Sentenza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione 16 luglio 2008  (doc.  IV-quater,
n. 1), relativa all'insindacabilita', ai sensi  dell'art.  68,  primo
comma, della Costituzione,  delle  opinioni  espresse  dall'onorevole
Umberto Bossi nei confronti della dott.ssa Paola  Braggion,  promosso
dalla  Corte  di  cassazione,  terza  sezione  civile,  con   ricorso
notificato il 18 dicembre  2009,  depositato  in  cancelleria  il  29
dicembre 2009 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti  tra  poteri
dello Stato 2009, fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Camera  dei
deputati. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.   -   Con   provvedimento    qualificato    come    «ordinanza
interlocutoria» del 27 marzo 2009,  la  Corte  di  cassazione,  terza
sezione civile, ha sollevato conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla
delibera adottata il 16 luglio 2008 (doc. IV-quater, n.  1),  con  la
quale e' stato dichiarato che i fatti, per i quali  e'  in  corso  il
procedimento  civile  per  risarcimento  dei  danni  promosso   dalla
dott.ssa Paola Braggion nei confronti  del  deputato  Umberto  Bossi,
riguardano opinioni espresse da quest'ultimo nell'esercizio delle sue
funzioni  parlamentari  e  sono,  quindi,  insindacabili   ai   sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. 
    La Corte ricorrente riferisce che, con citazioni notificate il 21
e 23 giugno 2003, la dott.ssa Braggion aveva  convenuto  in  giudizio
l'on. Bossi davanti al Tribunale  di  Brescia,  proponendo  nei  suoi
confronti domanda di  condanna  al  risarcimento  dei  danni  e  alla
riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge  8  febbraio
1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa). 
    A fondamento delle proprie richieste,  l'attrice  aveva  posto  i
seguenti fatti. Con  sentenza  del  23  maggio  2001,  essa  dott.ssa
Braggion,  quale  giudice  del  Tribunale  penale  di  Como,  sezione
distaccata di Cantu', aveva  dichiarato  l'on.  Bossi  colpevole  del
delitto di vilipendio alla  bandiera  nazionale,  condannandolo  alla
pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Nei giorni  successivi,
l'on.  Bossi  aveva   reso   alla   stampa   dichiarazioni   ritenute
dall'attrice  lesive  della  propria  reputazione,   accusandola   di
strumentalizzare il proprio ufficio per incidere  sulla  competizione
politica, di approfittare  di  un  processo  politico  per  ricavarne
visibilita' e di utilizzare «relitti giuridici», con perdita di tempo
e «furto dello stipendio». Tali dichiarazioni erano apparse  su  vari
quotidiani:  in  particolare,  «La  Repubblica»,  «Il  Giorno»,   «Il
Corriere di Como», «Libero», «La Provincia di Como»,  «Il  Giornale»,
«La Stampa» e «La Padania». 
    La domanda veniva respinta dall'adito Tribunale con sentenza  del
24 maggio 2004, sul rilievo che le opinioni in questione costituivano
manifestazione   di   critica   politica   connessa   alla   funzione
parlamentare, coperta dall'immunita' di  cui  agli  artt.  68,  primo
comma, Cost. e 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per
l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonche'  in  materia
di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato). 
    La pronuncia veniva impugnata dalla dott.ssa Braggion. 
    Nelle more, il  Parlamento  europeo,  con  deliberazioni  del  22
maggio 2004,  approvava  la  relazione  A5-0281/2004,  contenente  la
raccomandazione a difendere l'immunita' dell'on. Bossi - membro anche
di  quel  Consesso,  all'epoca  dei  fatti  -  con  riferimento  alle
dichiarazioni pubblicate  su  quotidiani  diversi  da  «La  Padania»;
mentre disattendeva  l'analoga  proposta  formulata  nella  relazione
A5-0282/2004, in rapporto alle  dichiarazioni  apparse  sul  predetto
giornale. 
