia a livello internazionale sia  a
livello comunitario. In primo luogo l'art. 15,  comma  1,  dei  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato  a  New
York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo  con  legge  25
ottobre 1977, n. 881, il quale  stabilisce  che  "se,  posteriormente
alla commissione di un reato, la legge prevede l'applicazione di  una
pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne'', "disposizione alla
quale si collega la riserva dell'Italia nel  senso  dell'applicazione
limitata ai procedimenti in corsa e non anche a quelli nei quali  sia
intervenuta una decisione definitiva''. 
    Il ricorrente ha correttamente osservato che gia' questa norma di
caratteri internazionale, se parametrata  non  all'art.  3  Cost.  ma
all'art. 117 Cost. comma 1, rende  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria
in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente
in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza  alla  regola  cogente,
imposta dalla norma pattizia («deve beneficiarne») per  la  quale  la
lex mitior deve  essere  di  immediata  applicazione,  senza  che  le
deroghe disposte dalla legge ordinaria  possano  essere  giustificate
per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo.  Tale
bilanciamento e' stata operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perche'
come parametro e' stata assunto quello dell'art. 3 Cost. 
    Osserva  il  Collegio  che  successive   pronunce   della   Corte
costituzionale, da ultimo la sentenza n.  93  dell'8-12  marzo  2010,
hanno affermato in maniera costante che "le norme della  CEDU  -  nel
significato  loro  attribuito  dalla  Corte   europea   dei   diritti
dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse  interpretazione
ed  applicazione  (art.  32,  paragrafo  1,  della   Convenzione)   -
integrano, quali "norme  interposte'',  il  parametro  costituzionale
espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui  impone  la
conformazione della legislazione interna ai vincoli  derivanti  dagli
"obblighi internazionali'' (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n.  39
del 2008)''. Ne consegue che "nel caso in cui si profili un eventuale
contrasto tra  una  norma  interna  e  una  norma  CEDU,  il  giudice
nazionale  comune,  deve,  quindi,  preventivamente   verificare   la
praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma
convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di  ermeneutica
giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale  soluzione  risulti
impercorribile  (non  potendo  egli  disapplicare  la  norma  interna
contrastante),   deve   denunciare   la   rilevata   incompatibilita'
proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al
parametro dianzi indicato''. La Grande Camera della Corte Europea dei
diritti dell'uomo, in seguito al ricorso n. 10249/2003 presentato  da
S.F., con sentenza del  17  settembre  2009  ha  imposto  alla  Stato
italiano di porre fine alla  violazione  degli  artt.  6  e  7  della
Convenzione e di assicurare che la pena  dell'ergastolo  inflitta  al
ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a  quella  della
reclusione di anni trenta. 
    La CEDU e' pervenuta alla citata decisione avendo  affermato  che
l'art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio  del  divieto
di applicazione retroattiva della legge penale,  incorpora  anche  il
corollario dei diritto dell'accusato al trattamento  piu'  lieve.  In
particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver
rammentato  le  proprie  precedenti   pronunce   sull'interpretazione
dell'art.  7  della  Convenzione  (par  103),  la  Corte  europea  ha
stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere  internazionale
e di pronunce  applicative  e  interpretative  di  esse  imponeva  un
"approccio dinamico ed evolutivo nell'interpretazione dell'art. 7''. 
    Allo scopo richiamava (par.  104)  l'art.  491  della  Carta  dei
diritti fondamentali della Unione Europea (c.d. Carta di  Nizza),  la
sentenza 3 maggio 2005  della  Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee (sentenza Berlusconi) e  lo  stesso  art.  2  c.p.  italiano.
Affermava in conseguenza il principio (par.  109)  secondo  il  quale
"... l'art. 71 della Convenzione non sancisce solo il principio della
irretroattivita'  della  legge  penale   piu'   severa,   ma   anche,
implicitamente, il principio della retroattivita' della legge  penale
meno severa'' per cui "...se la legge penale  in  vigore  al  momento
della perpetrazione del reato e le leggi penali  posteriori  adottate
prima della pronuncia di una sentenza  definitiva  sono  diverse,  il
giudice  deve  applicare  quella  le  cui  disposizioni   sono   piu'
favorevoli all'imputato''. 
