Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  314,  secondo
comma,  del  codice  penale,  promosso  dal  Tribunale  di  Nola  nel
procedimento penale a carico di B. C. con ordinanza  del  4  novembre
2010, iscritta al n. 35 del  registro  ordinanze  2011  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 4 novembre 2010 (r.o. n. 35
del 2011), il Tribunale di Nola ha sollevato, in riferimento all'art.
27,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice penale, nella
parte in cui non  estende  la  disciplina  del  peculato  d'uso  alle
ipotesi in  cui  la  mancata  restituzione  della  cosa,  oggetto  di
appropriazione, sia dovuta solo a caso  fortuito  o  forza  maggiore,
sottoponendola cosi' al piu' grave regime del peculato; 
        che il  giudice  a  quo  procede  nei  confronti  di  persona
imputata del reato di cui all'art. 314 cod. pen., perche' -  nominata
custode di un veicolo di proprieta'  altrui  sottoposto  a  sequestro
amministrativo - era stata sorpresa a circolarvi; 
        che i carabinieri avevano  proceduto  a  un  nuovo  sequestro
dell'auto, dandone notizia all'Autorita' giudiziaria; 
        che, ad avviso del rimettente, nell'ipotesi di utilizzazione,
attraverso la messa in  circolazione  non  autorizzata,  del  veicolo
sottoposto  a  sequestro  amministrativo   la   condotta   contestata
all'imputato non sarebbe  sussumibile  nella  fattispecie  delittuosa
dell'art. 334 cod. pen., ma  dovrebbe  essere  invece  «correttamente
ravvisato il reato di peculato (...)»,  perche'  l'imputato,  facendo
uso dell'autovettura a lui «affidata solo per  ragioni  di  ufficio»,
«operava una  abusiva  interversione  del  titolo  pubblicistico  del
possesso e si comportava uti dominus contravvenendo alle ragioni  che
giustificavano la sua disponibilita' della res»; 
        che, essendo nel caso di specie  configurabile  un  peculato,
non sarebbe pertanto rilevante la questione, oggetto di un  contrasto
giurisprudenziale,  sull'esistenza  o  meno   di   un   rapporto   di
specialita'  tra  l'art.  334  cod.  pen.  (reato  di  sottrazione  o
danneggiamento di cose sottoposte  a  sequestro)  e  l'art.  213  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), che sanziona come illecito  amministrativo  la  condotta  di
colui  che  circola  abusivamente  con  l'autovettura  sottoposta   a
sequestro amministrativo; 
        che il reato contestato (peculato ex art. 314,  primo  comma,
cod. pen.) doveva pero' essere derubricato in peculato d'uso ex  art.
314, secondo comma, cod. pen., perche' «nei casi in  cui  un  custode
venga sorpreso sulla pubblica via alla guida di  un'auto  sequestrata
ex art. 213 C.d.S. e rimessa alla sua vigilanza, [dovrebbe] assumersi
sussistente non tanto una appropriazione definitiva della res volta a
violare  definitivamente  il  vincolo  di  indisponibilita'  che   il
pubblico ufficiale  doveva  (far)  rispettare,  quanto  il  mero  uso
momentaneo della cosa da parte di un agente che, solo per  la  durata
della fruizione,  ha  operato  una  (provvisoria)  distrazione  della
stessa dalle finalita' conservative che gli erano state affidate»; 
        che infatti, mancando la prova dell'intendimento del pubblico
ufficiale di acquisire definitivamente la cosa  sottoposta  alla  sua
custodia, «per il generale principio  del  favor  rei  immanente  nel
nostro ordinamento, deve ritenersi che l'agente (...) abbia posto  in
essere  solo  un  utilizzo  momentaneo  della  stessa   destinato   a
terminare, con restituzione immediata, non appena concluse le ragioni
cronologicamente ridotte dell'indebita distrazione»; 
        che tuttavia, nel caso di specie, «la restituzione del  mezzo
al suo originario vincolo di indisponibilita'  non  aveva  luogo»,  a
causa   di   «una   situazione    sopravvenuta    (nuovo    sequestro
amministrativo) che, configurandosi  in  termini  di  forza  maggiore
(factum principis), impediva radicalmente all'agente di far luogo  ad
una libera restituzione, in tal  modo  imponendo  l'applicazione  del
delitto di cui all'art. 314, primo comma, cod.  pen.  nonostante  che
l'elemento psicologico del reato deponesse in senso diverso»; 
        che,  pertanto,  si  sarebbe  dovuta  irrogare  la   sanzione
prevista  per  il  reato  di  peculato,   difettando   gli   elementi
specializzanti della  meno  grave  ipotesi  di  peculato  d'uso  (uso
momentaneo della cosa seguito dalla sua immediata restituzione); 
        che,  con  la  sentenza  n.   1085   del   1988,   la   Corte
costituzionale ha dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  l'art.