    Ritenendo la prima deliberazione vincolante, la Corte di  appello
di Brescia, con sentenza del 27 febbraio 2008, rigettava  la  domanda
della dott.ssa Braggion per la parte corrispondente e la  accoglieva,
invece, in relazione alle dichiarazioni riportate da «La  Padania»  -
che non riteneva riconducibili alle attivita' protette dall'art.  68,
primo comma, Cost. - condannando, quindi, per esse,  l'on.  Bossi  al
risarcimento del danno cosiddetto morale. 
    Avverso la sentenza l'on. Bossi proponeva ricorso per cassazione,
basato su due motivi, cui resisteva la dott.ssa Braggion, proponendo,
a propria volta, ricorso incidentale,  inteso  a  contestare,  con  i
primi tre motivi, la statuizione di rigetto della domanda quanto alle
dichiarazioni pubblicate da testate  giornalistiche  diverse  da  «La
Padania» e, con il quarto, il mancato esame della domanda, riproposta
in appello, relativa alla riparazione pecuniaria  prevista  dall'art.
12 della legge n. 47 del 1948. 
    Nel frattempo, la Camera dei deputati adottava la delibera del 16
luglio 2008,  oggetto  dell'odierna  impugnazione,  con  la  quale  -
accogliendo la proposta adottata a maggioranza dalla  Giunta  per  le
autorizzazioni a procedere - dichiarava che i fatti per i quali e' in
corso il  giudizio  concernevano  opinioni  espresse  dall'on.  Bossi
nell'esercizio delle  funzioni  parlamentari,  con  conseguente  loro
insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. 
    Cio' premesso, la Corte di cassazione osserva che la delibera  di
insindacabilita' e' intervenuta in pendenza  del  termine  nel  quale
entrambe le parti potevano impugnare la sentenza di appello, nei capi
per ciascuna di esse sfavorevoli, ed e' stata trasmessa  l'11  agosto
2008, prima che fosse stato assunto un qualsiasi provvedimento. Detta
deliberazione inciderebbe,  inoltre,  non  soltanto  sul  capo  della
sentenza di  appello  di  accoglimento  della  domanda  risarcitoria,
impugnato con il ricorso principale  dell'on.  Bossi,  ma  anche  sul
quarto motivo del ricorso incidentale della dott.ssa Braggion, con il
quale si lamenta che il giudice di  appello  non  abbia  pronunciato,
anche in relazione alle dichiarazioni pubblicate su «La Padania»,  la
condanna alla riparazione  pecuniaria  prevista  dall'art.  12  della
legge sulla stampa.  In  conseguenza  di  cio',  la  ricorrente  «non
ritiene  [...]  di  poter  affrontare»,  allo   stato,   l'eccezione,
preliminarmente    sollevata    dalla    dott.ssa    Braggion,     di
inammissibilita' del ricorso principale, in quanto i  due  motivi  su
cui esso si fonda non sarebbero seguiti da un quesito di diritto,  in
conformita'  a  quanto  previsto  dall'art.  366-bis  del  codice  di
procedura civile (allora vigente). 
    La Corte ricorrente reputa, per altro verso, che non  sia  chiaro
se la  delibera  di  insindacabilita'  impugnata  attenga  alle  sole
dichiarazioni rese dall'on.  Bossi  al  giornale  «La  Padania»,  per
essere le altre gia' «coperte» dall'analoga presa  di  posizione  del
Parlamento europeo, o se riguardi,  invece,  anche  le  dichiarazioni
pubblicate da altri quotidiani, esse pure ancora oggetto di giudizio.
Ad  avviso  della  ricorrente,  risulterebbe,  peraltro,  preferibile
questa seconda e piu' ampia lettura  (che  impedirebbe  di  esaminare
anche  i  primi  tre  motivi  del  ricorso   incidentale).   Dovrebbe
ritenersi, infatti, dirimente - rispetto alle  contrarie  indicazioni
pure ricavabili dalla relazione della Giunta per le autorizzazioni  -
la circostanza  che  l'Assemblea  sia  stata  comunque  chiamata,  in
termini generali, ad esprimersi sui «fatti per i quali e' in corso il
procedimento di cui al Doc. IV-quater, n. 1» nei  confronti  dell'on.
Bossi: procedimento che - a fronte del mancato passaggio in giudicato
della sentenza di secondo grado  -  investe  anche  le  dichiarazioni
riportate da quotidiani diversi da «La Padania». 
