IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  3383  del  2010,  proposto  da:  Angela  Acierno,
Agostino Grimaldi, Maria Imparato, Guido Maria Talarico, Maria Luigia
Sellano Di Colella Lavina, Alfredo Alvino,  Maria  Laura  Consolazio,
Paola Parente, Alba Di Lascio, Tiziana Monti, Maria Filomena  Luongo,
Lucia Migliaccio, Angelo Marzocchella, Amalia  Marino,  Maria  Lasco,
Vincenza   Palumbo,   Anna   Carbone,   Modesto   Letizia,    Tiziana
Taglialatela, Rosaria Palma,  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti
Alessandro Biamonte  e  Lorenzo  Lentini,  con  domicilio  eletto  in
Napoli, unitamente ai predetti difensori, presso  la  Segreteria  del
Tar, piazza Municipio n. 64; 
    Contro: 
        Regione Campania, in  persona  del  Presidente  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Regionale  in  persona  degli
avv.ti Vincenzo Baroni, Vincenzo Cocozza, Maria D'Elia,  e  Beniamino
Caravita  Di  Torino,  con  domicilio   eletto   ope   legis   presso
l'Avvocatura Regionale in Napoli in via S. Lucia n.81; 
        Consiglio  Nazionale  Forense  presso  Ministero   Giustizia,
Regione  Campania,  A.S.L.  Salerno,  Consiglio   dell'Ordine   degli
Avvocati di Avellino, Consiglio  dell'Ordine  degli  Avvocati  di  S.
Maria Capua Vetere; 
        Ministero  della  Giustizia,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello
Stato, domiciliata ope legis in Napoli, via Diaz n. 11; 
        ASL. Salerno, non costituita in giudizio; 
    e con l'intervento di: 
        Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di  Napoli,  in  persona
del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo
Satta Flores, con domicilio eletto presso Riccardo  Satta  Flores  in
Napoli, via G. Orsini n. 5; 
        Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno,  in  persona
del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria
Annunziata e Renata Pepe, con domicilio eletto unitamente ai predetti
in Napoli presso la Segreteria del T.A.R., piazza Municipio n. 64; 
    Per l'annullamento della Delibera di Giunta Regionale n. 603  del
27 marzo 2009, con la quale e' stata autorizzata l'A.G.C.  Avvocatura
della Giunta Regionale  a  stipulare  con  gli  enti  strumentali  la
convenzioni  previste  dall'art.  29  della  l.r.  n.  1/2009;  della
convenzione rep. 14162  del  10  aprile  2009  stipulata  dall'A.G.C.
Avvocatura e l'A.S.L. di' Salerno, avente ad oggetto l'estensione del
patrocinio legale  e  dell'attivita'  di  consulenza  dell'Avvocatura
Regionale a favore di detto Ente; di  ogni  altro  atto  presupposto,
connesso  o  consequenziale,  comunque   lesivo   dei   diritti   dei
ricorrenti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  della   Regione
Campania, del Ministero della Giustizia,  del  Consiglio  dell'Ordine
degli Avvocati di Napoli e del Consiglio dell'Ordine  degli  Avvocati
di Salerno; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  9  giugno  2011  la
dott.ssa Ines Simona  Immacolata  Pisano  e  uditi  per  le  parti  i
difensori come specificato nel verbale; 
    Con ricorso n. 3383/2010 R.G - trasmesso per competenza ai  sensi
dell'art. 32 legge  n.  1034/71  dal  Tar  Salerno,  dove  era  stato
proposto con  n.  1174/2009  RG  -  i  ricorrenti,  tutti  funzionari
dell'Avvocatura regionale,  hanno  impugnato  la  delibera  regionale
n.603  del  27  marzo  2009,  con  la  quale  l'Avvocatura  e'  stata
autorizzata a stipulare  con  gli  enti  strumentali  le  convenzioni
previste dall'art. 29 della l.r. n. 1/2009 ed e' stato  elaborato  lo
«schema-tipo»  da  sottoscriversi  con  gli  enti  strumentali  della
Regione Campania, ai quali e'  data  la  facolta'  di  avvalersi  del
patrocinio dell'Avvocatura regionale. 
    I  ricorrenti  hanno   altresi'   impugnato,   in   quanto   atto
consequenziale, anche la successiva convenzione rep.14162,  stipulata
da A.G.C. Avvocatura e A.S.L. Salerno, avente ad oggetto l'estensione
del patrocinio legale e dell'attivita' di consulenza  dell'Avvocatura
regionale a favore di detto ente. 
    Ed invero, lo schema di convenzione approvato con la delibera  n.
603/09 postula, all'art. 6 commi 3, 4,  5,  6  l'attribuzione  di  un
duplice mandato all'Avvocatura regionale che dovra'  patrocinare  per
gli enti terzi: un mandato rilasciato  dal  Presidente  della  Giunta
Regionale ed un mandato rilasciato dal legale dell'ente convenzionato
per la difesa nelle liti attive e passive. 
    Tale   convenzione-tipo    affida,    inoltre,    il    controllo
dell'eventuale conflitto di interesse con gli enti  convenzionati  al
Settore regionale competente e all'Avvocatura regionale e  stabilisce
che il compenso spetti all'Avvocatura solo in  caso  di  rigetto  nel
merito delle domande proposte, ovvero in caso di  accoglimento  delle
pretese fatte valere per gli enti  patrocinati,  sulla  base  di  una
parcella  redatta  dall'Avvocatura,  applicando  i  minimi  tariffari
vigenti al valore di ciascuna controversia (da  determinarsi  secondo
il c.p.c., comparando chiesto e pronunciato al  fine  di  evidenziare
l'effettiva componente favorevole per l'ente). 
    A  seguito  del  commissariamento  delle   ASL   Campane,   l'AGC
Avvocatura della Regione Campania, ritenendo di poter applicare anche
a detti enti la l.r. n. 1/09 e la delibera  applicativa  D.R.G.C.  n.
603/09, avrebbe quindi stipulato, con  efficacia  decorrente  dal  1°
maggio 2009, ulteriori e non  meglio  precisate  convenzioni  per  il
patrocinio legale delle ASL in tutte le  sedi  giurisdizionali  (che,
peraltro, divergerebbero dallo schema-tipo). 
    In virtu' di  tali  convenzioni,  sarebbe  stato  richiesto  agli
Avvocati regionali di istruire pratiche di consulenza legale relative
a questioni che vedono parti detti enti, malgrado le ASL non  possano
- secondo l'assunto di parte ricorrente -  essere  qualificate  «enti
strumentali» della Regione, malgrado  l'AGC  non  sia  legittimata  a
stipulare per conto dei singoli Avvocati  regionali  e,  soprattutto,
malgrado il rapporto di esclusiva che vincola gli  avvocati  iscritti
all'Elenco  speciale  degli  Albi,  in  considerazione  del   divieto
contenuto nell'art. 3 del R.D.L. del 27 novembre 1933, n. 1578. 
    Per effetto di tali incarichi, i ricorrenti si vedrebbero  quindi
esposti al rischio di sanzioni disciplinari da parte degli Ordini  di
appartenenza o, qualora si rifiutassero di prestare  tali  attivita',
da parte del datore di lavoro. 
    Come motivi di doglianza, i ricorrenti hanno dedotto le  seguenti
censure. 
1) Violazione degli artt. 3, 24 e 117, comma 2, della Costituzione in
relazione al R.D.  1578  del  1933  e  alla  l.r.  n.  11/91  nonche'
violazione delle norme sull'affidamento di servizi del Trattato U.E.,
eccesso di potere e perplessita'. 
    Si sostiene, infatti, che «anche dopo la modifica  del  Titolo  V
della  Costituzione,  ai  sensi  dell'art.117  Cost.,  comma  3,   la
disciplina delle  professioni  risulta  comunque  ricompresa  tra  le
materie attribuite alla legislazione concorrente delle Regioni», come
piu' volte affermato dal Giudice delle  leggi  che  ha  ritenuto  che
«devono ritenersi riservate allo  Stato  sia  l'individuazione  delle
figure  professionali,  con  i'  relativi   profili   e   ordinamenti
didattici, sia la disciplina dei  titoli  necessari  per  l'esercizio
delle professioni, sia  l'istituzione  di  nuovi  albi»  (cfr.  Corte
costituzionale dell'11 giugno 2008, n. 222). 
    L'attribuzione della materia delle «professioni» alla  competenza
concorrente  dello  Stato,   prevista   dalla   citata   disposizione
costituzionale - continuano i ricorrenti - «prescinde dal settore nel
quale l'attivita' professionale si esplica e corrisponde all'esigenza
di una disciplina uniforme sul piano nazionale che sia coerente anche
con i principi dell'ordinamento comunitario (Cfr. Corte  cost.  sent.
n. 424/06, n. 153/06, n. 40/06, n. 424/05, n. 355/05 e n. 319/05). Di
conseguenza, spetta inequivocamente  alla  legislazione  dello  Stato
fissare i principi generali necessari a garantire l'uniformita' della
disciplina   sull'intero   territorio   nazionale,   residuando    la
possibilita' per le Regioni di porre in essere normative di dettaglio
rispettose dei suddetti principi generali». 
    In  particolare,  per  quanto  attiene   ai   principi   generali
dell'esercizio della  professione  forense,  essi  sono  dettati  dal
R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento  delle  professioni  di
avvocato  e  procuratore)  che  costituisce,  tuttora,  la  normativa
statale di principio, alla cui osservanza sono strettamente tenute le
Regioni  nell'esplicazione   della   propria   potesta'   legislativa
concorrente. 
    Per quanto riguarda il regime delle incompatibilita', l'art.3 del
citato  R.D.L.  stabilisce  che  l'esercizio  della  professione   di
avvocato e' incompatibile con qualunque impiego o ufficio  retribuito
con  stipendio  sul  bilancio  dello  Stato  e  di  qualsiasi   altra
amministrazione o istituzione pubblica. 
    L'unica possibilita'  di  derogare  a  tale  regime,  secondo  il
legislatore statale, e'  subordinata  al  rispetto  di  due  rigorose
condizioni: 
        a)  l'esclusivita'  dell'attivita'   professionale   prestata
dall'avvocato  degli  uffici  legali,  istituiti  presso   gli   enti
pubblici, per il datore di lavoro; 
        b) l'iscrizione degli avvocati nell'Elenco  speciale  annesso
all'Albo ordinario che, dando  atto  del  summenzionato  rapporto  di
esclusivita', autorizza i legali a patrocinare unicamente per  l'ente
di appartenenza. Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, l'art. 29, comma
1, della l.r. n. 1/09 - nell'estendere il patrocinio  dell'Avvocatura
regionale a favore di enti terzi - avrebbe violato  il  principio  di
legge statale che impone l'esclusivita' della  prestazione  a  favore
dell'ente  di  appartenenza.  Da   cio'   discenderebbe   «l'assoluta
inammissibilita' del potere  della  G.R.  di  imporre  ai  ricorrenti
avvocati di prestare la propria attivita'  professionale  in  nome  e
conto di soggetti terzi, per i quali essi  non  sono  e  non  possono
essere  abilitati  al  patrocinio,  stante   il   regime   preclusivo
individuato  dalla  norma  statale  di  principio  che  consente   di
patrocinare per il solo Ente datore di lavoro, determinandosi in caso
contrario conseguenze sul piano della legittimita'  e  permanenza  in
essere del  diritto  all'iscrizione  nell'Elenco  speciale  dell'Albo
professionale». 