626, primo comma, numero 1),  cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
estende la disciplina da  esso  prevista  alla  mancata  restituzione
della cosa sottratta dovuta a caso fortuito  o  forza  maggiore,  per
violazione dell'art. 27, primo  comma,  Cost.,  in  quanto  la  norma
costituzionale richiede non solo che tutti e ciascuno degli  elementi
che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie  siano
soggettivamente collegati all'agente e  siano  quindi  investiti  dal
dolo o dalla colpa, ma  anche  che  tutti  e  ciascuno  dei  predetti
elementi siano allo stesso rimproverabili; 
        che, ad avviso del giudice a quo, il peculato  d'uso  e'  una
figura di reato dalla struttura analoga a quella del furto d'uso,  in
cui «l'immediata restituzione della cosa oggetto di  delitto  integra
una fattispecie criminosa meno grave (rispetto alla fattispecie base,
peculato ordinario o  furto  semplice)  meritevole  di  una  risposta
sanzionatoria piu' tenue»; 
        che, conclude il rimettente, l'art. 314, secondo comma,  cod.
pen. appare incostituzionale,  per  violazione  dell'art.  27,  primo
comma, Cost., esattamente come l'art. 626, primo  comma,  numero  1),
cod. pen., nella parte in cui non estende la disciplina del  peculato
d'uso alle ipotesi in cui la mancata restituzione della cosa  oggetto
di appropriazione sia dovuta solo a caso fortuito o a forza maggiore,
sottoponendola cosi' al piu' grave regime dell'art. 314, primo comma,
cod. pen.; 
        che e' intervenuto nel  giudizio  di  costituzionalita',  con
atto depositato il 22 marzo 2011, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia  dichiarata  inammissibile  per
difetto di rilevanza; 
        che, secondo  la  difesa  dello  Stato,  l'irrilevanza  della
questione   discenderebbe   dal   rilievo   che   la    censura    di
costituzionalita' investirebbe una norma  incriminatrice  diversa  da
quella applicabile nel giudizio a quo; 
        che, infatti, la fattispecie sottoposta all'esame del giudice
rimettente   dovrebbe   essere   riqualificata,   alla   luce   della
sopravvenuta pronuncia delle sezioni unite della Corte di  cassazione
del 28 ottobre 2010 -  21  gennaio  2011,  n.  1963,  quale  illecito
amministrativo ai sensi dell'art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992; 
        che, con una successiva memoria depositata il 30 agosto 2011,
l'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto un'ulteriore ragione  di
inammissibilita' della questione, perche' il giudice  a  quo  avrebbe
omesso di accertare il carattere occasionale  ed  episodico  dell'uso
della res e l'intenzione dell'imputato di restituirla subito dopo. 