    Su tale presupposto, la Corte ricorrente propone, quindi, in  via
principale, conflitto di attribuzione nei confronti della delibera di
insindacabilita', intesa  come  riferita  a  tutte  le  dichiarazioni
oggetto del giudizio civile. In subordine, e per l'ipotesi in cui  si
dovesse, invece, optare per una interpretazione di segno restrittivo,
solleva conflitto nei confronti della medesima deliberazione,  intesa
come attinente alle sole dichiarazioni riportate su «La Padania». 
    Quanto a tali ultime  dichiarazioni,  la  Corte  rileva  come  il
quotidiano «La Padania» del 24  maggio  2001,  sotto  il  titolo  «La
sinistra  ordina:  Bossi  in  galera»  -  dopo  aver   premesso   che
«L'onorevole Umberto Bossi e' stato condannato a un  anno  e  quattro
mesi di reclusione (pena sospesa) per vilipendio  alla  bandiera,  in
seguito alle parole pronunciate nel luglio  '97  in  un  comizio  nel
comasco» -  riportasse  dichiarazioni  dello  stesso  on.  Bossi  del
seguente tenore: «E' un attacco al governo [...] ed e'  incivile  che
un magistrato perda il tempo, pagato dai contribuenti,  per  fare  un
processo basato su reati di opinione e il codice Rocco [...] il Paese
ha voltato pagina, c'e'  una  nuova  maggioranza  e  un  governo,  la
giustizia e' un obiettivo disastro, eppure una certa magistratura non
perde l'attitudine di occuparsi di politica in momenti "particolari".
Intanto l'84 per cento dei reati (compresi scippi,  rapine,  furti  e
omicidi) rimane impunito. C'e' solo da  ridere  di  fronte  a  queste
notizie, per non mettersi a piangere». 
    In un successivo articolo,  pubblicato  il  25  maggio  2001  dal
medesimo  quotidiano,  si  affermava,  altresi':  «Il  carroccio   si
mobilita dopo la condanna al segretario federale. Basta  coi  giudici
del codice Rocco. La condanna a un anno  e  quattro  mesi  a  Umberto
Bossi per vilipendio alla bandiera e' un altro esempio  di  giustizia
politica contro la Lega. Non e' possibile che due magistrati in cerca
di pubblicita' (il PM Claudio Galoppi e il  giudice  Paola  Braggion)
possono ricorrere alle norme fasciste del codice  Rocco  per  colpire
deliberatamente la liberta' di espressione - cosi' reagisce ancora il
segretario  federale  -.  Intervenga  il  Consiglio  Superiore  della
Magistratura e si decida a sanzionare quei magistrati che  continuano
ad usare norme fasciste sui reati di opinione, norme gia'  cancellate
nella coscienza democratica del popolo. E' passato  quasi  un  secolo
dal codice Rocco, il regime fascista e' stato sconfitto,  e'  tornata
la democrazia eppure c'e' chi ancora usa questi relitti giuridici per
scegliere e  colpire  gli  avversari  politici  della  sinistra.  Uno
scandalo intollerabile». 
    Al   riguardo,   la   ricorrente   rileva   come,    in    ordine
all'applicabilita' della  guarentigia  offerta  dall'art.  68,  primo
comma, Cost. ad opinioni espresse dal  membro  del  Parlamento  extra
moenia, la giurisprudenza costituzionale abbia da tempo  adottato  il
criterio del nesso funzionale con l'attivita' parlamentare:  criterio
che postula il concorso di un legame  temporale  tra  quest'ultima  e
l'attivita' esterna e di un  elemento  contenutistico,  rappresentato
dalla sostanziale  corrispondenza  di  significato  tra  le  opinioni
espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari e  le  dichiarazioni
esterne. 
    Nella specie, non ricorrerebbe ne' l'uno ne' l'altro requisito. 