    La vicenda in esame -  argomentano  i  ricorrenti  -  per  quanto
concerne il profilo  della  disciplina  delle  professioni,  presenta
elementi  di  identita'  con  la   questione   affrontata   dal   TAR
Lombardia-Milano che, con ordinanza del 7 febbraio 2008, ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  2  della
legge  della  Regione  Lombardia  27  dicembre  2006,  n.   30,   con
riferimento agli artt. 117, commi e 3, e 24,  commi  1  e  2,  Cost.,
nella parte in cui dispone  che  gli  enti  pubblici  indicati  dalla
Giunta  regionale  si  avvalgono,  di  norma,  del  patrocinio  dell'
Avvocatura regionale per la difesa di atti o  attivita'  connessi  ad
atti  di  indirizzo   e   di   programmazione   regionale;   che   la
rappresentanza in giudizio e' disposta conformemente agli ordinamenti
dei singoli enti;  che  i  rapporti  tra  i  soggetti  individuati  e
l'amministrazione regionale sono regolati da apposite convenzioni;  e
infine che la rappresentanza rimane esclusa nei casi di conflitto  di
interessi e per atti e attivita'  inerenti  all'organizzazione  degli
enti. 
    Sebbene nel caso suindicato la vicenda si sia  conclusa,  innanzi
alla Corte costituzionale (v.ord. n. 43 del 13 febbraio 2009), con un
atto di resipiscenza della Regione Lombardia - che con l.r. n. 33 del
28   dicembre   2008   ha   abrogato   la   norma    sospettata    di
incostituzionalita' - ad avviso dei  ricorrenti  «tutti  i  delineati
profili di illegittimita' costituzionale della  legge  lombarda  sono
ravvisabili anche nell'art. 29, comma 1, della l.r. Campania n.1/09». 
    Piu' specificamente, «secondo il G.A. della Lombardia,  la  norma
regionale censurata, incidendo sulla materia  delle  professioni,  si
poneva in contrasto con l'art.l17, 3 comma, Cost., che in materia  di
competenza concorrente  riserva  allo  Stato  la  determinazione  dei
principi fondamentali». 
    In  particolare,  il  TAR  Milano  rilevava  che,  in   tema   di
ordinamento della professione di avvocato, l'art.  3  del  R.D.L.  27
novembre 1933 n. 1578 stabilisce che gli  avvocati  e  i  procuratori
degli uffici legali, istituiti presso gli  enti  di  cui  al  secondo
comma della stessa disposizione, possono  patrocinare  esclusivamente
le cause e gli affari propri dell'ente presso il  quale  prestano  la
loro opera, consentendo, solo in relazione a tali ultimi affari,  che
gli stessi siano « iscritti nell'Elenco speciale dell'Albo ordinario. 
    Per il G.A. lombardo, la ratio del regime delle  incompatibilita'
con l'esercizio della professione di avvocato  risiede  nella  tutela
dell'indipendenza  del  professionista,  oltre  che  degli  interessi
dell'ente pubblico, cui il dipendente e' legato  da  un  rapporto  di
esclusiva  e,  pertanto,  le  uniche  eccezioni  a  tale  regime   di
incompatibilita' sarebbero quelle tassativamente  indicate  dall'art.
3, comma 4, della L.P.F. In definitiva, poiche' il predetto principio
-  secondo  il  TAR  rimettente  -  riveste  carattere  di  principio
fondamentale della legislazione statale,  la  disposizione  normativa
della legge regionale in  questione,  estendendo  il  patrocinio  dei
legali interni della regione ad affari di enti terzi, contrastava con
esso ed era lesiva della competenza legislativa  statale.  Nondimeno,
la norma regionale lombarda - a  giudizio  del  TAR.  Milanese  -  si
poneva in contrasto anche con la lett. e)  dell'art.117,  comma  2  ,
Cost., che riserva allo Stato la normativa in materia di tutela della
concorrenza, finendo cosi' per  incidere  sul  principio  del  libero
esercizio di un'attivita' professionale,  contrastando  in  tal  modo
anche con gli articoli 49 e 50 del Trattato 25 marzo  1957  e  s.m.i.
istitutive  dell'Unione  europea».  Ad  avviso  dei  ricorrenti,   in
particolare, non costituirebbe profilo idoneo a minare  la  manifesta
fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dedotta nel
presente giudizio la circostanza che - come evidenziato dalla  difesa
dell'amministrazione resistente - la legge campana, a  differenza  di
quella lombarda, non postuli un  obbligo  bensi'  una  mera  facolta'
degli  enti  terzi  di  convenzionarsi  con  l'Avvocatura  regionale.
Infatti, il comma 1 dell'art. 29 della  legge  campana  -  abilitando
l'ufficio legale interno a  patrocinare  per  enti  terzi  -  sarebbe
«gia', in astratto, di' per  se  stesso  eversivo  del  principio  di
esclusivita' sancito dal combinato disposto degli  artt.  24  e  117,
comma 2, lett. g), Cost. e dell'art. 3 del R.D.L. 1578/33». 
2) Violazione degli artt. 3, 24,  97,  111,  114,  117  e  123  Cost.
violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, della legge n.  75/70,  della
l.r. n. 11/91 e dello Statuto  Regionale  -  violazione  degli  artt.
82,83 e 84 c.p.c.  e  dei  principi  sullo  ius  postulandi  e  sulla
rappresentanza processuale. 
    Sostengono, infatti, i ricorrenti che l'art.29 della l.r. n. 1/09
inciderebbe surrettiziamente sull'organizzazione  e  sull'ordinamento
dei cd. enti strumentali, delle societa' pubbliche regionali e  della
stessa Regione Campania. Tale norma infatti, prevedendo  una  nozione
di «ente strumentale» estremamente generica «onde potervi comprendere
ogni entita' sebbene soggettivamente ed oggettivamente distinta dalla
regione e dotata di  propria  personalita'  giuridica,  che  realizzi
anche soltanto lato sensu le funzioni ed i  servizi  della  regione»,
violerebbe l'autonomia organizzativa e l'assetto interno di ogni ente
operante nel territorio regionale  «con  la  conseguenza  pratica  di
esautorare di fatto gli uffici legali di tali enti dei loro  delicati
compiti istituzionali di rappresentanza  e  supporto  dei  rispettivi
vertici, nonche' di limitare, cosi', la loro  libera  determinazione,
in violazione del principio sancito dall'art.114 Cost.». 
    Inoltre, anche a volere ritenere la  materia  disciplinata  dalla
l.r.  n.  1/09  rientrante  nella   competenza   residuale   di   cui
all'art.117, comma 4,  Cost.,  con  riferimento  alla  organizzazione
della Regione e degli Enti sub-regionali, la disposizione dell'art.29
si porrebbe, sotto tale profilo', in contrasto con l'art.  123  Cost.
«dovendo una simile innovazione legislativa trovare semmai luogo, non
certo nella legge finanziaria, bensi' nello  Statuto  regionale,  nel
quale  solo,  ai  fini  della  rappresentanza  esterna  in  tema   di
patrocinio legale di enti strumentali e societa'  pubbliche,  avrebbe
potuto essere affermata l'autonomia  soggettiva  dell'AGC  Avvocatura
rispetto a tutti  gli  altri  uffici  regionali».  Allo  stato  della
legislazione  regionale,  in  fatti,  la  rappresentanza  processuale
spetta al Presidente della G.R., al quale gli  avvocati  ex  art.  15
legge n. 75/70 direttamente rispondono dei mandati conferiti. 
    L'art. 29 della l.r. n. 1/09 si contrapporrebbe, inoltre, con  il
principio di ragionevolezza, «sub specie del divieto di conflitto tra
norme di  pari  grado,  laddove  collide  in  modo  implicito  con  i
preesistenti artt. 3 e 17 e con l'allegato I della l.r. n. 11/91, che
sovraintende l'organizzazione  della  G.R.»,  che  affida  all'A.G.C.
Avvocatura,  composta  di  tre  Settori   (il   Settore   Contenzioso
Amministrativo, il Settore Consulenza legale e il Settore Contenzioso
Civile e Penale) il "rango di ufficio legale interno della  G.R.  con
l'esclusivo compito  e  potere  di  postulare  il  contenzioso  della
Regione». 
    Di converso, la norma regionale in parola, conferendo  all'A.G.C.
Avvocatura una legittimazione ed una rappresentanza esterna  proprie,
le attribuirebbe il rango di una «agenzia di servizi  legali»  dotata
di un proprio «ius postulandi» e  di  un  proprio  potere  negoziale,
spendibile per qualsivoglia ente terzo che si convenzioni, di cui non
vi  e'  presupposto  ne'  nella  legge  statale,  ne'  nella   stessa
legislazione regionale in materia di organizzazione della G.R. 
    La norma regionale avrebbe, in sostanza,  introdotto  «un'atipica
figura di contratto di prestazione d'opera  intellettuale  avente  ad
oggetto  le  prestazioni  immediate  e  mediate  dell'ufficio  legale
interno  della  Regione  a  favore  di  altre   amministrazioni,   in
violazione degli artt. 2230, 2231 e 2232 c.c.. nonche' del  principio
di esclusiva ex art.3 RDL 1578/33». 
    Secondo  i  ricorrenti,  la  violazione  delle  richiamate  norme
costituzionali  apparirebbe  di  tutta  evidenza,  altresi',   «dalla
circostanza che l'Avvocatura regionale  -  nella  stretta  osservanza
dello Statuto della disciplina generale di cui agli artt. 82, 83 e 84
c.p.c., dell'art. 19, comma 1, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034  e
dell'art. 6 del R.D.  17  agosto  1907  n.  642  -  e'  abilitata  al
patrocinio in  conseguenza  di  mandati  individuali  rilasciati  dal
Presidente al singolo avvocato e non di mandati impersonali conferiti
all'ufficio  legale,  come  avviene  per   l'Avvocatura   di   Stato.
L'Avvocatura erariale,  infatti,  e'  autorizzata  a  costituirsi  in
giudizio  in  quanto  soggetto  direttamente  legittimato   e   senza
necessita'  del  conferimento  di  specifico  mandato  personale  per
effetto della disciplina speciale di cui all'art.1, comma 2, R.D.  30
ottobre  1933  n.1611,  richiamato  dal  successivo  art.   45,   che
costituisce, nell'ambito  della  competenza  esclusiva  statale,  una
norma sullo "ius postulandi", la quale, in ragione della  riserva  di
competenza che resta in capo allo Stato  per  cio'  che  riguarda  la
materia della giurisdizione e delle norme processuali,  si  configura
come del tutto compatibile con il sistema costituzionale». 
    Di contro, la formulazione del comma 1 dell'art. 29 della l.r. n.
1/09,  nel  senso  che  «L'avvocatura  regionale   e'   abilitata   a
patrocinare», in una al testo della convenzione-tipo (art.  6,  commi
3,4, 5 e 6), nell'affermare la facolta' di patrocinio e  l'assunzione
impersonale  del  mandato  (e  dello  «ius   postulandi»)   in   capo
all'Avvocatura  regionale,  si   porrebbe   in   contrasto   con   le
disposizioni  della  legge  statale   in   materia   di   ordinamento
processuale e civile e con la relativa  riserva  di  legge  (cfr.  in
materia Corte cost., 6 febbraio 2007, n. 25). Infatti, in  base  alle
norme speciali di cui agli artt.  82  c.p.c.,  1,  7,  33  R.D.L.  n.
1578/33 e 60 del  R.D.  n.  371/34,  l'esercizio  della  funzione  di
avvocato non e' consentita  se  non  ai  soggetti  iscritti  all'albo
professionale; la rappresentanza e difesa dinanzi a qualsiasi giudice
speciale  e'  consentita  soltanto  ai  soggetti  iscritti  nell'albo
speciale (diversamente Cass. civ.,  sez.  un.,  28  luglio  1998,  n.
7399). 