    Considerato che il  Tribunale  di  Nola  dubita,  in  riferimento
all'art. 27, primo  comma,  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice penale, nella
parte in cui non  estende  la  disciplina  del  peculato  d'uso  alle
ipotesi in  cui  la  mancata  restituzione  della  cosa,  oggetto  di
appropriazione, sia dovuta solo a caso  fortuito  o  forza  maggiore,
sottoponendola cosi' al piu' grave regime del peculato; 
        che    va    preliminarmente    accolta    l'eccezione     di
inammissibilita' per difetto di rilevanza  formulata  dall'Avvocatura
dello Stato; 
        che la giurisprudenza di legittimita' si e' posta il problema
di stabilire se, nel caso di fatto commesso dal custode in favore del
proprietario dell'autovettura sottoposta a sequestro amministrativo o
dal custode che ne sia anche proprietario, la condotta di  colui  che
circola abusivamente con la stessa sia riconducibile alla sola  norma
sanzionatoria amministrativa dell'art. 213 del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ovvero integri anche
la fattispecie delittuosa prevista dall'art. 334 cod. pen.; 
        che  una   parte   della   giurisprudenza   ha   escluso   la
configurabilita' del delitto di cui all'art. 334 cod. pen., ritenendo
sussistente  un  rapporto   di   specialita'   tra   la   fattispecie
incriminatrice  e  quella  sanzionata  amministrativamente,  con   la
conseguenza che la condotta di colui  che  circola  abusivamente  con
l'autovettura   sottoposta    a    sequestro    dovrebbe    rientrare
esclusivamente nel campo di applicazione della disposizione speciale,
costituita appunto dall'art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992; 
        che secondo un altro orientamento invece  l'introduzione,  da
parte del codice della strada, di  una  fattispecie  ad  hoc  non  ha
influito  sull'ambito  di  operativita'  della  norma  incriminatrice
dell'art.  334  cod.  pen.,  la   quale   continuerebbe   a   trovare
applicazione,    eventualmente    in    concorso    con    l'illecito
amministrativo, non sussistendo tra le due disposizioni  un  rapporto
di specialita'; 
        che, successivamente all'ordinanza di rimessione, le  sezioni
unite della Corte di cassazione (sentenza del 28 ottobre  2010  -  21
gennaio 2011, n. 1963) hanno composto il contrasto giurisprudenziale,
escludendo che, nella condotta di colui che circola abusivamente  con
l'autovettura   sottoposta   a    sequestro    amministrativo,    sia
configurabile, oltre  alla  violazione  amministrativa  prevista  dal
quarto comma dell'art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992, anche il reato
di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro; 
        che, in particolare, dopo aver ricordato che il concorso  tra
fattispecie penali e violazioni amministrative  e'  disciplinato  dal
principio di  specialita',  ai  sensi  dell'art.  9  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la Suprema Corte
ha ritenuto che, nel caso  di  specie,  sia  configurabile  solamente
l'illecito amministrativo  previsto  dal  codice  della  strada,  che
costituisce fattispecie speciale rispetto alla fattispecie delittuosa
prevista dal codice penale; 
        che, infatti, l'art. 213 del d.lgs. n. 285 del  1992  delinea
un illecito qualificato da elementi specializzanti rispetto al  reato
di cui all'art. 334 cod. pen.: la circolazione abusiva  e  la  natura
amministrativa del sequestro; 
        che, secondo i giudici di legittimita', anche la  circostanza
che l'illecito amministrativo possa essere commesso da "chiunque",  e
non solamente dal proprietario o dal custode del veicolo, rappresenta
un ulteriore elemento  specializzante  per  aggiunta,  rispetto  alla
fattispecie delittuosa; 
        che il giudice a quo - rilevato che il pubblico ministero  ha
contestato all'imputato, in qualita' di custode non proprietario  del
veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, il reato di peculato -
ha escluso che la condotta ad esso addebitata sia  sussumibile  nella
fattispecie delittuosa  prevista  dall'art.  334  cod.  pen.,  avendo
questi agito a fini personali e non gia' per favorire il proprietario
della cosa, e ha ritenuto inconferente la giurisprudenza che  ravvisa
un rapporto di specialita' tra illecito amministrativo  ex  art.  213
del d.lgs. n. 285 del 1992 e illecito penale ex art. 334  cod.  pen.,
perche'  nel  caso  di  specie  non  e'  configurabile  il  reato  di
sottrazione di cose sottoposte a sequestro, ma quello di peculato; 
        che tuttavia il giudice a quo avrebbe  dovuto  verificare  se
anche  rispetto  al  peculato  l'illecito   amministrativo   previsto
dall'art. 213 del d.lgs. n. 285 del  1992  possa  essere  considerato
speciale,  con  la  conseguenza  che  solamente  questa  disposizione
dovrebbe trovare applicazione nel caso concreto; 
        che la mancata verifica preliminare - da parte del giudice  a
quo, nell'esercizio  del  potere  ermeneutico  riconosciutogli  dalla
legge - della praticabilita' di una soluzione interpretativa  diversa
da quella posta a base del dubbio di costituzionalita' prospettato, e
tale da renderlo irrilevante nella specie, comporta - in  conformita'
alla costante giurisprudenza di  questa  Corte  -  l'inammissibilita'
della questione sollevata (ex plurimis, sentenza  n.  192  del  2007;
ordinanze n. 110 del 2010, n. 338 e n. 171 del 2009, n. 32 del 2007 e
n. 34 del 2006); 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.