    L'attivita' parlamentare rilevante e' stata, infatti, individuata
dalla relazione della Giunta per le  autorizzazioni  nella  battaglia
parlamentare per il federalismo amministrativo  e  fiscale,  condotta
dalla Lega Nord gia' nel corso della XIIIa legislatura, nonche' nella
sua opposizione al disegno di legge sull'esposizione della  bandiera,
poi divenuto la legge 5 febbraio 1998, n. 22  (Disposizioni  generali
sull'uso della bandiera della e di quella  dell'Unione  europea).  In
sede di discussione sulla proposta di insindacabilita', si  e'  fatto
riferimento, altresi',  alle  reiterate  critiche  espresse  dall'on.
Bossi  nei  confronti  della  magistratura,  con   riferimento   agli
specifici fatti oggetto del giudizio. 
    Mancherebbe,  tuttavia,  il   legame   temporale,   giacche'   le
espressioni esterne risulterebbero di  alcuni  anni  successive  alle
posizioni manifestate in ambito parlamentare.  Ma  non  sussisterebbe
neppure  la  sostanziale  corrispondenza  di   significato   tra   le
espressioni  esterne  e  tali  posizioni  -  comunque  evocate  senza
individuare specifici atti di  esercizio  della  funzione  -  essendo
ravvisabile, al piu', una mera comunanza  di  contesto  politico.  Il
«fulcro» della reazione  dell'on.  Bossi  alla  condanna  inflittagli
starebbe, infatti, nell'accusa rivolta al magistrato, da un lato,  di
aver  voluto  «mettersi  in  mostra»;  dall'altro,  «d'essersi  fatto
strumento di  una  sorta  di  messa  in  discussione  della  vittoria
elettorale conseguita anche dalla  Lega,  dando  cosi'  dimostrazione
[...] di propensione a far  impiego  di  strumenti  giuridici,  anche
obsoleti, per fini politici». 
    Le medesime considerazioni  varrebbero,  secondo  la  ricorrente,
anche in rapporto alle dichiarazioni  -  di  tenore  complessivamente
equivalente - pubblicate su altri quotidiani del  24  maggio  2001  e
parimenti riprodotte nel ricorso. 
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile  con  ordinanza
n. 332 del 2009. 
    3. - Si e' costituita la Camera dei deputati,  chiedendo  che  il
ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. 
    In via preliminare, la Camera  eccepisce  l'inammissibilita'  del
ricorso per  indeterminatezza  e  genericita'  del  suo  oggetto.  La
ricorrente avrebbe, infatti, impugnato alternativamente  la  delibera
di insindacabilita' in due diversi significati - ossia come  riferita
a tutte le dichiarazioni dell'on. Bossi,  ovvero  soltanto  a  quelle
riportate sul quotidiano «La  Padania»  -  venendo  meno,  con  cio',
all'onere di esatta identificazione della materia del conflitto. 
    Quanto al merito - premesso  che,  alla  luce  delle  inequivoche
affermazioni  del  relatore  in  Assemblea,  on.  Gava,  la  delibera
impugnata riguarderebbe, in realta', le sole dichiarazioni rilasciate
al quotidiano «La Padania» - la  difesa  della  Camera  dei  deputati
assume che tali dichiarazioni costituirebbero  legittima  espressione
di critica politica nei confronti della permanenza,  all'interno  del
nostro sistema giuridico, dei reati di opinione  e,  in  particolare,
dei reati di vilipendio.  Esse  si  iscriverebbero,  in  specie,  nel
quadro della battaglia politica condotta dalla Lega Nord - formazione
della quale l'on. Bossi e' sempre stato il «leader indiscusso» -  per
l'abolizione di detti reati, in quanto contrastanti con  la  liberta'
di pensiero e suscettibili di utilizzazioni strumentali da  parte  di
una magistratura «politicizzata»: battaglia che ha  trovato  concreta
eco nella legge di riforma 24 febbraio  2006,  n.  85  (Modifiche  al
codice penale in materia di reati di opinione), della quale  la  Lega
Nord e' stata la principale promotrice. 
    In tale cornice, le dichiarazioni  in  questione  rientrerebbero,
piu'  specificamente,  nell'ambito  di  operativita'  della  garanzia
accordata dall'art. 68, primo comma,  Cost.,  in  quanto  avvinte  da
nesso funzionale con l'attivita' parlamentare tipica svolta  dall'on.