    Ad avviso dei ricorrenti, inoltre, l'elisione  del  principio  di
esclusivita'  minerebbe  alla  radice   «la   stessa   autonomia   ed
indipendenza,   che   deve   contraddistinguere   l'esercizio   della
professione forense -  levitata  dall'art.  111  Cost.  al  rango  di
principio del giusto processo», in  considerazione  del  rischio  che
correrebbero gli Avvocati della regione Campania di dover «tutelare e
dirimere», nell'ambito della medesima attivita' difensionale, sia gli
interessi della Regione  Campania,  sia  i  distinti  (e  non  sempre
coincidenti)  interessi  di  enti  soggetti  al  controllo  regionale
(l'analisi  delle  cui  posizioni  conflittuali,  e'  lasciata   alla
valutazione discrezionale dell'ente  controllante,  anziche'  ad  una
piu' precisa casistica di  matrice  legale  o  paralegale,  idonea  a
garantire le parti processuali) e si porrebbe altresi'  in  contrasto
con il canone di imparzialita' e buon andamento della P.A. «col quale
non si coniuga  affatto  l'estensione  generalizzata  del  patrocinio
legale   e    della    consulenza    dell'    Avvocatura    regionale
all'indiscriminata congerie di enti sub-rcgionali, che tradisce,  per
vero,  anche  sul  terreno  teleologico,  il   fine   di   confondere
pericolosamente le sfere giuridiche  -  da  tenersi  ben  distinte  -
dell'ente controllante con gli enti controllati». 
3) Violazione degli artt.3, 24, 97, 111, 117 e 123 Cost., del  R.D.L.
n. 1578 del 1933 e del decreto legislativo n. 165/01 - Violazione dei
principi processuali sullo «ius postulandi» -  Eccesso  di  potere  -
Difetto di istruttoria - Violazione del  giusto  procedimento  e  del
principio di' leale collaborazione. 
    Con tale censura i ricorrenti deducono l'illegittimita' derivata,
per i profili innanzi censurati, della deliberazione della G.R.C.  n.
603/09 e dello schema di convenzione con essa approvato, che  trovano
nella citata l.r. n. 1/09 il proprio presupposto  logico-giuridico  e
che,  unitamente  alle  convenzioni  vigenti  dal  1°  maggio   2009,
attualizzerebbero la violazione delle  regole  che  sovrintendono  lo
status di «legali pubblici». 
    In proposito, i ricorrenti ribadiscono che «non puo' essere posto
in  dubbio  che  gli  avvocati  dipendenti  da  enti  pubblici  siano
abilitati al patrocinio unicamente per le cause e gli  affari  propri
dell'ente presso il quale prestano la loro opera, e non anche  di  un
ente diverso, non rilevando che quest'ultimo sia nato ad iniziativa o
con capitale dell'ente pubblico, ne' il carattere  pubblicistico  dei
suoi fini istituzionali, ne' i controlli su di esso  esercitati  ne',
infine, che ciascuno dei due  enti,  ovvero  il  solo  ente  pubblico
preveda nel regolamento l'utilizzazione del proprio  servizio  legale
da parte dell'altro ente, non potendo un servizio siffatto  compiersi
in deroga ai limiti di ordine pubblico di cui  alle  disposizioni  di
legge   sovraordinate   che   circondano    lo    «ius    postulandi»
eccezionalmente attribuito ad avvocati dipendenti  da  enti  pubblici
dall'art. 3, comma 4, lett. b), R.D.L.  27  novembre  1933  n.  1578,
convertito in legge 22 gennaio 1934 n. 36 (Cass. civ.,  16  settembre
2004, n.18686; TAR Abruzzo Pescara, 28 luglio 2005,  ti.  466;  Cass.
civ,  S.U.,   16   luglio   2008,   n.19497   nonche',   ancor   piu'
esplicitamente, Cass. Civ., 8 settembre 2004, n. 18090)». 
    Di  conseguenza,  il  ricorso   al   patrocinio   dell'Avvocatura
regionale nelle cause che coinvolgono enti strumentali della  Regione
(e, nel caso in esame, le ASL) non potrebbe neppure essere ricondotto
all'istituto  dell'avvalimento  tra  enti  diversi,  che   resterebbe
escluso "dal principio secondo cui con riguardo  all'attivita'  degli
avvocati  dipendenti  da  enti  pubblici,  abilitati  unicamente   al
patrocinio per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale
prestano la loro attivita', il  rilascio  della  procura  ha  effetto
esclusivamente per la durata del  sottostante  rapporto  di  pubblico
impiego  e  viene  meno  col  cessare   di   questo,   senza   alcuna
ultrattivita': ne' rileva, altresi', che i diversi enti, con forme di
collaborazione  istituite   nell'esercizio   della   loro   autonomia
amministrativa, prevedano l'utilizzazione,  da  parte  dell'uno,  del
servizio legale proprio dell'altro, non potendo un servizio  siffatto
compiersi  in  deroga  ai  limiti  di   ordine   pubblico,   di   cui
sovraordinate disposizioni di legge circondano  lo  «ius  postulandi»
(Sez. Un., 6 giugno 2000 n. 418; Cons.  Stato,  sez  IV,  20  gennaio
1998; Cass. civ., S.U., 19 giugno 2000, n. 450)». 
    Inoltre, tenuto conto del particolare oggetto delle  convenzioni,
si  evidenzia  come  nel  caso  in  esame  non  risulterebbe  neppure
osservata la regola  della  procedura  pubblica,  imposta  sia  dagli
artt.3, comma 36, e 42 del decreto legislativo n. 363/06,  che  dalla
legge n. 241/90 in ordine all'affidamento dei servizi, che  dall'art.
7 comma 6-bis del d.lgs. n. 165/01 sul pubblico impiego. 
    Infine, considerati i dirompenti effetti che tale legge  comporta
a carico degli interessati, in termini di legittimo  esercizio  delle
mansioni di avvocato, i ricorrenti sostengono l'illegittimita'  della
deliberazione n. 603/09 per  violazione  dell'art.7  della  legge  n.
241/90,  non  essendo  stata  data   comunicazione   di   avvio   del
procedimento ne' agli avvocati interessati ne'  agli  Ordini  forensi
(in funzione di tutela dei ricorrenti stessi). 
4) Violazione del d.lgs. n. 502/92  come  modificato  dal  d.lgs.  n.
571/93 e dal d.lgs. n. 229/99 - Violazione della l.r. n. 1/09 e della
l.r.   n.   16/08   -   Eccesso   di   potere   -   Arbitrarieta'   e
contraddittorieta' dell'Azione amministrativa. 
    Con  la  IV  censura   i   ricorrenti   deducono,   sotto   altri
l'illegittimita' delle convenzioni  che  l'Avvocatura  della  Regione
Campania ha stipulato con le singole ASL (di recente  commissariate),
in presunta applicazione della censurata l.r. n. 1/09  e  della  DGRC
603/09. 
    In particolare, lo schema convenzionale approvato con la suddetta
delibera di G.R., non avrebbe potuto estendersi alle  ASL  in  quanto
queste, erroneamente e contro  legge,  sono  state  considerate  enti
strumentali: infatti, l'originaria formulazione dell'art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 502/92, e' stata eliminata dal d.lgs. n. 57/93, che  ha
definito l'Azienda sanitaria quale «Azienda  dotata  di  personalita'
giuridica  pubblica,  di  autonomia  organizzativa,   amministrativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica». L'azienda  sanitaria,
dunque, - gia' dal  1993  ha  perso  il  carattere  di  organo  della
Regione, acquisendo una propria soggettivita' giuridica, con  propria
autonomia  e  carattere  imprenditoriale  (per  tutte  TAR  Calabria,
Catanzaro, sez. II, n. 37/01; TAR Campania Napoli, sez. I, 24  aprile
2002, n. 2414; TAR Toscana, Firenze, sez. II, 17  settembre  2003  n.
5101; TAR Emilia Romagna,  Parma,  21  dicembre  2004,  n.  875;  TAR
Sicilia, Palermo, sez. II, 14 maggio 2004, n. 812;  TAR  Liguria,sez.
II, 23 giugno 2005 n. 940; Cons. Stato, sez. V,  9  maggio  2001,  n.
2609; Cons. Stato, sez. V, n. 809/02; Cass., civ., sez. I, 18  agosto
2004, n.16069). 
    Di analogo avviso la giurisprudenza contabile, secondo  la  quale
non vi sarebbe dubbio che «a, seguito della  riforma  operata  con  i
decreti legislativi 30 dicembre 1992 n.502 e 7 dicembre 1993  n.  517
(nonche' con i successivi decreti 19 giugno 1999 n. 229 e  28  luglio
2000 n.254), le ASL non possano definirsi  quali  «enti  strumentali»
della Regione, sebbene ne sia  stata  accentuata,  sotto  il  profilo
gestionale, la natura imprenditoriale secondo  modelli  organizzatori
di tipo aziendalistico; esse, infatti,  devono  essere  ritenute  pur
sempre pubbliche amministrazioni, cosi'  come  espressamente  sancito
dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 n.165, il cui art. 59,
peraltro, mantiene ferma «per i dipendenti di cui all'art.  2,  comma
2,  e,  dunque,  anche  per  i  dipendenti  delle  ASL,  la  "vigente
disciplina  in  materia  di  responsabilita'  civile,  amministrativa
penale e contabile dei dipendenti  delle  pubbliche  amministrazioni"
(Corte dei conti, reg. Puglia, sez. giurisd., 14 luglio 2005, n. 482;
Corte dei conti, reg. Sicilia,  sez.  giurisd.,  4  agosto  2003,  n.
134)». 
    Ad avviso dei ricorrenti, in conclusione,  sia  che  si  vogliano
qualificare le ASL quali  enti  pubblici  economici  sia  che  le  si
vogliano  qualificare  come  pubbliche  amministrazioni,   esse   non
sarebbero  comunque  sussumibili  tra  gli  enti  strumentali   della
Regione:  «tant'e'  vero  che  la  Prefettura  di'  Napoli  nel  2004
commissario' l'ASL Napoli 4 per infiltrazioni mafiose,  alla  stregua
di quanto e' consentito per i comuni, proprio in considerazione della
spiccata autonomia di essa, similmente agli enti locali territoriali;
ragion per cui il TAR di Napoli sent. Sez.  I,  n.4  del  2005),  nel
confermare siffatta determinazione prefettizia, respinse  il  ricorso
della Regione Campania che sosteneva la propria competenza  esclusiva
a commissariare le ASL». 
5) Violazione degli artt. 3, 24, 97,111, 117 e 123 Cost., del  R.D.L.
n. 1578 del 1933 - Violazione del d.lgs. n.  165/01,  della  l.r.  n.
11/91 e del Contratto  collettivo  e  individuale  -  Violazione  del
giusto procedimento - Eccesso di potere. 
    I ricorrenti deducono l'incostituzionalita'  dell'art.  29  della
l.r. n. 1/09, e la conseguente illegittimita' degli  atti  attuativi,
in considerazione della violazione dei principi fissati dal T.U.  sul
pubblico impiego - ed in particolare dall'art. 2 del d.lgs. n.165/01-
e dalle norme contrattuali che ad esso si connettono. 
    Ai sensi di tali disposizioni, infatti, il rapporto di lavoro dei
dipendenti pubblici e' disciplinato dalle disposizioni del capo I del
codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro, in  virtu'  delle
quali   «i   rapporti   individuali   di   lavoro    sono    regolati
contrattualmente». 
    Al contrario, attraverso la  delibera  impugnata,  il  datore  di
lavoro pubblico avrebbe posto  in  essere  una  modifica  unilaterale
dell'oggetto del rapporto lavorativo sia in termini quantitativi  che
qualitativi, tale da incidere sullo status degli  avvocati  regionali
e, oltretutto, da determinare «una cessione o locazione delle proprie
prestazioni professionali ad enti dei quali  i  ricorrenti  non  sono
dipendenti». 