    Risulta evidente il "nuovo'' significato  attribuito  all'art.  7
della Convenzione, integrante "norma interposta'',  in  relazione  al
parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost. 
    Il Giudice delle leggi con la citata sentenza  n.  93  del  2010,
richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349  e  n.
348 del 2007, ha spiegato che la Corte Costituzionale, nel  procedere
allo scrutinio di sua competenza, "resta legittimata a verificare  se
la norma della Convenzione ... - norma che si colloca pur  sempre  ad
un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente  in  conflitto
con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale  nella  quale
dovra' essere  esclusa  la  idoneita'  della  norma  convenzionale  a
integrare il parametro considerato''. 
    Lo scrutinio relativo e' sottratto al giudice ordinario. 
    Ne' esso risulta effettuato con la gia' citata  sentenza  n.  393
del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha Osservato che «Il livello
di   rilevanza   dell'interesse   preservato   dal    principio    di
retroattivita' della lex mitior - impone di ritenere che il valore da
esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo  in
favore  di  interessi  di  analogo  rilievo   (quali   -   a   titolo
esemplificativo  -  quelli  dell'efficienza   del   processo,   della
salvaguardia dei diritti  dei  soggetti  che,  in  vario  modo,  sono
destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che  coinvolgono
interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale  connessi  a
valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n.  10  del
1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)''. 
    Cio' non tanto perche'  il  parametro  di  riferimento  e'  stato
l'art. 3 Cost., quanto piuttosto perche' gli  elementi  assunti  come
tertium  comparationis  sono  costituiti  da  "interessi  di  analogo
valore'', senza indicazione specifica di "conflitto'' con altre norme
della  Costituzione  (ipotesi  che  la  Corte  costituzionale   nelle
ricordate  sentenze  definisce  "eccezionale''  e  riserva  alla  sua
competenza,  di  guisa  che  non  sembra  corretta  una   valutazione
interpretativa, da parte del giudice ordinario,  di  motivazione  non
esplicita di altra sentenza della Corte costituzionale). ». 
    2. La questione,  oltre  che  non  manifestamente  infondata,  e'
rilevante, perche' il  reato  per  cui  si  procede  (art.  648  c.p.
aggravato ex art. 61 b.7 c.p.) e' punito  nel  massimo  con  la  pena
detentiva di anni 10 mesi 8 di reclusione (pena base art.  648  cp  :
anni 8, aumentata di 1/3 ex art.  61  n.  7  cp:  anni  10  mesi  8),
sicche', mentre secondo la "vecchia'' disciplina dell'art. 157 cp  il
termine massimo di prescrizione era di anni 22 ed andava a scadere al
21 agosto 2012 risalendo la consumazione del reato alla data  del  21
agosto 1990, per converso, con la regola dettata  dal  "nuovo''  art.
157 c.p., la prescrizione massima, con l'aumento di un quarto per  il
novellalo art. 160 c.p., terzo comma cp, e' di anni 10, gia' decorsi. 
    Esaminando gli altri motivi proposti: 
    3. Novella: 
        il primo motivo  sulla  nullita'  conseguente  all'irregolare
notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza  preliminare  e'  del
tutto generico e pertanto inammissibile; 
    E' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi  che
ripropongono le stesse ragioni gia' discussee ritenute infondate  dal
giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi  non  specifici:
la  mancanza  di  specificita'  del  motivo,  infatti,  deve   essere
apprezzata  non  solo   per   la   sua   genericita',   intesa   come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza  di  correlazione  tra  le
ragioni argomentate  dalla  decisione  impugnata  e  quelle  poste  a
fondamento  dell'impugnazione,  questa  non   potendo   ignorare   le
esplicitazioni del  giudice  censurato  senza  cadere  nel  vizio  di
aspecificita' conducente, a norma dell'art. 591  comma  l  lett.  c),
c.p.p., all'inammissibilita'. cassazione penale,sez. III, 19  ottobre
2006 n. 41287). 