Bossi, nella quale sarebbe parimenti riscontrabile una  chiara  linea
politica, volta, da un lato, a contestare  aspramente  la  permanenza
nell'ordinamento di reati  di  opinione  di  matrice  autoritaria  e,
dunque, antidemocratici; dall'altro, ad accusare in modo  altrettanto
aspro la magistratura di  aver  «utilizzato»  detti  reati  per  fini
meramente politici e, in particolare, per osteggiare  l'azione  della
Lega Nord. 
    A tale riguardo, la difesa della Camera  evoca,  in  particolare,
l'intervento effettuato nella seduta del 2 agosto 1995, nel corso del
quale l'on. Bossi aveva affermato che «il Codice  Rocco,  cardine  di
tutti i processi celebrati dal tribunale speciale per la difesa dello
Stato fascista, non e' evidentemente  lo  strumento  idoneo  per  uno
Stato democratico»: cio', in sostanziale assonanza con le  successive
dichiarazioni oggi in discussione, nelle quali si  evidenzia  come  i
reati di opinione siano anacronistici rispetto alla forma democratica
dello Stato. 
    Nel corso di altro intervento,  effettuato  nella  seduta  del  9
aprile 1997, l'on. Bossi  -  riferendosi  all'allora  Presidente  del
Consiglio, on. Prodi - aveva altresi' affermato che  «lo  davano  per
uscito di mente con la sua magistratura intenta a sfogliare il codice
Rocco»,  avendo  riguardo  alla  propensione  della  magistratura  ad
avvalersi di figure criminose ormai obsolete per  avversare  l'azione
politica della Lega Nord. 
    Con ancora maggiore chiarezza, nella successiva seduta 11  aprile
1997, l'on. Bossi  aveva,  poi,  dichiarato:  «vedo  la  magistratura
attaccare gli uomini della Lega, vedo tutte le cose  che  fate  [...]
Abbiamo magistrati che ricorrono ai  reati  di  opinione,  al  Codice
Rocco, contro i cittadini della Padania». 
    Nella seduta del 28 aprile 2000,  l'on.  Bossi  aveva  osservato,
infine, come l'azione del Governo fosse «erede della scelta  ulivista
di consegnare la Lega e il cambiamento incarnato in essa  nelle  mani
della magistratura,  del  Codice  Rocco,  del  nazionalismo  efferato
brandito  proprio  mentre  la  globalizzazione  ha  messo  in   crisi
irreversibile lo Stato nazionale». 
    Dall'insieme  delle  dichiarazioni  ora  ricordate   emergerebbe,
dunque, come il  rapporto  tra  magistratura  e  politica  sia  stato
l'argomento  centrale  all'interno  del  dibattito  politico   svolto
dall'on.  Bossi:  valendo  esemplarmente,  sul  punto,   l'intervento
effettuato nella seduta del 22 luglio 1998, con il quale  egli  aveva
disapprovato  l'operato  di  quei  magistrati  che  sembravano   piu'
interessati alle  vicende  politiche  che  non  alla  gestione  della
giustizia, in sintonia con quanto riportato anche nelle interviste  a
«La Padania», oggetto del conflitto. 
    Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalla   Corte   ricorrente,
sussisterebbe, quindi, una sostanziale identita' di  contenuti  -  e,
talora, anche di espressioni - tra le dichiarazioni extra moenia e le
opinioni manifestate dall'on. Bossi in sede parlamentare. 
    Quanto, poi, al legame temporale, la difesa della Camera  rimarca
come, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l'esistenza  del
suddetto requisito debba essere riscontrata non su un metro puramente
«quantitativo», ma sulla base di un criterio oggettivo, ancorato alla
persistente attualita' del tema oggetto  delle  dichiarazioni.  Nella
specie, la distanza temporale tra l'ultimo degli atti  tipici  citati
(l'intervento parlamentare del 28 aprile 2000)  e  le  interviste  in
contestazione (rilasciate il 24 e 25 maggio 2001) non  sarebbe,  gia'
di per se', piu' ampio di quello che, in  altri  casi,  la  Corte  ha
ritenuto non ostativo alla configurabilita' del  «nesso  funzionale».