    La delibera in questione, peraltro, sarebbe violativa  anche  del
principio  di  equa  retribuzione  ex  art.  36  Cost.   nonche'   di
onnicomprensivita'  della  retribuzione  del   pubblico   dipendente,
sotteso all'art. 45 d.lgs. n.  165/01,  secondo  cui  il  trattamento
economico  fondamentale  ed  accessorio  e'  definito  dai  contratti
collettivi (ad esempio,  in  quanto  non  prevede  per  i  funzionari
avvocati regionali - come meglio specificato nella successiva censura
n. 9 - lo straordinario per il servizio prestato a favore degli  enti
terzi oltre l'orario tabellare, omette di  statuire  in  ordine  alla
copertura  assicurativa  e  previdenziale  nonche'   in   merito   al
trattamento economico delle trasferte  dei  propri  dipendenti  nelle
diverse sedi giudiziarie), specie se si considera che presso le ASL e
gli altri enti strumentali tali compiti vengono  svolti  da  avvocati
dirigenti, con relativo inquadramento  e  trattamento  economico.  Il
ricorso alla collaborazione dei funzionari dell'Avvocatura  regionale
sarebbe, nel caso  in  esame,  illegittimo  anche  sotto  l'ulteriore
profilo della violazione dell'art. 7, comma 6, del  richiamato  T.U.,
«in considerazione dell'esigenza amministrativo-contabile  di  previa
verifica  delle  carenze  strutturali  e  di  organico   degli   enti
sub-regionali». 
    Tale disposizione prevede  infatti  che  «Per  esigenze  cui  non
possono far fronte con  personale  in  servizio,  le  amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi individuali, con  contratti  di
lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata  e  continuativa,
ad esperti di  particolare  e  comprovata  specializzazione  -  anche
universitaria in presenza dei seguenti presupposti  di  legittimita':
a) l'oggetto della prestazione  deve  corrispondere  alle  competenze
attribuite  dall'ordinamento   all'amministrazione   conferente,   ad
obiettivi  e  progetti  specifici  e  determinati  e  deve  risultare
coerente  con  le  esigenze  di  funzionalita'   dell'amministrazione
conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l'impossibilita' oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili
al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea  e
altamente qualificata; d) devono essere  preventivamente  determinati
durata, luogo oggetto e compenso della collaborazione  il  ricorso  a
contratti  di  collaborazione  coordinata  e  continuativa   per   lo
svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come
lavoratori subordinati e' causa di responsabilita' amministrativa per
il dirigente che ha stipulato i contratti». 
    Ad  avviso  dei  ricorrenti,  peraltro,  essi  stessi  andrebbero
esposti a responsabilita' erariale in considerazione del  fatto  che,
onde  adempiere  gli  affari  degli  enti  convenzionati,   sarebbero
costretti  «a  svolgere,  in  esecuzione  della  delibera   e   delle
convenzioni,  l'attivita'   lavorativo-professionale,   inerente   la
predisposizione di atti giudiziari, la consulenza  ed  il  patrocinio
giudiziale,  durante  l'orario  di  servizio,  entro  cui  si  svolge
l'attivita' esclusiva di avvocato  per  l'Amministrazione  regionale,
sebbene cio' incontri  il  limite  rappresentato  dal  principio,  in
materia di pubblico impiego,  secondo  cui  costituisce  illecito  da
responsabilita'   amministrativa   l'effettuazione   di   prestazioni
aggiuntive durante l'orario di servizio, in espressa violazione delle
disposizioni dell'ordinamento che pongono il  relativo  divieto  (Tar
Emilia Romagna, 10 agosto 2006, n. 921)». 
    Infatti, secondo l'assunto di parte  ricorrente,  dalla  delibera
impugnata  sorgerebbe  l'illegittima  conseguenza  che  gli  avvocati
ricorrenti  sarebbero  obbligati  a  svolgere,  durante  l'orario  di
servizio, prestazioni concorrenti per enti diversi, in violazione non
solo dell'art. 3 del RDL n.1578 del 1933 ma anche del comma  5  della
stessa norma del T.U.,  il  quale  dispone  che  «in  ogni  caso,  il
conferimento  operato  direttamente   dall'amministrazione,   nonche'
l'autorizzazione  all'esercizio  di  incarichi  che   provengono   da
amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da
societa'  o  persone  fisiche  che  svolgano  attivita'  d'impresa  o
commerciale, sono disposti dai rispettivi organi  competenti  secondo
criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica
professionalita', tali da escludere casi di incompatibilita', sia  di
diritto  che  di  fatto,  nell'interesse  del  buon  andamento  della
pubblica amministrazione». 
6) Violazione del RDL n. 1578 del 1933 -  Violazione  del  d.lgs.  n.
165/01, della l.r. n. 11/91 e del Contratto collettivo e  individuale
- Eccesso di potere. 
    Con la VI  censura,  i  ricorrenti  deducono,  in  via  derivata,
l'illegittimita' della impugnata DGRC 603/09 per violazione dell'art.
9 d.lgs. n. 165/01 e  dell'art.  4  del  CCNL  1°  aprile  1999,  «in
relazione   all'obbligo   di    contrattazione    separata-decentrata
propedeutica alla Stipula delle impugnate convenzioni o,  quantomeno,
in relazione all'obbligo di previa concertazione», specie in  materia
di orario di lavoro, che  costituisce  oggetto  di  concertazione  ai
sensi dell'art.16, comma 2, del CCNL del 31 marzo 1999. 
    In particolare, «per quanto non previsto nel presente CCNL, e  in
attesa della sottoscrizione del testo  unificato  delle  disposizioni
contrattuali di comparto, restano confermate, ove  non  disapplicate,
le discipline dei  contratti  collettivi  nazionali  di  lavoro  gia'
stipulati dal 6 luglio 1995 al 5 ottobre 2001» e pertanto, ad  avviso
dei  ricorrenti  ,  risulterebbe  confermata  anche   la   disciplina
dell'art. 17 del CCNL del 6 luglio  1995  sull'orario  di  lavoro  (e
sulla relativa  quantificazione  in  36  ore  settimanali)  oltre  al
successivo art. 18 e a tutte le altre  disposizioni  contrattuali  in
materia di orario di lavoro, compreso  l'art.  22  del  CCNL  del  1°
aprile1999 e gli artt. 22, 23, 24 e 38  del  CCNL  del  14  settembre
2000. 
    In  sostanza,  l'estensione  dell'attivita'   di   patrocinio   e
consulenza  agli  enti  strumentali  della   Regione   non   soltanto
violerebbe le  regole  in  materia  di  concertazione,  ma  finirebbe
inevitabilmente per alterare, in termini di orario di lavoro previsto
dal contratto, il monte ore massimo giornaliero che ciascun avvocato,
dipendente  della  Regione  Campania,  e'  tenuto  a   svolgere   per
quest'ultima. 
7) Violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost., del d.lgs. n.  165/01  e
della l.r. n. 16/08, violazione dello Statuto  e  degli  artt.  1323,
1324, 1325, 1332; 1387, 1392, 1394 e 1398  cc.  nonche'  degli  artt.
2229, 2232 e 2233 cc., oltre che incompetenza. 
    Secondo l'argomentazione di parte  ricorrente,  l'art.  29  della
l.r. n. 1/09 ed i  conseguenti  provvedimenti  applicativi  sarebbero
ulteriormente  illegittimi  laddove,  sul  piano  della   prestazione
individuale d'opera intellettuale dovuta da parte di ciascun avvocato
a favore degli enti terzi, postulano che  l'A.C.G.  Avvocatura  possa
rappresentare, anche ai  fini  negoziali,  i  singoli  professionisti
dipendenti (v. artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6  e  7  della  convenzione  tipo
approvata con la DGRC 603/09), i quali al contrario, pur  non  avendo
mai conferito alcuna procura  in  tal  senso  al  proprio  datore  di
lavoro,  ne'  mai  autorizzato  il  predetto  a  cedere  le   proprie
prestazioni, conferite in esclusiva ad esso,  si  vedono  destinatari
degli obblighi assunti «nomine proprio» dall'AGC Avvocatura. Cio', in
violazione dell'art. 40 del vigente Statuto regionale  e  dell'art.15
della  legge  n.   75/70   -   che   assegnano   rispettivamente   la
rappresentanza esterna - in tema di ius postulandi - e la titolarita'
dei singoli rapporti defensionali unicamente al Presidente della G.R.
nonche', sul piano dell'ordinamento civile e sul terreno strettamente
negoziale, delle norme di cui agli artt. 1323, 1324, 1325, 1332 1387,
1392, 1394 e 1398 c.c nonche' di cui agli artt.  2229,  2232  e  2233
c.c. Infatti, in base alle richiamate disposizioni, ne' la  G.R.  ne'
la A.G.C. Avvocatura hanno  il  potere  di  stipulare  contratti  con
soggetti  terzi  che  comportino  obblighi  per  i  singoli  avvocati
dipendenti stabilendone l'oggetto ed il corrispettivo. 
    Al  che  si  aggiunge,  per  quanto   concerne   l'attivita'   di
consulenza,  che  la  legge  regionale   ascrive   all'Assessore   la
competenza  in  ordine  alla  valutazione   della   possibilita'   di
utilizzare personale qualificato regionale ai fini  del  conferimento
di specifici  ed  individuali  incarichi  aventi  tale  oggetto  che,
quindi, gli  avvocati  regionali  potrebbero  rifiutare  o  accettare
liberamente (cio' che, a riprova della contraddittorieta' dell'azione
amministrativa, risulterebbe  ad  avviso  dei  ricorrenti  confermato
dalla nota prot. n. 342851 del  22  aprile  2009,  con  la  quale  il
Dirigente   del   Settore   Personale   ha   richiesto    l'eventuale
disponibilita'  di  personale  dipendente  dell'Avvocatura   per   la
realizzazione degli scopi indicati nella l.r. n. 16/08). 
8) Violazione degli artt. 51, 97, 117, 118 e 119 Cost. e  del  d.lgs.
n. 156/91  -  Eccesso  di  potere  -  Difetto  di  istruttoria  e  di
pianificazione organizzativa e  contabile  -  Violazione  del  giusto
procedimento - Incompetenza della G.R. 
    Con la censura in esame, parte ricorrente deduce l'illegittimita'
derivata dei provvedimenti  impugnati  in  considerazione  sia  della
mancanza, nella legge statale finanziaria, di una norma attuativa del
patto di stabilita' che autorizzi l'iniziativa legislativa regionale,
sia di un atto di indirizzo a carattere regolamentare, con  cui  dare
significato all'astratto  principio,  espresso  nella  l.r.  n.  1/09
dell'estensione del patrocinio dell'Avvocatura agli enti strumentali,
al fine di assicurare una sufficiente disamina istruttoria anche  dal
punto di vista organizzativo-contabile. Cio', al fine di giustificare
la convenienza dell'istituto previsto dall'art. 29 della l.r. n. 1/09
anche  sotto  l'aspetto  del  risparmio  di   spesa   corrente,   per
l'amministrazione regionale. 
    Argomentano, infatti, i ricorrenti che «E' principio  consolidato
in giurisprudenza, alla stregua degli artt. 117, 118 e  Cost.  quello
per cui il potere di coordinamento della finanza pubblica, in  quanto
fissa -  in  linea  con  gli  impegni  assunti  dall'Italia  in  sede
comunitaria - principi fondamentali volti a contenimento della  spesa
corrente, rientra nella competenza della legislazione statale  (Corte
cost., 22 luglio 2004, n. 260)». 