    Il ricorrente deduce che l'avviso sarebbe stato notificato presso
la sua abitazione in Bollate  anziche'  presso  il  domicilio  eletto
presso il difensore, ma omette di specificare quando e come sia stato
eletto  tale  domicilio;  va  comunque  considerato  che,   essendosi
proceduto alla notifica ex art. 157 cpp si verte in tema di  nullita'
a  regime  intermedio  che  andava  eccepita  alla   stessa   udienza
preliminare; 
    il ricorrente non ha fornito alcuna  indicazione  al  riguardo  e
neppure ha  precisato  se  era  presente  all'udienza,  sanando  cosi
l'eventuale nullita'. 
    E' noto il  principio  per  il  quale  mentre  l'omissione  della
citazione determina una nullita' assoluta ed insanabile, rilevabile e
deducibile in ogni stato e  grado  del  procedimento,  la  violazione
delle norme  di  legge  stabilite  per  le  notificazioni  configura,
invece, una nullita' a  regime  intermedio  ai  sensi  dell'art.  180
stesso codice, non piu' deducibile o rilevabile per  la  prima  volta
dopo la conclusione del giudizio di primo grado.  (Cassazione  penale
sez. IV 1° aprile 2004, n. 36724). 
    Il secondo motivo attiene al merito e,  contrariamente  a  quanto
sostenuto dal  ricorrente,  la  Corte  di  appello  ha  adeguatamente
motivato  riguardo  all'identificazione  del  Novella  ed  alla   sua
responsabilita' osservando: che li Novella si era recato  piu'  volte
presso l'Agenzia Trieste di Bollate, producendo  false  dichiarazioni
conformita' nonche' falsi atti di vendita al fine  di  precostituirsi
gli elementi per la nuova immatricolazione di ben. 13 autovetture, di
accertata provenienza furtiva; 
        che tale circostanza emergeva dalla testimonianza di  Cannone
Antonietta  che  aveva  riconosciuto  l'imputato  su  una  fotografia
sequestrata al coimputato Gullo; 
        che tale riconoscimento eliminava ogni  dubbio  sulla  sicura
identificazione  dell'imputato,  nonostante  la  somiglianza  con  il
fratello Vincenzo e nonostante che il  medesimo  si  faceva  chiamare
«Enzo»; 
        che l'attendibilita'  della  Cannone  era  riscontrata  dalla
circostanza che Novella Alessio era stato anche individuato  a  bordo
di un'autovettura Fiat Uno come gia' indicato dalla medesima teste. 
    Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perche'  aderente
ai fatti di causa e perche' immune da illogicita' evidenti; 
    per converso, le deduzioni difensive si risolvono in  valutazioni
alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di
sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimita' non
e' chiamato a sovrapporre la propria valutazione  a  quella  compiuta
dai giudici di merito in ordine alla  affidabilita'  delle  fonti  di
prova, essendo piuttosto suo compito stabilire -  nell'ambito  di  un
controllo  da  condurre  direttamente  sul  testo  del  provvedimento
impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli  elementi  a
loro   disposizione,   se   ne   abbiano   fornito    una    corretta
interpretazione,  dando  esaustiva  e   convincente   risposta   alle
deduzioni  delle  parti,  in  modo  da  fornire  la   giustificazione
razionale della scelta di determinate  conclusioni  a  preferenza  di
altre. Cassazione_penale sez. IV 29 gennaio 2007, n. 12255. 
    4. Mandalari: 
        I motivi sono del tutto infondati. 