Ma, soprattutto, esso troverebbe giustificazione  nella  sentenza  di
condanna di primo grado, intervenuta il 23 maggio  2001:  l'interesse
divulgativo del parlamentare, volto a denunciare l'uso  politico  che
una parte della magistratura avrebbe fatto di figure di  reato  ormai
«obsolete», nascerebbe  proprio  a  seguito  della  sentenza  che  ha
condannato l'on. Bossi per quel tipo di reati. 
    Da  ultimo,  la  difesa  della  Camera  rileva  che  qualora,  in
contrasto con quanto da essa sostenuto, si ritenesse che la  delibera
impugnata attenga anche alle dichiarazioni  riportate  su  quotidiani
diversi da «La Padania»,  il  ricorso  risulterebbe  infondato  anche
rispetto ad esse, per ragioni analoghe a quelle dianzi riassunte. 
    4.  - La  Camera  dei  deputati   ha   depositato   due   memorie
illustrative, con le  quali  -  oltre  a  ribadire  e  sviluppare  le
precedenti difese - ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso  sotto
l'ulteriore profilo dell'omessa valutazione,  da  parte  del  giudice
ricorrente, della reale natura offensiva  delle  dichiarazioni  delle
quali si discute: valutazione  da  ritenere  necessaria  al  fine  di
evitare che il conflitto di attribuzioni  si  traduca  «in  una  mera
vindicatio potestatis del tutto  astratta  e  priva  di  qualsivoglia
utilita' e rilevanza ai fini della decisione del processo»,  nonche',
al  tempo  stesso,  quale  strumento  per  ridurre  il  «volume»  dei
conflitti sottoposti al vaglio di questa Corte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione, terza sezione civile,  ha  sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della
Camera dei deputati, contestando che spettasse  ad  essa  deliberare,
nella seduta del 16 luglio 2008 (doc. IV-quater, n. 1), che i  fatti,
per i quali e' in corso il procedimento civile per  risarcimento  dei
danni promosso  dalla  dott.ssa  Paola  Braggion  nei  confronti  del
deputato Umberto Bossi, riguardano opinioni espresse da  quest'ultimo
nell'esercizio delle  funzioni  parlamentari,  con  conseguente  loro
insindacabilita'  ai  sensi  dell'art.   68,   primo   comma,   della
Costituzione. 
    2. - Deve essere preliminarmente  ribadita  l'ammissibilita'  del
conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi e  oggettivi,  come
gia' ritenuto da questa Corte con l'ordinanza n. 332 del 2009. 
    3.  -  Al  riguardo,  va  disattesa,  altresi',  l'eccezione   di
inammissibilita' del conflitto per indeterminatezza e genericita' del
suo oggetto, formulata dalla difesa della Camera dei deputati. 
    La Corte  ricorrente  -  dopo  aver  rilevato  come  la  delibera
impugnata si presti, per tal verso, a interpretazioni contrastanti  -
ha, infatti, optato - motivandola - per una sua lettura in termini di
ampia comprensivita', alla  stregua  della  quale  l'affermazione  di
insindacabilita' investirebbe l'intero complesso delle  dichiarazioni
per le quali l'on. Bossi e' stato  convenuto  in  giudizio.  Su  tale
premessa, la ricorrente ha quindi contestato, in via  principale,  la
sussistenza del nesso funzionale in rapporto alla  generalita'  delle
dichiarazioni oggetto del procedimento civile in corso. In subordine,
e per l'eventualita' in cui questa Corte dovesse  invece  optare  per
una  interpretazione   di   segno   restrittivo,   ha   limitato   la
contestazione alle sole dichiarazioni riprodotte sul  quotidiano  «La
Padania». Trattandosi  di  prospettazione  subordinata,  e  non  gia'
alternativa, non vi e', dunque, alcuna oscurita' o  ambiguita'  nella
individuazione del thema decidendum. 
    4. - Parimenti  infondata  e'  l'ulteriore  eccezione,  sollevata
dalla  difesa  della  Camera  dei  deputati  nella  seconda   memoria
illustrativa, di inammissibilita' del  ricorso  per  omessa  verifica
preventiva, da parte del giudice ricorrente, del carattere  offensivo
delle dichiarazioni dell'on. Bossi. 