    Al  contrario,  nella  sequenza  procedimentale,   i   ricorrenti
ravvisano la «carenza di un piano economico  finanziario  (costi  del
personale, introiti, costi economici per servizi e strutture e  spesa
per la qualificazione del  personale)  da  ponderare  preventivamente
(...) tenuto conto del peso economico a carico del bilancio regionale
in considerazione dell'ingente lavoro  che  gravera'  sull'Avvocatura
regionale e, soprattutto, sui funzionari Avvocati, i  quali  dovranno
sostituire, nei sovrabbondanti compiti di patrocinio e di consulenza,
i colleghi delle ASL». 
    In  particolare,  i  predetti  ricorrenti  hanno  evidenziato  la
violazione  del  principio  informatore   della   materia   contenuto
nell'art. 8 del T.U. del pubblico impiego, ai  sensi  del  quale  «le
amministrazioni pubbliche adottano tutte le misure affinche' la spesa
per il proprio personale sia  evidente,  certa  e  prevedibile  nella
evoluzione. Le  risorse  finanziarie  destinate  a  tale  spesa  sono
determinate  in  base   alle   compatibilita'   economico-finanziarie
definite nei documenti di programmazione e di bilancio. 
    2.  L'incremento  del  costo  del  lavoro  negli  enti   pubblici
economici e nelle aziende pubbliche che producono servizi di pubblica
utilita', nonche' negli enti di cui  all'articolo  70,  comma  4,  e'
soggetto a limiti compatibili  con  gli  obiettivi  e  i  vincoli  di
finanza pubblica». 
    I ricorrenti, infine, hanno evidenziato  «l'inidoneita'  radicale
della DGRC n. 603 del 27 marzo  2009  a  costituirsi  in  regolamento
disciplinante l'attuazione dei rapporti  convenzionali  in  oggetto»:
infatti, ai sensi dell'art. 9, comma 1, l.r. Campania n. 28 del 2003,
cosi' come emendato dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.119
.del 24 marzo 2006, gli  atti  regolamentari  non  rientrano  tra  le
competenze della G.R.. Pertanto, nonostante la modifica  dell'art.121
Cost, ai sensi  degli  artt.  19  e  20  dello  Statuto  vigente,  la
competenza in materia resterebbe devoluta al Consiglio regionale.  Ed
invero, la predetta norma costituzionale, nell'eliminare  la  riserva
di competenza della  potesta'  regolamentare  all'organo  consiliare,
consente alla Regione una  diversa  scelta  organizzativa  la  quale,
tuttavia, non puo' che essere contenuta  in  una  disposizione  dello
Statuto regionale (TA.R. Campania Napoli, sez. I, 2 ottobre 2006,  n.
8432). 
9) Violazione degli artt. 3, 24, 97,  117,  117  Cost.,  del  decreto
legislativo n. 156/01, degli artt. 2233, 2114 c.c., degli artt. 10  e
ss del D.M. n. 124 del 2007 - Eccesso  di  potere  -  Perplessita'  -
Violazione del giusto procedimento. 
    Con la IX ed ultima censura, i ricorrenti si  dolgono  del  fatto
che «lo schema tipo  della  convenzione  prevede  che  all'Avvocatura
regionale spetti il compenso, in termini di diritti ed onorari,  solo
in caso di rigetto nel merito delle domande proposte avverso gli enti
patrocinati ovvero in caso di accoglimento delle  pretese  da  questi
fatte valere sulla base di pareti redatti dall'Avvocatura, applicando
i minimi tariffari vigenti al valore  di  ciascuna  controversia,  da
determinarsi  alla  stregua  del  c.p.c.  e  comparando   chiesto   e
pronunciato onde evidenziare l'effettiva  componente  favorevole  per
l'ente». 
    Inoltre,  la  retribuzione  prevista  nello   schema-tipo   della
convenzione si porrebbe in contrasto con l'art. 2114 c.c. in tema  di
assistenza e previdenza obbligatorie: infatti, nel caso in esame, gli
onorari ed i diritti  di  procuratore,  da  corrispondersi  a  carico
dell'ente convenzionato, non prevedono il rimborso per  la  cassa  di
previdenza  forense  ne'  la  copertura  Inpdap  per   assistenza   e
previdenza  obbligatorie,  ancorche'  non  si  tratti  di  emolumenti
direttamente riferibili  al  rapporto  di  pubblico  impiego  con  la
Regione; ne'  si  comprende  quale  ente  (se  la  Regione  o  l'Ente
convenzionato), debba pagare le spese e  le  indennita'  di  missione
previste dal CCNL per  le  trasferte  nelle  sedi  giudiziarie  fuori
regione. 
    Inoltre, la clausola delle convenzioni che prevede  il  pagamento
del compenso solo in caso di esito favorevole  delle  liti  non  solo
comporterebbe  violazione  dell'art.   2233,   comma   2   c.c.,   ma
incontrerebbe  il  limite  della  tariffa  forense  in  ordine   alla
determinazione del valore delle cause, considerato che il  codice  di
procedura civile prevede, agli artt. 10 e ss., che  il  valore  della
domanda, per le cause aventi ad  oggetto  una  somma  di  danaro,  si
determini  sulla  base  del  pronunciato  solo  nei   confronti   del
soccombente e non anche nei  rapporti  tra  assistito  e  procuratore
munito di mandato ancorche' la determinazione dei valore della  causa
per le ipotesi di domande indeterminabili sia da  parametrarsi  sullo
scaglione  indeterminato  minimo  senza  tener  conto  dell'eventuale
pronuncia del giudice. Pertanto, il criterio di  calcolo  del  valore
della causa, imposto dalla convenzione, sarebbe erroneo. 
    I ricorrenti  hanno,  quindi,  concluso  per  l'accoglimento  del
ricorso. 
    Con atto del 17 luglio 2009  si  e'  costituito  in  giudizio  il
Ministero della giustizia, che con  memoria  depositata  in  data  14
ottobre 2009, ha chiesto di essere estromesso dal giudizio. 
    Con memorie depositate in data 9 maggio 2011 e 19 maggio 2011  si
e' costituita in  giudizio  la  Regione  Campania,  che  ha  eccepito
l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  del  ricorso  anche  sotto  il
profilo   dell'infondatezza   della   questione    di    legittimita'
costituzionale prospettata, argomentando -  in  particolare  -  sulla
differente formulazione dell'art. 29 della l.r.  Campania  n.  1/2009
rispetto alla l.r. Lombardia n. 30/06. 
    Con memorie rispettivamente depositate in data 17 giugno  2010  e
10 luglio 2010 si sono  costituiti  in  giudizio,  ad  adiuvandum,  i
Consigli dell'Ordine degli Avvocati di Napoli e di Salerno, che hanno
evidenziato  il  regime  di  incompatibilita'  cui  e'  soggetta   la
professione legale, con le sole eccezioni previste ex lege. 
    Alla pubblica  udienza  del  9  giugno  2011,  viste  le  memorie
conclusionali depositate e uditi i difensori delle parti, il  ricorso
e' stato trattenuto in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    In  via  preliminare,  malgrado  la  questione  non   sia   stata
formalmente eccepita dall'amministrazione resistente,  va  affermata,
nel caso in esame, la giurisdizione del giudice amministrativo. 
    La presente controversia investe, infatti, in via  principale  la
legittimita'  della  deliberazione  del   Presidente   della   Giunta
Regionale della Campania n.603/09 (e, solo  in  via  derivata,  della
convenzione n. rep.14162, stipulata dall'A.G.C. Avvocatura  e  A.S.L.
Salerno, nei confronti della quale, peraltro, non  e'  stata  dedotta
alcuna  censura  in   via   autonoma),   ovvero   di   un   atto   di
macro-organizzazione  del  pubblico  impiego  e   della   presupposta
disciplina legislativa regionale n. 1/09, in virtu'  della  quale  e'
data  facolta'  agli  enti  strumentali  della  Regione  Campania  di
avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura regionale (conforme:  T.A.R.
Campania Napoli, sez. III, 11 gennaio 2011 , n.  45;  T.A.R.  Toscana
Firenze, sez. II, 13 ottobre 2010 , n. 6464; T.A.R. Lombardia Milano,
sez. III, 12 novembre 2009 , n. 5046; T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I,
23 luglio 2009 , n. 526; Consiglio Stato , sez. V, 15  ottobre  2009,
n. 6327; Consiglio di Stato, sez. V, n.816 del 15 febbraio 2010 ). 
    Questa Sezione, del resto, si e' gia' pronunziata nel  senso  che
l'art.  68  decreto  legislativo  n.  29  del  1993,  riprodotto  con
integrazioni all'art. 63, decreto legislativo n. 165 del  2001,  deve
essere  interpretato  nel   senso   che,   allorquando   la   domanda
introduttiva  del  giudizio  si  fondi  sul   «petitum»   sostanziale
riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste  la  giurisdizione  del
G.O. anche qualora la prospettazione di  parte  sia  rivolta  avverso
atti  prodromici  di  c.d.   «macro-organizzazione»,   con   cui   si
definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici,  si
individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento
della titolarita' dei medesimi, si determinano le dotazioni organiche
complessive etc.,  di  cui  si  contesti  la  legittimita'  per  vizi
peculiari ai provvedimenti amministrativi: tale  evenienza,  infatti,
non determina nessuna «vis attractiva»  verso  la  giurisdizione  del
G.A. avendo, comunque, il G.O. competente il potere  di  disapplicare
tali atti (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 27 ottobre 2010, n.
21817; TAR Campania Napoli, sez. III, 27 settembre 2010, n. 17536). 
    Tuttavia,  la  giurisdizione   del   G.O   presuppone,   appunto,
l'impugnazione di atti afferenti al rapporto di lavoro che, nel  caso
in esame, non sono stati impugnati. 
    Gli  Avvocati  regionali  ricorrenti  non  contestano,   infatti,
specifici atti di incarico di assistenza  legale  loro  conferiti  in
conformita' dell'art. 3 dello  Schema  di  convenzione  ne'  sanzioni
comminate dal Consiglio dell'Ordine per  avere  reso  prestazioni  di
assistenza e consulenza legale alle ASL convenzionate con la  Regione
Campania, bensi', in via anticipata,  la  stessa  legittimita'  della
legislazione e degli atti di macro-organizzazione in virtu' dei quali
tale prestazione potrebbe esser loro richiesta. 
    Sempre in via preliminare, va affrontata l'eccezione  di  carenza
di interesse dedotta dalla Regione Campania, secondo la  quale  dagli
atti  gravati  non  discenderebbe,  per  i  ricorrenti,  una  lesione
personale concreta ed attuale ma, esclusivamente, il  rischio  futuro
ed  incerto  di  essere  cancellati.  Com'e'   noto,   nel   processo
amministrativo  l'interesse  a  ricorrere  e'  caratterizzato   dalla
presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad  agire
di cui all'art. 100 c.p.c., vale a  dire  la  prospettazione  di  una
lesione concreta e attuale della sfera  giuridica  del  ricorrente  e
l'effettiva   utilita'   che   potrebbe   derivare   a   quest'ultimo
dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, cosi' che il ricorso
deve essere considerato inammissibile per  carenza  di  interesse  in
tutte le ipotesi in cui l'annullamento  giurisdizionale  di  un  atto
amministrativo  non  sia  in  grado  di  arrecare   alcun   vantaggio
all'interesse sostanziale del ricorrente (Consiglio Stato ,  sez.  V,
21 marzo 2011 , n. 1734). 