    Quanto al primo motivo si deduce la mancanza di motivazione sulla
prova dell'elemento soggettivo del reato, senza considerare  che,  al
contrario,  la  sentenza  impugnata  motiva   in   maniera   congrua,
sottolineando che, a parte il ruolo preminente del Novella, il  ruolo
degli altri imputati era consistito: 
        nel fornire il proprio certificato di residenza; 
        nel farsi intestare l'autovettura da riciclare; 
        nel possesso del veicolo di provenienza illecita; 
    in specie, quanto al Mandalari, la  sentenza  ricorda  che  egli,
amico del Novella, aveva l'uso ed il possesso dell'autovettura di cui
al  capo  di  imputazione  al  capo  5-A)  e  che  la   prova   della
consapevolezza dell'origine delittuosa emergeva dalle circostanze che
il veicolo aveva: - la  targa  falsa  -  un  telaio  alterato  -  era
fittiziamente intestata a Di Terlizzi ; 
    a questo ultimo riguardo  la  sentenza  evidenzia  che  il  pieno
coinvolgimento del Mandalari nell'operazione  dl  riciclaggio  (reato
all'epoca non  sussistente  -  il  che  giustifica  l'imputazione  di
ricettazione) emergeva altresi' dalla circostanza che il Di  Terlizzi
aveva rilasciato procura a vendere al Mandalari che, a sua volta, per
affermazione  del   fratellastro   Pasquino,   l'aveva   prestata   a
quest'ultimo; 
    si tratta di motivazione congrua ed immune da illogicita' perche'
la Giurisprudenza ha affermato i principio  per  il  quale  la  prova
dell'elemento soggettivo del reato puo' essere ricavata da  qualunque
elemento di fatto  giuridicamente  apprezzabile  che,  in  base  alle
regole  della  comune  esperienza,  costituisca  il  segno   di   una
precedente sottrazione illecita del bene. Cassazione penale, sez. II,
13 marzo 2008, n. 13502. 
    Quanto ai  motivi  sulla  mancata  concessione  delle  attenuanti
generiche, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, la  sentenza
motiva adeguatamente, richiamando - ai sensi dell'art. 133  cp  -  la
gravita' della condotta ed i precedenti penali riportati, 
    Quanto all'aggravante ex art. 61 n. 7 c.p., il motivo  di  omessa
motivazione e' infondato atteso che la corte, stante la ripetitivita'
delle imputazioni di ricettazione delle autovetture, sottolinea -  in
relazione alle  condotte  ascritte  al  Novella  -  ma  con  evidente
riferimento a tutte le ipotesi di ricettazione  aggravata  contestate
anche agli altri coimputati - che il danno patrimoniale di  rilevante
gravita' derivava dal dato oggettivo che le  vetture  avevano  valore
elevato quantificato in «svariate decine di milioni di liredegli anni
90»; 
    Si tratta di una motivazione congrua, per un verso,  perche'  dai
capi di imputazione emergeva che si trattava sempre di auto di grossa
cilindrata  e,  per  altro  verso,  perche'  dagli  stessi  capi   di
imputazione emergeva che  il  Novella  era  coinvolto,  a  titolo  di
concorso,  in  tutti  gli  episodi  di   ricettazione,   sicche'   la
motivazione a lui relativa era  chiaramente  estensibile  anche  agli
altri coimputati nelle rispettive con testazioni, rendendo inutile la
ripetizione stilla valutazione del valore delle auto. 
    Anche in questo caso la motivazione e'  congrua,  atteso  che  ai
fini  della  sussistenza  della  circostanza  aggravante  del   danno
patrimoniale di rilevante gravita' (art. 61, n. 7, c.p.), preliminare
e decisivo e' l'esame dell'oggettiva rilevanza economica  del  danno,
desunta essenzialmente dal livello economico  medio  della  comunita'
sociale  nei  momento  storico  in  cui  il  reato  viene   commesso,
indipendentemente dalla  consistenza  patrimoniale  del  danneggiato:
principio che vale «a fortiori» in presenza di un valore economico di
evidente oggettiva rilevanza. (Affermazione resa in  una  fattispecie
di tentata truffa avente a oggetto la compravendita di un'autovettura
dietro corresponsione di un assegno privo  di  copertura  di  importo
superiore  a  23  mila  euro:  la  Corte  ha  ritenuto  correttamente
ravvisata  l'aggravante  in  ragione   dell'importo   dell'operazione
economica,  tra  l'altro  riferentesi  all'anno  2002,  di  oggettiva
rilevanza). (Cassazione penale, sez. fer., 13 agosto 2009, n. 33408). 