    L'ipotizzato onere di anticipazione degli esiti del  giudizio  da
cui  il  conflitto  trae  origine  -   privo   di   riscontri   nella
giurisprudenza di questa Corte in materia, come la stessa  resistente
riconosce - si pone, a tacer  d'altro,  in  contrasto  con  l'effetto
inibente che, alla luce della disciplina  recata  dall'art.  3  della
legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni   per   l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), la delibera  di
insindacabilita' produce sulle attivita' giurisdizionali.  Impugnando
detta delibera, il giudice mira propriamente a  "riappropriarsi"  del
potere (pieno) di giudicare - in un senso o nell'altro -  sul  merito
della domanda, al quale attiene la valutazione della reale  lesivita'
delle esternazioni (valutazione che potrebbe, tra l'altro, richiedere
- segnatamente quando venga in rilievo il diritto  di  critica  o  di
cronaca e si verta nell'ambito  di  giudizi  di  merito  -  opportuni
approfondimenti istruttori). 
    5. - Nel merito, questa Corte deve  prendere  in  esame,  non  la
richiesta principale della ricorrente, ma quella  subordinata:  cio',
in quanto la delibera impugnata risulta, in realta', riferibile  alle
sole interviste rilasciate al quotidiano «La Padania», come sostenuto
anche dalla difesa della Camera. 
    A sostegno della prospettata  lettura  estensiva,  la  ricorrente
adduce  la  circostanza  che  -  a  prescindere  dalle   contrastanti
affermazioni  contenute  nella  relazione   della   Giunta   per   le
autorizzazioni - l'Assemblea  sarebbe  stata  comunque  chiamata,  in
termini generali, ad esprimersi sulla insindacabilita' dei «fatti per
i quali e' in corso il procedimento civile di cui al Doc.  IV-quater,
n.  1»  (la   ricorrente   sembra   fare   riferimento,   con   cio',
all'enunciazione  dell'oggetto  della   deliberazione   operata   dal
Presidente dell'Assemblea in apertura di dibattito). 
    Tale argomento risulta, peraltro, soverchiato da un complesso  di
indicazioni  di  segno  contrario,  emergenti  non   soltanto   dalla
relazione   della   Giunta   per   le   autorizzazioni,   ma    anche
dall'illustrazione della proposta fatta in  aula  del  relatore,  on.
Gava. Nella prima si afferma, infatti, espressamente che,  a  seguito
della  presa  di  posizione  del  Parlamento   europeo,   che   aveva
riconosciuto all'on. Bossi la  garanzia  dell'immunita'  in  rapporto
alle dichiarazioni a quotidiani diversi da «La Padania», tale insieme
di   dichiarazioni   «non   rientra[va]   piu'   nell'oggetto   della
deliberazione della Camera». In ambedue le sedi viene, d'altra parte,
puntualizzato che la proposta formulata all'Assemblea  riguardava  le
sole dichiarazioni oggetto dell'«intervenuta condanna» in sede civile
(quella emessa nei confronti dell'on. Bossi dalla Corte d'appello  di
Brescia, attinente, per l'appunto, unicamente alle interviste  a  «La
Padania»). 
    6. - Nei termini ora indicati, il ricorso e' fondato. 
    Secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  per  la
configurabilita' di un nesso funzionale  tra  le  dichiarazioni  rese
extra moenia da un parlamentare e l'espletamento delle  sue  funzioni
di membro del Parlamento - al quale  e'  subordinata  la  prerogativa
dell'insindacabilita', di cui all'art. 68, primo comma,  Cost.  -  e'
necessario che tali dichiarazioni possano rappresentare l'espressione
dell'esercizio di attivita' parlamentare (tra le molte,  sentenze  n.
98 del 2011, n. 301 del 2010, n. 420 e n. 410 del 2008). 
    Nella specie, la relazione della Giunta per le autorizzazioni non
ha indicato alcuno specifico atto parlamentare, compiuto dal medesimo
deputato, al quale, per il suo contenuto, possano essere riferite  le
opinioni oggetto di conflitto. 