    L'individuazione dell'interesse all'impugnazione  va  effettuata,
pertanto, in rapporto al bene della vita cui il ricorrente aspira, il
che  implica,  quale  inevitabile  conseguenza,  che  l'interesse   a
ricorrere dev'essere, oltre che personale e diretto, anche attuale  e
concreto, ossia tale che, in caso di  accoglimento  del  gravame,  il
soggetto consegua il  vantaggio  di  vedere  rimosso  il  pregiudizio
effettivo ed immediato  derivante  dal  provvedimento  amministrativo
(T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 11 marzo 2011, n. 399). 
    Orbene,  nel  caso  in  esame,  l'interesse  dei   ricorrenti   a
scongiurare la comminazione di  sanzioni  da  parte  del  datore  del
lavoro pubblico o, viceversa, da parte del Consiglio dell'Ordine,  si
pone effettivamente come interesse futuro ed incerto e,  quindi,  non
meritevole  di  tutela  in  questa  sede:  infatti,   tali   sanzioni
potrebbero scattare solo se e quando, in attuazione della delibera di
G.P.R.C. impugnata, le  ASL  della  Regione  Campania  effettivamente
decidessero di avvalersi, previa stipula delle  relative  convenzioni
con l'A.G.C, delle prestazioni legali dei singoli avvocati regionali,
che  si  troverebbero,  pertanto,  di  fronte   all'alternativa   tra
effettuare la  prestazione,  con  il  rischio  di  venire  sanzionati
dall'Ordine di appartenenza, e non effettuarla, subendone le relative
conseguenze pregiudizievoli sul rapporto  di  lavoro.  In  tal  caso,
tuttavia, dovrebbe necessariamente affermarsi - in virtu' dei criteri
in materia di riparto gia' evidenziati - la giurisdizione del giudice
ordinario. 
    Nel caso in esame, tuttavia, l'Amministrazione, ancor  prima  che
nella veste di datore di  lavoro,  si  presenta  in  quella  di  ente
responsabile dell'organizzazione del servizio. A fronte degli atti di
macro-organizzazione adottati,  immediatamente  lesivi  di  interessi
legittimi della sfera giuridica dei ricorrenti, deve quindi ritenersi
che questi  possano  insorgere  avverso  gli  stessi  allo  scopo  di
conseguire una sorta  di  primo  livello  di  tutela,  prodromica  ed
anticipata, del proprio rapporto di lavoro (T.A.R.  Campania  Napoli,
sez. V, 03 agosto 2010 , n. 17216). La delibera  impugnata,  infatti,
in attuazione della l.r. n. 1/09, prevede  «scelte  programmatorie  a
carattere innovativo» tali da incidere sulle condizioni nelle quali i
ricorrenti   operano;   sicche'   il   suo   eventuale   annullamento
consentirebbe ai ricorrenti il  vantaggio,  concreto  e  attuale,  di
mantenere inalterato lo  «status  quo»  con  riferimento  al  proprio
rapporto  professionale  «esclusivo»  nei  confronti  della   Regione
Campania. 
    Sotto  altro  profilo,  deve  ritenersi  meritevole   di   tutela
immediata  l'interesse  dei  ricorrenti  a  mantenere  inalterato  il
rapporto  di  correttezza  deontologica  nei  confronti   dell'Ordine
professionale di appartenenza, la cui modifica sarebbe tale  comunque
da ripercuotersi negativamente sul rapporto di lavoro. Infatti - come
evidenziato dagli stessi ricorrenti nella  III  censura  del  ricorso
introduttivo - «la posizione  dei  legali  di  un  ente  pubblico  e'
necessariamente diversa da quella degli  altri  impiegati  del  ruolo
amministrativo, cumulando la  duplice  qualita'  di  impiegati  e  di
professionisti, con la conseguenza che, per gli  avvocati  dipendenti
da enti locali, assume rilevanza ed assorbenza la legge professionale
forense ove si  consideri  che  il  potere  disciplinare  dell'ordine
professionale  e'  pienamente  autonomo  rispetto   a   quello,   pur
concorrente, della P.A. e si esprime  per  proprie  vie,  con  propri
organi e con effetti peculiari  vincolanti  per  la  P.A.:  pertanto,
l'eventuale radiazione dall'albo professionale deliberata dall'Ordine
ha un'influenza paralizzatrice del rapporto di pubblico  impiego  del
professionista, la cui attivita' risulta interdetta in conseguenza di
determinazioni del collegio professionale  (TAR  Lazio,  sez.  11,  8
febbraio 1984, n. 196; Cons. Stato, sez.  VI,  2  dicembre  1987,  n.
935)». 
    In particolare, il Collegio concorda con l'affermazione di  parte
ricorrente secondo cui «l'avvocato non deve attendere di trovarsi  in
posizione di accertata incompatibilita', ma ha il dovere giuridico  e
deontologico di  denunciare  al  COA  e  al  datore  di  lavoro  ogni
circostanza che possa determinare,  anche  potenzialmente,  causa  di
incompatibilita'», presupposto sussistente nel caso in esame in cui i
provvedimenti gravati sono idonei a porre  in  essere  situazioni  di
incompatibilita', per violazione del principio  di  esclusiva  per  i
soli  affari  dell'ente  di  appartenenza   dell'avvocato   pubblico,
rimarcato nel Regolamento dell'Elenco Speciale degli  avvocati  della
P.A., approvato dal C.O.A. di Napoli con delibera del 27 luglio 2010.
Tale   causa    di    incompatibilita',    infatti,    determinerebbe
immediatamente per il C.d.O. il dovere di comminare la  cancellazione
dall'albo, ai sensi degli artt. 40 e 42 L.P.F. 
    Sotto entrambi i profili evidenziati, in conclusione, il presente
ricorso non e' proposto per assicurare  l'astratta  corrispondenza  a
legalita' dell'esercizio del potere pubblico, ma tende ad  assicurare
il risultato favorevole cui aspira parte ricorrente,  cioe'  il  bene
della vita il cui mantenimento risulta pregiudicato dal provvedimento
lesivo (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 11 marzo 2011, n. 399). 
    Pertanto, contrariamente a quanto  ritenuto  dall'amministrazione
resistente, deve ritenersi sussistente l'interesse concreto e attuale
alla proposizione  del  presente  gravame  da  parte  degli  Avvocati
regionali indicati in epigrafe. 
    Venendo  alla  trattazione  del  merito,  il   Collegio   ritiene
rilevante, ai fini della decisione, e non  manifestamente  infondata,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  29,  comma  1,
della legge della Regione Campania n.1/2009,  in  relazione  all'art.
117, comma 3, Cost., sotto il profilo della violazione, da parte  del
legislatore regionale, dell'obbligo di rispettare le disposizioni  di
principio  previste   dal   legislatore   statale   in   materia   di
incompatibilita' nell'esercizio della professione forense da parte di
avvocati dipendenti da enti pubblici. In particolare, si  ritiene  di
aderire   all'istanza   di   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale avanzata da parte ricorrente con i motivi  di  censura
proposti e ribadita, articolatamente,  nella  memoria  depositata  in
data  19  maggio  2001.  Il  Collegio  ritiene  infatti  irrilevante,
contrariamente a quanto  sostenuto  dall'amministrazione  resistente,
che   la   relativa   domanda   sia   stata   formulata    attraverso
l'articolazione dei vari motivi di censura (e,  in  particolare,  per
.quanto riguarda il profilo ritenuto rilevante e  non  manifestamente
inammissibile da questo Giudice, attraverso il primo), senza che essa
sia stata trasfusa nelle conclusioni del ricorso. 
    Difatti, l'art.23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, al fine della
rituale  presentazione  dell'istanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale, esige esclusivamente  che  siano  rispettate  -  come
risulta nel caso in esame - le condizioni di cui alle lettere a) e b)
del primo comma di tale norma. 
    Peraltro, nei ricorsi  avverso  i  provvedimenti  amministrativi,
impugnati  davanti  al   G.A.,   le   eccezioni   di   illegittimita'
costituzionale delle norme applicate sono comunque sempre sollevabili
d'ufficio, ai sensi del comma 3, e non sono sottoposte a  termini  di
decadenza, potendo essere proposte anche «in  limine  litis»  (T.A.R.
Lombardia Milano, sez. IV, 18 ottobre 2010 , n.  6984)  cosicche',  a
tal   fine,   sarebbero   comunque   sufficienti   i    profili    di
incostituzionalita' evidenziati nella  memoria  depositata  da  parte
resistente in data 19 maggio 2011. 
    Per quanto riguarda la rilevanza, nel  presente  giudizio,  della
questione di legittimita' sollevata, in primo luogo  si  evidenzia  -
analogamente a quanto ritenuto in simile vicenda  dal  TAR  Lombardia
(cfr. ordinanza di rimessione del 7 febbraio 2008) - che  l'impugnata
D.P.C.R n. 603/09 costituisce  atto  di  macro-organizzazione  avente
natura meramente attuativi rispetto al  dettato  dell'art.  29  della
suddetta l.r. n. 1/2009 del 19 gennaio 2009  (pubblicata  sul  B.U.R.
26/01/2009 n. 5),  cosi'  come  risulta  dall'oggetto  della  stessa,
intitolato  «Attuazione  art.  29  legge  regionale  n.   1/2009   ed
approvazione  dello  schema  di  convenzione-tipo  per  l'affidamento
all'Avvocatura regionale dell'attivita' di  consulenza  legale  e  il
patrocinio. in giudizio degli enti strumentali della Regione e  delle
Societa' regionali». 
    Tale norma, intitolata «Assistenza legale degli enti  strumentali
della Regione e delle societa' regionali», in particolare, stabilisce
che: 
        «1. Nei casi in cui non ricorrono motivi di conflitto con gli
interessi  della  Regione,  l'avvocatura  regionale  e'  abilitata  a
svolgere attivita' di consulenza attraverso l'espressione di pareri e
a patrocinare in giudizio gli enti strumentali  della  Regione  e  le
societa' il cui capitale sociale e'  interamente  sottoscritto  dalla
Regione. 
        2. Per i fini di cui al comma 1 le  singole  societa'  e  gli
enti  strumentali  sottoscrivono  con   la   Giunta   regionale   una
convenzione che  regola  le  modalita'  attraverso  cui  puo'  essere
richiesta l'attivita' dell'avvocatura regionale e che quantifica  gli
oneri a carico delle societa' e degli enti strumentali. 
        3. Le agenzie regionali, gli enti strumentali e  le  societa'
il cui capitale e' interamente o  a  maggioranza  sottoscritto  dalla
Regione  Campania  non  possono  sostenere  per   l'acquisizione   di
consulenze spese superiori al sessanta per cento degli importi  dalle
stesse spesi nell'anno 2008». 
    Pertanto,  il  presente  giudizio  non   puo'   essere   definito
prescindendo  dalla  soluzione  delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale prospettate, in quanto solo l'espunzione  della  norma
legislativa di riferimento dall'ordinamento giuridico sarebbe  idonea
ad assicurare ai ricorrenti il bene della vita che essi hanno  inteso
tutelare con  il  presente  ricorso  (  potendo  -  come  e'  noto  -
l'amministrazione rinnovare l'esercizio del potere emanando un  nuovo
atto,  privo  dei  vizi  di  legittimita'  riscontrati  dal   Giudice
Amministrativo). 
    In secondo luogo, il  giudizio  di  cui  trattasi  non  potrebbe,
comunque, essere deciso facendosi esclusivo riferimento alle  censure
dedotte, in via autonoma, avverso la DPGCR  attuativi  impugnata.  Ed
invero, nessuna di tali censure appare idonea a determinare,  di  per
se, l'accoglimento del ricorso (cio' che consentirebbe di prescindere
dalla questione di legittimita' costituzionale sollevata). 