    5. Aloi: 
    Al contrario di quanto sostenuto nel motivo di ricorso, la  Corte
di appello ha chiaramente indicato il  percorso  logico-motivazionale
con  il  quale  e'   giunta   all'affermazione   di   responsabilita'
dell'imputato Aloi, evidenziando: 
        che l'imputato era stato trovato in possesso dell'autovettura
Lancia Thema (capo 1-a) durante un controllo di polizia; 
        che tale possesso era stato confermato:  dalle  dichiarazioni
rese dai fratelli Vitale; dalle notizie trasmesse dai carabinieri del
luogo di origine dell'Aloi; dalla circostanza che lo stesso Aloi  era
stato visto in possesso di quell'auto  in  occasione  del  matrimonio
della sorella del coimputato Novella; 
        che il  Novella  aveva  chiesto  una  nuova  immatricolazione
proprio per quella autovettura; 
        che l'apparente intestatario, il coimputato Ruggiero  Franco,
aveva dichiarato di' non averla mai acquistata, anche se egli  stesso
aveva fornito il certificato di residenza  servito  per  la  fittizia
intestazione; 
    si tratta di una motivazione congrua  e  del  tutto  idonea  alla
dimostrazione   sia   dell'elemento   oggettivo    della    materiale
disponibilita' dell'autovettura vettura ricettata e sia  della  reale
esistenza della medesima, ancorche' non ritrovata in seguito; 
    le deduzioni difensive relative alla mancata dimostrazione  della
provenienza delittuosa  della  vettura  trascurano  completamente  le
emergenze del capo dl imputazione  (capo  1-a)  ove  viene  posto  in
evidenza che l'origine  furtiva  della  medesima  auto  rinveniva  da
dall'avere sia la targa che il numero di telaio falsificati; 
    Ai fini della configurabilita' del reato di  riciclaggio  non  si
richiede l'accertamento giudiziale del delitto presupposto,  ne'  dei
suoi autori, ne' dell'esatta tipologia di esso,  essendo  sufficiente
che sia raggiunta la prova logica della  provenienza  illecita  delle
utilita'  oggetto  delle  operazioni  compiute  e  cio'  «a  fortori»
nell'ambito del procedimento  cautelare  in  cui  e'  sufficiente  la
«probatio minor»  scaturente  dalla  valutazione  di  gravita'  degli
indizi acquisiti. Cassazione penale,  sez.  V,  21  maggio  2008,  n.
36940. 
    Ne'   possono    trovare    ingresso    le    censure    relative
all'inutilizzabilita'  delle  dichiarazioni  dei   fratelli   Vitale,
dovendosi ricordare che la sanzione di inutilizzabilita' «erga omnes»
delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da  un  soggetto
che avrebbe dovuto fin dall'inizio  essere  sentito  in  qualita'  di
imputato o persona soggetta  alle  indagini,  postula  che  a  carico
dell'interessato siano gia' acquisiti, prima dell'escussione,  indizi
non  equivoci  di  reita',  come   tali   conosciuti   dall'autorita'
procedente, non rilevando a  tale  proposito  eventuali  sospetti  od
intuizioni personali dell'interrogante. Cassazione penale, sez.  un.,
23 aprile 2009, n. 23868. 
    6. I motivi di  ricorso  articolati  collidono  con  il  precetto
dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in quanto  trascurano  di  prendere  in
considerazione aspetti sostanziali e decisivi della  motivazione  del
provvedimento   impugnato,   proponendo   soluzioni   e   valutazioni
alternative,  sicche'  sarebbero  da  ritenersi  inammissibili.  Tale
soluzione e' pero' preclusa dalla rilevata non manifesta infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale della legge n. 251 del
2005, art. 10 che si pone come pregiudiziale  essendo  evidente  che,
ove dovesse  dichiararsi  l'estinzione  per  prescrizione  dei  reati
ascritti, la dichiarazione di inammissibilita' dei  ricorsi  verrebbe
impedita e superata dalla regola dettata dall'art. 129 c.p.p. 
    Per  l'effetto  va  dichiarata  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale della legge  n.
251  del  2005,  art.  10,  comma  3  nella  parte  in  cui   esclude
l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi,  per
«i processi gia' pendenti in grado di appello o aventi alla Corte  di
Cassazione», in relazione all'art. 117 cost. e all'art. 7 della  CEDU
come interpretato dalla Commissione Europea dei diritti dell'uomo.