    Nell'ambito del presente giudizio, la  difesa  della  Camera  dei
deputati ha invece richiamato, come atti tipici cui le  dichiarazioni
esterne si connetterebbero,  cinque  interventi  effettuati  dall'on.
Bossi nell'ambito di dibattiti in Assemblea, negli anni tra il 1995 e
il 2000. 
    A prescindere dallo iato temporale che  separa  detti  interventi
dalle esternazioni di cui si discute (pubblicate il 24  e  25  maggio
2001),  deve  ritenersi,  peraltro,  carente   il   requisito   della
sostanziale identita' di contenuti, al di la' delle formule letterali
usate, tra le opinioni espresse nell'esercizio delle  funzioni  e  le
dichiarazioni esterne: requisito che, per consolidata  giurisprudenza
di questa Corte, condiziona la riconoscibilita' del nesso funzionale,
non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, ne' una mera comunanza
di argomenti, ne' un mero «contesto politico»  cui  entrambe  possano
riferirsi (ex plurimis, sentenze n. 81 del 2011, n. 420 e n. 410  del
2008, n. 152 del 2007 e n. 258 del 2006). 
    Gli interventi evocati dalla difesa della  Camera  si  traducono,
infatti, per la parte che interessa, in generici accenni al carattere
antidemocratico del «codice Rocco» e ad un  suo  uso  strumentale  da
parte della magistratura. Solo nell'intervento dell'11 aprile 1997 si
rinviene un riferimento ai  reati  di  opinione,  peraltro  sempre  a
carattere generale («vedo la magistratura attaccare gli uomini  della
Lega, vedo tutte le  cose  che  fate  [...]  Abbiamo  magistrati  che
ricorrono ai reati di opinione, al Codice Rocco, contro  i  cittadini
della Padania»). 
    Nelle interviste  in  discussione,  per  converso,  si  formulano
specifiche censure all'operato della dott.ssa Braggion,  in  rapporto
alla condanna per vilipendio alla bandiera nazionale pronunciata  nei
confronti dello stesso on. Bossi. Le si rimprovera,  in  particolare,
di essere andata «in  cerca  di  pubblicita'»,  perdendo  il  proprio
tempo, pagata dai contribuenti,  per  celebrare  un  processo  basato
sulle «norme fasciste sui reati di opinione», mentre  la  gran  parte
dei reati rimane impunita, e di aver strumentalizzato,  altresi',  il
proprio  ufficio  per  finalita'  politiche,  valendosi  di  «relitti
giuridici» per un «attacco al governo» e per «colpire  gli  avversari
politici della sinistra» in  un  momento  «particolare»,  ossia  dopo
l'esito  delle  ultime  elezioni,  dalle  quali  essi  erano   usciti
vincitori. 
    Al riguardo, questa Corte ha gia' avuto modo  di  precisare  come
debba  escludersi  la  corrispondenza  contenutistica  -   necessaria
affinche'  possa  riconoscersi  alle   dichiarazioni   extra   moenia
carattere divulgativo dell'attivita' parlamentare - quando  gli  atti
tipici esprimano critiche generali alla magistratura,  o  a  una  sua
corrente, mentre le  dichiarazioni  esterne  censurino  l'operato  di
singoli magistrati  in  rapporto  a  specifici  episodi  (da  ultimo,
sentenze n. 97 e n. 81 del 2011). In simili frangenti  -  e,  dunque,
anche nel caso in esame, nel quale vengono prospettate, altresi', con
le dichiarazioni  esterne,  particolari  finalita'  distorsive  della
funzione  giudicante  -  puo'  ravvisarsi,  al  piu',  una   semplice
comunanza di tematiche o di «contesto politico»,  insufficiente,  per
quanto detto, a radicare il nesso funzionale. 
    7. - Si deve, di conseguenza, concludere che  la  delibera  della
Camera dei deputati e' stata adottata  in  violazione  dell'art.  68,
primo  comma,   Cost.,   ledendo   le   attribuzioni   dell'autorita'
giudiziaria ricorrente, e deve essere, pertanto, annullata.