    In particolare, devono considerarsi inammissibili, per carenza di
interesse attuale, i motivi di censura nn. 2 (nella parte in  cui  si
deduce che la l.r. n. 1/29 introduca «un'atipica figura di  contratto
di prestazione d'opera intellettuale avente ad oggetto le prestazioni
immediate e mediate  dell'ufficio  legale  interno  della  Regione  a
favore di altre amministrazioni, in violazione degli artt. 2230, 2231
e 2232 c.c.. nonche' del principio di esclusiva  ex  art.  3  RDL  n.
1578/33»),  5,  6,  7  e  9  che,  nella  sostanza,  sono  rivolti  a
contestare, sotto vari  profili,  l'oggetto,  la  retribuzione  e,  a
monte, la  stessa  esigibilita'  della  prestazione  lavorativa  (che
verrebbe ad  essere  richiesta  agli  avvocati  regionali  ricorrenti
qualora, effettivamente, una o piu' delle ASL della Regione  Campania
decidessero di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura regionale per
le proprie cause, ai sensi dell'art.  29  della  l.r.  n.  1  /29  e,
conseguentemente,  presentassero  all'AGC  specifiche  richieste   di
assistenza legale, ai sensi dell'art. 3 della convenzione-tipo). Tali
questioni, come gia' evidenziato,  oltre  a  non  essere  allo  stato
prospettabili in termini di concretezza e attualita', in  ogni  caso,
in quanto prettamente inerenti al rapporto di lavoro,  rientrerebbero
nella giurisdizione del giudice ordinario. 
    Ugualmente  inammissibili,  per  carenza  di  interesse,   devono
ritenersi le censure nn.7 e 3 (con cui si deduce, rispettivamente, la
mancata legittimazione dell'AGC Avvocatura a  stipulare  con  effetti
vincolanti per  i  singoli  avvocati  facenti  parte  dell'avvocatura
regionale nonche' la mancata  osservanza  della  procedura  pubblica,
imposta sia dagli artt. 3, comma 36, e 42 del d.lgs. n.  363/06,  che
dalla legge n. 241/90 in  ordine  all'affidamento  dei  servizi,  che
dall'art. 7 comma 6-bis del d.lgs. n. 165/01 sul  pubblico  impiego),
in  quanto  nel  presente  giudizio  non  sono  state  impugnate   le
(presunte)  convenzioni  stipulate  tra  AGC  e  ASL  della   Regione
Campania, fatta eccezione per  l'impugnazione,  solo  formale,  della
convenzione stipulata  con  la  ASL  Salerno  (rispetto  alla  quale,
peraltro,  nessuno  dei  ricorrenti  ha  evidenziato  di  avere   uno
specifico interesse all'impugnazione). 
    Ne' potrebbero trovare accoglimento le censure formulate  con  il
II ed il IV motivo. 
    Sotto il primo profilo, infatti, non puo' condividersi  l'assunto
secondo cui l'impugnata delibera, in attuazione dell'art. 29 l.r.  n.
1/09, violerebbe l'autonomia organizzativa  e  l'assetto  interno  di
ogni ente operante  nel  territorio  regionale  «con  la  conseguenza
pratica di esautorare di fatto gli uffici legali  di  tali  enti  dei
loro delicati compiti istituzionali di rappresentanza e supporto  dei
rispettivi vertici,  nonche'  di  limitare,  cosi',  la  loro  libera
determinazione, in violazione del  principio  sancito  dall'art.  114
Cost.». 
    Difatti, la formulazione dell'art.29 della l.r. Campania n.  1/09
e'  tale  da  attribuire  ai  propri  enti  strumentali  la  semplice
facolta',   e   non   l'obbligo,   di   avvalersi   del    patrocinio
dell'Avvocatura  regionale,  con  la   conseguenza   che   non   puo'
ipotizzarsi alcuna limitazione della loro libera determinazione. 
    Pertanto, nel caso in esame non puo' ravvisarsi  alcun  contrasto
della normativa regionale di riferimento ne' con l'art.24  Cost.,  in
relazione  alla  limitazione  della  capacita'  di  difesa  dell'ente
strumentale, ne'  con  l'art.  117  Cost.,  comma  2,  lett.  i),  in
relazione alla presunta lesione della capacita' giuridica degli  enti
strumentali  in  merito  alla  scelta  dei  propri   legali   mentre,
trattandosi   di   ricorso   proposto    da    avvocati    dipendenti
dell'Avvocatura regionale e non da  avvocati  del  libero  foro,  non
appare neppure rilevante il dedotto contrasto con art.117 Cost. commi
1 e 2, in relazione agli artt. 49 e 50 del  Trattato  CEE.  Ne'  puo'
ritenersi che la DPGRC  impugnata  sarebbe  inapplicabile  alle  ASL,
secondo una corretta interpretazione dell'art.  29,  comma  2,  della
l.r. n. 1/09,  in  quanto  l'azienda  sanitaria  locale  non  sarebbe
qualificabile  come  «ente  strumentale»,  in  senso  tecnico,  della
Regione. 
    In particolare, sostengono i ricorrenti che alle ASL,  subentrate
alle USL, ai sensi del d.lgs.  30  dicembre  1992  n.  502,  art.  3,
modificato dal d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229 e costituite  in  aziende
con personalita' giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale,  in
coerenza con il loro carattere imprenditoriale e con la  riconosciuta
autonomia contabile e finanziaria rispetto alla Regione, non potrebbe
attribuirsi  tale  qualificazione  e,   pertanto,   le   stesse   non
rientrerebbero tra i soggetti legittimati a stipulare convenzioni con
la Regione al fine di  avvalersi  del  patrocinio  legale  della  sua
Avvocatura. 
    In realta', l'interpretazione di  parte  ricorrente,  sebbene  in
passato sostenuta da talune pronunce del G.A e della Corte dei conti,
risulta superata dalla  successiva  giurisprudenza  amministrativa  e
civile che, in  modo  univoco,  malgrado  l'autonomia  finanziaria  e
contabile rispetto all'amministrazione regionale, ha  optato  per  la
natura strumentale delle ASL, evidenziando come ad esse sia affidato,
in concreto, il compito di perseguire  -  nel  campo  dell'assistenza
sanitaria - gli obiettivi fissati dalla  Regione  in  attuazione  del
piano  sanitario  regionale,  con  i   mezzi   finanziari   messi   a
disposizione dalla stessa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 4 marzo 2010
, n. 1260; Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7233;  Cons.
giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 26 marzo 2008, n.266;  Cassazione
civile , sez. I, 20 settembre 2006 , n. 20412). 
    D'altra  parte,  anche  con  riferimento   all'azienda   speciale
(disciplinata dall'art. 114, d.lgs. n. 267 del 2000) e alle  societa'
a partecipazione pubblica totalitaria,  la  giurisprudenza,  malgrado
l'autonomia ad esse riconosciute dal legislatore,  ha  ritenuto  che,
laddove la gestione sia finalizzata  al  perseguimento  di  finalita'
pubbliche,  esse  conservino   la   natura   sostanziale   di   «enti
strumentali» della P.A (T.A.R.. Lazio  Roma,  sez.  II,  1°  febbraio
2011, n. 931; C. conti reg. Friuli Venezia Giulia, sez. giurisd.,  14
aprile 2010, n.  71;  C.  conti  reg.  Friuli  Venezia  Giulia,  sez.
giurisd., 18 marzo 2010, n. 53). Pertanto, sotto tale profilo, non e'
possibile una lettura dell'art. 29, comma 2, della l.r. n. 1 /09 tale
da escludere dal suo ambito applicativo le ASL e, quindi, da  rendere
irrilevante la questione di legittimita' costituzionale prospettata. 
    Infine; deve ritenersi inammissibile per genericita' nonche'  per
carenza di interesse e, comunque infondata (non  essendo  conferente,
nella presente fattispecie, la dedotta  violazione  dell'art.  8  del
T.u. sul  pubblico  impiego),  l'VIII  censura,  con  cui  si  deduce
l'illegittimita' della impugnata delibera DPCRG  n.603/09  in  virtu'
della pretesa «mancanza, nella  legge  statale  finanziaria,  di  una
norma attuativi del patto di stabilita'  che  autorizzi  l'iniziativa
legislativa regionale» (ed invero, parte  ricorrente  avrebbe  dovuto
specificatamente evidenziare il  contrasto  della  delibera  con  una
specifica norma di divieto), «sia di un atto di indirizzo a carattere
regolamentare,  con  cui  dare  significato  all'astratto  principio,
espresso  nella  l.r.  n.   1/09   dell'estensione   del   patrocinio
dell'Avvocatura   agli   enti    strumentali»    (censura,    questa,
eventualmente   deducibile   avverso   le   specifiche    convenzioni
applicative, non  impugnate  in  questa  sede,  attraverso  le  quali
soltanto si concretizzerebbe la prospettata lesione dei  principi  in
materia di contenimento della spesa pubblica). 
    Infine,  il  Collegio  ritiene  che  sia   infondata   anche   la
prospettata  questione  di   incostituzionalita'   dell'art.   29   -
evidenziata nella II censura - in relazione agli artt. 3, 97,  24,111
e 117 comma 1, lett. g) ed l), nella parte  in  cui  si  dispone  che
«l'avvocatura  regionale  e'  abilitata  a  svolgere   attivita'   di
consulenza attraverso l'espressione di  pareri  e  a  patrocinare  in
giudizio gli enti strumentali della Regione  e  le  societa'  il  cui
capitale sociale e' interamente sottoscritto dalla Regione». 
    Una lettura costituzionalmente orientata  della  norma,  infatti,
induce a interpretare tale disposizione  della  legge  regionale  nel
senso   che   il   legislatore,    facendo    riferimento    generico
all'«Avvocatura»,  non  abbia  affatto  inteso  riconoscere  lo   ius
postulandi  in  capo  all'Avvocatura   regionale   (pertanto,   senza
necessita'  del  conferimento   di   specifico   mandato   regionale,
analogamente a quanto previsto per l'Avvocatura erariale dall'art. 1,
comma 2, R.D. 30 ottobre 1933, n.1611) ma, in  realta'  abbia  inteso
utilizzare una locuzione di sintesi,  senza  prescindere  dal  rinvio
alle norme speciali che, nel  rispetto  della  riserva  di  legge  in
materia  e  della  vigente  normativa  in  materia   di   ordinamento
processuale civile,  regolano  l'esercizio  della  professione  degli
avvocati dipendenti da enti pubblici (artt. 82 cpc., 1, 7, e  33  del
RDL n.1578/33 e  60  del  R.D.  n.37/34).  In  tal  senso,  pertanto,
dovranno essere intesi anche i corrispondenti  riferimenti  contenuti
nella convenzione-tipo (ed in particolare, negli artt.1, 2 e 6). 
    Residua,  pertanto,  ai  fini  della  decisione  nel  merito  del
ricorso, la  prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 29 della l.r. n.1/09,  in  relazione  all'art.117  comma  3
Cost.,  sotto  il  profilo  della  gia'  evidenziata  violazione  dei
principi   fondamentali   della   materia   relativa    all'esercizio
dell'attivita' professionale da parte degli avvocati (in particolare,
dipendenti da enti pubblici) fissati nella legge statale. 
    La questione,  sotto  tale  profilo,  non  appare  manifestamente
infondata. 
    Ed invero, l'art.117, terzo comma, della Costituzione -  pur  con
l'ampliamento delle attribuzioni regionali conseguente alla  modifica
di cui alla legge costituzionale  18  ottobre  2001,  n.3  -  riserva
tuttora alla legislazione statale  esclusiva  la  determinazione  dei
principi fondamentali nelle materie indicate, ed  in  particolare  in
materia di professioni. 
    Sul punto, il Collegio concorda con quanto gia' ritenuto dal  Tar
Lombardia (nell'ordinanza di rimessione  citata)  sul  fatto  che  la
disciplina  delle  incompatibilita',   ivi   comprese   le   relative
eccezioni, rientri tra i «principi  fondamentali»  della  professione
forense - cosi' come si deduce dalla vigente legislazione statale  di
settore  -  la  cui  fissazione,  pertanto,   e'   costituzionalmente
riservata al legislatore statale. 
    In particolare,  l'ordinamento  della  professione,  di  avvocato
risulta disciplinato dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito
in legge, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio  1934,  n.  36  e
modificato dalla legge 23 novembre 1939, n. 1949, il  cui  art.3,  in
materia di' incompatibilita', dispone: 
        «L'esercizio delle professioni di avvocato e  di  procuratore
e' incompatibile con qualunque  impiego  od  ufficio  retribuito  con
stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle
Istituzioni pubbliche di beneficenza,  della  Banca  d'Italia,  della
Lista Civile, del Gran  magistero  degli  ordini  cavallereschi,  del
Senato, della Camera dei Deputati ed in generale di  qualsiasi  altra
amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o  vigilanza
dello Stato, delle Province e dei Comuni. 
    Sono eccettuati dalla disposizione del secondo comma: 
        a) i professori e gli assistenti delle  universita'  e  degli
altri istituti superiori ed i  professori  degli  istituti  secondari
dello Stato; 
        b)  gli  avvocati  ed  i  procuratori  degli  uffici   legali
istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi  modo  presso
gli enti di cui allo stesso secondo comma,  per  quanto  concerne  le
cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la  loro
opera. Essi sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo. 
    «La ratio del regime delle incompatibilita' con l'esercizio della
professione  di  avvocato,  intesa  come   libera   professione,   e'
costituita   dalla   necessaria    tutela    dell'indipendenza    del
professionista, oltre che degli interessi dell'ente pubblico, cui  il
dipendente e' legato da un rapporto di esclusivita'. 
    In considerazione della notevole  rilevanza  di  tale  ratio,  le
uniche eccezioni al regime di incompatibilita' sono analiticamente  e
tassativamente indicate al quarto comma della  stessa  norma  che  la
disciplina. Tra queste, assume notevole rilievo l'eccezione enumerata
alla succitata lettera b). 
    La professione di avvocato e', dunque incompatibile con qualunque
impiego pubblico, salvo che con l'attivita'  di  insegnamento  presso
universita' od altri istituti  superiori  e  secondari  dello  Stato,
nonche' con quella  esplicata  dagli  avvocati  degli  uffici  legali
istituiti presso gli enti pubblici per quanto concerne le cause e gli
affari propri dell'ente presso  il  quale  prestano  la  loro  opera,
iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati. 
    Proprio la rilevanza  del  regime  delle  incompatibilita'  della
professione di avvocato ha portato la giurisprudenza all'applicazione
fortemente restrittiva dell'eccezione prevista dalla lettera  b)  del
quarto comma della norma in questione. 
    In particolare, e' stato osservato che,  in  tema  di'  esercizio
della professione forense, l'art. 3,  R.D.L.  27  novembre  1933,  n.
1578, dopo  aver  stabilito  che  l'esercizio  della  professione  di
avvocato  e'  incompatibile  con   qualunque   impiego   od   ufficio
retribuito, anche alle  dipendenze  di  qualsiasi  amministrazione  o
istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle
province e  dei  comuni,  stabilisce  pero'  che,  in  queste  ultime
ipotesi,  possono  essere  iscritti  nell'elenco   speciale   annesso
all'albo gli avvocati degli uffici legali istituiti, sotto  qualsiasi
denominazione ed in qualsiasi modo, presso tali enti, solo per quanto
concerne le cause e gli  affari  propri  dell'ente  presso  il  quale
prestano la loro opera. 
    L'iscrizione all'albo speciale presuppone, pero',  che  l'ufficio
legale sia incardinato  nella  struttura  dell'ente  pubblico  e  che
l'avvocato sia dipendente dello stesso (Cass. civ.,  S.U.,  3  maggio
2005, n. 9096); l'iscrizione nell'elenco speciale (annesso  all'albo)
di cui all'art. 3, ultimo comma, lett. b), r.d.l. 27 novembre 1933,n.
1578, essendo prevista per gli avvocati  degli  uffici  legali  degli
enti indicati nel precedente comma 2, presuppone che la  destinazione
del dipendente-avvocato a svolgere l'attivita'  professionale  presso
l'ufficio legale si realizzi mediante il suo inquadramento  in  detto
ufficio, che non avvenga a titolo precario e non sia del tutto  privo
di stabilita' (Cass. civ., S.U., 6 luglio 2005, n.  14213);  ai  fini
dell'iscrizione nell'elenco speciale annesso all'albo degli avvocati,
l'art. 3, ultimo comma, letto b),  r.d.l.  n.  1578/33  richiede  che
presso l'ente pubblico esista un ufficio legale costituente un'unita'
organica autonoma, e  che  coloro  i'  quali  sono  ad  esso  addetti
esercitino con liberta' ed autonomia le loro funzioni di  competenza,
con sostanziale estraneita' all'apparato amministrativo, in posizione
di indipendenza da  tutti  i  settori  previsti  in  organico  e  con
esclusione di ogni attivita' di gestione (Cass. civ., S.u., 18 aprile
2002, n. 5559); al fine dell'iscrizione  degli  addetti  agli  uffici
legali di enti pubblici negli  elenchi  speciali  annessi  agli  albi
degli avvocati e procuratori di  cui  agli  art.  3  e  4  r.d.l.  27
novembre 1933, n. 1578 (norme di carattere eccezionale,  attesone  il
carattere derogatorio al principio dell'incompatibilita' sancito  dal
comma 2 del citato art. 3), e' necessario che il dipendente dell'ente
pubblico risulti addetto ad un  ufficio  legale  dotato  di  una  sua
autonomia nell'ambito della relativa struttura, e che, in  virtu'  di
tale sua appartenenza  ed  alla  stregua  dell'ordinamento  dell'ente
stesso, egli sia - in linea di  principio  -  abilitato  a  svolgere,
nell'interesse  dell'ufficio   ed   in   via   esclusiva,   attivita'
professionale,  tanto  giudiziaria  quanto  extragiudiziaria   (Cass.
civ.,S.U., 14 marzo 2002, n. 3733; 19 ottobre 1998, n. 10367). 
    Alla   luce   delle   suesposte   considerazioni,   pare    certa
l'appartenenza del regime delle incompatibilita' con  la  professione
di avvocato, previsto dall'art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, tra  i
principi fondamentali desunti dalla normativa di  settore,  come  del
resto  posto  piu'  volte  in   evidenza   anche   dalla   Corte   di
cassazione,per la quale: «Gli avvocati dipendenti  da  enti  pubblici
sono abilitati al patrocinio unicamente per le  cause  e  gli  affari
propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera, e non  anche
di un ente diverso,  non  rilevando  che  quest'ultimo  sia  nato  ad
iniziativa o  con  capitale  dell'ente  pubblico,  ne'  il  carattere
pubblicistico dei suoi fini istituzionali, ne' i controlli su di esso
esercitati, ne', infine, che ciascuno dei due enti,  ovvero  il  solo
ente pubblico preveda nel  regolamento  l'utilizzazione  del  proprio
servizio legale da parte dell'altro ente,  non  potendo  un  servizio
siffatto compiersi in deroga ai limiti  di  ordine  pubblico  di  cui
disposizioni di legge  sovraordinate  circondano  lo  ius  postulandi
eccezionalmente attribuito ad avvocati dipendenti  da  enti  pubblici
dall'art. 3, comma 4, lett. b), r.d.l. 27  novembre  1933,  n.  1578,
convertito nella legge 22 gennaio 1934,  n.  36»  (Cass.  civ.,  sez.
trib., 16 settembre 2004, n.  18686)  (cfr.  Tar  Lombardia,  Milano,
ordinanza del 7 febbraio 2008  pronunziata  sul  ricorso  n.1007/2007
R.G). 
    In siffatta lettura, la norma  regionale  in  discussione  sembra
porsi al di fuori della competenza costituzionalmente riservata  alle
regioni   ne'   appare   possibile   una   diversa   interpretazione,
costituzionalmente orientata, dell'art. 29 l.r. Campania n. 1/09. 
    In particolare, non puo' sostenersi che la natura  «strumentale»,
rispetto  alla  Regione,  degli   enti   legittimati   ad   avvalersi
dell'assistenza legale dell'Avvocatura determini, nella sostanza,  il
venire meno delle cause di incompatibilita' previste  dal  R.D.L.  n.
1578 del 1933, art.3, u.c., lett. b) si che non sussisterebbe  alcuna
causa  di  incompatibilita',  per  gli  Avvocati  regionali,  con  il
patrocinio delle cause delle ASL (in quanto «anche gli  affari  delle
seconde potrebbero ritenersi quali affari della prima»: cfr.  memoria
della Regione Campania del 19 maggio 2011). 
    Infatti, la lettera dell'art. 3, comma 2, lett. b), nel prevedere
la deroga al regime di incompatibilita' previsto,  in  generale,  dal
comma 1 della stessa norma, dispone espressamente che tale deroga  si
applichi  agli  avvocati  ed  ai  procuratori  degli  uffici  legali,
istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi  modo  presso
gli enti di cui allo stesso secondo comma  «per  quanto  concerne  le
cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la  loro
opera». Pertanto, trattandosi di una deroga ad un principio generale,
essa non puo'  interpretarsi  analogicamente,  si  da  ricomprendervi
anche le cause e gli affari di un  ente  terzo,  seppur  strumentale,
presso il quale gli avvocati non prestano la loro opera. 
    Oltretutto, se la portata dell'art. 3, comma 2,  lett.  b)  fosse
tale da includervi, sic et simpliciter, anche le cause e  gli  affari
di un  ente  strumentale  rispetto  all'ente  datore  di  lavoro,  il
legislatore regionale non avrebbe avuto alcun  bisogno  di  prevedere
tale possibilita' nella l.r. n.  1/09  e  di  definirne  gli  aspetti
esecutivi nella conseguente delibera attuativa qui impugnata. 
    Peraltro, il  fatto  che  la  natura  strumentale  dell'ente  non
implichi affatto una coincidenza tra le  finalita'  della  Regione  e
quelle dell'Ente e' dimostrato  dalla  circostanza  che  la  delibera
attuativa della l.r. n. 1/09 ha previsto espressamente l'ipotesi  del
conflitto di interessi tra ASL e Regione. 
    D'altra  parte,  nessun  rilievo  possono  avere  -  al  fine  di
sopportare  la  suddetta  interpretazione   -   gli   esempi   citati
dall'amministrazione  regionale  resistente  circa   l'esistenza   di
deroghe  normativamente  previste  al   principio   di   esclusivita'
suindicato (v. art. 43 R.D. n.1161/1993 o artt. 11, comma 3-bis, d.l.
n. 55/1983, convertito in legge n.  131/83):  infatti,  cio'  che  si
contesta in  questa  sede  non  e'  la  possibilita',  da  parte  del
legislatore statale, di introdurre  deroghe  al  principio  siffatto,
bensi'  che  tale  deroghe  possano  essere  previste  da  una  legge
regionale. 
    In conclusione, il Collegio ritiene che il giudizio debba  essere
sospeso e che gli atti vadano trasmessi  alla  Corte  costituzionale,
attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza  della  questione
di costituzionalita' dell'art. 29, comma 1, della legge della Regione
Campania n. 1/09. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito ed in  ordine  alle
spese resta riservata alla decisione definitiva.